3/2021

Sin dall’adozione della Carta dei diritti fondamentali, nel contesto dell’Unione europea la c.d. “buona amministrazione” è caratterizzata come un nuovo diritto fondamentale della persona: il diritto ad una buona amministrazione, così come scritto e dettagliato nell’articolo 41 della Carta. Quanto ai suoi specifici contenuti, vi è un’evidente corrispondenza con quanto previsto dall’articolo 97 della Costituzione italiana, rispetto all’esigenza di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione. Si tratta di due principi la cui migliore espressione è rappresentata dalla legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo: ed è proprio in questa prospettiva che si evidenzia il ruolo fondamentale che possono svolgere, oggi, le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nel contesto della pubblica amministrazione, anche e soprattutto nella prospettiva di potere svolgere un’adeguata e sollecita istruttoria del procedimento amministrativo.


Digitalisation and the right to good administration
Since the adoption of the Charter of Fundamental Rights, in the context of the European Union the so-called “good administration” has emerged as a new fundamental right: the right to good administration, as written and detailed in Article 41 of the EU Charter. As for its specific contents, there is a clear correspondence with the provisions of Article 97 of the Italian Constitution with respect to the need for impartiality and good performance/efficiency of the Public Administration: two principles of which the best expression is found in Law 241 of 1990 on administrative procedure. It is precisely in this perspective that modern Information and Communication Technologies (ICT) can play a fundamental role in the context of public administration, especially in as far as the possibility to carry out an adequate and prompt investigation process during the administrative procedure is concerned.

È necessario partire da una premessa talmente ovvia che, forse, non sarebbe neppure necessario ricordarla, in questa sede. E cioè che, sin dall’adozione della Carta dei diritti fondamentali, nel contesto dell’Unione europea la c.d. “buona amministrazione” è caratterizzata come un nuovo diritto fondamentale della persona: il diritto ad una buona amministrazione, così come scritto e dettagliato nell’articolo 41 della Carta.

Si tratta di un diritto del destinatario dell’azione amministrativa e non solo di un “principio guida” dell’azione amministrativa.

La sua nozione giuridica coincide con l’idea filosofica espressa dal filosofo iberico Rodríguez-Arana, che in suo bel saggio del 2013 sulla buona amministrazione (come principio e come diritto fondamentale) ha sottolineato che «Una buona amministrazione pubblica è quella serve obiettivamente la cittadinanza (…), che svolge il proprio lavoro con razionalità, giustificando le proprie azioni e che si orienta continuamente verso l’interesse generale. Un interesse generale che nello Stato sociale e democratico di diritto risiede nel miglioramento permanente e integrale delle condizioni di vita delle persone» (J. Rodríguez-Arana, 2013, p. 26).

Credo che questa affermazione possa essere da tutti condivisa: quale che sia il concetto di “migliorare le condizioni di vita” ed indipendentemente dall’orientamento politico/ideologico di ciascuno di noi.

Ritengo, cioè, che su questa idea di partenza vi possa essere un “comune sentire” fra noi studiosi della Pubblica Amministrazione.

Quanto, poi, ai contenuti concreti della previsione della Carta dei diritti UE, come è ormai a tutti noto, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, il diritto alla buona amministrazione comprende in particolare:

  1. il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che sia adottato nei suoi confronti un provvedimento individuale prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio;
  2. il diritto di accesso al fascicolo che lo riguarda;
  3. l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

Tale elenco non deve peraltro essere considerato esaustivo di tutto ciò che può essere incluso nel concetto di buona amministrazione.

La nozione più generale di ciò che si intende per diritto ad una buona amministrazione si trova infatti nel paragrafo 1 dell’articolo 41 della Carta: si tratta del diritto di ogni persona a che le istituzioni, organi e organismi dell’Unione trattino le loro questioni in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole.

Rispetto a questa previsione, vi è un’evidente corrispondenza con quanto previsto dall’articolo 97 della nostra Costituzione, rispetto all’esigenza di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Mi pare evidente, infatti, che le due disposizioni si completano a vicenda: un’amministrazione i cui pubblici uffici siano organizzati in modo da garantire il buon andamento e l’imparzialità è anche l’unica che sia in grado di garantire un trattamento equo e imparziale delle questioni che riguardano gli amministrati, come richiesto dall’articolo 41 della Carta dei diritti dell’Unione europea.

Allo stesso modo, un’amministrazione i cui uffici pubblici siano organizzati in modo da garantire il buon andamento (e quindi l’andamento…) mi sembra l’unica in grado di garantire il rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 41 della Carta UE.

In altre parole, il principio del buon andamento comprende certamente anche un’esigenza di efficienza della pubblica amministrazione.

Venendo, dunque, al mio tema specifico di oggi, si tratta qui di capire se e in che modo l’uso delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), e soprattutto dell’intelligenza artificiale, possa (o meno) contribuire all’obiettivo della buona amministrazione.

Posto che nel diritto italiano, la loro migliore espressione è rappresentata certamente dalla legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo: in linea con quell’idea a suo tempo espressa dalla nostra miglior dottrina, sulla necessità di procedimentalizzare imparzialità e buon andamento.

