La protezione della salute umana attraverso i procedimenti di tutela ambientale: la Valutazione di Impatto sulla Salute

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1/2024

La protezione della salute umana attraverso i procedimenti di tutela ambientale: la Valutazione di Impatto sulla Salute

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La Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS) rappresenta un percorso partecipativo multidisciplinare finalizzato a consentire ai decisori pubblici di acquisire le conoscenze sugli effetti che politiche, piani, programmi e progetti possono avere sulla salute della collettività. Negli ultimi anni, nell’ordinamento italiano, lo strumento ha trovato ripetute applicazioni, con diverse varianti terminologiche, in ambito regionale e comunque ad un livello amministrativo. Sul piano normativo nazionale, invece, l’istituto ha trovato riconoscimento in una serie di recenti novelle al testo unico delle norme di protezione ambientale, con specifico riguardo alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale e attraverso una configurazione che appare distante dal modello internazionale dell’Health Impact Assessment (HIA) e che invece dispiega i suoi effetti lungo due ridotte traiettorie: onerare il privato dell’istruttoria sugli specifici impatti sulla salute; garantire l’amministrazione nella prospettiva che l’istruttoria sulla componente salute, in sede di valutazione di impatto ambientale, sia svolta in un quadro procedimentale definito dalla pubblica amministrazione


Safeguarding human health through environmental protection procedures: the Health Impact Assessment
The Italian Health Impact Assessment (VIS) is a multidisciplinary participatory technique intended to assist public decision-makers in understanding the potential effects of policies, plans, programmes, and initiatives on community health. In recent years, in the Italian legal system, the instrument has found repeated applications, with different terminological variations, in the regional sphere and at an administrative level. At the national regulatory level, the VIS has found recognition in a series of recent amendments to the Consolidated Environmental Protection Act, specifically in environmental impact assessment procedures, through a configuration that appears to be far from the international model of Health Impact Assessment (HIA). The amendments require the private sector to do research on the specific health implications, while ensuring that the health component of the environmental impact assessment is carried out within a procedural framework established by the relevant public administration.
Summary: 1. Il fattore “salute” nei procedimenti di Valutazione e autorizzazione ambientale: il modello dell’Health Impact Assessment (HIA).- 2. L’emersione dei modelli di Valutazione di impatto della salute nell’ordinamento italiano: il precedente della Valutazione del danno sanitario..- 3. Il modello italiano della Valutazione d’impatto sulla salute (VIS) e il difetto di un’autonoma dimensione procedimentale.- 4. L’estensione dell’ambito di applicazione della VIS tra indicazioni giurisprudenziali e suggestioni del legislatore.

1. Il fattore “salute” nei procedimenti di Valutazione e autorizzazione ambientale: il modello dell’Health Impact Assessment (HIA)

L’articolo 191 del TFUE contempla espressamente la “protezione della salute umana” nell’ambito degli obiettivi della politica dell’Unione Europea in materia ambientale. Si tratta un approccio teso a collegare le istanze di tutela della salute a quelle di tutela dell’ambiente, che il diritto euro-unitario coltiva da tempo nel contesto della definizione normativa delle caratteristiche di strumenti e procedure costruite a salvaguardia del bene ambiente.

Il riferimento è, nello specifico, alla direttiva del Consiglio 85/337/CEE del 27 giugno 1985[1] in tema di Valutazione di impatto ambientale (VIA), nella quale, posto che «gli effetti di un progetto sull’ambiente debbono essere valutati per proteggere la salute umana e contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita», si stabilisce che l’autorizzazione di progetti pubblici e privati aventi possibile impatto rilevante vada concessa solo previa valutazione delle probabili ripercussioni sull’ambiente. È il primo passo nella direzione della costruzione di un sistema di procedure di valutazione e autorizzazione ambientale che troverà ulteriore risalto in successivi strumenti normativi: nella Direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, che ha introdotto il modello dell’autorizzazione integrata[2] quale presupposto burocratico necessario per l’esercizio di alcune tipologie di attività produttive che possono produrre danni ambientali significativi; nella direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (VAS) con la finalità di individuare, descrivere e valutare gli effetti significativi che l’attuazione del piano o del programma potrebbe avere sull’ambiente, nonché le ragionevoli alternative.

Per quanto l’istanza di tutela della salute, nella normativa europea, sia rappresentata con maggiore enfasi soltanto in punto di disciplina della valutazione di impatto ambientale, non si può non condividere la comune considerazione secondo cui tutte le procedure amministrative valutative o autorizzatorie in materia ambientale siano funzionali alla tutela della salute[3]. Un’equazione che trae conforto, nel nostro ordinamento, nel tradizionale radicamento della tutela dell’ambiente, nell’impianto costituzionale, nello spazio di protezione offerto dall’art. 32 della Costituzione, nell’ambito di un percorso concettuale che fa perno sulla risalente giurisprudenza della Corte di Cassazione che, a partire dal 1979 e proprio muovendo dalla considerazione della tutela costituzionale della salute in tutte le sue possibili declinazioni, ha riconosciuto l’esistenza nell’ordinamento di un diritto soggettivo all’ambiente salubre[4].

