Riflessioni in tema di centralizzazione della committenza negli appalti pubblici

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1/2023

Riflessioni in tema di centralizzazione della committenza negli appalti pubblici

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Il contributo analizza come la c.d. “cultura del sospetto” ostacoli l’attività contrattuale della pubblica amministrazione. La “cultura del sospetto” consiste nella percezione che ogni procedura negoziale sia foriera di reati e/o di “cattiva amministrazione”. Gli effetti di questa c.d. “cultura del sospetto” consistono in immobilismo e inerzia, dal momento che inibiscono il pieno ricorso ad azioni discrezionali ed efficienti, facendo sì che i funzionari evitino scelte rischiose, in termini di responsabilità penale, civile ed erariale. In tale contesto il tema della centralizzazione della committenza può acquisire un rilievo decisivo. Questo perché l’attribuzione ad un unico soggetto della competenza ad acquistare beni e servizi sul mercato, oltre a conseguire positive “economie di scala”, è in grado di accrescere le professionalità dei funzionari, che operano all’interno della centrale di committenza, e favorire la trasparenza delle procedure di gara. Il contributo si sofferma altresì su un’analisi critica dell’odierna disciplina normativa, nazionale ed europea, in tema di centrali di committenza e a vagliarne e proporre necessarie riforme e miglioramenti.


On the centralization of contracting authorities with regard to public procurement.
The paper analyses how the “culture of suspicion” hinders the contractual activity of public administration. The “culture of suspicion” consists in the perception that every negotiation procedure is the harbinger of crimes and/or “maladministration”. The effects of this “culture of suspicion” consist of immobilism and inertia, since they inhibit the full recourse to discretionary and efficient actions, so that public officials avoid choices which can be risky in terms of penal, civil and administrative liability. In this context, the idea of contracts awarded by central purchasing bodies (contracting authorities) can play a crucial role. This is because the attribution to a single body of the competence to buy goods and services on the market, in addition to achieving positive “economies of scale”, can also increase the professionalism of the public officials operating within the contracting authorities and promote the transparency of tendering procedures. The paper focuses also on a critical analysis of the current regulatory framework, both at the national and EU level, trying to evaluate and propose necessary reforms and improvements.

Sommario: 1. Centrali uniche di committenza: premesse e termini del problema. – 2. Le dimensioni del fenomeno degli appalti pubblici e la direttiva dell’Unione Europea n. 24/2014.- 3. La disciplina statale vigente e quella in itinere: problematiche e soluzioni. – 4. Le esigenze di una nuova riforma e i processi normativi in itinere. Lo Schema preliminare elaborato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, consegnato al Governo il 20 ottobre 2022.- 5. Sulla natura giuridica necessariamente pubblica delle Centrali di committenza. – 6. Alcune considerazioni conclusive.

1. Centrali uniche di committenza: premesse e termini del problema

Nel saggio dal titolo Le misure per la qualità e l’innovazione nel Codice dei contratti pubblici, Luisa Torchia scrive che «la cultura del sospetto, così diffusa nel nostro ordinamento e nel nostro diritto, produce e continua a produrre immobilismo e inerzia, non certo innovazione»[1]. Ed è proprio così. All’occhio dello studioso non sfugge come la tendenza ad ingessare (anche) l’attività contrattuale della pubblica amministrazione in procedure rigide e complesse, che non lasciano spazio all’autonomia delle Amministrazioni, allo scopo di evitare comportamenti di parte o comunque illeciti, sia la condizione primaria che impedisce l’attivazione di operati duttili, discrezionali e responsabili, capaci di adattare l’azione amministrativa alle polimorfe esigenze dei diversi contesti e mercati di riferimento. In questa prospettiva, accade che il funzionario, consapevole della insanabile molteplicità delle fonti e della sostanziale impossibilità di tener fede ad una coerente e contestuale applicazione di tutti i dettati, piuttosto che avventurarsi in scelte a quel punto “rischiose”, preferisca arrestarsi rinviando la scelta della soluzione della questione a statuizioni giudiziarie capaci, al di là dei tempi di cui necessitano e degli effetti che producono, quantomeno di rassicurare lui, consentendogli magari di abbandonare gli incerti e rischiosi campi dell’uso della discrezionalità per calcare le più comode vie di percorsi vincolati, ai quali non è dato sottrarsi.

Agire scegliendo autonomamente impone assunzione di responsabilità (penale, erariale, civile, disciplinare) e non di rado determina anche il rischio di sottomissione a gogne mediatiche delle quali nessuno avverte il fascino e tantomeno l’esigenza[2].

È (anche) per l’incapacità del sistema di reggere il confronto con la discrezionalità dell’azione che numerose procedure di aggiudicazione sono divenute di tipo automatizzato, digitali, sottratte a pressoché qualsiasi valutazione soggettiva della stazione appaltante.

E’ chiaro, tuttavia, che i nuovi modelli di procedure competitive con negoziazione così come quelli del partenariato per l’innovazione, aventi origine nell’ordito normativo dell’ordinamento euro-unitario, impongono ampi spazi di scelta e di responsabilità nelle Amministrazioni appaltanti, con l’uso di approcci innanzitutto culturali oltre che metodologici distanti dal tradizionale impianto: il tutto, nell’ambito di contesti ambientali ordinariamente oggetto di profondo pregiudizio da parte delle magistrature inquirenti. I contesti di flessibilità necessari in queste nuove sedi di gara, peraltro, pretendono il concorso di competenze che solo di rado si rinvengono negli organici delle stazioni appaltanti: un’adeguata conoscenza del mercato, una più precisa definizione e conoscenza degli oggetti di affidamento, un’integrazione tra competenze giuridiche e di altra natura (per lo più tecniche) e, su tutte, una inedita capacità di gestire una trattativa; tutti elementi assolutamente estranei al comune know-how delle stazioni appaltanti e comunque necessari. A titolo esemplificativo, nei nuovi modelli operativi non è sufficiente conoscere il costo del ciclo di vita di un prodotto, condizione sufficiente, invece, in contesti connotati dal metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa tanto cara all’ordinamento europeo. Bisogna, piuttosto, essere in grado di contestualizzare il prodotto individuandone e apprezzandone capacità funzionali e persino potenzialità, in un ambito largamente ispirato alla negoziazione: poco o nulla a che vedere con le tradizionali operazioni di ermeneutica e di applicazione di norme e procedimenti. L’obiettivo essenziale è pervenire alla conclusione di una trattativa con la definizione di un esito che consti nel risultato più utile, giustificabile e conveniente possibile, nei limiti, ovviamente, di quanto consentano le opportune conoscenze, senza poter fare affidamento su (e neanche vedersi costretti in) percorsi già tracciati e griglie normative di riferimento[3].

È difficile anche solo immaginare i margini di compatibilità dell’inedito contesto di quei modelli di gara laddove anche il comune cittadino, privo di esperienza di amministrazione pubblica, si rende conto di quanto l’organizzazione dell’apparato pubblico si articoli in desueti comparti operativi connotati da rigida divisione delle competenze tra le diverse strutture. Non pare sussistano le condizioni per un salto comportamentale[4], ancorché nuove disposizioni normative a contenuto procedimentale continuino a sopravvenire senza però incidere sui gangli organizzativi che pure costituiscono il presupposto della loro funzionalità[5]. Gli uffici continuano a non (poter) comunicare tra loro e operano come monadi isolate, ancorché sulla carta predisposti al conseguimento di un unico fine, quel tanto auspicato buon andamento dell’amministrazione e della sua azione[6].

