Sanzioni urbanistico-edilizie e canone di proporzionalità, alla luce dei principi sovranazionali

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2/2023

Sanzioni urbanistico-edilizie e canone di proporzionalità, alla luce dei principi sovranazionali

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Il contributo esamina l’applicazione del principio di proporzionalità nella giurisprudenza elaborata dal giudice nazionale, dalla Corte di Giustizia e dalla Corte EDU in materia di sanzioni urbanistico-edilizie. A tal fine analizza dapprima le tradizionali categorie di sanzioni così come elaborate dalla giurisprudenza nazionale, per poi osservare se e come i principi elaborati dalla CGUE e dalla CEDU abbiano indotto un loro mutamento


Sanctions in the context of urban planning and proportionality, in light of supranational principles
The contribution deals with the application of the principle of proportionality in the jurisprudence developed by national courts, the Court of Justice and the European Court of Human Rights to sanctions in the context of urban planning and construction. To this end, it first analyses the traditional categories of sanctions as they have been developed by national case-law. Secondly, it evaluates whether and how the principles developed by CJEU and ECHR have led to change.

Sommario. 1. Introduzione.- 2. La distinzione tra sanzioni afflittive e ripristinatorie.- 3. Il principio di proporzionalità della sanzione e delle misure ripristinatorie.- 4. La proporzionalità della sanzione secondo la CEDU.- 4. La proporzionalità secondo la CGUE.- 5. La proporzionalità secondo la Corte costituzionale.- 6. Gli strumenti del controllo di proporzionalità della sanzione amministrativa.- 7. Gli effetti della giurisprudenza delle Corti superiori sulle categorie sanzionatorie.- 8. La disciplina delle sanzioni pecuniarie edilizie.- 9. Le sanzioni edilizie.- 10. L’ordinanza di demolizione.- 10. L’acquisizione al patrimonio comunale.- 11. L’acquisizione al patrimonio comunale nel caso di lottizzazione abusiva.- 12. La sanzione pecuniaria prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 D. Lgs 380/01 e l’applicabilità della riduzione per pagamento immediato.- 13. La sanzione pecuniaria per il caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire che non possano essere demoliti.

1. Introduzione

L’argomento a me assegnato coinvolge aspetti della disciplina edilizia in forte evoluzione soprattutto sotto il profilo penale, i cui effetti potrebbero in tesi estendersi anche alle sanzioni amministrative[1] che rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.

In materia edilizia infatti sussiste il doppio binario sanzionatorio penale-amministrativo stabilito dall’art. 44, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico sull’edilizia, ai sensi del quale «salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:...» che esclude assai chiaramente il principio di specialità previsto dall’art. 9, della legge n. 689 del 1981, sottolineando, al contrario, l’identità in concreto del fatto punito, e predisponendo, dunque, un assai robusto doppio sistema sanzionatorio, come conferma, peraltro, la lettura combinata degli artt. 30 ss. e 44, d.p.r. 380 del 2001 e 167 e 181, d. lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

La seconda caratteristica è che le sanzioni penali producono effetti analoghi a quelle amministrative e quindi si sovrappongono a quelle amministrative creando spesso un groviglio quasi inestricabile.

Di particolare interesse al riguardo è il dialogo tra le Corti sviluppatosi a proposito delle sanzioni ablatorie penali previste in ambito urbanistico-edilizio, cioè la confisca che accede al reato di lottizzazione abusiva[2], la demolizione ordinata dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, del T.U. n. 380/2001[3] ed il sequestro.

Poiché tocca al giudice nazionale, attraverso l’interpretazione conforme al diritto comunitario e alla Cedu, conformare l’interpretazione della legislazione nazionale agli orientamenti di tali giurisdizioni “esterne”, occorre verificare se il dialogo tra giudice penale e Corti supreme abbia effetto anche sull’interpretazione delle sanzioni amministrative edilizie.

In particolare occorre accertare se la penetrazione del principio di proporzionalità nell’ambito delle sanzioni penali reali urbanistico-edilizie produca effetti anche sulle sanzioni amministrative, e se, di conseguenza, il giudice amministrativo debba modificare i suoi orientamenti ormai consolidati.

Dall’altro lato il principio di proporzionalità è ormai divenuto, nella giurisprudenza delle Corti supreme, un principio generale di diretta applicazione a qualunque sistema sanzionatorio per cui occorre verificare quali potrebbero esserne le applicazioni di nostra competenza.

La risposta a queste domande richiede una preventiva analisi, sia pur breve, dell’evoluzione delle applicazioni del principio di proporzionalità nell’ambito sanzionatorio.

2. La distinzione tra sanzioni afflittive e ripristinatorie

Una riflessione sull’applicazione del principio di proporzionalità non può non partire dalla constatazione che il fenomeno sanzionatorio non è unitario.

Partendo per esigenze di semplificazione dalla nozione di sanzione amministrativa in senso stretto, è possibile rilevare che l’afflittività della misura è considerata l’elemento fondamentale per distinguere le misure qualificabili come sanzioni amministrative da quelle che tali non sono, o che debbono essere considerate sanzioni in senso lato[4].

Esiste infatti un’ampia fascia di infrazioni a provvedimenti amministrativi nella quale ciò che interessa l’autorità non è l’infrazione in sé, ma la lesione o il pericolo di una lesione di un interesse pubblico[5] e come tali possiamo definirle sanzioni ripristinatorie in quanto individuano un fatto illecito od un abuso al fine di ricostituire la legalità violata.

La caratteristica di queste ultime sanzioni è che si sostanziano in interventi diretti sulla res (come la riduzione in pristino e la demolizione) al fine di ripristinare la legalità materiale violata e non anche al fine di sanzionare la condotta del trasgressore.

Inoltre, dal punto di vista dei destinatari, la sanzione ripristinatoria si applica a chi si trovi, casualmente, in una data relazione giuridica con la cosa, nella fattispecie in qualità di attuale proprietario dell’immobile, mentre la sanzione afflittiva si applica nei confronti dell’autore della violazione, in considerazione della sua funzione general e special preventiva.

Dal punto di vista della tutela giurisdizionale le sanzioni ripristinatorie non incidono sui diritti di libertà della persona e quindi rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo, anche perché spesso presentano aspetti di discrezionalità tecnica di non poco momento.

3. Il principio di proporzionalità della sanzione e delle misure ripristinatorie

Questo principio è stato da sempre applicato alla misura della prestazione imposta nell’ambito delle sanzioni afflittive. Come chiarito dalla migliore dottrina, la commisurazione della misura afflittiva avviene attraverso un potere «ontologicamente diverso dalla discrezionalità amministrativa che presuppone una ponderazione di interessi»[6], atteso che «l’ampio margine di apprezzamento lasciato dalla legge all’amministrazione» dovrebbe essere «esclusivamente utilizzato per adeguare la sanzione alla gravità della violazione commessa ed alle condizioni soggettive dell’autore, restando escluso ogni giudizio di valore sugli interessi amministrativi tutelati dalla norma sanzionatoria»[7]. Sul piano delle situazioni giuridiche soggettive, tale discrezionalità “giudiziale” (esercitata cioè sulla base di criteri diversi, che prescindono dalla valutazione di qualsiasi interesse pubblico) fronteggia posizioni di diritto soggettivo alla “integrità patrimoniale”.

Le sanzioni o misure ripristinatorie sono state invece considerate tendenzialmente estranee a questo quadro in quanto ritenute o intrinsecamente proporzionate, laddove finalizzate a ricostituire la situazione quo ante, oppure di natura essenzialmente vincolata, salvo che richiedano, per la valutazione dei presupposti di fatto, l’esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico.

Si afferma[8] quindi che la legge determina il risultato ripristinatorio della prestazione (la demolizione, la rimozione, la distruzione, il ripristino etc.). Alla pubblica amministrazione si chiede, invece, di determinare la prestazione da eseguire tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive che rilevano per l’esecuzione spontanea da parte dell’obbligato. L’aliquid novi consiste, dunque, nell’esercizio di un potere propriamente discrezionale per la determinazione di quella prestazione ripristinatoria che può essere ragionevolmente eseguita dall’obbligato.

Le sanzioni ripristinatorie quindi attengono al bene e non al reo e si commisurano allo sforzo richiesto per ottenere il risultato voluto dalla legge alla luce del principio di proporzionalità, come elaborato dalla giurisprudenza europea, che vieta alle amministrazioni pubbliche di comprimere la sfera giuridica dei destinatari della propria azione in misura diversa e ultronea rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dello scopo al quale l’azione stessa è prefissata[9].

Rispetto a questa bipartizione la materia edilizia si caratterizza per una compresenza di strumenti sanzionatori e ripristinatori ed è caratterizzata dall’esercizio di un potere vincolato fino alla fase dell’esecuzione finale coattiva, nella quale si riespandono profili di discrezionalità nella scelta se mantenere o meno l’immobile.

4. La proporzionalità della sanzione secondo la CEDU

La Corte EDU ha affrontato il problema degli abusi edilizi sotto tre diversi profili.

Quello della tutela della persona nei confronti delle sanzioni sostanzialmente penali prevista dagli artt. 6 e 7 della Convenzione; quello della tutela del diritto di proprietà previsto dal Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea e quello del diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione.

Sotto il primo profilo la Corte europea ha riconosciuto da un lato che alcune sanzioni reali urbanistico-edilizie comminate dal giudice penale (in particolare la confisca) possono avere natura sostanzialmente penale ed essere assoggettate al principio di proporzionalità della pena.

La Corte, applicando i famosi criteri Engel[10] per individuare le sanzioni sostanzialmente penali, ha stabilito che la confisca dell’immobile abusivo ordinata dal giudice penale può ledere l’art. 7 e l’ art. 6.2 CEDU quando non sia siano rispettati i principi di buona fede e di presunzione di non colpevolezza[11] ed il principio di proporzionalità quando non sia data la possibilità al giudice di valutare la possibilità di adottare misure meno restrittive dell’acquisizione automatica ed integrale delle aree e non sia assicurata la partecipazione procedimentale[12].

La questione dell’applicazione della confisca al reato di lottizzazione abusiva è stata risolta in via interpretativa, come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 146 del 2021, che ha individuato tutti gli strumenti che permettono al giudice di attenuare l’effetto acquisitivo della pronuncia, escludendo le aree non interessate dagli abusi, i terzi di buona fede e le decisioni assunte dall’amministrazione[13].

