Unione europea

L’articolo ripercorre l’evoluzione della legislazione italiana relativa alle concessioni demaniali marittime: dal regime transitorio delle proroghe ex lege delle concessioni in essere, adottato sin dagli anni ’90 dal nostro legislatore, sino all’ultimo provvedimento di proroga, valevole sino al 2033, e tenendo conto anche delle prese di posizione in materia della Commissione europea. Si analizza poi la natura e le molteplici funzioni svolte delle concessioni demaniali marittime per usi turistico-ricreativi e, sulla scorta di tale indagine, si indica quali dovrebbero essere gli obiettivi ed i contenuti della emananda riforma organica del settore, finalizzata ad adeguare l’ordinamento interno alla disciplina europea della concorrenza. In particolare, si sottolinea la necessità che la predetta riforma preveda, oltre all’obbligo, per l’amministrazione pubblica, di assegnare le concessioni mediante gara, anche il diritto all’indennizzo dei gestori uscenti e si individuano, altresì, gli effetti pregiudizievoli che tale misura riparatoria dovrebbe ristorare per essere davvero equa, satisfattiva e conforme ai principi di derivazione eurounitaria. Si segnala, inoltre, l’esigenza di procedere ad una integrale revisione dei criteri per la determinazione dei canoni concessori, introducendo il principio di corrispettività, al fine di garantire un sistema effettivamente concorrenziale, efficiente ed economicamente sostenibile per lo Stato.

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Con la decisione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che verrà qui analizzata, il giudice europeo si concentra sullo scopo primario di indagare la possibilità di considerare la F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) italiana un organismo di diritto pubblico. A tal proposito, il commento mira a sintetizzare le principali questioni riguardanti il citato organismo, soprattutto con riferimento alle condizioni previste dalla legge per riconoscerlo. Al termine della nota verranno fatte alcune considerazioni critiche sulla decisione.

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Sin dall’adozione della Carta dei diritti fondamentali, nel contesto dell’Unione europea la c.d. “buona amministrazione” è caratterizzata come un nuovo diritto fondamentale della persona: il diritto ad una buona amministrazione, così come scritto e dettagliato nell’articolo 41 della Carta. Quanto ai suoi specifici contenuti, vi è un’evidente corrispondenza con quanto previsto dall’articolo 97 della Costituzione italiana, rispetto all’esigenza di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione. Si tratta di due principi la cui migliore espressione è rappresentata dalla legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo: ed è proprio in questa prospettiva che si evidenzia il ruolo fondamentale che possono svolgere, oggi, le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nel contesto della pubblica amministrazione, anche e soprattutto nella prospettiva di potere svolgere un’adeguata e sollecita istruttoria del procedimento amministrativo.

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La pronuncia C-761/18 P si origina dall’appello contro l’ordinanza del Tribunale T-421/17 proposto da parte della professoressa Päivi Leino-Sanberg. La ricorrente aveva, infatti, presentato ricorso contro il diniego di accesso da parte del Parlamento europeo relativo al contenuto dei “triloghi” già oggetto, a loro volta, della nota causa De Capitani T-540/15. La sentenza in commento permette, dunque, di operare riflessioni generali sull’interesse ad agire in materia di accesso, nonché le conseguenze giuridiche della pubblicazione in rete di documenti da parte di “terzi”. Di conseguenza, porta ad interrogarsi sul rapporto tra «trasparenza amministrativa» e «diritto di accesso ad Internet» ai tempi dell’amministrazione digitale.

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Il lavoro, partendo dall’esame del danno ambientale e dalla rilevanza economico dello stesso in relazione alle funzioni ambientali danneggiate, si prefigge di analizzare, così come disciplinato nell’ordinamento francese, la sottocategoria del pregiudizio ecologico. Quest’ultimo, che può essere soggettivo laddove danneggi l’uomo – inteso sia come singolo che come collettività – oppure oggettivo nel caso in cui deteriori la natura, pone rilevanti interrogativi circa le modalità di riparazione del danno. Iniziando dal caso “Erika”, in cui per la prima volta è stata riconosciuta l’esistenza del “pregiudizio ecologico puro”, vengono analizzati gli sviluppi normativi del pregiudizio ecologico a partire dalla trasposizione nel diritto interno francese della Direttiva 2004/35 sino alla legge del 2016 per la riconquista della biodiversità. Infine, con brevi cenni alle soluzioni intraprese in altri ordinamenti nazionali, si tratteggiano, cercando di metterne in luce gli aspetti maggiormente controversi, le tre modalità di riparazione introdotte dalla legge del 2016: primaria, complementare e compensatoria.