La rigida separazione delle strutture secondo competenze per lo più mono-settoriali non permette la produzione di prodotti a carattere multidisciplinare che pure costituiscono il fondamento di quanto richiesto dall’Unione Europea[7]. E poi, anche quando il rapporto tra competenze viene affrontato e risolto in termini di (occasionale) incontro, l’incapacità di dialogo tra saperi diviene massimamente evidente, non fosse altro che per la mancanza di linguaggio comune, oltre che per una strisciante pregiudiziale diffidenza reciproca, propria di contesti iper-specialistici, del tutto inadeguati (e impreparati) ad confronto costruttivo: non si inventa capacità dialogica se non sussiste un sostrato comune di fiducia, esperienza e sperimentazione, che può derivare solo da una innovativa azione di formazione dell’Amministrazione pubblica.

È in questo contesto che è di certo organizzativo-funzionale, ma ancor prima culturale, che si agita anche il tema delle stazioni appaltanti e della centralizzazione delle committenze[8].

2. Le dimensioni del fenomeno degli appalti pubblici e la direttiva dell’Unione Europea n. 24/2014

Secondo recenti dati dell’Unione Europea e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, gli appalti pubblici rappresentano circa il 14% del PIL dell’Unione e l’11% di quello italiano, con un valore complessivo pari a circa 1.900 miliardi di euro ad anno.

Entrambe le percentuali richiamate sono evidentemente destinate ad un ulteriore, notevole incremento a seguito degli investimenti pubblici determinati dalla programmazione del PNRR conseguente alla pandemia da Covid-19.

In Italia operano circa 36.000 stazioni appaltanti, un numero decisamente esorbitante di soggetti che espletano gare pubbliche per l’aggiudicazione di appalti, a prescindere dalla loro qualificazione[9].

La ragione di questa così elevata quantità di operatori non risiede esclusivamente nell’alto numero di amministrazioni pubbliche presenti nell’ordinamento. Invero, nonostante la rigidità di molte procedure concorsuali previste dal legislatore, il cui espletamento presenta scarsi o nulli margini di esercizio di discrezionalità, permane il diffuso convincimento, da parte dei responsabili di molte amministrazioni, che la gestione delle gare di aggiudicazione di contratti implichi comunque la gestione di un potere di non poco conto: da qui la propensione, specialmente negli enti territoriali ma non solo in quelli, ad una sorta di loro irrinunciabilità.

D’altronde, il convincimento fa fondamento su una realtà innegabile dagli effetti poco controllabili: l’innalzamento continuo delle soglie di affidamento diretto di contratti pubblici, senza gara, ormai fissate al di sotto dei 139.000 euro (almeno sino al giugno 2023, ai sensi del d.l. n. 77/2021, conv. nella l. n. 108/2021) per i servizi e le forniture e di un milione di euro (sempre fino alla stessa data ex d.l. n. 77/2021 cit.) per i lavori; di certo una condizione di grandissimo favor per l’accelerazione dei tempi di affidamento dei contratti, ma anche di oggettivo abbassamento delle garanzie di par condicio fra i possibili competitor. Fenomeno tanto più rilevante se si tiene conto del dato che la massa dei contratti al di sotto delle indicate soglie costituisce, dal punto di vista quantitativo delle procedure, non della somma globale dei relativi importi, la maggior parte degli affidamenti operati dalle Amministrazioni pubbliche in Italia[10].

È su questi elementi che si rende oltremodo evidente come il tema della centralizzazione della committenza acquisti davvero un rilievo decisivo[11] e non solo nel nostro Paese[12].

Il problema, notoriamente, non è recente. Sin dal 26 febbraio 2014, la Direttiva 24/2014/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, in tema di appalti pubblici, al Considerando n. 59 segnalava che «nei mercati degli appalti pubblici dell’Unione si registra una forte tendenza all’aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici, al fine di ottenere economie di scala, ad esempio prezzi e costi delle transazioni più bassi nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti. Questo obiettivo può essere raggiunto concentrando gli acquisti in termini di numero di amministrazioni aggiudicatrici coinvolte, oppure in termini di fatturato e di valore nel tempo. Tuttavia, l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e la possibilità di accesso al mercato per le piccole e medie imprese»[13].

I “considerando”, come noto, esprimono, motivandole, le finalità dei successivi articolati che, nel caso di specie, si rinvengono nei successivi artt. da 37 a 39 della stessa Direttiva.

Ivi si dispone che gli Stati membri della UE possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici acquistino forniture e/o servizi da una centrale di committenza, un soggetto appaltante che gestisce gare d’appalto per conto di più pubbliche amministrazioni. Gli Stati possono altresì prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici acquistino anche lavori, mediante contratti aggiudicati da una centrale di committenza, previa stipula di accordi quadro.

In entrambe le ipotesi, le procedure di aggiudicazione degli appalti sono effettuate mediante l’uso di mezzi di comunicazione elettronici e l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a rispettare i propri obblighi, permanendo responsabile dell’adempimento degli oneri a suo carico.

Possono essere disciplinati anche appalti congiunti occasionali tra amministrazioni aggiudicatrici. In quel caso, queste ultime sono congiuntamente responsabili dell’adempimento degli obblighi derivanti dalla stessa direttiva.

Nel caso invece di una procedura effettuata congiuntamente solo in misura parziale, le amministrazioni sono solidalmente responsabili solo per le parti congiunte.

Anche amministrazioni aggiudicatrici di differenti Stati membri possono agire congiuntamente nell’aggiudicazione di appalti pubblici[14].

3. La disciplina statale vigente e le Linee Guida ANAC n. 141 del 2022: problematiche e soluzioni

Sulla base dei disposti di cui alla Direttiva 24/2014/UE, la legge delega n. 11/2016, attuativa delle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, affidava al Governo italiano il compito di emanare un decreto legislativo per il riordino della complessiva disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi.

Nella prospettiva indicata, la legge delega n. 11/2016 ha però ampliato il raggio operativo tracciato dalla Direttiva, in particolare estendendolo alla razionalizzazione delle procedure di spesa, alla riorganizzazione delle funzioni delle stazioni appaltanti (con particolare riferimento alle fasi di programmazione e controllo)[15] e all’introduzione di un apposito sistema, gestito dall’ANAC, di qualificazione delle stazioni appaltanti[16], teso a valutarne l’effettiva capacità tecnica e organizzativa, sulla base di parametri obiettivi.

Veniva altresì disposta la previsione della revisione e dell’efficientamento delle procedure di appalto, degli accordi quadro, delle convenzioni e di tutte le procedure utilizzabili sia dalla società CONSIP Spa[17], sia dai soggetti aggregatori, sia dalle centrali di committenza, al fine di migliorare la qualità degli approvvigionamenti e di ridurre i costi e i tempi di espletamento delle gare.

Per favorire l’effettiva partecipazione di micro, piccole e medie imprese, la disciplina ha così previsto che la successiva normativa attuativa della delega avrebbe dovuto promuovere un sistema di reti di committenza volto a determinare un più ampio ricorso alle gare e agli affidamenti di tipo telematico.

Veniva altresì previsto che il Governo procedesse ad individuare adeguate forme di centralizzazione delle committenze e di riduzione del numero delle stazioni appaltanti sulla base del sistema di qualificazione, con possibilità di gestire contratti di maggiore complessità a seconda del grado di qualificazione conseguito. Inoltre, veniva salvaguardata l’esigenza di garantire la suddivisione dell’appalto in lotti nel rispetto della normativa dell’Unione europea, ed era fatto salvo l’obbligo, per i comuni non capoluogo di provincia, di ricorrere a forme di aggregazione o centralizzazione delle committenze, sia a livello di unione dei comuni, ove esistenti, sia ricorrendo ad altro soggetto aggregatore secondo la normativa vigente[18], garantendo altresì la tutela dei diritti delle minoranze linguistiche quale prevista dalla Costituzione e dalle disposizioni vigenti.