Per quanto riguarda, invece, l’ordine di demolizione (penale od amministrativo), nonostante un intervento isolato che ha qualificato l’ordine di demolizione quale sanzione sostanzialmente penale[14], la CEDU ha riconosciuto che il principio di proporzionalità comporta che l’atto ablatorio deve tenere conto anche del diritto all’abitazione e rispetto della vita privata e familiare previsti all’art. 8 CEDU in relazione all’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU che tutela la proprietà, con la conseguenza che a certe limitate condizioni il giudice (penale o amministrativo) deve tenere conto del c.d. abuso edilizio di necessità[15] e tale giudizio è stato applicato dalla giurisprudenza penale all’ordine di demolizione di cui all’art. 31 c. 9 del D.P.R. 380/01[16].

Il principio di proporzionalità spiega anche il principio del ne bis in idem quando la somma della sanzione penale e di quella sostanzialmente penale comporta un appesantimento del trattamento sanzionatorio che supera il principio di proporzionalità[17].

Dal punto di vista degli effetti, poiché le pronunce CEDU non hanno applicazione diretta nel nostro sistema, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, i principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione – convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne[18].

Va poi rilevato che, in forza del convergente insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, i principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte EDU debbono essere ritenuti vincolanti solo quando questa risulta consolidata, nei sensi precisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 (cfr., per indicazioni recenti, Corte cost., sent. n. 66 del 2019, § 9 del Considerato in diritto, nonché Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054-01, anche in sede di formale enunciazione del principio di diritto, § 7 del Considerato in diritto).

Ne consegue che la violazione del principio di proporzionalità, come interpretato dalla Corte EDU, ad opera di una norma sanzionatoria amministrativa potrà essere “corretta” in via interpretativa oppure denunciata dal giudice davanti alla Corte costituzionale per ottenere una pronuncia di incostituzionalità della medesima.

La CEDU, invece, esclude di regola che l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo leda il diritto di proprietà[19].

4. La proporzionalità secondo la CGUE

Nell’ambito del diritto dell’Unione europea assumono rilevanza sia le direttive che prevedono l’applicazione del principio di proporzionalità che l’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, il quale, pur facendo riferimento alle «pene» e al «reato», è stato ritenuto applicabile all’insieme delle sanzioni penali ed amministrative di carattere sostanzialmente punitivo.

In merito occorre rilevare l’importante pronuncia della CGUE Grande Camera 8 marzo 2022 in causa C-205/20 che, nell’ambito di un giudizio relativo a sanzioni in materia di intermediazione di lavoro assoggettato alla disciplina direttiva 2014/67, ha effettuato un importante overrulling giurisprudenziale ritenendo il principio di proporzionalità di applicazione diretta.

Secondo la sentenza: «29 …contrariamente a quanto stabilito al punto 56 della sentenza del 4 ottobre 2018, Link Logistik N&N (C‑384/17, EU:C:2018:810), il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’articolo 20 della medesima direttiva è incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere invocato da un singolo e applicato dalle autorità amministrative nonché dai giudici nazionali. … 31. Del resto, occorre rammentare che il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri nell’attuazione di tale diritto, anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili [v., in tal senso, sentenze del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 59, e del 27 gennaio 2022, Commissione/Spagna (Obbligo di informazione in materia fiscale), C‑788/19, EU:C:2022:55, punto 48]. Qualora, nell’ambito di una siffatta attuazione, gli Stati membri adottino sanzioni aventi carattere più specificamente penale, essi sono tenuti ad osservare l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), a norma del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Orbene, detto principio di proporzionalità, che l’articolo 20 della direttiva 2014/67 si limita a richiamare, presenta carattere imperativo».

La sentenza è chiara, quindi, nel prevedere che il principio di proporzionalità è di applicazione diretta alle sanzioni sostanzialmente penali[20] e legittima il giudice a disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con il principio.

Come chiarito dalla dottrina[21] che ha commentato questa sentenza, la Corte afferma:

– che il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dalla direttiva è di carattere incondizionato, essendo riformulabile semplicemente come divieto, di portata assoluta, di adottare sanzioni sproporzionate;

– che il requisito in parola presenta altresì un carattere sufficientemente preciso, dal momento che – se certamente lo Stato membro dispone di un certo margine di discrezionalità nel definire il regime sanzionatorio applicabile in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva – tale discrezionalità trova un inequivocabile limite nel divieto di prevedere sanzioni sproporzionate, limite il cui rispetto che ben può essere oggetto di controllo giurisdizionale;

– che il principio di proporzionalità costituisce del resto un principio generale del diritto dell’Unione, che «si impone agli Stati membri nell’attuazione di tale diritto anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili»; principio sancito in materia penale dall’art. 49, paragrafo 3, della Carta, «che l’articolo 20 della direttiva 2014/67 si limita a richiamare» e che «presenta carattere imperativo»;

– che, in forza di tutte tali considerazioni, il requisito di proporzionalità stabilito dalla direttiva 2014/67 deve ritenersi dotato di effetto diretto, potendo conseguentemente essere invocato dall’imputato nella controversia penale che lo riguarda.

In merito occorre rammentare che i principi ora enunciati dalla Corte valgono soltanto all’interno dell’ambito di applicazione del diritto dell’UE: e dunque rispetto alle materie interessate da regolamenti o direttive che espressamente fissano obblighi di prevedere sanzioni «proporzionate», nonché alle materie comunque oggetto di normazione secondaria dell’Unione, rispetto alle quali opererà l’art. 49, paragrafo 3, della Carta in forza del principio generale di cui all’art. 51 della Carta medesima[22].

L’applicazione diretta del principio di proporzionalità da parte del giudice con disapplicazione della norma interna incompatibile è quindi subordinata alla duplice condizione che si tratti di sanzione amministrativa sostanzialmente penale e che si tratti di una materia disciplinata dal diritto comunitario primario o secondario.

Dal punto di vista delle modalità di attuazione, la disapplicazione è prevista nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate, cioè attraverso una disapplicazione parziale che consenta di ricondurre entro i limiti della proporzione le sanzioni previste dall’ordinamento interno[23].

Occorre aggiungere, però, che l’utilizzo del principio di proporzionalità in materia penale o quasi-penale presenta profili di complessità di non poco momento, in quanto il nostro sistema si ispira ad una nozione particolarmente rigida del principio di legalità in materia penale, che si ancora non solo alla tutela della prevedibilità della sanzione dal punto di vista del singolo, ma anche alla prospettiva (di respiro politico-istituzionale) della separazione dei poteri, secondo cui le decisioni essenziali sull’an e sul quantum della pena sono riservate al legislatore[24].

In ogni caso l’esclusione della materia edilizia da quelle assoggettate a disciplina comunitaria, almeno in via diretta, dovendo ritenersi di competenza comunitaria solo la disciplina dell’ambiente, comporta l’esclusione del potere di disapplicazione delle sanzioni edilizie esistenti.

5. La proporzionalità secondo la Corte costituzionale

Il riconoscimento più ampio dell’ambito di applicazione del principio di proporzionalità è quello effettuato dalla Corte Costituzionale[25], come da ultimo affermato nella sentenza n. 95/2022[26], secondo la quale «la recente giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il principio della proporzionalità delle sanzioni rispetto alla gravità dell’illecito si applica anche al di fuori dei confini della responsabilità penale, e in particolare alla materia delle sanzioni amministrative a carattere punitivo, rispetto alle quali esso trova il proprio fondamento nell’art. 3 Cost., in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione (sentenza n. 112 del 2019). Tali sanzioni «condividono, infatti, con le pene il carattere reattivo rispetto a un illecito, per la cui commissione l’ordinamento dispone che l’autore subisca una sofferenza in termini di restrizione di un diritto (diverso dalla libertà personale, la cui compressione in chiave sanzionatoria è riservata alla pena); restrizione che trova, dunque, la sua “causa giuridica” proprio nell’illecito che ne costituisce il presupposto. Allo stesso modo che per le pene – pur a fronte dell’ampia discrezionalità che al legislatore compete nell’individuazione degli illeciti e nella scelta del relativo trattamento punitivo – anche per le sanzioni amministrative si prospetta, dunque, l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato; evenienza nella quale la compressione del diritto diverrebbe irragionevole e non giustificata» (sentenza n. 185 del 2021; in senso conforme, ancora la sentenza n. 112 del 2019, nonché le sentenze n. 212 e n. 88 del 2019 e n. 22 del 2018)».

Per quanto riguarda la sua applicazione, in una prima fase[27] il principio è stato invocato a fondamento di dichiarazioni di illegittimità costituzionale di automatismi sanzionatori, ritenuti non conformi al principio in questione nella misura in cui quest’ultimo postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto: tale adeguatezza, come affermato nella sentenza n. 161 del 2018 – “non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito” (sentenze n. 170 del 2015, n. 22 del 2018, n. 88 del 2019, n. 99 e n. 24 del 2020, n. 246 del 2022).

In una seconda fase la giurisprudenza costituzionale incentra le sue argomentazioni non sull’automatismo sanzionatorio, bensì sul fatto che la sanzione amministrativa produca un effetto punitivo manifestamente sproporzionato in rapporto alla gravità degli illeciti: in tal caso la Corte opera una modifica della sanzione.

In particolare la Corte ha applicato il principio per restringere il cumulo tra sanzione pecuniaria e confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commettere il reato, riducendo la confisca al solo profitto (sentenza n. 112/2019).

In una terza fase la Corte Costituzionale provvede all’annullamento della disposizione ritenuta incostituzionale nella sua parte sanzionatoria senza che sopravviva o che si riespanda un’altra sanzione.

In particolare con la sentenza n. 185 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di una sanzione pecuniaria molto rilevante in materia di gioco e scommessa in quanto punisce indistintamente l’inosservanza di plurimi obblighi di condotta con una sanzione amministrativa pecuniaria non solo di considerevole severità, ma anche fissa[28], risultando per tali caratteristiche manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma.

La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che la Corte costituzionale ha esteso il principio di proporzionalità nell’applicazione delle sanzioni penali anche alle sanzioni amministrative punitive[29]. In sostanza il giudice delle leggi ha individuato nel principio di proporzionalità il minimo comune denominatore di tutte le sanzioni amministrative afflittive, laddove, invece, il legislatore ha dettato, con la L. 689/81, una disciplina comune alle sole sanzioni amministrative pecuniarie afflittive.