In questi termini, la necessaria considerazione dell’incidenza sulla salute umana di piani, programmi e progetti sottoposti a procedure di valutazione o autorizzazione ambientale può rappresentare un precipitato della «strutturale multidimensionalità del diritto alla salute»[5], nella sua dimensione di «attività di tutela “oggettiva” del bene salute»[6] riguardato nella sua declinazione costituzionale di interesse della collettività.

Si tratta di un approdo che peraltro rintraccia oggi riferimenti precisi[7] nell’impianto normativo offerto dal d.lgs. n. 152 del 2006, a partire dall’art. 5, comma 1, lett. c), laddove descrive gli “impatti ambientali” in termini di «effetti significativi, diretti e indiretti, di un piano, di un programma o di un progetto (…)»” rispetto ad un catalogo di fattori, nel cui ambito si fa prioritario richiamo alla popolazione e alla salute umana. Un catalogo che, peraltro, nel completarsi attraverso il richiamo ad ulteriori fattori (biodiversità, territorio, suolo, acqua, aria e clima; beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio) restituisce rilevanza specifica all’interazione tra gli stessi nella prospettiva della individuazione degli impatti ambientali. Nella medesima prospettiva, ma con specifico riferimento alle finalità della procedura di Valutazione dell’impatto ambientale (VIA) – assume poi rilevo l’art. 4, comma 4, lett. b), del medesimo Testo unico in materia ambientale, nella parte in cui chiarisce l’ambizione dell’istituto nel senso di «proteggere la salute umana» e «contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita».

La traccia ordinamentale che connette intimamente la tutela dell’ambiente alla promozione della salute comporta, di conseguenza, che l’istanza di protezione di quest’ultima trovi specifica e adeguata considerazione nell’ambito dei procedimenti di valutazione ambientale.

Soccorre, in questa prospettiva, l’attenzione che, già da tempo, si è sviluppata, a livello internazionale, per lo strumento della Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS), da intendersi quale percorso partecipativo multidisciplinare finalizzato a consentire ai decisori di acquisire le conoscenze sugli effetti che politiche, piani, programmi e progetti possono avere sulla salute della collettività, con l’obiettivo di maturare decisioni basate su conoscenze consolidate e condivise, nella prospettiva di assicurare tanto il benessere complessivo, individuale e collettivo, quanto la sostenibilità ambientale.

La prima definizione di VIS risale al Gothenburg Consensus Paper, del dicembre 1999, nel cui ambito gli esperti del WHO European Centre for Health Policy (ECHP) definirono gli impatti sulla salute come «gli effetti complessivi, diretti o indiretti, di una politica, di un piano, di un programma o di un progetto sulla salute di una popolazione». In quel documento trova definizione la Health Impact Assessment (HIA) descritta come «combinazione di procedure, metodi e strumenti con i quali si possono stimare gli effetti potenziali sulla salute di una popolazione di una politica, piano o progetto e la distribuzione di tali effetti all’interno della popolazione».

In questi termini, la VIS si propone allora come un processo sistematico che mira a determinare gli effetti potenziali di una politica (come di un piano, di un programma o di un progetto) sulla salute di una popolazione nonché la distribuzione dei riferiti effetti all’interno della popolazione. Per produrre questa stima, la procedura utilizza dati e metodi analitici che recupera nelle relazioni con le diverse istituzioni e amministrazioni, nonché nell’interlocuzione con i portatori degli interessi territorialmente rilevanti.

Alla base dell’implementazione della riferita alla procedura c’è dunque la considerazione secondo cui, posto che piani e programmi possano influenzare a vario titolo la salute di una popolazione, solo per alcuni di questi aspetti l’evidenza delle relazioni è chiara a livello scientifico (come, ad esempio, nel caso degli effetti della qualità dell’aria sulla salute individuale), laddove per altri ben possano mancare specifiche evidenze delle relazioni causali tra ambiente e salute, che richiede autonoma considerazione nell’ambito di una distinta procedura valutativa.

Su queste basi, la Health Impact Assessment si presenta come uno schema che innesta, nelle procedure di tutela ambientale, uno strumento di prevenzione sanitaria collettiva che assolve un duplice obiettivo rilevante in termini sanitari: quello di promozione, in chiave preventiva, della salute pubblica e quello di riduzione delle diseguaglianze in sanità, secondo una traccia che sappiamo caratterizzare gli strumenti di pianificazione nazionale in materia di prevenzione e che, in questo contesto, consente di valutare quell’obiettivo non tanto nella visuale “classica” delle prestazioni sanitarie che il Servizio nazionale riesce effettivamente a garantire quanto piuttosto in relazione alle condizioni ambientali di contesto nelle quali vive la popolazione.