Come è dato intendere, un programma decisamente ampio e ambizioso al quale si è messo mano con l’approvazione del successivo (ora vigente) Codice dei contratti approvato con d.lgs. n. 50/2016[19], in particolare con le disposizioni di cui agli artt. 37 – 43[20].

Il Codice dei contratti legittima le stazioni appaltanti ad acquisire lavori, forniture o servizi mediante impiego di una centrale di committenza qualificata[21].

Queste ultime sono abilitate a:

a) aggiudicare appalti, stipulare ed eseguire i contratti per conto delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori;

b) stipulare accordi quadro ai quali le stazioni appaltanti qualificate possono ricorrere per l’aggiudicazione dei propri appalti;

c) gestire sistemi dinamici di acquisizione e mercati elettronici.

Le centrali di committenza qualificate possono svolgere anche attività di committenza ausiliarie in favore di altre centrali di committenza o per una o più stazioni appaltanti in relazione ai requisiti di qualificazione posseduti e agli ambiti territoriali di riferimento[22].

La stazione appaltante, nell’ambito delle procedure gestite dalla centrale di committenza di cui fa parte, è responsabile per le attività ad essa direttamente imputabili.

In ossequio alla disciplina europea, le stazioni appaltanti possono ricorrere ad una centrale di committenza ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea per le attività di centralizzazione delle committenze svolte nella forma di acquisizione centralizzata di forniture e/o servizi a stazioni appaltanti.

Una delle più interessanti novità del Codice, come noto, è stata l’istituzione, presso l’ANAC, di un apposito elenco di stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza.

La relativa qualificazione è conseguita in rapporto ai bacini territoriali, alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d’importo.

Sono iscritti di diritto nell’elenco di cui al primo periodo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.a., Difesa servizi S.p.A., nonché i soggetti aggregatori regionali. Anche la società Sport e salute Spa è qualificata di diritto centrale di committenza e può svolgere attività di centralizzazione delle committenze per conto delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatari operanti nel settore sportivo.

Da ultimo, con la delibera n. 141 del 30 marzo 2022, l’ANAC ha approvato le Linee guida recanti attuazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza da porre alla base del sistema di qualificazione che sarà reso operativo al momento della entrata in vigore della prossima riforma della disciplina del codice contratti pubblici (ormai, come si illustrerà, in avanzato stato di completamento).

Secondo le Linee guida ANAC, l’attuale numero di stazioni appaltanti sarà notevolmente ridotto e solo quelle con le qualifiche necessarie e le capacità di contrattazione adeguate potranno gestire appalti pubblici.

La riqualificazione delle stazioni appaltanti è di certo un passaggio fondamentale per qualificare la spesa pubblica in Italia: “comprerà” solo chi è in grado di condurre correttamente la fase di affidamento e spuntare prezzi migliori; eseguirà il contratto solo chi dispone delle professionalità e delle competenze per farlo.

4. Le esigenze di una nuova riforma e i processi normativi in itinere. Lo Schema preliminare elaborato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, consegnato al Governo il 20 ottobre 2022

Non sono poche le attese che connotano l’auspicata riforma che in tema di stazioni appaltanti possono così essere sintetizzate:

– riduzione del numero delle stazioni appaltanti, con particolare riferimento agli enti locali;

– rafforzamento e qualificazione delle stesse, arginando deficit organizzativi e di professionalità dovuti all’eccessiva frammentazione;

– applicazione di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione, realizzando anche un accorpamento della domanda (importanza del raccordo programmazione-spesa negli enti pubblici);

– istituzione dell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti, inserite secondo il livello di qualifica in possesso e la loro comprovata capacità di acquisire beni, servizi e lavori, oltre che sulla base delle strutture organizzative stabili per l’acquisto, del personale munito di specifiche competenze, del numero di gare svolte nell’ultimo quinquennio.

I vantaggi in termini di economie di scala e di scopo derivabili da acquisti in comune non sono di poco rilievo e ciò sia per le stazioni appaltanti, che vedrebbero ridurre il numero di procedure da avviare, sia per gli operatori economici, che potrebbero partecipare ad un numero ridotto di procedure, eventualmente con più lotti, così riducendo i costi amministrativi delle gare.

Con la l. n. 78/2022, è stata affidata delega al Governo di procedere alla redazione di un nuovo Codice dei contratti, nel quadro delle riforme previste (imposte) dal PNRR. Una Commissione speciale del Consiglio di Stato ha provveduto a completare, in data 20 ottobre 2022, la stesura dello Schema preliminare del nuovo testo, inviandolo al Governo affinché possa provvedere alla sua approvazione entro il termine previsto del 30 marzo 2023.

Come noto, la legge delega prevede tra l’altro il “ritorno” all’adozione anche di un regolamento esecutivo, scelta magari opportuna nei suoi intenti anche nel rispetto dei principi di gerarchia delle fonti, in ogni caso diametralmente opposta a quella operata dal d.lgs. n. 50/2016, con i suoi rinvii a modelli c.d. di soft-law, costituiti dalle direttive ANAC. I numerosi arresti del Giudice amministrativo inclini a non riconoscere valore regolamentare alle direttive in questione hanno (opportunamente) finito con l’esercitare il suo peso al riguardo[23].

Invero, la scelta di procedere alla redazione di un nuovo codice non è immune da considerazioni critiche che investono innanzitutto l’efficacia della tendenza ad una continua riforma delle disposizioni legislative in materia di appalti, che non consente il consolidamento di interpretazioni e di applicazioni degli istituti e dei meccanismi previsti, impedendo al mercato e alla stessa Amministrazione di pervenire ad un adeguato grado di certezza e di affidabilità, frutto proprio della sola continuità. Fatto sta che le determinazioni UE hanno finito con l’imporre la scelta. Altrettanto discutibile appare l’opzione di affidare la stesura dello Schema preliminare del nuovo Codice ad una speciale Commissione del Consiglio di Stato (integrata da poche competenze esterne, comunque di stampo per lo più giuridico), per almeno due ragioni: la prima, che il Consiglio di Stato è organo deputato ad emettere parere sullo stesso testo una volta varato dal Governo; la seconda, che l’approccio professionale tipico dei magistrati amministrativi, al di là della loro autorevolezza e qualità, non può che risultare di tipo parcellare frutto di una visione squisitamente patologica del contesto, aduso a risolvere specifiche questioni di legittimità più che dar vita ad un corpus di norme volte al conseguimento di un sistema efficace pur sempre nel contesto della legalità. Sarebbe stata opportuna la presenza consistente di altrettanto autorevoli voci portatrici di ulteriori competenze ed esperienze di natura organizzativo-amministrativa, di tipo economico, di tipo gestionale. Nulla di tutto ciò ha avuto luogo: la pervadente presenza di competenze giuridiche per lo più di tipo giudiziario ha ancora una volta marcato la gestazione.

Non vi è dubbio che la prima lettura del testo inviato al Governo evidenzi innanzitutto un significativo sforzo di utilizzo di un linguaggio, più semplice, più diretto, fattore di non poco momento in una disciplina tanto tecnica, connotata da inevitabili problematiche di tipo ermeneutico.

Lo sforzo innovativo va naturalmente anche oltre, essendo dato riscontrare un evidente tentativo di pervenire a innovative soluzioni in ordine a meccanismi procedimentali nel passato risultati inadeguati, comunque fonti di rallentamento e incertezza.