Prosegue quindi l’attività della Corte nel definire il nuovo statuto costituzionale (vincolante quindi per il legislatore statale e regionale) delle sanzioni amministrative aventi carattere spiccatamente afflittivo, a cui sono state estese le principali garanzie del diritto punitivo, come l’irretroattività della norma sfavorevole (sentenze n. 96 del 2020, n. 223 del 2018 e n. 68 del 2017, 276 del 2016, n. 104 del 2014 e n. 196 del 2010); la retroattività della lex mitior (sentenza n. 63 del 2019); la determinatezza dell’illecito e delle sanzioni (sentenze n. 134 del 2019 e n. 121 del 2018); il principio della responsabilità personale (sentenza n. 49 del 2015); la garanzia del ne bis in idem (sentenze n. 222 del 2019 e n. 43 del 2018); il giusto procedimento sanzionatorio (sentenza n. 151 del 2021, sentenza n. 84 del 2021).

Sussiste quindi un ampio potere del giudice del merito di sottoporre alla Corte costituzionale tutti i possibili profili di violazione del principio di proporzionalità insiti nei meccanismi sanzionatori di natura quasi penale.

6. Gli strumenti del controllo di proporzionalità della sanzione amministrativa

La diversità degli strumenti a disposizione del giudice al fine di applicare il principio di proporzionalità e le diverse prospettive delle Corti Supreme rende necessario analizzare le sanzioni edilizie sotto diversi aspetti:

a) per soddisfare le esigenze della CEDU occorre individuare tra le sanzioni ripristinatorie quelle afflittive al fine di accertare la possibilità di mezzi meno invasivi e del rispetto del principio del ne bis in idem nel primo caso ed al fine di verificare se gli ordini di demolizione sono soggetti al rispetto del diritto di abitazione;

b) per soddisfare le esigenze espresse dalla Corte costituzionale occorre verificare nell’ambito delle sanzioni afflittive la presenza di automatismi sanzionatori o di violazioni del principio di eguaglianza-ragionevolezza nella misura della sanzione o del cumulo di sanzioni.

7. Gli effetti della giurisprudenza delle Corti superiori sulle categorie sanzionatorie

Il settore delle sanzioni ripristinatorie è oggi attraversato da profondi cambiamenti sia per l’estensione della nozione di sanzione penale od afflittiva anche a sanzioni che prima erano considerate ripristinatorie, sia per l’estensione dell’applicazione del principio di proporzionalità a tutte le sanzioni (afflittive), per effetto dell’intervento congiunto dei giudici della CEDU, dei giudici comunitari e della Corte Costituzionale.

In merito occorre premettere che gli interventi della CEDU non hanno eliminato la distinzione tra sanzioni afflittive e ripristinatorie in quanto il secondo dei criteri Engel, espressamente afferma che occorre tenere conto della «natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente».

In secondo luogo il terzo criterio l’afflittività è intesa come «la severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto» e quindi non viene più valutata prendendo in considerazione solo lo scopo della sanzione ma anche i suoi effetti concreti. Si passa quindi da una valutazione in astratto ad una valutazione in concreto della singola misura, indipendentemente dalla sua natura e questo apre le porte alla penetrazione del principio di proporzionalità, che è lo strumento principe di valutazione degli effetti giuridici di un atto e quindi è trasversale a qualsiasi distinzione in categorie, compresa quella tra sanzioni afflittive e sanzioni ripristinatorie. Se in passato la proporzionalità era richiesta solo per le sanzioni penali dalla Costituzione e per le sanzioni amministrative pecuniarie dalla L. 689/81, mentre nulla si diceva delle sanzioni ripristinatorie, oggi la proporzione diventa un canone da valutare in concreto per qualsiasi tipo di sanzione.

In merito la giurisprudenza CEDU afferma che sono caratterizzate da un grado di severità particolarmente elevato le sanzioni incidenti su diritti fondamentali della persona[30].

In terzo luogo l’intervento della CEDU a favore dell’ampliamento dell’area delle sanzioni afflittive spinge ad interpretare le sanzioni miste, che cioè hanno contenuto afflittivo ma perseguono anche interessi pubblici, come prevalentemente afflittivo, con la conseguenza di richiedere la necessaria presenza di un profilo soggettivo per la loro applicazione e l’applicazione del principio di proporzionalità rispetto al fatto. Debbono considerarsi ripristinatorie quindi solo le misure o sanzioni esclusivamente tali.

Da ultimo l’avvicinamento delle sanzioni amministrative afflittive a quelle penali permette di completarne la disciplina con, in primis, il favor rei, la presunzione di non colpevolezza, l’irretroattività, l’onere della prova a carico dell’amministrazione, il divieto di bis in idem.

Invece per le sanzioni ripristinatorie non solo è indifferente che a sopportare le conseguenze della reazione pubblica all’abuso sia l’originario proprietario od un suo avente causa potendosi applicare anche a carico di chi non abbia compiuto la violazione), ma possono colpire persone giuridiche, di regola sono imprescrittibili (anche se la giurisprudenza ha mitigato tale connotazione richiedendo a volte la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla loro applicazione) e possono avere carattere retroattivo (sia pure nei limiti di ragionevolezza richiesti dalla giurisprudenza costituzionale).

8. La disciplina delle sanzioni pecuniarie edilizie

Anche le sanzioni pecuniarie si distinguono in sanzioni in senso stretto, che hanno natura eminentemente afflittiva, e sono disciplinate dalla legge 689/81[31] e sanzioni in senso lato che, perseguendo finalità diverse, sono di regola escluse dall’applicazione della suddetta legge.

Le sanzioni pecuniarie possono inquadrarsi nel campo delle sanzioni in senso ampio anche quando sono meramente alternative alla riduzione in pristino e mirano a costituire una sorta di indennizzo o di compensazione dello status quo, onde risarcire per equivalente, anziché in forma specifica, l’interesse pubblico leso dalla trasgressione. Esse partecipano della stessa natura delle misure ripristinatorie cui sono strettamente collegate in regime di alternatività; di conseguenza, esse soggiacciono alla medesima disciplina in tema di requisiti del soggetto passivo, di imprescrittibilità, di retroattività, di giurisdizione.

La distinzione rileva, per la presente relazione, con riferimento alla possibilità del pagamento ridotto delle sanzioni miste in quanto tale istituto è espressione del principio di proporzionalità.

Nell’ambito di questa legge il principio di proporzionalità è espressamente riconosciuto nell’art. 11, secondo cui: «nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche».

Inoltre l’art. 16 della legge n. 689/1981 così dispone al primo comma: «è ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione».

Circa l’applicabilità della L. 689/81 alle sanzioni edilizie, occorre rammentare che l’art. 12 della L. 689/81, che fissa l’ambito applicativo della legge, così prescrive: «le disposizioni di questo Capo si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale. Non si applicano alle violazioni disciplinari».

Esiste quindi una doppia riserva: “in quanto applicabili” e “salvo che sia diversamente stabilito”, facendo riferimento nel primo caso alla natura della sanzione e nel secondo caso ad un’esclusione espressa.

L’opinione prevalente è che in linea generale «la sanzione pecuniaria per abuso edilizio non è retributiva di un comportamento illecito, bensì ripristinatoria dell’ordine urbanistico violato, seppure per equivalente»[32], per cui non si ritiene applicabile il pagamento in misura ridotta, perché la diversa natura della sanzione escluderebbe l’applicabilità della L. 689/81. Resta anche qui aperto il problema delle sanzioni pecuniarie miste.

Secondo una seconda tesi, invece, l’art. 12 afferma chiaramente la capacità “espansiva” delle norme principio del Capo I della L. 689/81 con il duplice limite della deroga espressa e della compatibilità della materia; estensione che comprende anche l’art. 16. Infatti, tale norma, al pari di tutti i principi contenuti nella prima parte della L. 689/1981, si applica, in via generale, a tutte le sanzioni amministrative pecuniarie sia che siano attinenti a reati depenalizzati sia che conseguano ad illeciti qualificati “ab origine” come amministrativi[33].

9. Le sanzioni edilizie

Partendo dall’esame delle sanzioni edilizie previste dall’art. 31 t.u. edilizia per gli interventi eseguiti in assenza di permesso a costruire, in totale difformità o con varianti essenziali, è stato evidenziato[34] che lo schema repressivo dell’art. 31 si articola in tre successive fasi, per lo più interpretate dalla giurisprudenza in modo rigoroso, enfatizzandone i profili punitivi e vincolati, gli automatismi legali, a discapito del responsabile esercizio delle facoltà valutative spettanti all’amministrazione. Sicché il comune, una volta accertata, in via ricognitiva, l’esistenza di violazioni, deve ingiungere al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione (prima fase); qualora, entro il termine di novanta giorni, non si ottemperi spontaneamente, il manufatto, l’area di sedime e quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive vengono, quindi, acquisite, di diritto, al patrimonio del comune, quale automatico effetto dell’inottemperanza e viene irrogata una sanzione pecuniaria (seconda fase). A questo punto, l’opera è demolita a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che il comune non ravvisi prevalenti interessi pubblici alla conservazione del bene (terza fase).

La seconda caratteristica del sistema è quella che l’attuazione della sanzione demolitoria, se non effettuata spontaneamente dal proprietario o dall’autore dell’abuso, è rimessa ad una valutazione discrezionale dell’autorità locale, nella quale chiaramente assume importanza anche la valutazione di proporzionalità della demolizione.

Vediamo ora di affrontare il problema della natura delle singole sanzioni al fine di risolvere il problema dell’applicabilità del principio di proporzionalità nelle fasi antecedenti.

10. L’ordinanza di demolizione

La prima sanzione è l’ordine di demolizione emanato dall’autorità comunale ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/01.

L’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo”, avente “natura di diffida”, con lo scopo di contestare formalmente l’abuso al proprietario e al responsabile dell’abuso, affinché questi possano adeguarsi spontaneamente all’ordine di ripristino, rimuovendo gli effetti dell’infrazione o demolendo l’opera abusiva. Ha carattere vincolato, contenuto ricognitorio della situazione di fatto e di accertamento del contrasto della situazione di fatto con quello di diritto.

La sua disciplina è ben rappresentata dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 9/2017 che ha affermato il principio di diritto che il provvedimento con cui si ingiunge la demolizione di un immobile abusivo, «per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso». Tale principio «non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino» (nello stesso senso, successivamente, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2017, n. 5788). Il menzionato potere di repressione degli abusi edilizi non è soggetto a termini di decadenza o di prescrizione[35].