E posto che, almeno a partire dagli anni ‘90, i principi di imparzialità e di buon andamento sono stati posti in relazione anche con l’esigenza di modernizzare la “macchina amministrativa” e di realizzarne un’adeguata riorganizzazione.

Ed è proprio in questa prospettiva che si evidenzia il ruolo fondamentale che possono svolgere le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nel contesto della pubblica amministrazione.

Non a caso, infatti, la versione innovata dell’art. 3-bis della legge 241 sul procedimento amministrativo (come innovata dal DL Semplificazioni n. 76/2020) prevede che “Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”.

La previsione, tuttavia, non specificava (e non specifica!) in nessun modo come e con quali risorse (economiche e strumentali) la Pubblica Amministrazione sarebbe tenuta ad attuarla. Sicché, essa è stata sovente identificata in dottrina come una norma largamente inutile, in quanto a contenuto meramente programmatico.

Tuttavia – come ho sottolineato anche nel mio capitolo del volume sul Diritto dell’Amministrazione pubblica digitale curato insieme a Cavallo Perin – l’art. 3-bis L. 241/1990, in verità, si rivolgeva (e si rivolge) in primo luogo, al responsabile del procedimento: nella prospettiva specifica del compito di garantire “l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”, lui attribuito espressamente dall’art. 6 lett. b L. 241.

Aggiungo che, ad oggi, con la modifica inserita dal DL 76/2020 – attraverso la significativa sostituzione dell’espressione “incentivano l’uso di” con l’espressione “agiscono mediante strumenti informatici e telematici” – mi pare chiaro che non si possa più trattare la previsione come essa se fosse a contenuto meramente programmatico!

Questa va invece intesa come generativa di un vero e proprio obbligo, in capo alle Pubbliche Amministrazioni (e quindi al responsabile del procedimento), di agire mediante strumenti informatici e telematici “per conseguire maggiore efficienza”; e, in particolare, nella prospettiva di potere svolgere un’adeguata e sollecita istruttoria del procedimento amministrativo.

La disposizione dell’art. 3-bis L. 241/1990 risulta essere in collegamento diretto con quella dell’art. 12 CAD: che ricollega l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte della Pubbliche Amministrazione, con finalità di “organizzare autonomamente la propria attività”, alla “realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione”.

Laddove, naturalmente, l’art. 3-bis della L. 241/1990 ha un campo di applicazione che va chiaramente ben oltre il mero ambito dell’organizzazione interna dell’attività amministrativa.

A questo punto appare del tutto chiaro un primo nesso fra uso delle ICT e diritto ad una buona amministrazione.

La giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di art. 41 CDUE ha precisato che la previsione implica, in particolare, che debbano essere presi in considerazione “tutti gli elementi di fatto e di diritto disponibili al momento dell’adozione dell’atto” in maniera tale da predisporre la decisione “con tutta la diligenza richiesta e di adottarla prendendo a fondamento tutti i dati idonei ad incidere sul risultato” (T-73/95, Oliveira).

Il che, in buona sostanza, consiste nel richiamare l’attenzione sull’importanza di svolgere un’istruttoria adeguata nel procedimento.

Cosa che a sua volta implica – in uno scenario caratterizzato dalla disponibilità di sofisticate tecnologie ICT quale quello attuale – la necessità di fare ricorso (anche) a tutti quegli strumenti che consentono, oggi, alle Pubbliche Amministrazioni, di acquisire facilmente non solo documenti, ma anche tutte le informazioni che possono essere acquisite tramite sensori e strumenti di monitoraggio di vario tipo, che sono oramai ampiamente nella disponibilità delle Pubbliche Amministrazioni.

Una necessità che appare perfettamente in linea con quanto stabilito dall’art. 3-bis della 241: che va dunque inteso, a fortiori, come originativo di un obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di agire, oramai, facendo ricorso agli opportuni “strumenti informatici e telematici”.

Quanto sin qui descritto rende evidente la necessità di ridare centralità alla figura del responsabile del procedimento; e, di più, di sfruttarne appieno tutte le potenzialità in questo rinnovato scenario di amministrazione digitale.

Al di là, infatti, del compito che gli è attribuito già dall’art. 41 comma 2 del CAD, di predisporre il c.d. “fascicolo informatico”, vi è spazio per un ruolo assai più ampio e cruciale di questa figura: che, non a caso, ha ricevuto attenzione anche dal Parlamento europeo, che lo menziona espressamente nel contesto della sua Risoluzione del 9 giugno 2016 per un’amministrazione europea aperta, efficace e indipendente.

In un contesto di vera amministrazione digitale (la c.d. Pubblica Amministrazione 4.0) il responsabile del procedimento dovrebbe, cioè, farsi garante, anzitutto, del rispetto di quei principi di equità ed imparzialità nella fase istruttoria del procedimento cui fa riferimento sia l’art. 41 della Carta dei diritti UE che l’art. 97 della nostra Costituzione.