Chiarita dunque la rilevanza dello strumento, il discorso deve necessariamente transitare sul metodo da seguire nel processo di valutazione, in relazione agli obiettivi che il modello si prefigge. In questa prospettiva, torna nuovamente utile il riferito Gothenburg Consensus Paper, laddove, in particolare, ha individuato quattro valori principali sottesi alla procedura di valutazione dell’impatto sulla salute: democrazia, equità, sviluppo sostenibile ed uso etico delle prove.

Il richiamo alla democrazia sta a significare partecipazione e trasparenza, ovvero che la procedura debba strutturarsi in una dimensione ampiamente partecipativa, funzionale a coinvolgere una pluralità di portatori d’interesse (cd. stakeholder[8]), attraverso un processo che si connoti in termini realmente democratici nella misura in cui sia garantita la trasparenza tanto delle sue fasi quanto dei dati intermedi acquisiti e delle risultanze finali del percorso.

Evocare l’equità consente invece di mettere in luce il carattere potenzialmente non neutro di alcuni interventi amministrativi, capaci di determinare impatti rilevanti su segmenti già vulnerabili della popolazione. In questa prospettiva, la procedura di valutazione deve puntare al coinvolgimento nello studio dei riferiti segmenti e, di conseguenza, impegnarsi nella individuazione di specifici strumenti di compensazione a tutela di quanti possano subire un rischio sanitario più alto a causa dell’intervento in valutazione[9].

La funzionalità della VIS rispetto allo sviluppo sostenibile punta invece ad enfatizzare il dato secondo cui la procedura dovrebbe individuare gli effetti di un intervento sulla salute sia nel breve che nel lungo periodo, tenendo conto anche della eventuale reversibilità, lungo termine, degli impatti attesi, nell’ambito di un giudizio di tipo prognostico.

Da ultimo, con l’espressione “uso etico delle prove” si guarda alle tecniche di valutazione, ovvero alla necessità di evidenze qualitative e quantitative rigorose, fondate su differenti discipline scientifiche e su differenti metodologie, a sostegno del processo di valutazione[10].

Indicazioni di metodo che connotano lo strumento della Valutazione di impatto sulla salute in tutte le sue possibili declinazioni. A seconda del momento in cui si celebra la procedura, in rapporto al piano, programma o progetto per il quale la valutazione si rende necessaria, è possibile poi distinguere tre modelli di VIS. La VIS infatti è definita “prospettica”, allorché effettuata quando una determinata iniziativa non sia stata ancora autorizzata e le raccomandazioni maturate in ambito di valutazione possano pertanto influenzare le relative decisioni pubbliche. È invece “trasversale” o “concorrente” la valutazione che interviene nel corso dell’attuazione del progetto, più propriamente nelle eventuali fasi di revisione del progetto. Diversamente, la VIS sarà “retrospettiva”, qualora celebrata rispetto ad un progetto già attuato.

Metodo unitario, dunque, ma più schemi a disposizione, nella disponibilità dei legislatori ma nella consapevolezza che, in ogni caso, l’unico schema riconducibile agli strumenti della prevenzione sanitaria, con effetti di protezione a monte del bene “salute” resta la VIS prospettica[11], nella sua capacità di scongiurare a monte il danno di salute, nell’ambito di una valutazione prognostica degli impatti attesi.

2. L’emersione dei modelli di Valutazione di impatto della salute nell’ordinamento italiano: il precedente della Valutazione del danno sanitario.

Nel nostro ordinamento, il primo strumento, disciplinato a livello legislativo, funzionale a costruire una connessione tra procedimenti amministrativi ambientali e considerazione del fattore salute nelle relative vicende di esercizio del potere, è rappresentato dalla Valutazione del danno sanitario (VDS).

Alla base dell’introduzione dell’istituto, dapprima nella legislazione regionale della Puglia[12] e successivamente nella normativa nazionale, l’emergenza ambientale nel territorio della città di Taranto connessa alle attività dello stabilimento siderurgico ILVA localizzato nel quartiere Tamburi.

Con decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, il sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto è stato infatti individuato come sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, al fine di accelerarne il risanamento ambientale e, al contempo, sviluppare interventi di riqualificazione produttiva e infrastrutturali, anche complementari alla bonifica. Il successivo decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 ha quindi introdotto una disciplina intesa a garantire la continuità produttiva dello stabilimento e la garanzia dei livelli occupazionali, nel rispetto delle esigenze di tutela della salute e dell’ambiente.

La normativa, in particolare, prevede che gli stabilimenti di interesse strategico nazionale, individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che presentino specifici livelli occupazionali, possano essere, dal Ministro dell’ambiente, autorizzati alla prosecuzione dell’attività produttiva, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) e a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame.