Su tutto, ciò che suscita apprezzamento è l’incipit del nuovo (possibile) Codice, il Titolo Primo che sancisce i principi ispiratori dell’applicazione del testo e il loro contenuto, offrendo agli interpreti, parametri di riferimento ermeneutico nell’applicazione delle disposizioni normative allorché approvate: dal Principio di risultato (art. 1), al Principio della fiducia (art. 2), al Principio dell’accesso al mercato (art. 3), al Criterio interpretativo e applicativo (art. 4), ai Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento (art. 5), ai Principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale con i rapporti con gli enti del terzo settore (art. 6), al Principio di auto-organizzazione amministrativa (art. 7), al Principio di autonomia negoziale e di divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito (art. 8), al Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9), ai Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione (art. 10), ai Principi di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore (art. 11).

Su tutti, dunque, il Principio di risultato[24] che, sulla evidente onda delle spinte dottrinali e di taluni arresti giurisprudenziali che si registrano da anni in tema di amministrazione di risultato[25], informa di sé l’intero testo normativo.

Gli artt. 62 – 64 dello Schema disciplinano le Stazioni appaltanti, le loro aggregazioni e la centralizzazione delle committenze.

Anche in questo caso, si evidenzia un criterio di ordine generale, ossia che, al di sotto delle soglie europee per gli affidamenti diretti, tutte le stazioni appaltanti, nel rispetto delle disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere all’acquisizione di forniture, servizi e lavori, sia direttamente e autonomamente, sia attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate e dai soggetti aggregatori.

Per effettuare le procedure di importo superiore alle soglie, invece, le stazioni appaltanti devono essere appositamente qualificate secondo le disposizioni previste dallo stesso testo o quelle alle quali esso fa rinvio. Le stazioni qualificate risultano investite di una molteplicità di compiti, abilitate ad effettuare, in funzione dei livelli di qualificazione posseduti, gare di importo superiore alle soglie di affidamento diretto, così come ad acquisire lavori, servizi e forniture avvalendosi di una centrale di committenza qualificata. Possono altresì svolgere attività di committenza ausiliaria in favore di altre centrali di committenza o per una o più stazioni appaltanti senza vincolo territoriale, così come possono dar vita a procedure di appalto congiunto, obbligandosi, nel caso, a rispondere in solido di tutti i relativi adempimenti, salvo si tratti di congiungimento parziale.

Le stazioni qualificate possono procedere mediante utilizzo autonomo di strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione secondo la normativa vigente dalle centrali di committenza qualificate e procedere all’effettuazione di ordini su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle stesse centrali anche per importi superiori ai livelli di qualificazione posseduti, con preliminare preferenza per il territorio regionale di riferimento. Laddove il bene o il servizio non sia disponibile o idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno della stazione appaltante, oppure per ragioni di convenienza economica, la stazione appaltante qualificata può agire, previa motivazione, senza limiti territoriali.

Le stazioni appaltanti non qualificate, per importi superiori all’affidamento diretto, sono abilitate all’acquisizione di forniture, servizi e lavori o per attività di committenza ausiliarie, solo mediante ricorso a centrali di committenza qualificate.

Gli affidamenti di servizi e forniture di valore inferiore alla soglia europea e quelli di lavori di manutenzione ordinaria d’importo inferiore a un milione di euro sono realizzati mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente.

Le stazioni non qualificate possono effettuare ordini su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate e dai soggetti aggregatori, con preliminare preferenza per il territorio regionale di riferimento. Laddove il bene o il servizio non sia disponibile o idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno della stazione appaltante, oppure per ragioni di convenienza economica, la stazione appaltante potrà agire, previa motivazione, senza limiti territoriali.

Anche per l’esecuzione di contratti, se prive di qualificazione al riguardo, ricorrono a una centrale di committenza qualificata o a soggetti aggregatori.

Le centrali di committenza, in relazione ai requisiti di qualificazione posseduti, progettano, aggiudicano e stipulano contratti o accordi quadro per conto delle stazioni appaltanti non qualificate e qualificate, ovvero convenzioni e accordi quadro ai quali le stazioni appaltanti qualificate e non qualificate possono aderire per l’aggiudicazione di propri appalti specifici. Istituiscono e gestiscono sistemi dinamici di acquisizione e mercati elettronici di negoziazione.

Il ricorso alla centrale di committenza qualificata è formalizzato mediante un accordo stipulato secondo la sua natura giuridica. Fermi restando gli obblighi per le amministrazioni tenute all’utilizzo degli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip S.p.a., le centrali di committenza qualificate possono attivare convenzioni cui possono aderire le restanti amministrazioni di cui all’articolo 1 del d.lgs. n. 165/2001, indipendentemente dall’ambito territoriale di collocazione della centrale di committenza qualificata.

Le centrali di committenza qualificate e le stazioni appaltanti qualificate possono svolgere, in relazione ai requisiti di qualificazione posseduti, anche attività di committenza ausiliarie in favore di altre centrali di committenza o per una o più stazioni appaltanti senza vincolo territoriale.

Fermi restando gli obblighi di utilizzo degli strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, nell’individuazione della centrale di committenza, anche ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea, le stazioni appaltanti procedono sulla base del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, dandone adeguata motivazione.

Le stazioni appaltanti possono ricorrere a una centrale di committenza ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea.

L’ANAC assicura la gestione e la pubblicità di un elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte, in una specifica sezione, anche le centrali di committenza, ivi compresi i soggetti aggregatori. Sono iscritti di diritto nell’elenco il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, Consip S.p.a., Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.a., Difesa servizi S.p.A., l’Agenzia del demanio, i soggetti aggregatori di cui all’articolo 9 del d.l. n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 89/2014, Sport e salute Spa.

In sede di prima applicazione le centrali di committenza delle Provincie e delle Città metropolitane sono iscritte con riserva nell’elenco delle centrali di committenza qualificate. Eventuali ulteriori iscrizioni di diritto potranno essere disposte con le modalità di cui all’ultimo periodo del comma successivo.

La qualificazione ha ad oggetto le attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti e riguarda: la capacità di progettazione tecnico-amministrativa delle procedure; la capacità di affidamento e controllo dell’intera procedura; la capacità di verifica sull’esecuzione contrattuale, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.

Le stazioni appaltanti possono rivolgersi a centrali di committenza ubicate in un altro Stato membro dell’Unione europea che svolgono la propria attività in conformità alle disposizioni nazionali dello Stato membro in cui sono ubicate. Le Amministrazioni ed enti di diversi Stati membri possono congiuntamente aggiudicare un appalto pubblico, concludere un accordo quadro o gestire un sistema dinamico di acquisizione tramite accordi.

Se più amministrazioni di diversi Stati membri hanno istituito un soggetto congiunto comprendendo i gruppi europei di cooperazione territoriale di cui al regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio o altri soggetti istituiti in base al diritto dell’Unione, stabiliscono con apposito accordo che alle relative procedure di appalto si applichino, in alternativa le disposizioni nazionali dello Stato membro nel quale il soggetto congiunto ha la sua sede sociale oppure le disposizioni nazionali dello Stato membro in cui il soggetto congiunto esercita le sue attività.

5. Sulla natura giuridica necessariamente pubblica delle Centrali di committenza

Un ulteriore, rilevante profilo riguarda la natura giuridica (pubblica o anche privata) delle centrali di committenza.