Per quanto riguarda la natura, il Consiglio di Stato ha affermato che l’ordine «ha ad oggetto esclusivamente la res abusiva; non consiste in una misura afflittiva volta a punire la condotta illecita bensì a ristabilire l’equilibrio urbanistico violato»; sicché lo stesso Consiglio l’ha definita «sanzione ripristinatoria» (sezione sesta, sentenza 22 maggio 2017, n. 2378)[36].

In materia la giurisprudenza afferma che non sussiste duplicazione di sanzione demolitoria tra ordine di demolizione disposto del giudice ed ordine disposto dall’amministrazione in quanto esiste in fase esecutiva alternatività tra le due sanzioni.

Dato che la CEDU esclude che di regola l’ordine di demolizione leda il diritto di proprietà, resta da verificare se a tale ordine sia applicabile il limite dell’abuso di necessità, riconosciuto in sede di applicazione dell’analoga sanzione comminata dal giudice penale ai sensi dell’art. 31 c. 9 del DPR 380/01 e ritenuto applicabile dalla CEDU anche con riferimento agli ordini di demolizione provenienti dalla pubblica amministrazione[37].

Gli effetti di tale valutazione sono stati definiti dalla giurisprudenza penale nel senso che occorre valutare, oltre all’effettiva mancanza di alloggio alternativo del proprietario per sé e per la propria famiglia, «la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative»[38]. In sostanza la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di chiedere al giudice dell’esecuzione penale la sospensione o la revoca della misura in considerazione della situazione concreta, soddisfacendo così il principio di proporzionalità CEDU.

In merito occorre rammentare anche che la legge della Regione Campania n. 19 del 2017, che aveva previsto la regolamentazione della locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 140/2018 in quanto il principio della demolizione dell’immobile abusivo acquisito al patrimonio comunale – con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 costituisce un principio fondamentale della materia «governo del territorio».

Venendo all’esame della giurisprudenza amministrativa, una parte elimina il problema in radice affermando che si tratta di atto vincolato, mentre il principio di proporzionalità riguarderebbe solo gli atti discrezionali[39].

Altro orientamento esclude l’abuso di necessità richiamando l’esclusione della scriminante dello stato di necessità da parte del giudice penale[40].

Un orientamento minoritario ritiene che la giurisprudenza della CEDU richieda, se l’esecuzione dell’ordine possa incidere, in violazione del principio di proporzionalità, sul diritto all’abitazione, un obbligo particolare di motivazione nei confronti dell’ordine di demolizione[41].

In effetti i problemi di proporzionalità sollevati dalla giurisprudenza CEDU con riferimento all’ordine di demolizione attengono alla sua esecuzione, con la conseguenza che nell’ambito del procedimento amministrativo, essi sorgono nella fase dell’esecuzione della misura ripristinatoria, cioè nella fase conclusiva del procedimento, ove l’amministrazione ha il compito di scegliere tra demolizione e destinazione del bene a fini pubblici, e disporre quindi l’escomio, piuttosto che nella fase iniziale di apertura del procedimento.

Ugualmente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 140/2018 ha escluso la generalizzazione dell’abuso di necessità riconoscendo che allo stato le deroghe alla demolizione amministrativa previste dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 sono eccezionali e che «l’effettività delle sanzioni risulterebbe ancora più sminuita nel caso di specie, in cui l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile abusivo potrebbe consistere nella locazione o nell’alienazione dello stesso all’occupante per necessità responsabile dell’abuso».

Deve quindi escludersi che l’emanazione dell’ordine di demolizione sia condizionato dalla valutazione dell’esistenza di un abuso di necessità, ponendosi il problema solo in sede di esecuzione della demolizione.

Un secondo orientamento della giurisprudenza amministrativa ha qualificato come afflittiva la sanzione demolitoria, ma ai soli fini di applicare il principio di tassatività dei soggetti passivi della sanzione[42].

Una parte della dottrina[43] afferma che sussisterebbero spazi per una valutazione di proporzionalità in senso stretto, cioè di confronto con altri interessi pubblici e privati lesi dalla demolizione[44], trattandosi di atto comunque caratterizzato da profili valutativi. Sarebbe quindi possibile legittimare anche il non esercizio del potere demolitorio, mentre non vi sarebbero spazi di decisione sul quomodo della sanzione, stante l’esistenza del principio di tassatività e determinatezza delle sanzioni amministrative[45]. Le pronunce richiamate però costituiscono orientamenti che risultano superati dall’intervento dell’Adunanza Plenaria.

Ulteriori profili di rilevanza CEDU, evidenziati dalla dottrina[46], possono essere collegati alla c.d. tolleranza implicita dimostrata dalle autorità locali nei confronti dell’abuso, che in un caso è stata riconosciuta quale situazione meritevole di tutela dalla CEDU [47].

Tuttavia è difficile allo stato attribuire a tale orientamento quella stabilità e continuità che la Corte Costituzionale richiede al fine di modificare gli orientamenti interni (in tal senso Corte costituzionale n. 49 del 2015).

In secondo luogo la pronuncia CEDU, oltre a riguardare un ordinamento diverso dal nostro, incide sui principi generali del diritto amministrativo, quale quello di affidamento, che, nel nostro orientamento, si fonda su un atto od un comportamento positivo dell’amministrazione, come chiarito dalla Plenaria[48].

Il problema sembra essere comunque attenuato nel nostro ordinamento il quale riconosce il rilievo della tolleranza applicando al potere amministrativo di accertamento degli abusi edilizi conseguenti alla presentazione di un titolo edilizio, il principio di autotutela.

In ogni caso l’estensione del principio di autotutela anche ai casi di mancata presentazione di un titolo edilizio, per il solo fatto del decorso del tempo, richiede un’espressa previsione di legge.

Occorre rammentare che, secondo una parte della dottrina[49], l’ordine di demolizione assume natura afflittiva nel caso in cui sussista la conformità attuale del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica ma non al momento della realizzazione dell’opera. In tal caso l’ordine immediato di reintegro dello stato dei luoghi abusivamente alterato avrebbe natura afflittiva e quindi «non sembra ragionevole né proporzionato prescindere totalmente da qualsiasi valutazione dell’elemento soggettivo e, più in particolare, dell’affidamento creato nel proprietario incolpevole da una protratta inerzia delle amministrazioni competenti a vigilare sull’attività edilizia».

Occorre domandarsi se, per quanto detto prima, sussistono i presupposti per una valutazione di incostituzionalità rispetto alla gravità della sanzione rispetto al fatto, come indicato dalla sentenza della Corte cost. 246/2002.

Sebbene il giudizio di proporzionalità tra fatto e sanzione sia riconosciuto solo per le sanzioni afflittive e, di regola, l’ordine di demolizione non assurge a tale qualifica (salvo i casi eccezionali sopra indicati) un problema di proporzionalità si pone quando la violazione sia minima ed il costo per il ripristino sia molto pesante. Nel caso in cui un titolo edilizio sia stato richiesto, il problema è risolto dalla cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate prevista dall’art. 34-bis del DPR n. 380/2001. La risposta probabilmente deve trovarsi in sede di rilascio dell’accertamento di conformità, perché altrimenti il rischio di impingere nelle valutazioni discrezionali effettuate al livello pianificatorio è troppo alto. Ugualmente occorre dire per un accertamento di conformità sostanziale dell’immobile alla situazione giuridica dell’area interessata, trattandosi di una valutazione rimessa ad altri momenti della procedura.

10. L’acquisizione al patrimonio comunale

La seconda sanzione è l’acquisizione al patrimonio comunale.

Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dall’ingiunzione, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/01 «il bene e l’area di sedime […] sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune» (comma 3); l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire «costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari» (comma 4); per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti a vincolo di inedificabilità, «l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l’acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune» (comma 6).

Come precisato, anche di recente, dalla Corte costituzionale (n. 140/2018), si tratta di «sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione», costituendo «la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla»[50].

Rientra tra le sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, che non sono cioè meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato. La sua natura è discussa.

Per una giurisprudenza è una sanzione mista, personale e reale[51], essendo adottata «in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio».

Secondo altro orientamento del Consiglio di Stato[52] l’acquisizione al patrimonio è una sanzione ripristinatoria e non può essere considerata una sanzione amministrativa equiparabile alla confisca penale in quanto: – la prima (la confisca) ha funzione afflittiva e di prevenzione generale, mentre l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale è in funzione della riconduzione a legalità (rendendole conformi all’assetto urbanistico ed edilizio) delle opere non sorrette da un valido titolo (ab origine o annullato ex post, qui non rileva) e di cui sia stata ordinata la demolizione, in caso di inerzia del responsabile dell’opera illegittima; – l’acquisizione non consegue automaticamente all’accertamento dell’abuso edilizio, ma alla successiva inottemperanza, da parte del responsabile dell’abuso, dell’ordine di demolizione/riduzione in pristino precedentemente emesso; – l’acquisizione al patrimonio comunale è funzionale al ripristino dello stato dei luoghi ad iniziativa forzosa dell’amministrazione e a spese dell’obbligato, per superare l’inerzia dei responsabili dell’abuso; – il mantenimento dell’opera ha carattere eccezionale, disponendo il comma 5 dell’art. 31 che «[l]’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico», con ciò sancendo la funzione strumentale dell’acquisizione rispetto all’ordine di ripristino, ulteriormente avvalorata dai limiti oggettivi posti dalla norma con riguardo al bene acquisendo.

Di particolare rilievo in questa sentenza è il richiamo alla violazione presunta dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, di garanzia del diritto di proprietà, in quanto l’acquisizione della parte abusiva al patrimonio comunale, quale strumento di riconduzione delle opere abusive a legalità, risponde ai criteri dell’idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto, legittimanti l’incidenza sul diritto di proprietà dell’autore delle opere abusive, il quale non ottemperi all’ordine ripristinatorio. Né varrebbe opporre, secondo la sentenza, che il Comune, in tal modo, diverrebbe «proprietario dei beni stessi sulla base di un giudizio amministrativo che ha visto soccombente lo stesso Comune» ( nel caso di annullamento del titolo edilizio – qui ci sono gli echi del giudizio c.d. di Punta Perotti), in quanto la composizione del conflitto d’interessi tra proprietario che abbia costruito sulla base di un titolo edilizio illegittimo poi annullato in sede giudiziale e l’interesse pubblico al ripristino della legalità è effettuata, sul piano normativo, dalla disciplina posta dall’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 in aderenza ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità.