In sede di conversione del decreto, intervenuta con legge 24 dicembre 2012, n. 231, il testo normativo è stato poi arricchito di un articolo 1-bis che introduce nella normativa nazionale la valutazione del danno sanitario (VDS). La norma prevede infatti, in tutte le aree nelle quali insistono i riferiti stabilimenti di interesse strategico nazionale, l’obbligo di redazione[13], con aggiornamento almeno annuale, di un rapporto di Valutazione del danno sanitario «anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie di carattere ambientale». I criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione, come da input normativo, sono stati definiti con decreto interministeriale del 24 aprile 2013[14], nel cui contesto il danno sanitario rilevante ai fini della valutazione è definito come una parte dell’esito sanitario e, in particolare, come «cambiamento dell’attuale o futura prevalenza/incidenza nella comunità dei soli effetti sanitari indesiderati connessi all’esercizio di un impianto, intesi come i soli effetti che causano, promuovono, facilitano o esasperano un’anormalità strutturale o funzionale capace di compromettere il benessere psico-fisico degli individui, di indurre patologie disabilitanti, o di provocare decessi prematuri».

L’obiettivo del rapporto è rappresentato dal decreto in due direzioni. La prima è diretta ai decisori pubblici ed alla comunità e mira a restituire informazioni sui cambiamenti dello stato di salute nelle comunità esposte in quanto connessi a rischi riferibili alle attività esercitate negli stabilimenti produttivi. La seconda è diretta all’amministrazione in una duplice prospettiva: quella di valutazione dell’efficacia delle prescrizioni in ambito sanitario contenute nella autorizzazione integrata ambientale; quella di indirizzo del riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, rispetto al quale il rapporto intende offrire ulteriori elementi di valutazione funzionali alla individuazione di «soluzioni tecniche più efficaci nel ridurre i potenziali esiti sanitari indesiderati».

Emerge complessivamente un quadro nel quale il rapporto VDS assume specifica rilevanza: da un lato, in termini di valutazione ex post del provvedimento di autorizzazione integrata ambientale in relazione alle prescrizioni conformative di tutela ivi contenute; dall’altro, in termini di condizionamento della successiva declinazione procedimentale protesa al riesame dell’AIA[15], rispetto al quale la VDS può offrire un contributo funzionale alla definizione di ulteriori livelli di protezione[16].

Siamo in ogni caso al cospetto di un istituto che, seppur nella sua connotazione di strumento di valutazione successiva di un provvedimento amministrativo (l’AIA, in relazione all’efficacia delle relative prescrizioni) appare astrattamente sussumibile nello schema della VIS retrospettiva[17], in quanto tale comunque distante[18] dal riferito archetipo della Health Impact Assessment, nella misura in cui non ne condivide in toto l’impostazione di metodo.

Quel metodo, abbiamo visto in precedenza, fa perno principale sulla connotazione democratica della procedura, connotazione che recupera nella dimensione della trasparenza del processo valutativo e della sua ampia apertura alla partecipazione. Una partecipazione fortemente connotata in termini di sussidiarietà, sull’assunto della necessità di coinvolgere tutti gli attori del territorio, a vario titolo protagonisti della vicenda di esercizio del potere amministrativo.

Sotto questo profilo, tuttavia, la Vds introdotta dal legislatore nazionale nel 2012 evidenzia una matrice autoreferenziale, che trova conferma nel riferito decreto interministeriale di attuazione. In quel documento la partita della partecipazione è infatti descritta come fondamentale, posta la complessità delle valutazioni da sviluppare che presuppongono una stretta correlazione alla realtà del territorio di incidenza, ma è anche descritta come una partita a porte chiuse, che si consolida in «tavoli interistituzionali tra gli enti preposti al fine di definire in modo integrato e condiviso modalità e criteri operativi»[19]

3. Il modello italiano della Valutazione d’impatto sulla salute (VIS) e il difetto di un’autonoma dimensione procedimentale

Negli ultimi anni, nell’ordinamento nostrano, il modello HIA ha trovato ripetute applicazioni, con diverse varianti terminologiche, in ambito regionale, ad un livello amministrativo[20]. Nelle more di una soluzione normativa, ad un livello generale, il tema della necessità di dotare gli operatori, in particolare quelli appartenenti al Sistema delle Agenzie per l’Ambiente e al Servizio Sanitario Nazionale, di uno strumento metodologico per una valutazione integrata dei potenziali impatti sulla salute dei determinanti ambientali, era stato affrontato in via amministrativa nell’ambito del Gruppo di Lavoro “Ambiente e Salute” del Sistema Nazionale delle Agenzie di Protezione Ambientale sulla scorta dell’analisi delle esperienze già maturate in altri ordinamenti in punto di applicazione della VIS e settorialmente in alcune regioni. Ne è scaturito un documento recante «Linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA, AIA)», nel quale il modello della VIIAS viene descritto come «una combinazione di procedure, metodi e strumenti con i quali si possono stimare gli effetti potenziali sulla salute e la distribuzione di tali effetti all’interno della popolazione nell’ambito delle procedure correnti di valutazioni in campo ambientale».

Si tratta dunque di una traccia operativa a disposizione delle amministrazioni nella prospettiva di offrire un supporto di metodo per la considerazione della componente salute nei riferiti procedimenti, in costanza di un vuoto normativo in relazione alla disponibilità di strumenti per la valutazione ex ante dei rischi per la salute connessi alla realizzazione di piani, progetti e attività industriali.