L’ordinamento italiano, contrariamente ad altri[26], fa riferimento esclusivo ad enti pubblici o a forme associative di enti locali. Anche a voler ammettere il ricorso ad enti privati, deve trattarsi di organismi interni (in house) esercenti attività limitata al territorio dei comuni fondatori e comunque iscritti negli appositi elenchi dell’ANAC. Non possono costituire centrali di committenza, soggetti che non siano organismi di diritto pubblico.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 4 giugno 2020, C-3/19, ha chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della Direttiva 2004/18/CE. La Corte ha poi rilevato che «Tenuto conto dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, nulla nella direttiva 2004/18 né nei principi ad essa sottesi osta neppure a che gli Stati membri possano adattare i modelli di organizzazione di tali centrali di committenza sulla base delle proprie esigenze e delle circostanze particolari prevalenti in uno Stato membro, prescrivendo a tal fine modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private»[27].

La Corte, ha precisato che «il legislatore italiano, anzitutto incoraggiando il ricorso degli enti locali a centrali di committenza, create secondo modelli organizzativi definiti, poi imponendo ai piccoli enti locali l’obbligo di ricorrere a tali centrali, ha cercato non solo di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche di prevedere uno strumento di controllo delle spese»[28].

Secondo la Corte di Giustizia, dunque, la normativa nazionale «pone i piccoli enti locali al riparo dal rischio di un’intesa tra una centrale di committenza e un’impresa privata che detenga una partecipazione in tale centrale di committenza»[29].

6. Alcune considerazioni conclusive

«Non basta scrivere una norma per avere stazioni appaltanti di qualità: occorre un programma di diffusione delle buone pratiche, con tempi realistici, né illusoriamente immediati, né ipocritamente dilatati»: questa sintetica, efficace riflessione di Luisa Torchia[30] racchiude una verità ineludibile costituita dall’assenza pressoché assoluta di un’efficace azione formativa di personale addetto alle attività proprie di una stazione appaltante o di una centrale di committenza. Persiste l’assenza di un piano strategico che possa gradualmente indurre all’innesto di una nuova cultura della contrattualistica pubblica, premessa di un’organizzazione basata su modelli a competenze multidisciplinari e concorrenti, ma anche muniti di margini di autonomia decisionale, in grado di adattare l’azione alle effettive esigenze dei casi, senza per questo comprometterne l’affidabilità in termini di rispetto della legalità e di efficienza operativa.

Alcuni dati di analisi appaiono, d’altronde, estremamente significativi al riguardo: l’attuale condizione delle Stazioni uniche appaltanti è oggettivamente paradossale sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, se si pensi che oltre il 30% delle gare si svolge ancora in forma cartacea.

Non suscita dubbi che la concentrazione delle stazioni appaltanti sia in grado di produrre vantaggi evidenti e condivisibili: come si è già rilevato, economie di scala e di scopo; qualificazione dei soggetti operanti; possibilità di programmazione della spesa.

La ragione per la quale persiste tuttora riluttanza a procedere nella direzione indicata è stata già indicata: prevale ancora la volontà, da parte di molti soggetti pubblici, di continuare a gestire in proprio la spesa e, nei limiti di quanto consentito dalla legge, le relative modalità attuative perché – è indubitabile – la spesa è un potere, tanto più – come già rilevato – che il fenomeno del continuo innalzamento dei tetti al di sotto dei quali non c’è gara, ma al più un mero confronto su invito, rafforza di certo la tendenza al riguardo.

La criminalità organizzata, per lo più concentrata in alcune aree del Paese, ma ormai diffusa su pressoché l’intero territorio nazionale, non è ignara di ciò e le sue collusioni con il potere politico-amministrativo, specie in sede locale, sono profonde e ramificate.

Vi sono poi altre motivazioni a carattere non patologico che disincentivano il processo di aggregazione delle stazioni appaltanti che laddove realizzato determina la conseguenza dell’incremento degli importi delle gare, in una all’innalzamento dei criteri e dei requisiti di qualificazione delle imprese partecipanti alle stesse: in primis, l’aggregazione degli appalti porta alla difficoltà di accesso alle gare per le piccole e medie imprese che pure costituiscono l’asse portante della imprenditoria nazionale. D’altronde, il nostro ordinamento, al contrario di quello europeo, continua a vedere con un certo sfavore (o comunque con appesantimento degli oneri relativi) sia le forme di avvalimento che del subappalto, ritenute causa, talora, di possibili infiltrazioni da parte della criminalità[31].

Sotto altro profilo, poi, il normatore europeo è fondamentalmente contrario alla parcellizzazione in lotti degli appalti, imponendo al riguardo divieti e vincoli che impediscono di ricorrervi. Anche questo costituisce un ostacolo al sistema delle PMI.

La giurisprudenza amministrativa, consapevole di tanto, si è sforzata di elaborare orientamenti che paiono di notevole interesse, nella prospettiva di far sì che la scelta sulla suddivisione in lotti dell’appalto sia coerente con il complesso di interessi pubblici e privati sussistenti al riguardo, cercando di coniugare l’esigenza di partecipazione delle PMI con il buon uso delle risorse pubbliche e la tutela della concorrenza[32].

Esistono poi ulteriori scollature. Tra esse si segnala, per importanza, il maggior costo di talune gare espletate da centrali di committenza rispetto a quello conseguito in assenza delle stesse[33]. Potrebbe apparire un fenomeno paradossale, eppure accade. Si verifica soprattutto con gli appalti di servizi ove la differenziazione della tipologia di prestazioni richieste può essere notevole tra i soggetti aggiudicatari sì che offerte particolarmente vantaggiose “spuntate” sul piano unitario, in sede di stipula dei successivi contratti possano condurre alla lievitazione anche notevole dei prezzi[34]. Lo stesso problema non si pone per gli appalti di fornitura ove la stazione unica nazionale risponde pienamente alle attese.

Ancora una volta ci si rende conto che occorre implementare la qualificazione professionale di quanti operano nelle procedure di gara di appalto, per quanti si occupano della redazione di bandi, di capitolati e di contratti, la cui stesura richiede specifiche competenze onde evitare notevoli problemi successivi.

Vi è poi un ulteriore profilo sul quale occorre riflettere: il tempo impiegato per la gara si allunga molte volte in modo indeterminato a causa della propensione dell’Amministrazione a sospendere le procedure di gara anche a fronte della mera presentazione di un ricorso, in mancanza di un provvedimento cautelare giudiziario. Questo è un tema rilevante, di diffuso impatto, che produce notevoli ritardi nella gestione delle procedure. Come noto le prescrizioni normative depongono in senso contrario. E non solo a livello di Codice del processo amministrativo, ma anche con le recenti disposizioni in tema di semplificazione dell’azione amministrativa. Vige ormai il principio del divieto assoluto di sospensione della gara in assenza di un provvedimento giudiziario ad hoc e la sua mancata osservanza potrebbe anche configurare forme di responsabilità erariale per omesso esercizio dell’azione amministrativa che conducano a violare i termini di completamento della gara che, come noto, variano a seconda del valore della stessa.

Ad ogni modo, la strada della concentrazione delle Stazioni appaltanti è ormai tracciata, ma per evitare, come accaduto con il D. Lgs. n. 50/2016, che (anche) le disposizioni al riguardodel prossimo codice restino poco più che auspici su carta incapaci di tradursi in misure concretamente operanti si rende necessario dar vita da subito, in collaborazione tra università e scuole di formazione del personale pubblico, ad un vasto e capillare programma formativo che metta in condizione di dare una svolta effettiva all’efficientamento del sistema che, ancor prima che dalle norme, passa da una nuova coscienza e capacità di tenere gare d’appalto, con coraggio e piena consapevolezza, considerando che la trasparenza dell’attività e la motivazione dei provvedimenti costituiscono la vera, inossidabile valvola di garanzia a fronte dell’azione amministrativa esercitata[35].