Altro orientamento, invece, ritiene che si tratti di una sanzione mista in cui prevale la natura afflittiva. Pur aderendo alla tesi della sostanziale differenza che intercorre tra la confisca urbanistica ed il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale il Consiglio di Stato[53] afferma che «è evidente, dunque, come l’ablazione della proprietà a titolo sanzionatorio si connoti sempre per il grado di afflittività massima nei confronti del titolare della stessa».

A ciò si aggiunge che «secondo la giurisprudenza amministrativa la sanzione acquisitiva al patrimonio dell’ente non può essere comminata nei confronti del proprietario del fondo incolpevole dell’abuso edilizio, cui è rimasto del tutto estraneo […].Ne consegue che per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, che non sono cioè meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato, è necessaria la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che le subisce».

Anche la Corte costituzionale[54], con riferimento all’omologa previsione contenuta nell’art. 15, comma 3, della l. 28.01.1977, n. 10, ne ha valorizzato l’aspetto personale affermando che «l’acquisizione, a titolo gratuito, dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva al patrimonio indisponibile del comune rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima, esegue un’opera in totale difformità od in assenza della concessione e, poi, non adempie l’obbligo di demolire l’opera stessa».

In particolare viene evidenziato che, per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, che non sono cioè meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato, è necessaria la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che le subisce sia per quanto riguarda la commissione dell’abuso che la mancata demolizione[55].

La tesi della natura principalmente afflittiva si fa preferire in quanto non solo il contenuto della sanzione non è meramente ripristinatorio ma anche perché presuppone una responsabilità e quindi (almeno) una colpa ed, anzi, una doppia colpa, perché non può essere comminata nei confronti del proprietario del fondo incolpevole dell’abuso edilizio. Infatti quando una sanzione si applica solo a colui che ha commesso l’abuso, ovvero al responsabile dell’illecito e non a chi si trovi, casualmente, in una data relazione giuridica con la cosa, nella fattispecie in qualità di attuale proprietario dell’immobile, la sanzione deve ritenersi afflittiva e non ripristinatoria.

Deve invece escludersi che l’acquisizione al patrimonio comunale sia strumentale alla demolizione d’ufficio in quanto l’ordinamento prevede la demolizione anche nei confronti del solo autore dell’abuso (pensiamo all’abuso commesso dal conduttore invito domino) e quindi l’acquisizione al patrimonio comunale non è elemento necessario per l’esecuzione d’ufficio della demolizione.

Venendo alle valutazioni da effettuare alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, possiamo dire che l’automatismo sanzionatorio in realtà non sussiste in quanto occorre verificare l’elemento soggettivo del proprietario[56].

Diverso, invece, è il caso dell’acquisizione dell’area ulteriore, «necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita» (art. 31 c. 3 DPR 380/01).

In merito la giurisprudenza unanime afferma che in sede di accertamento dell’inottemperanza, mentre per l’area di sedime, stante l’automatismo dell’effetto acquisitivo che si verifica ope legis per effetto della mera inottemperanza all’ordine di demolizione, è superflua ogni motivazione ulteriore rispetto alla semplice identificazione dell’abuso, per l’individuazione dell’ulteriore area «necessaria» occorre uno specifico supplemento motivazionale[57].

Devono invece ritenersi superati quegli orientamenti che connettono l’acquisizione al patrimonio alla sola mancata demolizione oggettivamente o soggettivamente intesa[58].

11. L’acquisizione al patrimonio comunale nel caso di lottizzazione abusiva

Per quanto riguarda l’acquisizione al patrimonio comunale in caso di lottizzazione abusiva l’art. 30 del D.P.R. 380/01 prevede al comma 7 la sospensione dei lavori ed al comma 8 stabilisce che «trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8».

In merito un orientamento del Consiglio di Stato afferma si tratti di una sanzione ripristinatoria non equiparabile alla confisca penale in quanto secondo orientamento consolidato «la lottizzazione abusiva opera in modo oggettivo e indipendentemente dall’animus dei proprietari interessati, i quali se del caso potranno far valere la propria buona fede nei rapporti interni con i propri danti causa (cfr. Cons. Stato, sez. II, 24 giugno 2019, n. 4320 e giurisprudenza ivi citata)» [59]. Inoltre la sanzione amministrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, è atto vincolato[60].

Altro orientamento, invece, ritiene che si tratti di una sanzione principalmente afflittiva. Così si afferma che il carattere afflittivo della sanzione dell’acquisizione al patrimonio è già stato riconosciuto in materia di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva nel caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, di cui all’art. 31 del D.P.R. 380/2001. Ne consegue che «per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, che non sono cioè meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato, è necessaria la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che le subisce»[61].

12. La sanzione pecuniaria prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 D. Lgs 380/01 e l’applicabilità della riduzione per pagamento immediato

Il comma 4-bis della norma citata stabilisce che «l’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

Con riferimento a tale sanzione si discute se sia applicabile il potere di riduzione della somma dovuta, tipica espressione del principio di proporzionalità.

In merito occorre rammentare che le sanzioni amministrative pecuniarie godono di uno statuto che, sebbene meno pregnante rispetto a quello delle altre, “sostanzialmente” penali, è finalizzato a garantire il rispetto del principio generale di legalità e di proporzionalità, nonché ad assicurare le guarentigie del giusto procedimento[62].

Secondo la tesi recuperatoria[63] – «la sanzione in questione è stata introdotta in sede di conversione del Decreto “Sblocca Italia” (D.L. 133/2014, convertito con modificazioni dalla L. 164/2014), allo scopo di tenere economicamente indenne l’Amministrazione comunale dalle spese di ripristino conseguenti alle ordinanze di demolizione non eseguite. La richiamata sanzione ha quindi lo scopo di fornire all’Amministrazione la provvista per procedere al ripristino, senza necessità di anticipare le relative somme, per poi rivalersi sul responsabile dell’abuso, semmai inutilmente nel caso di insolvenza dello stesso».

Lo scopo di tenere indenne l’amministrazione comunale dall’impegno economico derivante dall’abbattimento delle opere abusive risulta chiaro dal comma 4-ter del menzionato art. 31 che introduce un chiaro vincolo di destinazione stabilendo che: «i proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico». Ne deriva quindi l’impossibilità di applicare la riduzione della sanzione per pagamento immediato prevista dall’art. 16 della L. 689/81.

Ugualmente nega l’applicazione del pagamento in misura ridotta quell’orientamento[64] secondo il quale «ciò che viene sanzionato -nella misura massima di Euro 20.000,00- dall’art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm.ii. non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé considerato (nel qual caso, evidentemente, rileverebbe la consistenza e l’entità dello stesso), bensì (unicamente) la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione legittimamente impartito dalla P.A. per opere abusivamente realizzate in zona vincolata, che è condotta (omissiva) identica, sia nel caso di abusi edilizi macroscopici, sia nell’ipotesi di più modesti abusi edilizi: il disvalore (ex se rilevante) “colpito” è l’inottemperanza all’ingiunzione di ripristino (legittimamente impartita dalla P.A.) inerente agli abusi in quelle particolari (e circoscritte) “aree” ed in quei particolari (e circoscritti) “edifici” specificamente indicati nell’art. 27, comma 2, dello stesso D.P.R. n. 380 del 2001».

Altra tesi invece ritiene invece che la sanzione pecuniaria per mancata demolizione abbia carattere punitivo e quindi sia assoggettata alle regole della L. 689/81.

Secondo questa tesi «la sanzione in discorso non costituisce affatto –almeno dal punto di vista giuridico– un’anticipazione a titolo risarcitorio delle spese necessarie al ripristino dello stato dei luoghi, ma consiste piuttosto in uno strumento sia di coazione (indiretta dei responsabili degli abusi dei quali sia stata constata l’omessa demolizione) e di repressione delle condotte omissive prese in considerazione dal precetto della disposizione»[65].

Si afferma così che l’istituto della riduzione della sanzione ha portata generale, come risulta dall’art. 12 della stessa legge n. 689/1981, in quanto tale istituto è applicabile anche alle sanzioni pecuniarie in materia edilizia, non essendovi disposizioni in senso contrario, né incompatibilità, posto che tali sanzioni presentano natura punitiva (e non ripristinatoria) avendo finalità repressive e preventive[66].

Qualora si riconosca la natura afflittiva di questa sanzione, ci si domanda se sia conforme agli orientamenti assunti dalla Corte Costituzionale la previsione dell’obbligo di applicare la sanzione nella misura massima, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima[67].

In merito la giurisprudenza[68] esclude la possibilità di un giudizio di proporzionalità tra abuso da demolire e somma richiesta in quanto ciò che viene sanzionato – nella misura massima di € 20.000,00 – non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé considerato (nel qual caso, evidentemente, rileverebbe la consistenza e l’entità dello stesso), bensì (unicamente) la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione legittimamente impartito dalla P.A. per opere abusivamente realizzate in zona vincolata, che è condotta (omissiva) identica, sia nel caso di abusi edilizi macroscopici, sia nell’ipotesi di più modesti abusi edilizi: il disvalore (ex se rilevante) “colpito” è l’inottemperanza all’ingiunzione di ripristino (legittimamente impartita dalla P.A.) inerente agli abusi in quelle particolari (e circoscritte) “aree” ed in quei particolari (e circoscritti) “edifici” specificamente indicati nell’art. 27, comma 2, dello stesso D.P.R. n. 380 del 2001.

In questo modo la giurisprudenza evita di affrontare il problema del rapporto tra gravità dell’abuso e sanzione dell’acquisizione al patrimonio.

La norma è uno dei casi in cui gli interessi devoluti alla cura dell’amministrazione (i cosiddetti interessi “sussidiati” dalla funzione sanzionatoria) possono incidere sulla commisurazione della sanzione. Essi quindi non possono dirsi estranei all’esercizio della funzione sanzionatoria, tant’è vero che la loro rappresentazione da parte dell’autorità amministrativa può costituire un elemento significativo per la determinazione del quantum della sanzione[69] il rilievo riconosciuto a questi interessi va rigorosamente circoscritto alla valutazione della “gravità” della violazione, come nel caso di specie.

13. La sanzione pecuniaria per il caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire che non possano essere demoliti

Secondo l’art. 34 c. e D.P.R. 380/01 “2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. “In quella sede, le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall’esecuzione della demolizione. Il dato testuale della legge, a tal proposito, è univoco e insuperabile, in coerenza con il principio per il quale, accertato l’abuso, l’ordine di demolizione va senz’altro emesso. Non appare, tuttavia, ultroneo evidenziare che “Soltanto nel caso di opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio, può trovare applicazione la fiscalizzazione dell’abuso edilizio, consistente nella sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria può trovare applicazione; non essendovi, di contro, alcuno spazio per l’applicazione della norma in caso di totale carenza del titolo edilizio[70].