Il riferito vuoto normativo è stato invece solo parzialmente coperto dall’articolo 9, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (cd. collegato ambientale) che ha introdotto, nel corpo dell’articolo 26 del d.lgs. n. 152/2006, il comma 5-bis, per effetto del quale, in relazione agli specifici progetti ivi indicati[21], da sottoporre a Valutazione d’impatto ambientale (VIA)[22] e comunque nell’ambito di essa, il proponente risulta onerato della predisposizione di una valutazione di impatto sanitario (VIS), in conformità a specifiche linee guida predisposte, in questo caso, dall’Istituto superiore di sanità.

La legge del 2015 introduce quindi, per la prima volta, il modello della VIS prospettica come strumento precauzionale, nell’ambito di un percorso normativo che si completa nel 2017 con il d. lgs. n. 104 del 2017, di attuazione della direttiva 2014/52/UE, a sua volta di riforma dell’istituto della valutazione di impatto ambientale.

La nuova fonte accompagna l’istituto di rinnovata enfasi, che si riscontra soprattutto sul piano definitorio. L’art. 2 del decreto del 2017 aggiunge infatti la lett. b-bis) nel comma I dell’art. 5 del d. lgs. 152 del 2006, per definire la valutazione di impatto sanitario come un «elaborato predisposto dalla proponente sulla base delle linee guida adottate con decreto del Ministro della salute, che si avvale dell’Istituto superiore di sanità, al fine di stimare gli impatti complessivi, diretti e indiretti, che la realizzazione e l’esercizio del progetto può procurare alla salute della popolazione»[23]

L’introduzione della VIS nella procedura di VIA, anche se al momento per legge riferita ad una limitata categoria di opere, dà seguito alle modifiche apportate dalla direttiva del 2014/52/UE rispetto all’impianto della direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati[24]. Due, in particolare, i profili che meritano attenzione nella nostra prospettiva: la necessità di una specifica analisi dei fattori ambientali con esplicito riferimento alla tutela della popolazione e salute umana, laddove le precedenti Direttive parlavano più genericamente degli effetti diretti e indiretti sull’uomo; la richiesta di una più alta qualità dei rapporti di valutazione di impatto ambientale, sia da parte dei proponenti, che devono produrre lo studio, sia da parte dell’autorità competente che lo deve valutare.

Quello descritto nel nostro ordinamento, rappresenta, in ogni caso, uno strumento documentale nella responsabilità del proponente, relativo soltanto allo strumento della valutazione di impatto ambientale e circoscritto, nel suo ambito di applicazione obbligatoria, ai pochi, segnalati e tassativi interventi, rispetto ai quali la valenza della previsione sulla VIS assolve non solo la funzione di onerare il proponente della relativa produzione documentale, tesa a fornire elementi per consentire di valutare, nella sintesi decisoria della VIA, anche la componente ambientale, quant’anche assolve la funzione di orientare quell’attività istruttoria secondo un metodo e una specifica dimensione procedimentale definita dalle Linee Guida adottate con decreto del Ministro della salute, con il supporto dell’Istituto superiore di sanità[25].

Posto che l’amministrazione, nel provvedimento di VIA, è chiamata ad esprimere un giudizio di compatibilità ambientale di determinati progetti di opere e interventi e ad «individuare le soluzioni più adatte ad uno sviluppo sostenibile»[26] operando una sintesi tra interessi nel novero dei quali trova «ordinariamente posto anche quello della salute umana»[27], la previsione sulla VIS più che funzionale ad innestare, nel corpo della procedura di VIA, un sotto-procedimento con focus specifico sulla rilevanza della componente salute in termini di impatto dell’opera, appare allora dispiegare i suoi effetti lungo due traiettorie: onerare il privato dell’istruttoria sugli specifici impatti sulla salute; garantire l’amministrazione nella prospettiva che l’istruttoria sulla componente salute, in sede di valutazione di impatto ambientale, sia svolta in un quadro procedimentale definito dalla pubblica amministrazione. Da qui la limitazione dell’ambito di applicazione della VIA a specifici provvedimenti rispetto ai quali l’impatto sulla salute appare ragionevolmente probabile e rispetto ai quali l’amministrazione ha evidentemente bisogno di un’istruttoria particolarmente approfondita che si consolidi attraverso uno schema di elaborazione validato, nella circostanza dalle riferite Linee Guida ministeriali.

In questi termini, la previsione della VIS colma, ad un livello meramente superficiale, una lacuna conseguente alla mancanza, nell’ambito della definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale (articolo 22, T.U. 2006), che il proponente è tenuto a presentare in sede di avvio del procedimento di VIA, di informazioni specifiche in punto di impatto sulla salute della proposta progettuale[28]. Si tratta di una carenza rilevante, specie alla luce della considerazione che lo stesso T.U. in materia ambientale esibisce rispetto alla valutazione ambientale di progetti, per la quale pone in primo piano il conseguimento di due obiettivi, evidentemente restituiti come prioritari: proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita. Obiettivi che il testo peraltro riporta come conseguenza della modifica intervenuta nel 2017 e originata dalla necessità di adeguare la nostra normativa di tutela ambientale rispetto alle previsioni medio tempore intervenute per effetto dell’approvazione della citata direttiva del 2014 sulla valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, laddove si evoca esplicitamente l’obiettivo di «garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana grazie alla definizione di requisiti minimi per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti».