  1. L. Torchia, Le misure per la qualità e l’innovazione nel Codice dei contratti pubblici, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, Qualità ed efficienza nel nuovo codice dei contratti pubblici. Prospettive e questioni aperte, 83, aprile 2018, p. 15.
  2. Sul tema si rinvia alle belle pagine di G. Comporti, Il coraggio di amministrare, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. II, Editoriale Scientifica, Napoli, pp. 1101 ss.
  3. Scrive G. Comporti, op. loc. cit., p. 1166: «la pavidità burocratica dipende dalla mancata percezione del fatto che compito specifico di chi lavora nelle amministrazioni pubbliche non è osservare i vincoli, ovvero arrivare a fine giornata senza incorrere in una casella nera del gioco dell’oca delle responsabilità, ma trovare la via per risolvere in tempi utili ed in modi ragionevoli i bisogni concreti ed effettivi delle persone esplorando l’ignoto delle possibilità legate alle vicende problematiche che le riguardano». In quella prospettiva, secondo D. De Masi, Lo Stato necessario. Lavoro e pubblico impiego nell’Italia postindustriale, Rizzoli, Milano, 2020, p. 302: «invece di limitarsi a garantire la continuità e a inventare solo i mezzi per raggiungere scopi già assegnati, questi funzionari aiutano a scoprire e definire cosa sarebbe più utile fare, innovando ciò che fanno le organizzazioni pubbliche e come lo fanno». È evidente come poi l’angolo di visuale proposto da De Masi debba fare i conti con il principio di legalità al quale è sottoposta l’intera pubblica amministrazione.
  4. C. Panetta, La qualificazione delle stazioni appaltanti, in www.giustamm.it, 2016, rileva che al fine di gestire adeguatamente procedure di acquisto per conto di pubbliche amministrazioni si rendono necessarie molteplici professionalità, allo stato non presenti negli organici di queste ultime. Si tratta, oltre alla competenza giuridica, di quella economico-gestionale, tecnico-merceologica, di pianificazione della spesa.
    Appare evidente come il tema della composizione organica delle stazioni appaltanti sia da affrontare a monte, nella definizione dei loro stessi organigrammi o comunque nella definizione di relazioni non occasionali di collaborazione con uffici muniti di ulteriori competenze necessarie, specialmente di natura tecnica. Si pone poi un tema di raccordo tra programmazione e gestione della spesa, dal momento che i rispettivi ambiti di competenza dovrebbero sempre confluire in un’unica struttura articolata in modo che, salvo i casi di emergenza, tutta la spesa passi sempre attraverso la lente degli uffici di programmazione, nel cui contesto dovrebbero potersi rinvenire professionalità in grado di conoscere bene i prodotti prevalentemente acquistati sul mercato e le vicende di quest’ultimo.
  5. Sul rapporto tra profilo organizzativo e funzionale, R. Marrama, I principi regolatori della funzione di organizzazione pubblica, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1998, pp. 397 ss.; inoltre, M.R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M. Renna e F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano 2012, pp. 117 ss. Dello stesso Autore, Profili di organizzazione della p.a. in cinquanta anni di giurisprudenza della Corte Costituzionale, in G. della Cananea e M. Dugato (a cura di), Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Napoli, 2006, pp. 163 ss.
  6. Sia consentito il rinvio a M.R. Spasiano, Il diritto amministrativo nell’era della trans-disciplinarità, in Riv. Dir. e Soc., 4, 2021, pp. 657ss.
  7. Un esempio paradigmatico è costituito dalla frequente perdita di cospicui finanziamenti europei da parte dell’Italia, condizione che si ripeta soprattutto a causa della bocciatura di progetti dovuta alla loro incompletezza per carenza di elementi di carattere finanziario, economico, amministrativo, gestionale e così via, nonostante che da tempo ormai la nozione di “progetto” sia profondamente mutata nelle norme, ma non nella capacità di integrazione di competenze da parte di tecnici e giuristi.
  8. Un’attenta analisi del fenomeno della centralizzazione è in G. Fidone e F. Mataluni, L’aggregazione dei soggetti aggiudicatori di contratti pubblici fra ragioni di integrità, specializzazione e riduzione della spesa, in Foro Amm., 11, 2014, pp. 2995 ss.; W. Gasparri, L’evoluzione della disciplina per la concentrazione della domanda di beni e servizi nell’amministrazione pubblica, in D. Sorace (a cura di), Amministrazione pubblica dei contratti, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013.
  9. Sulla esigenza di centralizzazione, cfr. S. D’Ancona, L’accentramento delle funzioni e dei poteri amministrativi: il caso della progettazione delle opere pubbliche, in Riv. Il dir. dell’econ., 1, 2020, pp. 1123 ss.
  10. Nonostante quanto sin qui evidenziato, l’assoluta opportunità di aggregazione della domanda pubblica di beni è sostenuta da A. Zito e M. Immordino, Aggregazione e centralizzazione della domanda pubblica di beni: stato dell’arte e proposte di migliorie al sistema vigente, in Riv. Nuove Autonomie, 2, 2018, pp. 223 ss. In una prospettiva anche comparatistica, G. Racca, La Corte di Giustizia e le scelte nazionali per una efficiente e trasparente aggregazione dei contratti pubblici: una sfida per l’evoluzione digitale della funzione appalti nazionale, regionale e locale, in Riv. It. dir. pubbl. comunit., 2, 2021; M.E. Comba, Aggregazioni di committenza e centrali di committenza: la disciplina europea e il modello italiano, in Riv. Urban. e App., 2016, pp. 1053 ss. Inoltre, L. Fiorentino, Le centrali di committenza e la qualificazione delle stazioni appaltanti, in Giorn. dir. amm., 4, 2016.
  11. In riferimento alla centralizzazione della committenza, con l’interessante sentenza n. 1 del 2021, il T.A.R. Campania, Salerno, ha provato a fare chiarezza su una serie di aspetti, a tal fine prendendo le mosse dalla definizione riguardanti la centrale di committenza fornita dal Codice dei contratti pubblici.
    L’art. 3, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 50/2016 definisce centrale di committenza «un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore che forniscono attività di centralizzazione delle committenze e, se del caso, attività di committenza ausiliarie».
    Per parlare di “centrale di committenza” è quindi indispensabile rivestire il ruolo di amministrazione aggiudicatrice o di ente aggiudicatario; devono inoltre essere fornite attività di centralizzazione delle committenze ed eventualmente attività di committenza ausiliaria, intese queste ultime come attività di supporto alla preparazione o alla gestione delle procedure di gara.
    I giudici hanno poi fornito importanti chiarimenti circa l’affidamento diretto delle attività di committenza ausiliarie a una centrale di committenza. Occorre premettere che l’art. 3, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 50/2016 definisce le «attività di committenza ausiliarie» come «le attività che consistono nella prestazione di supporto alle attività di committenza, in particolare nelle forme seguenti: 1) infrastrutture tecniche che consentano alle stazioni appaltanti di aggiudicare appalti pubblici o di concludere accordi quadro per lavori, forniture o servizi; 2) consulenza sullo svolgimento o sulla progettazione delle procedure di appalto; 3) preparazione delle procedure di appalto in nome e per conto della stazione appaltante interessata; 4) gestione delle procedure di appalto in nome e per conto della stazione appaltante interessata».
    I Giudici di Salerno hanno affermato che una stazione appaltante può affidare quelle attività in maniera diretta, prescindendo quindi dalle procedure previste dal d.lgs. n. 50/2016, solo a una centrale di committenza e unitamente a un’attività di centralizzazione delle committenze. Quindi l’affidamento diretto delle attività di committenza ausiliarie a una centrale di committenza è possibile solo laddove la centrale di committenza già presti a favore della stazione appaltante un’attività di centralizzazione delle committenze e in relazione alla stessa. Questa soluzione rinviene riscontro, a livello europeo, nella Direttiva 2014/24/UE, art. 37, paragrafo 4. Le norme europee, infatti, avallano la suddetta interpretazione, attribuendo alle stazioni appaltanti la facoltà di affidare in maniera diretta, alle centrali di committenza, le attività di centralizzazione delle committenze e le attività di committenza ausiliarie, sottratte pertanto alle regole della competizione qualora affidate e prestate congiuntamente alle prime. Le medesime attività di committenza ausiliare, qualora non siano svolte “da una centrale di committenza in collegamento con la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze”, devono invece essere affidate con procedura competitiva. In tal caso, le attività di cui all’art. 3, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 50/2016 si configurano come un ulteriore ausilio prestato in favore della stazione appaltante, volto a completare l’assistenza già fornita in relazione alle fasi prodromiche di progettazione della procedura e del contratto, nonché di preparazione della documentazione di gara.