In questo caso ci troviamo di fronte ad una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione per cui si deve ritenere che si tratti di una sanzione non afflittiva come la demolizione e come tale non soggetta all’applicazione della legge n. 689 del 1981.

  1. In materia vedi: G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, F.lli Bocca, Torino, 1924; G. Baratti, Contributo allo studio della sanzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1984; F. Benvenuti, «Autotutela (diritto amministrativo)», voce in Enc. dir., XX, Giuffrè, Milano, 1970; E. Cannada Bartoli, «Illecito (diritto amministrativo)», voce in Enc. dir., XX, Giuffrè, Milano, 1970; E. Casetta, Illecito penale e illecito amministrativo, in Le sanzioni amministrative, Atti del XXVI Convegno di Studi di scienza della amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982; C.E. Paliero, A.Travi, La sanzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1988; C.E. Paliero, A. Travi, «Le sanzioni amministrative», voce in Enc. dir., XLI, Giuffrè, Milano, 1989; C. Pepe, Illecito e sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1990; M.A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Jovene, Napoli, 1983; A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Cedam, Padova, 1983; A. Vigneri, La sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1984; G. Pagliari, Profili teorici della sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1989; E. Rosini, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1991; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1999; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, in AA.VV. (a cura di S. Cassese), Trattato di diritto amministrativo, Parte speciale, vol. I, Giuffrè, Milano, 2003, II ed., 585 ss.
  2. Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia; Corte EDU, sez. II, sent. 04.08.2020 n. 44817; Corte Cost., 26 marzo 2015, n. 49.
  3. Cass. Pen., sez. III, 03/10/2018, n. 51044: «In materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’imposizione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso e non ha finalità punitive, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso, e non comportando la violazione del principio del “ne bis in idem” convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 04.03.2014»; Cass. Pen., sez. II, sent. 02.10.2019, n. 40396: «6.3. Inoltre il tempo potrebbe rilevare solo per un eventuale abuso di necessità per le esigenze abitative […]. Nessuna equiparazione può, infatti, logicamente farsi tra la demolizione e la confisca, trattandosi di due istituti diversi che operano su piani completamente diversi: sanzionatoria la confisca e solo di riduzione in pristino (riporta il territorio alla condizione iniziale, prima dell’abuso) del bene leso, la demolizione».: cfr. altresì Cass. Pen., sez. III, sent. 18 febbraio 2022, n. 5822.
  4. M. Lunardelli, Sanzioni e misure ripristinatorie: una rivalutazione del pensiero di Feliciano Benvenuti, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 4, 2021, pag. 173 ss.
  5. M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, II, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 1304 ss.
  6. D. Simeoli, Appunti sul principio di legalità amministrativa, in Questione Giustizia, 4, 2016, pp. 174 ss.
  7. Cass., sez. I, sent. 14 novembre 1992, n. 12240 e Cass., sez. I, sent. 15 dicembre 1992, n. 13246.
  8. C. Gabbani, La logica dei provvedimenti ripristinatori, in Il diritto dell’economia, 3, 2018, 911-953.
  9. In merito D.-U. Galetta, Proporzionalità e controllo sull’azione dei pubblici poteri, in M. Cartabia, M. Ruotolo (a cura di), Potere e Costituzione, Collana Enciclopedia del Diritto – I Tematici, Giuffré, Milano, 2023, in corso di pubblicazione.
  10. Sin dal 1976, la Corte di Strasburgo ha enunciato tre criteri o figure sintomatiche della sanzione penale (i cosiddetti criteri Engel): – la qualificazione dell’illecito operata dal diritto nazionale secondo la quale “occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme”; – la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; – la severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto. Per la Corte è sufficiente che ricorra anche una sola di tali circostanze, perché la sanzione vada qualificata come “penale” (Corte EDU, sent. 8 giugno 1976, caso n. 5100/71, Engel v. Olanda, in tema di sanzioni detentive disciplinari militari). In merito oltre Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel. c. Paesi Bassi anche Corte giust.. sentt. 04.03.2014, 18640/10, Grande Stevens e altri c. Italia; 10.02.2009, Zolotoukhine c. Russia; v. anche Corte giust., grande sezione, 05.06.2012, C-489/10.
  11. In merito C.E.D.U. 20 gennaio 2009 (e del 10 maggio 2012, Sud Fondi c. Italia, relative al c.d. ecomostro di Punta Perotti; 30 dicembre 2013, Varvara c. Italia e, da ultimo, Grande Chambre, 28 giugno 2018, in G.I.E.M. srl e altri c. Italia.
  12. Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia: «Al fine di valutare la proporzionalità della confisca, possono essere presi in considerazione i seguenti elementi: la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione. 302. Inoltre, non va trascurata l’importanza degli obblighi procedurali di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1. Pertanto, la Corte ha ripetutamente osservato che, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 per quanto riguarda i requisiti procedurali, un procedimento giudiziario relativo al diritto al rispetto della proprietà deve anche offrire alla persona interessata un’adeguata possibilità di esporre la sua causa alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti da questa disposizione» (Sovtransavto Holding c. Ucraina, n. 48553/99, p.to 96, CEDU 2002 VII, Capital Bank AD c. Bulgaria, n. 49429/99, p.to 134, CEDU 2005 XII (estratti), Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], n. 73049/01, p.to 83, CEDU 2007 I, J.A. Pye (Oxford) Ltd e J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], n. 44302/02, p.to 57, CEDU 2007 III, Zafranas c. Grecia, n. 4056/08, p.to 36, 4 ottobre 2011, e Giavi c. Grecia, n. 25816/09, p.to 44, 3 ottobre 2013; si veda anche, mutatis mutandis, Al Nashif c. Bulgaria, 20 giugno 2002, n. 50963/99, p.to 123, e Grande Stevens e altri, sopra citata, p.to 188). Una ingerenza nei diritti previsti dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 non può quindi avere alcuna legittimità in assenza di un contraddittorio che rispetti il principio della parità delle armi e consenta di discutere aspetti importanti per l’esito della causa.
  13. Corte Cost. sent. n. 146 del 2021 punto 3.4 della motivazione.
  14. Si tratta del caso Hamer c. Belgio, 2007, n. 21861/03. In merito occorre rilevare che la sent. della Corte EDU, 21 aprile 2016, 46577/15, Ivanova e Cherkezov V/Bulgaria, ha puntualizzato che: “l’ordine di demolizione per un abuso edilizio costituisce sanzione penale allorquando la sua esecuzione intervenga a distanza di numerosi anni a far data dall’accertamento del fatto e non sia stata acquisita alcuna prova per dimostrare che in ogni fase del procedimento il richiedente abbia ostacolato il regolare svolgimento delle indagini”.
  15. Cass., sez. III, n. 5822 del 18 febbraio 2022: «la giurisprudenza della Corte EDU, proprio con riferimento all’ordine di demolizione dell’unica casa di una famiglia, evidenzia la necessità di un equo contemperamento tra il principio di legalità e l’esigenza di assicurare protezione ai diritti fondamentali. Si evidenzia, in particolare, che: -) Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, pone l’obbligo di una valutazione in termini di proporzionalità tra l’ordine di demolizione e le condizioni personali dei controinteressati, in ragione delle loro limitate risorse economiche e della protrazione per anni della vita familiare nell’immobile da eliminare; -) Corte EDU 2007, Hamer c. Belgio, ritiene costituire sanzione penale l’ordine di demolizione per un abuso edilizio da eseguire a distanza di numerosissimi anni dalla data dell’accertamento, per un ritardo non imputabile a condotte ostruzionistiche dei controinteressati; -) Corte EDU, Chapman, evidenzia la necessità di valutare la disponibilità di idonee sistemazioni alternative o la possibilità di trattamenti meno severi».
  16. Così Cass Pen., sez. III, 18 febbraio 2022, n.5822: «in materia di ordine di demolizione emanato dal giudice penale: Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo “procedurale”. Ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha infatti valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata». V. anche Corte EDU, sez. II, sent. 04.08.2020 n. 44817.
  17. In merito alla violazione del bis in idem v. il parere dell’Ufficio Studi, massimario e formazione della Giustizia Amministrativa del 13.06.2022.
  18. Così Cass. Pen., sez. III, 18/02/2022, Sent. n.5822; s.u.., 28/04/2016, n. 27620, Dasgupta, Rv. 267486-01, in motivazione, specificamente p.to 5, ma anche p.to 8.2; Cass. Pen, sez. III, 10.03.2016 n. 9949: «il nostro sistema costituzionale delle fonti, come interpretato nel diritto vivente della Corte costituzionale, ha chiarito, fin dalle c.d. “sentenze gemelle” (n. 348 e 349 del 2007), che il diritto CEDU non è direttamente applicabile; il giudice comune, infatti, ha la sola alternativa di esperire una interpretazione “convenzionalmente conforme” della norma nazionale, ove percorribile, ovvero proporre una questione di legittimità costituzionale, adoperando il diritto CEDU quale parametro interposto di legittimità, ai sensi dell’art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 80 del 2011)».
  19. La Corte EDU in Saliba c. Malta dell’8 novembre 2005, ha stabilito che l’ordine di demolizione di un immobile, costruito senza licenza ed in violazione delle norme urbanistiche, non costituisce violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, in quanto, premesso che si tratta, sì, di un’ingerenza nel diritto di proprietà del singolo, tale misura è comunque prevista dalla legge, mirante ad uno scopo legittimo e, soprattutto, non sproporzionata rispetto al legittimo fine perseguito dallo Stato e consistente nella tutela del territorio.
  20. F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia, in www.sistemapenale.it: la sent. Corte Giust. C-205/20 (NE) afferma espressamente – raccogliendo la corrispondente suggestione dell’Avvocato generale Bobek – che il requisito di proporzionalità presente nelle direttive «si limita a richiamare» l’art. 49, paragrafo 3, della Carta, che enuncia un divieto di pene sproporzionate alla gravità del reato con specifico riferimento ai reati, ma che appare naturalmente suscettibile di essere applicato alla generalità delle sanzioni di carattere “punitivo”, secondo la menzionata nozione estensiva della materia penale fatta propria, all’unisono, dalle due Corti europee.