Anche in questo caso, dunque, il modello della HIA da cui siamo partiti sembra distante, nella sua dimensione di combinazione di procedure comunque gestite da una pubblica amministrazione. Nella disciplina interna della VIS, invece, il richiamo alla categoria delle valutazioni genera una confusione di fondo che tende ad accomunare la VIS agli altri strumenti di valutazione ambientale che, piuttosto, contemplano procedure dominate dalla pubblica amministrazione, quantomeno nelle fasi della istruttoria e della decisione, se non anche della iniziativa (come nel caso della VAS).

La VIS, per come descritta dall’attuale normativa, pone invece un adempimento istruttorio in capo al privato, che confluisce nell’istruttoria generale del procedimento e trova riscontro nel provvedimento finale per effetto della «sintesi delle informazioni raccolte ai sensi degli articoli 23» (articolo 25, comma 3), nel cui corpo s’inserisce la disposizione sulla VIS.

Manca dunque ogni considerazione di una dimensione procedimentale autonoma stante il difetto, nel quadro normativo, di una previsione che obblighi la pubblica amministrazione al gradimento della valutazione proposta dal privato come distinta dalla valutazione della complessiva istanza soggetta a VIA.

Nessun dubbio circa la competenza dell’autorità titolare del potere di provvedere nel valutare la componente salute nei procedimenti statali di valutazione di impatto ambientale statale (nella specie, il Ministero titolare della tutela ambientale), posto anche il supporto alla stessa offerto dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale[29], nella varietà della sua composizione tecnico-scientifica. Del resto, c’è sullo sfondo il problema del rischio di moltiplicazione delle fasi procedimentali e di una lettura del principio di precauzione[30] (che trova espressione nella VIS) che tradizionalmente incontra il suo limite principale nella contemporanea espressione della regola della proporzionalità dell’agire amministrativo. Nondimeno, la mancata considerazione di un riscontro amministrativo che sia di validazione del percorso valutativo avviato dal privato in un quadro di collaborazione con le autorità amministrative, sminuisce l’intenzione di enfatizzare la rilevanza procedimentale della valutazione sull’impatto sulla salute.

4. L’estensione dell’ambito di applicazione della VIS tra indicazioni giurisprudenziali e suggestioni del legislatore

Per quanto, come più volte evidenziato, la norma che impone l’obbligo di VIS ne descriva un ambito di applicazione circoscritto alle poche fattispecie tipiche di procedimenti di valutazione d’impatto ambientale richiamate dall’articolo 5 del Testo unico in materia ambientale, abbiamo già rilevato come, da tempo, nei diversi contesti regionali, si siano registrate esperienze di applicazione della valutazione degli impatti sulla salute ad un livello prevalentemente amministrativo[31]. Attraverso queste esperienze, la connessione procedimentale tra tutela della salute e protezione dell’ambiente ha trovato progressiva affermazione, fino a recuperare uno strumento di supporto nelle riferite Linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA, AIA), adottate nel 2015 nel contesto del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente e nell’ambito di una precisa direttiva del Piano Nazionale della Prevenzione del 2014, laddove si sottolineava come «forte l’esigenza di riqualificare le valutazioni preventive a supporto delle Amministrazioni effettuate dagli operatori della sanità pubblica e di fornire indicazioni per sviluppare adeguatamente la componente salute nell’ambito delle procedure di VAS e di VIA».

Del resto, abbiamo già evidenziato la recente evoluzione della normativa in materia di VIA, nel recepimento degli input euro-unitari, nella direzione di valorizzare la proiezione dell’istituto alla protezione della salute umana, lungo una scia che intercetta anche la normativa in tema di AIA, fermi quegli indirizzi giurisprudenziali che vedono nell’autorizzazione integrata «il punto di equilibrio fra contrastanti interessi, in particolare fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4 Cost.)»[32].

La convinzione che, in tutte le procedure di tutela ambientale, il fattore salute meriti specifica considerazione e adeguata istruttoria, quale condizione di legittimità dei relativi provvedimenti amministrativi, ha peraltro raggiunto consolidata maturazione nei percorsi della giurisprudenza.