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Il contributo delinea le caratteristiche della comunicazione della Banca centrale europea (BCE) dalla sua fondazione ad oggi, con un’attenzione specifica alle attività poste in essere durante la presidenza di Mario Draghi. A partire da alcuni cenni storici sulla comunicazione delle banche centrali, ne vengono esaminate le ragioni, i gradi e i possibili problemi. Vengono poi delineati i soggetti che si fanno carico della comunicazione, “chi comunica”, e i contenuti che vengono veicolati, “cosa si comunica”, nonché gli effetti della comunicazione e il suo rapporto con i temi della trasparenza e dell’accountability. Per quanto concerne specificamente la Banca centrale europea, viene altresì offerto un approfondimento su quanto contenuto in tema di comunicazione nei Rapporti annuali dal 1998 al 2019. Infine, alla luce di quanto ricostruito circa la comunicazione delle banche centrali e in particolare della BCE guidata da Mario Draghi, vengono delineate alcune deduzioni circa la comunicazione del Governo Draghi.

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Con la pronuncia 2 BvR 547/21, il Secondo Senato del Tribunale costituzionale federale tedesco ha respinto l’istanza d’urgenza volta a impedire l’entrata in vigore della legge federale di ratifica della «Decisione sulle risorse proprie» adottata dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea nel dicembre 2020. Al tempo stesso, però, il Tribunale ha dichiarato ammissibile e non manifestamente infondato il ricorso diretto di costituzionalità presentato insieme all’istanza. Sebbene l’ipotesi appaia improbabile, in futuro la pronuncia relativa a quest’ultimo potrebbe portare i Giudici costituzionali tedeschi a rilevare una violazione della c.d. identità costituzionale (così come discendente dall’interpretazione dell’art. 79, 3° comma della Legge fondamentale tedesca), con serie conseguenze per la partecipazione della Repubblica federale tedesca al processo di integrazione sovranazionale.

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Alla luce di un ordinamento dell’Unione Europea sempre più diversificato e complesso, le amministrazioni degli Stati membri sono chiamate a compiere un costante sforzo di adeguamento. La gamma degli interventi richiesti in sede di trasposizione del diritto dell’Unione Europe spazia, nelle diverse prassi nazionali, da adattamenti puntuali a un sostanziale ripensamento delle regole procedurali e organizzative. L’ “europeizzazione” dei diritti nazionali assume quindi innumerevoli connotazioni che variano tipologicamente dalle modifiche direttamente riconducibili al diritto sovranazionale a quelle che assimilano nell’ordinamento interno le trasformazioni indotte dall’integrazione europea pur in assenza di una specifica prescrizione normativa. L’analisi, effettuata nell’ambito del progetto di ricerca recentemente conclusosi al German Research Institute of Public Administration (Speyer) sull’ “europeizzazione e internazionalizzazione delle amministrazioni nazionali in chiave comparata”, esamina, prendendo a paradigma la trasposizione delle direttive in materia ambientale, le diverse strategie di implementazione messe in atto dagli Stati membri dell’UE. I risultati di questo studio comparato mostrano un quadro eterogeneo e difficilmente riconducibile ad un modello comune di implementazione.

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Il Consiglio di Stato francese ha categoricamente respinto la tesi che i tribunali degli Stati membri, in particolare le loro corti supreme (o costituzionali) sarebbero autorizzati a controllare un eventuale “ultra vires” delle Istituzioni europee. La stesura della sentenza è un modo implicito di riconoscere - diversamente da quanto ha fatto la Corte costituzionale federale tedesca nel caso Weiss e la dottrina sulle nozioni di identità costituzionale e di tutela della sicurezza nazionale - che esiste un monopolio della Corte di giustizia UE nell’interpretazione autentica del Trattato. La pronunzia richiama altresì quella giurisprudenza (classica) del Conseil d’Etat che può essere considerata come la versione francese della dottrina dei controlimiti; e che si riferisce al fatto che solo se esiste nel diritto dell’Unione un diritto fondamentale che corrisponda a quello garantito dal diritto costituzionale francese può essere applicato il diritto dell’Unione e la giurisprudenza della sua Corte.

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L'articolo si sofferma su alcune questioni concernenti il rapporto tra le politiche dell’Unione europea in materia di istruzione superiore e i profondi cambiamenti in atto nel sistema universitario italiano.

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