  12. La centralizzazione della committenza è un fenomeno risalente in alcuni Paesi. In Gran Bretagna, le centrali di committenza operano dagli anni Settanta dello scorso secolo. Un apposito studio comparativo dell’OCSE, risalente al 2011, è costituito da O.E.C.D., Centralised Purchasinig Systems in the European Union, SIGMA Papers, n. 47, Paris.
  13. Sulle forme di aggregazione nella direttiva 24/2014/UE, cfr. E. Contento e L. Donato, Dove portano le nuove direttive europee, in Quaderni di Ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, 80, febbraio 2016, p. 105. Inoltre, R. Cavallo Perin, relazione al Convegno Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione. La strategia di aggregazione e cooperazione europea nelle nuove direttive, Roma 14 maggio 2014, in www.giustizia-amministrativa.it.
  14. P. Chirulli, Qualificazione delle stazioni appaltanti e centralizzazione delle committenze, in, Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, Qualità ed efficienza nel nuovo codice dei contratti pubblici. Prospettive e questioni aperte, 83, aprile 2018, p. 24, rileva che l’innalzamento del livello qualitativo delle commesse pubbliche costituisce di certo uno dei principali obiettivi della Direttiva n. 24/2014/UE ove l’aspetto della specializzazione delle stazioni appaltanti, pur non trattato direttamente, ne è un chiaro presupposto e una condizione di effettiva attuazione. «Le direttive – osserva P. Chirulli – presuppongono stazioni appaltanti competenti che siano capaci (…) non soltanto di confezionare e seguire procedure che garantiscano un confronto concorrenziale effettivo e paritario, ma che debbono essere in grado di fare dell’attività di affidamento degli appalti pubblici, anche e soprattutto un’occasione di innovazione, di sperimentazione e di innalzamento della qualità complessiva della domanda e dell’offerta».
    È di certo da condividere che l’aggregazione della domanda comportando un più ampio volume dell’oggetto dell’appalto da cui può derivare la riduzione del prezzo dei beni e dei servizi da acquistare, in una al miglioramento dell’efficienza conseguente alla diminuzione del numero delle stazioni appaltanti, ma è non meno vero che l’aggregazione della domanda può determinare eccessiva concentrazione del potere di acquisto, con l’implicazione di un forte incentivo alla stabilizzazione di cartelli, accordi collusivi e altre forme fraudolente di spartizione del mercato. Su questi specifici profili, cfr. L. Fiorentino, Le centrali di committenza e la qualificazione delle stazioni appaltanti, in Giorn, dir. amm. 2016, pp. 4 ss.; G.L. Albano, A Cipollone, M. Sparro, Divisione in lotti, partecipazione e competizione nelle gare d’appalto, in Uffico Studi CONSIP s.p.a., Quaderno n. 2/2016, su www.consip.it.
  15. P. Chirulli, op. cit., p. 25, rileva che nel codice di cui al d. lgs. n. 50 del 2016 emerge «l’idea che la stazione appaltante innanzitutto debba programmare e progettare, ossia individuare preventivamente, le proprie esigenze calibrando su di esse la singola procedura di gara».
    Accade invece sovente che l’effettuazione della spesa, soprattutto negli ambiti delle forniture e dei servizi, sia una risposta ad emergenze calate da altri uffici su quello competente a gare e contratti, senza alcuna considerazione della programmazione di spesa che, peraltro, sarebbe la prima vera fonte di risparmio.
  16. Sulla qualificazione della stazione appaltante nel periodo transitorio, T.A.R. Lombardia, Brescia, sentenza del 21 marzo 2019, n. 266.
  17. Sul rapporto tra Consip e centrali di committenza regionale, cfr. (Redazione), Sanità: la gara Consip non prevale sulla gara della centrale di committenza regionale, in sentenzeappalti.it, 2021, con ampi richiami giurisprudenziali. In particolare, cfr. Cons. St., Sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1329. Sulla mancata adesione alla convenzione Consip ai fini dell’espletamento di una autonoma procedura, cfr. Cons. St., Sez. V, 28 marzo 2018, n. 1937.
  18. Sulla gara aggregata e sulle conseguenze processuali della scelta, cfr. Cons. St., Ad. Plen. 18 maggio 2018, n. 8.
  19. P. Chirulli, Qualificazione delle stazioni appaltanti e centralizzazione delle committenze, op. cit., p. 23, osserva che il codice «da una parte valorizza e rende in molti casi necessario il ricorso alle centrali di committenza, disciplinandone le diverse modalità di utilizzazione, dall’altra condiziona la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di svolgere in modo autonomo il ruolo di stazione appaltante al conseguimento di una necessaria preliminare qualificazione, salvo il periodo di moratoria previsto in via transitoria». Invero quella transitorietà non ha sinora visto la fine.
  20. M. Macchia, Art. 38 – Qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza, in G.M. Esposito (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Utet Giuridica, Milano, 2017, rileva che gli obiettivi del legislatore con il d.P.R. n. 50 del 2016 sono tre: il primo è costituito dalla tutela della concorrenza Al riguardo, la frammentazione delle stazioni appaltanti determina la dispersione della domanda di contratti pubblici che tende a favorire gli operatori già presenti sul mercato a discapito di nuove imprese. Il secondo riguarda la professionalizzazione delle stazioni appaltanti, con un corpo di dipendenti specializzato. Il terzo è il contenimento della spesa pubblica. Su quest’ultimo profilo, si rinvia a B.G. Mattarella, La centralizzazione delle committenze, in Giorn. Dir. amm., 5, 2016, pp. 613 ss.
  21. L. Donato (a cura di), La riforma delle stazioni appaltanti. Ricerca della qualità e disciplina europea, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, 80, febbraio 2016. Inoltre, M. De Benedetti, I soggetti aggiudicatori: nuovo modello organizzativo nella pubblica amministrazione italiana, in Amministrazione in cammino, 2017, pp. 2 ss.; S. Martino, Art. 37 Aggregazione e centralizzazione delle committenze, in R. Garofoli e G.Ferrari (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Neldiritto Editore, Roma – Molfetta, 2017, pp. 764 ss.
  22. Una interessante novità emergente dal Codice del 2016 è il superamento della coincidenza del concetto di amministrazione aggiudicatrice con quello di stazione appaltante. Solo chi è in grado di svolgere quest’ultima funzione, in quanto qualificato, può svolgere le procedure di aggiudicazione, altrimenti si avvarrà delle modalità sostitutive previste. Sui profili organizzativi relativi alle procedure di affidamento, si rinvia a G. Marchianò, La regolamentazione nella domanda pubblica alla luce della legge delega di recepimento delle nuove direttive: il ruolo dell’Amministrazione, in Riv. ital. dir. pubbl. com. 2016, pp. 1 ss.
  23. Sul tema cfr. R. de Nictolis, Il nuovo Codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 5, 2016, pp. 507 ss.
  24. Sia consentito, da ultimo, il rinvio a M.R. Spasiano, Nuove riflessioni in tema di amministrazione di risultato, in Scritti per Franco G. Scoca, vol. V, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pp. 4845 ss.; dello stesso A., Funzione amministrativa e legalità di risultato, Giappichelli, Napoli, 2003. Inoltre, F.G. Scoca, voce Attività amministrativa, in Enc. del Dir. (VI agg.), Giuffrè Milano 2002, p. 10; M. Immordino e A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati. Atti del Convegno Palermo, 27-28 febbraio 2003, Giappichelli, Torino 2004. In giurisprudenza si rinvia in particolare a Cons. St., Sez. VI, 3 dicembre 2008, n. 5938 e T.A.R. Campania, Napoli (sezione V), sentenza del 1° luglio 2006, n. 7428.
  25. Così dispone l’art. 1 dello Schema preliminare di Codice, intitolato Principio del risultato, predisposto dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato: «1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
    2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità.
    3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.
    4. Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per:
    a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;