E’ una traiettoria che, ad esempio, ha portato il Consiglio di Stato ad annullare provvedimenti AIA, per difetto di istruttoria e motivazione, laddove «essendo primarie le esigenze di tutela della salute ai sensi dell’art. 32 Cost. rispetto alle pur rilevanti esigenze di pubblico interesse soddisfatte» dagli impianti autorizzati «il rilascio dell’AIA – qualora siano risultati allarmanti dati istruttori – debba conseguire soltanto all’esito di un’indagine epidemiologica sulla popolazione dell’area interessata»[33]. Si tratta di un orientamento particolarmente interessante[34] non solo perché sottolinea la rilevanza della componente salute ai fini del rilascio dell’autorizzazione integrata, quant’anche perché chiarisce che l’approfondimento epidemiologico debba essere condotto sulla base di dati recenti e «ad esclusiva cura degli organismi pubblici a ciò competenti». La sentenza, coeva alla prima considerazione della VIS nell’ordinamento nazionale, evidenzia, in questi termini, una prospettiva di implementazione diversa rispetto alla configurazione dell’istituto offerta dal legislatore statale che, come chiarito, lo ha proposto nei termini di un adempimento istruttorio in capo all’istante. La decisione radica invece una specifica responsabilità pubblica a garanzia di un’adeguata istruttoria, per quanto più recenti indirizzi del medesimo giudice, nel chiarire come sia necessario procedere ad una «valutazione di incidenza sanitaria (…) quando le concrete evidenze istruttorie dimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica»[35] riportano la valutazione in carico al privato.

Emerge complessivamente un tessuto ordinamentale per cui, da un lato esiste una VIS obbligatoria, ex lege, per singole fattispecie di VIA, da celebrarsi secondo la liturgia descritta nelle linee-guida ministeriali, dall’altro esiste una VIS doverosa, individuata dal giudice come elemento della legittimità dell’istruttoria procedimentale in relazione a tutti i procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale e comunque qualora la vicenda di esercizio del potere amministrativo suggerisca l’approfondimento a tutela preventiva della salute.

In questo secondo caso, residua in capo all’amministrazione una discrezionalità che è nell’an e nel quomodo, potendo l’amministrazione decidere se interpretare la valutazione in termini doverosi e, in caso affermativo, potendo decidere se condurre autonomamente l’istruttoria epidemiologica oppure imputarla al privato nelle riferite forme della richiesta di adempimento istruttorio. Qualora poi l’amministrazione si risolva per quest’ultima opzione, la circostanza che le linee guida descrivano un format vincolante per le sole fattispecie tipiche previste nell’articolo 5 del Testo unico ambientale evidentemente segna un limite alla discrezionalità amministrativa che, nelle ipotesi di VIS doverosa nelle quali l’amministrazione chiederà al privato il relativo cimento istruttorio, non potrà declinarne le modalità fino a chiedere tecniche di adempimento analoghe a quelle descritte nelle linee-guida ministeriali, ferma la rilevata complessità di una sequenza che, come abbiamo visto, irrobustisce la procedura di valutazione del rischio in relazione a dati non solo epidemiologici, come ordinariamente avviene nel modello archetipale della Health Impact Assessment, ma anche di matrice tossicologica. Una procedura che, nella tecnica aggravata che la contraddistingue, trova giustificazione esclusivamente nella fonte normativa che, in relazione ai menzionati procedimenti, innalza evidentemente la soglia della tutela.

Chiarita dunque la tendenza giurisprudenziale ad espandere gli spazi di doverosità della Valutazione dell’impatto sanitario anche in relazione ad ulteriori procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, rispetto a quelli riferiti nel Testo unico del 2006, resta da evidenziare come questa traiettoria recuperi di recente qualche sponda a livello normativo. Il riferimento è al decreto-legge n. 36 del 2022 che, nell’ambito dei percorsi di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), all’articolo 27, ha provveduto all’istituzione del Sistema Nazionale Promozione Salute (SNPS)[36], annoverando esplicitamente, tra le funzioni dello stesso, l’attività di supporto alle autorità competenti nel settore ambientale per l’implementazione della valutazione dell’impatto sulla salute nell’ambito della valutazione ambientale strategica (VAS), della valutazione di impatto ambientale (VIA) e dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA).

In questi termini, la previsione offre prova certa dell’interesse del legislatore nella direzione della generalizzazione della VIS nel quadro delle procedure di tutela ambientale, rispetto al quale però non fa riscontro un’adeguata presa in considerazione in sede amministrativa. Sorprende infatti, in questa direzione, la circostanza che, nel decreto ministeriale che ha successivamente dettagliato le competenze delle amministrazioni che danno vita al Sistema Nazionale di Protezione della Salute, del quale abbiamo parlato in precedenza, non emerga alcuna specifica attribuzione in relazione alla riferita attività di supporto, i cui contorni restano evidentemente tutti da definire.