  21. F. Viganò, cit.
  22. Così il punto 4.2 del commento citato al punto precedente redatto dal giudice costituzionale F. Viganò.
  23. Paragrafi 43-44.
  24. F. Viganò, cit., par. 5.2.
  25. In merito D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1, 2022.
  26. V. anche la sent. n. 246/2022, nella quale la Corte Costituzionale dichiara: «9.1. In generale va ribadito che il principio di necessaria proporzionalità della sanzione alla condotta illecita trova applicazione anche al trattamento sanzionatorio di natura amministrativa. Questa Corte, nelle sentenze n. 112 e n. 212 del 2019, in relazione a sanzioni amministrative diverse dalla revoca della patente, oggi in esame, ha affermato che il principio di proporzionalità rispetto alla gravità dell’illecito deve trovare applicazione con riferimento «alla generalità delle sanzioni amministrative».
  27. A. Bonomi, Sanzioni amministrative “di seconda generazione”, principio di proporzione, diritti fondamentali, in federalismi.it, 5, 2022.
  28. Si trattava di valutare la costituzionalità di un comma contenuto in una disposizione inserita nel cosiddetto decreto Balduzzi (d.l. n. 158/2012) che prevedeva la sanzione amministrativa fissa di 50.000,00 Euro a carico dei concessionari del gioco e dei titolari di sale giochi e scommesse per la violazione degli obblighi di avvertimento sui rischi di dipendenza dal gioco d’azzardo contemplati da altro comma della stessa disposizione.
  29. Cons. St., sez. VI, sent. 20 gennaio 2023 n. 690; Cons. St. sez. VI, sent. 9 giugno 2022, n. 4696.
  30. «Secondo la Corte EDU per qualificare una sanzione come penale occorre far riferimento principalmente alla natura e alla gravità della sanzione. Con la espressione “natura” ci si riferisce al carattere principalmente afflittivo anziché risarcitorio o ripristinatorio. Il fine della sanzione, in effetti, deve essere prevalentemente quello di prevenire, reprimere e dissuadere allo scopo di evitare che analoghe condotte possano essere ripetute. Allo stesso tempo la sanzione deve essere diretta a tutelare beni normalmente protetti dalle norme penali, così come deve essere applicabile ad un gruppo ampio di destinatari. La gravità della sanzione fa invece riferimento al massimo edittale previsto, e dipende da una valutazione sia soggettiva che oggettiva. Inoltre, il principio di gravità, per quelle sanzioni che hanno un contenuto essenzialmente economico, è dato anche dalla esistenza di elementi di afflizione personale. Quando cioè la sanzione presenti un carattere socialmente riprovevole, o possa influenzare la vita sociale, di relazione o professionale della persona, essa assume un carattere sostanzialmente penale» (A. Pisaneschi, La sentenza 68 del 2021. Le sanzioni amministrative sostanzialmente penali ed il giudicato, in AIC, Osservatorio Costituzionale, 4, 2021, nota 4). Secondo Corte cost. sent. 16 aprile 2021 n. 68 rientrano in questa categoria sanzioni formalmente qualificate come amministrative [che] possono, però, comprimere diritti di rango costituzionale, quali la libertà d’impresa (art. 41 Cost.) o il diritto al lavoro (art. 35 Cost.). Sul conflitto tra Cassazione e Consiglio di Stato in merito alle sanzioni emanate dalle autorità di regolazione dei mercati v. A. Pisaneschi, La sentenza 68 del 2021, cit.
  31. «La legge n. 689 del 1981 si applica infine anche a misure non pecuniarie, come quelle interdittive o alla confisca, ma solo ove accessorie a sanzioni pecuniarie (cfr. Cass. sez. I, sent. 4 ottobre 1996, n. 8719). La giurisprudenza ha progressivamente esteso l’ambito applicativo della suddetta legge anche alle sanzioni a somma fissa (Cfr. Cass., sez. lav., sent. 12 dicembre 1989, n. 5498.), alle sanzioni proporzionali (Cfr. Cass. sez. III, sent. 25 luglio 2000 n. 9725 e sent. 24 marzo 2003, n. 4290), fino a ricomprendere tutte le misure pecuniarie conseguenti a violazioni, salvo quelle alternative a misure ripristinatorie: cfr. Cass., sez. un., 17 marzo 1989, n. 1342» così D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive’ tra diritto costituzionale ed europeo, cit.
  32. Cons. St., sez. II, 13 novembre 1996, n. 1026; nel senso che le sanzioni pecuniarie alternative al ripristino, tese a ristabilire l’equilibrio materiale violato rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo: Cass., S.U., sent. 14 ottobre 2004 n. 20254.
  33. T.A.R. Lombardia-Milano, sez. II, 4 aprile 2002, n. 1330; secondo autorevole dottrina, «in realtà alcuni dei principi (di tale legge n.d.r.) sembrano adattarsi anche a sanzioni interdittive, non complementari a una pena pecuniaria» (così C.E. Paliero, A. Travi, (voce) Sanzioni amministrative, cit., p. 393).
  34. S. Lucattini, Le sanzioni a tutela del territorio, Giappichelli, Torino, 2022, 84 ss.
  35. Ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13.
  36. Corte Cost. 5 luglio 2018 n. 140; Cons. St., sez. VI, 15 aprile 2015 n. 1927.
  37. Così Cass. Pen., sez, III, 03/11/2020 n. 35835: p.to 3.2 avendo riguardo ad un ordine emesso dall’autorità amministrativa e indipendentemente da accertamenti in ordine alla configurabilità di un illecito penale (Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria).
  38. Cass. Pen. sez. III, 04/05/2018, n. 48833; sez. III, 02/10/2019, n. 40396; sez. III 06/05/2022 n. 24154.
  39. Cons. St., sez. VI, sent. 28 aprile 2021 n. 3412
  40. Per l’esclusione dello stato di necessità come scriminante: T.A.R. Campania-Salerno, sez. II, sent. 14 marzo 2022 n. 711; T.A.R. Campania-Napoli, sez. III, sent. 29 maggio 2019 n. 2879; Cass. Pen., sez. III, sent. 19.01.2018 n. 2280.
  41. In tal senso T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 24 agosto 2019 n. 513.
  42. Cons. St., sez. VI, sent. n. 4424 del 2018: «deve ritenersi che l’ordine di demolizione costituisce una sanzione «penale» ai sensi dell’art. 7 della CEDU, in ragione della sua dimensione intrinsecamente «afflittiva», di talché, nel rispetto del canone di prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile, può venire disposta soltanto «nei casi e per i tempi in esse considerati» (dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689)». La giurisprudenza penale tiene ben distinti i diversi regimi della demolizione e della confisca: Cass. Pen., sez. II, sent. 02/10/2019 n. 40396: «6.1. La questione della natura sanzionatoria penale dell’ordine di demolizione relativamente alle sentenze Corte EDU è mal posta. Nessuna equiparazione può, infatti, logicamente farsi tra la demolizione e la confisca, trattandosi di due istituti diversi che operano su piani completamente diversi: sanzionatoria la confisca e solo di riduzione in pristino (riporta il territorio alla condizione iniziale, prima dell’abuso) del bene leso, la demolizione (vedi Cass. sez. III, 22/10/2009, n. 48925; Cass. sez. III, 11/02/2016, n. 5708)». In merito la sent. della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 aprile 2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, 46577/15 ha puntualizzato che: «l’ordine di demolizione per un abuso edilizio costituisce sanzione penale allorquando la sua esecuzione intervenga a distanza di numerosi anni a far data dall’accertamento del fatto e non sia stata acquisita alcuna prova per dimostrare che in ogni fase del procedimento il richiedente abbia ostacolato il regolare svolgimento delle indagini» (Hamer c. Belgio, 2007, n. 21861/03). V. anche Cass. sez. III n. 7232 del 24 febbraio 2020: «Infine, la sent. Pignalosa evidenzia l’affermazione della Corte EDU laddove esclude che l’ordine di demolizione contrasti con l’art. 1 del protocollo n.1 (protezione della proprietà). Sul punto, la Corte EDU (p.to 75) afferma, da un lato, che l’ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l’ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell’8 novembre 2005), ciò che non deve essere trascurato in vista della diffusività del problema delle costruzione abusive in Bulgaria».
  43. S. Lucattini, cit., p. 89.
  44. Per alcuni esempi in giurisprudenza T.A.R. Sardegna, sez. II, sent. 16 ottobre 2018 n. 875 e Cons. St., sez. VI, sent. 23 settembre 2014 n. 4790.
  45. In tal senso M. Allena, Il principio di determinatezza, in A. Cagnazzo-S. Toschei, F. Tuccari, (a cura di), La sanzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2016, 148 ss. L. Coen, Il divieto di analogia, in A. Cagnazzo-S. Toschei-F. Tuccari (a cura di), La sanzione amministrativa, cit. 182 ss. e, in generale, da A. Romano Tassone, Sul problema dell’analogia nel diritto amministrativo. in Dir. amm., 2011, 1 ss.
  46. S. Lucattini, cit., 229.
  47. CEDU, I, 18 giugno 2002 Oneryildiz, par. 142.
  48. In tal senso Cons. St., Ad. Pl., sent. 17.10.2017 n. 9: «5.1. Si osserva comunque al riguardo che non sarebbe in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta –e inammissibile– forma di sanatoria automatica o praeter legem. 5.2. Una chiara conferma di quanto appena rappresentato si desume dal terzo periodo del comma 4-bis dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001 (per come introdotto dal comma 1, lettera q-bis), dell’articolo 17 del decreto-legge 12.09.2014, n. 133), secondo cui “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».
  49. M.A. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in federalismi.it, 2 ottobre 2019.
  50. Così Corte cost. 15 luglio 1991, n. 345; nello stesso senso, Corte cost. 12 settembre 1995, n. 427, e ordinanza 15 febbraio 1991. n. 82; in termini, Cass. civ., sez. III, 26/01/2006, n. 1693.
  51. Cons. St., sez. VI, sent. 20 ottobre 2016, n. 4400.
  52. Cons. St., sez. VI, sent. 3 febbraio 2020 n. 864; in merito anche Cons. St., sez. VI, sent. 4 gennaio 2021, n. 7380.
  53. Cons. St., sez. II, sent. 20 gennaio 2023, n. 714.
  54. Corte cost., sent. 15 luglio 1991, n. 345.