    b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva».
  26. Sulla possibilità di forme di partenariato pubblico – privato, cfr. M.G. Racca, Le centrali di committenza nelle nuove strategie di aggiudicazione dei contratti pubblici, in Italiadecide – Rapporto 2015, Semplificare è possibile: come le pubbliche amministrazioni potrebbero fare pace con le imprese, 2015, pp. 496 ss. Sulla natura giuridica delle centrali di committenza, C. Acocella, Art. 33, in L. R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, Ipsoa, Milanofiori Assago, 2013, pp. 475 ss.
  27. Corte giust., sentenza 4 giugno 2020, C-3/19, Asmel, ECLI:EU:C:2020:423, p.to 61.
  28. Ibid, p.to 62.
  29. Ibid, p.to 66. Appare interessante, al riguardo, la recente sentenza 6 dicembre 2021, n. 8072, con la quale il Consiglio di Stato ha ritenuto che non possa essere qualificata «centrale di committenza» o «soggetto aggregatore», un soggetto non corrispondente ai tipi legali previsti dall’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, 163 per l’unione di comuni e l’accordo consortile, escludendone altresì la qualificazione di «organismo di diritto pubblico».
    I giudici di appello hanno rilevato che con la sentenza del 4 giugno 2020, C-3/19, la Corte di Giustizia ha chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della Direttiva 2004/18/CE. Sulla natura giuridica degli accordi con la centrale unica di committenza, cfr. la determinazione ANAC n. 3 del 25 febbraio 2015. Sul punto, A. Zito e M. Immordino, Aggregazione e centralizzazione della domanda pubblica di beni: stato dell’arte e proposte di migliorie al sistema vigente, op. cit., p. 230.
  30. L. Torchia, Le misure per la qualità e l’innovazione nel Codice dei contratti pubblici, op. loc. cit.
  31. Sulle cause di infiltrazione della criminalità organizzata nella rete degli appalti, si rinvia a R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, Giappichelli, Torino, 2020.
  32. Sul tema, di particolare interesse, cfr. Cons. St., Sez. V, 6 marzo 2017, n. 1038: secondo il massimo organo di giustizia amministrativa, il requisito di fatturato costituisce una conseguenza della dimensione del lotto territoriale. Come qualsiasi scelta della pubblica amministrazione anche la suddivisione in lotti di un contratto pubblico si presta ad essere sindacata in sede giurisdizionale amministrativa. Una limitata partecipazione di operatori economici non risponde agli obiettivi della stessa centralizzazione della domanda pubblica attraverso convenzioni nazionali cui le amministrazioni sono tenute ad aderire, e cioè di risparmio di costi per queste ultime (come da ultimo ribadito dal più volte citato art. 9 d.l. n. 66/2014). In senso difforme, T.A.R. Lazio, Roma (sezione II), sentenza del 27 settembre 2016, n. 9952.
    La sentenza del Consiglio di Stato interviene dunque sul delicato tema del rapporto sussistente tra il fenomeno della centralizzazione della committenza pubblica e il principio del favor partecipationis, oggi declinato con particolare riguardo alle microimprese e a quelle di piccole e medie dimensioni (cfr. l’art. 2, comma 1 bis del d.lgs. n. 163/2006 e gli artt. 3, lett. qq, e 51 del d.lgs. n. 50/2016).
    La questione della suddivisione dei grandi appalti in lotti “funzionali”, idonei a garantire la più ampia partecipazione alla gara, è – ad avviso dei giudici – intimamente connessa con quella relativa al valore del fatturato richiesto ai fini della partecipazione. La necessaria proporzionalità dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi non va pertanto verificata in sé, ma in relazione all’adeguatezza della suddivisione dell’appalto in lotti, che da essa discende, avendosi di mira la finalità euro-unitaria di garantire la più ampia partecipazione delle PMI.
    Una suddivisione in lotti di dimensioni non adeguate risulta irragionevolmente lesiva – oltre che dei nuovi principi euro-unitari in favore delle PMI, non a caso richiamati nel considerando n. 2 della Direttiva 24/2014/UE, anche – dell’interesse «della stessa amministrazione a favorire la più ampia partecipazione di operatori privati al fine di conseguire i maggiori risparmi economici che solo un confronto competitivo ampio può assicurare». Il Consiglio di Stato ha evidenziato come la discrezionalità spettante alla stazione appaltante nella suddivisione di un appalto in lotti “funzionali” non può essere ritenuta in assoluto incensurabile, trattandosi dell’esercizio di un potere amministrativo attribuito dalla legge per il conseguimento di determinate finalità (l’apertura del mercato pubblico alle PMI), il cui raggiungimento l’impugnato bando non aveva affatto garantito.
  33. Sugli acquisti tramite CONSIP, c.d. “acquisti in rete”, L. Minganti, Gli acquisti delle amministrazioni tramite convenzioni quadro: il modello Consip, in Riv trim. app., 4, 2005 (I parte), e 1, 2006 (II parte); inoltre, D. Colaccino, L’approvvigionamento di beni e servizi tra Modello Consip e centrali d’acquisto locali, in L. Fiorentino e B.G. Mattarella (a cura di), L’esternalizzazione delle gestioni amministrative nelle pubbliche amministrazioni, Maggioli Editore, Rimini, 2007, pp. 117 ss. S. Vinti, Gli accordi quadro e i sistemi dinamici di acquisizione, in A. Cancrini, C. Franchini, S. Vinti (a cura di), Codice degli appalti pubblici, Utet Giuridica, Torino 2014, pp. 370 ss.
  34. In tema di obbligo di adesione alla convenzione stipulata dalla centrale unica regionale e di motivazione ai fini della deroga, cfr. Cons. St., Sez. V, 19 giugno 2019, n. 4190.
  35. E. Carloni, ll paradigma trasparenza. Amministrazioni, informazione, democrazia, Il Mulino, Bologna, 2022.

Mario Rosario Spasiano

Full Professor of Administrative law, University of Campania "Luigi Vanvitelli".