Il che implica la necessità che, nel quadro descritto, egli si faccia carico anche di adottare soluzioni organizzative concrete, con lo scopo, anzitutto, di evitare discriminazioni fra cittadini in ragione del loro diverso livello di “alfabetizzazione informatica” e della loro diversa disponibilità degli strumenti informatici (e dell’accesso alla rete), facendosi carico, cioè, delle conseguenze negative legate al c.d. divario digitale (digital gap) fra le diverse fasce della popolazione.

Oltre a ciò mi pare evidente che, nel contesto dell’obbligo di gestione dei procedimenti amministrativi “utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione” statuito dall’art. 41 CAD, spetta al responsabile del procedimento farsi carico – rompendo il velo della c.d. “neutralità dell’algoritmo” – di valutare se l’eventuale utilizzo di algoritmi di Intelligenza Artificiale nella fase istruttoria del procedimento, invece di favorire l’obiettivo della buona amministrazione (una decisione più equa ed più imparziale, oltre che più rapida), possa condurre al risultato di operare discriminazioni – sistematiche, se inserite in un algoritmo! – fra diverse categorie di cittadini.

A quest’ultimo proposito occorre in conclusione precisare che, se deve senz’altro consentirsi alle Pubbliche Amministrazioni – nel quadro della loro potestà di autorganizzazione – di fare ricorso agli strumenti messi oggi a disposizione dalle ICT, se questi sono idonei a garantire un’istruttoria più completa e maggiormente corrispondente ai principi di imparzialità e buon andamento, è altresì necessario che ciò avvenga nel rispetto del principio di trasparenza.

Principio di trasparenza della cui osservanza il responsabile del procedimento deve farsi garante, nel suo rapporto con il destinatario dell’adottando provvedimento e che implica la piena conoscibilità (ce lo ha ricordato anche il nostro Consiglio di Stato nella sua giurisprudenza in materia) e dell’esistenza di eventuali processi decisionali automatizzati e dell’algoritmo all’uopo utilizzato.

In questo quadro certamente si deve andare nella direzione di modelli di trasparenza by-design e trasparenza by-default: nella logica di un procedimento amministrativo digitalizzato, ma che sia al contempo rispettoso dei principi che devono reggere l’azione amministrativa secondo quanto specificato nell’art. 1 della L. 241/90: così come è stato peraltro sottolineato espressamente già dal Consiglio di Stato nella sua giurisprudenza più recente (Sez. VI, n. 2270/ 2019).

In questo quadro, ovviamente, anche il diritto alla protezione dei dati personali dei soggetti privati coinvolti nel procedimento amministrativo gioca un ruolo importantissimo. E certamente si potrebbe immaginare di andare nella direzione di quei principi di privacy by-design e privacy by-default contenuti nel GDPR.

Per concludere, in uno scenario di amministrazione digitalizzata quale quello che ho fin qui rapidamente descritto, la figura del responsabile del procedimento, lungi dal risultare obsoleta viene per me a rappresentare il punto di snodo essenziale nel rapporto fra digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e buona amministrazione.

Solo, infatti, grazie ad un’opportuna valorizzazione “in concreto” di questa figura l’uso delle ICT, da strumento della fase istruttoria del procedimento finalizzato al mero “efficientamento” dell’attività amministrativa, può divenire, infatti, strumento di maggiore garanzia: e, dunque, di miglioramento generale del rapporto Pubblica Amministrazione-cittadino.

Di più: solo un potenziamento di questa figura può evitare che la c.d. Pubblica Amministrazione 4.0. si riduca ad essere una mera Pubblica Amministrazione “a distanza”.

Una Pubblica Amministrazione che, se può risultare magari come maggiormente rapida ed efficiente (almeno “in potenza”), verrebbe però spogliata di quell’elemento di umanità che, in fin dei conti, è proprio quello che rende l’esercizio dell’azione amministrativa accettabile/tollerabile ai/dai suoi destinatari, pur con tutti i suoi ineliminabili tratti di unilateralità ed imperatività.

Posto che – e concludo – l’obiettivo di una Pubblica Amministrazione che “arretra” (ed è dunque sempre meno presente nella vita dei cittadini) appare sempre più come una vera chimera: soprattutto in uno scenario quale quello attuale: in cui i cittadini si trovano a combattere, ora, con gli effetti immediati della pandemia da COVID-19.

In seguito, si troveranno a gestire i tragici effetti di lungo e medio periodo che da questa pandemia inevitabilmente scaturiranno: e mi pare di potere concludere che difficilmente potranno farlo senza (e a prescindere) da una Pubblica Amministrazione ben funzionante (e quindi anche digitalizzata) e che si ispiri all’idea di buona amministrazione che ho sin qui descritto.

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  1. Lo scritto rappresenta la versione rivista ed ampliata della relazione presentata nel contesto della Conferenza organizzata dalla SPISA il 23 marzo 2021, dal titolo “L’Amministrazione nella Rete” (nell’ambito del ciclo di incontri su “L’amministrazione pubblica alla prova dell’innovazione”). Per questa ragione il contributo non risulta corredato da note bibliografiche.

Diana-Urania Galetta

Full Professor of Administrative Law at the University of Milan and Editor in Chief of CERIDAP