  55. Cons. St., sez. II, sent. 20 gennaio 2023 n. 714: «l’acquisizione “di diritto” qualifica il provvedimento come obbligatorio e vincolato nel contenuto e la fa derivare dal mero mancato adempimento dell’ordine demolitorio, che peraltro potrebbe avere destinatari diversi (con la necessità di renderne comunque edotta la proprietà). Anche per tale ragione il Comune non è esonerato dall’accertamento dei presupposti che la rendono applicabile (elemento soggettivo). Il mancato adempimento infatti deve pur essere “accertato”, così come deve essere accertata la sussistenza dell’elemento psicologico che giustifichi l’irrogazione della sanzione. Ancor più precisamente, cioè, deve pur sempre essere accertato che il mancato adempimento sia frutto della volontà del destinatario del provvedimento e non sia legato, per esempio, a cause di forza maggiore o altre ragioni ostative, che non si sia dato luogo ad un adempimento parziale e in specifici casi quale sia l’estensione dell’area acquisita che per espresso disposto normativo «non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita». Cons. St., sez. VI, sent. 4 novembre 2021 n. 7380: «L’aspetto relativo alla necessità della sussistenza di un elemento soggettivo, quale indice di rimproverabilità, può recedere difatti solamente dinanzi ad una funzione concretamente ripristinatoria della sanzione che, in quest’ultimo caso ha l’attitudine di imporsi, per il suo carattere reale, anche nei confronti di soggetti in stato di incolpevole buona fede, in quanto misura necessaria al ripristino del bene. In base a tale interpretazione, che tiene conto del profilo soggettivo di responsabilità nella condotta, la sanzione acquisitiva di cui all’art. 30 (commi 1, 7 e 8) si palesa in linea con i principi espressi dalla Corte di Strasburgo ed, a quest’ultimo riguardo, il dovere di dare all’ordinamento interno una interpretazione conforme alla CEDU, come esplicitata dalla Corte di Strasburgo, deriva dall’art. 117 Cost., comma 1, ed è stato affermato in modo generale dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 e, con riferimento specifico al citato art. 44, comma 2, con la sent. 24 luglio 2009 n. 239».
  56. Cons. St., sez. II, sent. 20 gennaio 2023 n. 714: «L’acquisizione “di diritto” qualifica il provvedimento come obbligatorio e vincolato nel contenuto e la fa derivare dal mero mancato adempimento dell’ordine demolitorio, che peraltro potrebbe avere destinatari diversi (con la necessità di renderne comunque edotta la proprietà). Anche per tale ragione il Comune non è esonerato dall’accertamento dei presupposti che la rendono applicabile (elemento soggettivo). Il mancato adempimento infatti deve pur essere “accertato”, così come deve essere accertata la sussistenza dell’elemento psicologico che giustifichi l’irrogazione della sanzione. Ancor più precisamente, cioè, deve pur sempre essere accertato che il mancato adempimento sia frutto della volontà del destinatario del provvedimento e non sia legato, per esempio, a cause di forza maggiore o altre ragioni ostative, che non si sia dato luogo ad un adempimento parziale».
  57. Ex plurimis Cons. St., sez. VI, sent. 3 marzo 2022 n. 1512; T.A.R. Sicilia-Catania, sez. I, sent. 16 febbraio 2021 n. 521: «in tale prospettiva la giurisprudenza in materia ha costantemente ribadito che l’Amministrazione procedente è tenuta ad indicare puntualmente, nell’atto di acquisizione, la classificazione urbanistica ed il relativo regime per l’area oggetto dell’abuso edilizio e quindi sviluppare (in base agli indici di fabbricabilità, territoriale o fondiaria, conseguentemente applicabili) il calcolo della superficie occorrente per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, disponendone comunque l’acquisizione -laddove dovesse risultare una superficie superiore- nel limite massimo del decuplo dell’area di sedime. È stato così chiarito che la circostanza che il legislatore non abbia predeterminato l’ulteriore area acquisibile, ma si sia limitato a prevedere che tale area “non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”, si giustifica per il fatto che l’ulteriore acquisto sia funzionale e strumentale rispetto all’acquisto del bene abusivo e della relativa area di sedime: in altri termini -non potendosi ritenere che la determinazione dell’ulteriore area acquisibile sia affidata al puro arbitrio dell’Amministrazione- la circostanza che sia stata predeterminata solo la superficie massima di tale area (comunque non superiore a dieci volte quella abusivamente costruita) può spiegarsi solo ipotizzando che l’ulteriore acquisto sia necessario al fine di consentire l’uso pubblico del bene abusivo acquisito al patrimonio comunale. Ne consegue che il nesso funzionale tra i due acquisti implica che l’Amministrazione sia tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto, nonché ad indicare con precisione l’ulteriore area di cui viene disposta l’acquisizione».
  58. Con riferimento all’individuazione dei soggetti destinatari dell’ordine di demolizione e delle misure sanzionatorie previste dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001, il T.A.R. Lombardia-Milano, sez. II, sent. 11 agosto 2020 n. 1562, richiama l’orientamento secondo il quale «la norma, nell’individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta, in quanto il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non coincide con l’accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell’illecito, ma è correlato all’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico-edilizia, e all’individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale».
  59. Cons. St. sez. II, sent. 27 agosto 2021, n. 6060.
  60. Cfr., in tal senso, Cons. St., sez. VI, sent. 23 marzo 2018, n. 1878; id., sez. II, sent. 17 maggio 2019, n. 3196.
  61. Cons. St., sez. VI, sent. 4 novembre 2021 n. 7380 cit. v. nota 55.
  62. Così Cons. St., sez. II, sent. 20 gennaio 2023 n. 714.
  63. T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 20 marzo 2018 n. 336.
  64. T.A.R. Campania-Salerno, sez. II, sent. 6 luglio 2018 n. 1045.
  65. C.G.A.R.S., parere 15 aprile 2015 n. 322: «la sanzione pecuniaria di cui al comma 4-bis dell’art. 31 è stata introdotta, all’evidenza, proprio al fine di incentivare la compliance (ossia la spontanea attivazione) dei privati rispetto all’ordine di demolizione, attraverso una coazione indiretta rappresentata da una reazione punitiva dell’ordinamento, incidente sul patrimonio dei responsabili degli abusi eventualmente rimasti inerti a fronte di un dovere di esecuzione su di essi gravante […] va osservato che gli unici scopi, costituzionalmente legittimi, che può avere una sanzione, amministrativa o penale, sono quelli della retribuzione giuridica del responsabile, nonché della prevenzione generale e speciale (mentre la primaria finalità delle pene è la rieducazione del condannato ex art. 27 Cost.). In nessun caso la sanzione può trovare giustificazione nell’esigenza di fronteggiare immediate finalità di bilancio […] D’altra parte il comma 5 dello stesso art. 31 accolla ai responsabili le spese della demolizione (ove effettuata) e, quindi, anche dal punto di vista della logica giuseconomica, sarebbe quantomeno ingiusta la duplicazione della relativa pretesa dell’amministrazione, una prima volta in sede di sanzione ai sensi del comma 4-bis e poi, una seconda volta, in via di rivalsa a demolizione (d’ufficio) avvenuta». Nel senso che la sanzione si traduce nell’inflizione di un sacrificio economico non correlato al profitto ricavato dall’illecito; il che manifesta la sua funzione accentuatamente dissuasiva, tale da ricondurla al novero delle sanzioni afflittive: Cons. St., sez. VI, sent. 9 agosto 2022 n. 7023.
  66. Dalla natura punitiva desumono anche la retroattività T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 4 dicembre 2019, n. 2588), e T.A.R. Campania-Napoli, Sez. II, sent. 17 marzo 2020 n. 1166. Condivisibile giurisprudenza ha osservato che «ciò che viene sanzionato, nella misura massima di Euro 20.000,00, dall’art. 31, comma 4-bis, D.P.R. n. 380/2001 e ss.mm.ii. non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé considerato, bensì la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione legittimamente impartito dalla P.A. per opere abusivamente realizzate: il disvalore (ex se rilevante) colpito è l’inottemperanza all’ingiunzione di ripristino. Ne consegue che è irrilevante il fatto che l’abuso fosse stato realizzato prima dell’entrata in vigore della norma, giacché la mancata esecuzione dell’ordinanza di demolizione, proseguita dopo l’entrata in vigore del menzionato comma 4-bis, imponeva l’applicazione della sanzione da quest’ultimo prevista, senza che ciò implicasse violazione dell’invocato principio di irretroattività delle norme che introducono misure sanzionatorie».
  67. In base all’art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm.ii. la sanzione pecuniaria è sempre inflitta nella misura massima, senza alcun margine di discrezionalità circa la sua graduazione, nel caso di abusi realizzati «sulle aree e sugli edifici» di cui all’art. 27, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, cioè solo su quelle “aree” e su quegli “edifici” ricadenti nelle tipologie vincolistiche specificamente e tassativamente indicate nella summenzionata disposizione, vale a dire:
    1) «aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità»;
    2) «aree destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 18.04.1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni» (relativa a “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”);
    3) «aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267» (recante disposizioni in materia di “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”), ossia aree sottoposte a «vincolo per scopi idrogeologici” ovvero boschi “sottoposti a limitazioni nella loro utilizzazione»;
    4) «aree appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16.06.1927, n. 1766» (rubricata “Conversione in legge del R.D. 22.05.1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R.D. 28.08.1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R.D. 22.05.1924, n. 751, e del R.D. 16.05.1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R.D.L. 22.05.1924, n. 751”), ossia gravate da usi civici;
    5) «aree di cui al D.Lgs. 29.10.1999, n. 490» (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 08.10.1997, n. 352”), ed attualmente le corrispondenti aree di cui al D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, a seguito dell’abrogazione espressa del D.Lgs. n. 490 del 1999, operata dall’art. 184 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42, a decorrere dal 01.05.2004, ai sensi di quanto disposto dall’art. 183 dello stesso Decreto);
    6) «opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490» e ss.mm.ii. «o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490» e ss.mm.ii.;
    7) «aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato».
  68. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, sent. 20 febbraio 2023, n. 1089; T.A.R. Lombardia-Milano, sez. II, sent. 1° ottobre 2019, n. 2088; T.A.R. Campania-Salerno, sez. II, sent. 6 luglio 2018, n. 1045; T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 20 marzo 2018, n. 336; T.A.R. Puglia-Lecce, sez. III, sent. 12 luglio 2016, n. 1105.
  69. C.E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa: profili sistematici, cit.
  70. T.A.R. Campania-Napoli, sez. III, sent. 26 agosto 2021, n. 5628.

Alberto Di Mario

Judge of Regional Administrative Court, Lombardy-Milan.