  1. Recepita nell’ordinamento giuridico italiano con la legge 8 luglio 1986, n. 349, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (VIA), successivamente modificata dalla direttiva 97/11 /CE del Consiglio del 3 marzo 1997 e dalla direttiva 2003/35/CE, nonché, di recente, dalla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014.
  2. È integrata, com’è noto, nel senso che nelle relative valutazioni tecniche sono considerati congiuntamente i diversi danni sull’ambiente causati dall’attività da autorizzare, nonché tutte le condizioni di funzionamento dell’installazione (non solo a regime, ma anche nei periodi transitori ed in fase di dismissione), perseguendo quindi una prestazione ambientale ottimale.
  3. I richiami alla componente “salute” nella VAS sono infatti generici ma rintracciabili a partire della Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Nell’Allegato I si legge infatti che: «le informazioni da fornire ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, fatto salvo l’articolo 5, paragrafi 2 e 3, sono: possibili effetti significativi sull’ambiente, compresi aspetti quali la biodiversità, la popolazione, la salute umana, la flora e la fauna, il suolo, l’acqua, l’aria, i fattori climatici, i beni materiali, il patrimonio culturale, anche architettonico e archeologico, il paesaggio e l’interrelazione tra i suddetti fattori».
  4. Vedi Cass. civ., s.u., 6 ottobre 1979, n. 5172, laddove è chiarito che: «la protezione della salute assiste l’uomo non (solo) in quanto considerato in una sua astratta quanto improbabile separatezza, ma in quanto partecipe delle varie comunità – familiare, abitativa, di lavoro, di studio ed altre – nelle quali si svolge la sua personalità. Accentuandosi il carattere di inerenza alla persona e di socialità del bene protetto, si rende manifesto che la protezione non si limita all’incolumità fisica dell’uomo, supposto immobile nell’isolamento della sua abitazione o solitario nei suoi occasionali spostamenti e così fatto specifico bersaglio di azioni aggressive, ma è diretta ad assicurare all’uno la sua effettiva partecipazione, mediante presenza e frequentazione fisica, alle dette comunità, senza che ciò costituisca pericolo per la sua salute. La protezione si estende alla vita associata dell’uomo nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione, in quei luoghi delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla sua salute: essa assume in tal modo un contenuto di socialità e di sicurezza, per cui il diritto alla salute, piuttosto (o oltre) che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre». La traccia ricostruita affonda radici, peraltro, nelle riflessioni di Alberto Predieri in materia di paesaggio come risultante delle preesistenze naturalistiche e dell’azione di trasformazione antropica, per le quali si rinvia ad A. Predieri, Paesaggio, in Enciclopedia del diritto, ad vocem, XXXI, Milano 1981, p. 507 (per una ricostruzione del pensiero di Predieri sui confini della nozione giuridica di paesaggio: G. Morbidelli, Il contributo fondamentale di Alberto Predieri all’evoluzione e alla decifrazione della nozione giuridica di paesaggio, in G. Morbidelli, M. Morisi (a cura di), Il “paesaggio” di Alberto Predieri, Firenze, 2019, p. 13. In senso critico rispetto alla considerazione del diritto all’ambiente salubre nello schema dei diritti soggettivi perfetti e nella prospettiva del fondamento costituzionale della tutela dell’ambiente alla luce del principio di solidarietà, F. Fracchia, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Diritto dell’economia, 2002, p. 215. Nella medesima prospettiva critica rispetto alla riferita impostazione della Cassazione per quanto con diversi accenti, R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino, 2020, p. 73. In relazione al carattere pluri-semantico della nozione di “ambiente” sempre doveroso in ogni caso il richiamo a M.S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridiciRivista trimestrale di diritto pubblico, 1973, p. 15. Per un approfondimento sulla giurisprudenza sovranazionale in tema di diritto all’ambiente salubre, C. Feliziani, Il diritto fondamentale all’ambiente salubre nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte Edu in materia di rifiuti. Analisi di due approcci differenti, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 6, 2012, p. 999.
  5. C. Di Costanzo, A. Cerruti, Allocazione delle risorse e tutela costituzionale del diritto alla salute, Bologna, 2021. Il carattere “multidimensionale” del diritto alla salute è bene evidenziato a partire da B. Pezzini, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e società, 1983, p. 25, M. Luciani, Salute, I) Diritto alla salute – dir. cost., in Enciclopedia giuridica, XXVII, Roma, 5, 1991; R. Balduzzi, Salute (diritto alla), in S. Cassese (dir.), Dizionario di diritto pubblico, VI, Milano, 2006, p. 5394.
  6. D. Morana, La salute come diritto costituzionale, Bologna, 2018, p. 22.
  7. Che segnala S. Pajno, V. Pucci, Il diritto “fondamentale alla salute nei procedimenti di valutazione ambientale, in Federalismi, 27, 2020, p. 133.
  8. Nella categoria degli stakeholder rientrano tanto i soggetti che abbiano un interesse (non necessariamente economico) rispetto alla politica o al progetto sotto attenzione, quanto sicuramente tutti i soggetti che possano subire un pregiudizio in termini di impatto sulla salute personale come conseguenza della iniziativa in valutazione.
  9. In questa prospettiva, si legge nel Gothenburg Consensus Paper che «una HIA dovrebbe valutare non solo gli impatti a livello aggregato, ma anche la distribuzione degli impatti sulla salute all’interno della popolazione, in termini di genere, età, appartenenza etnica, fede, orientamenti sessuali, status socioeconomico e altre caratteristiche. La ricerca dovrebbe essere disegnata in modo tale da identificare i differenti gruppi che potrebbero dover sopportare differenti impatti, e svelare come ciascun gruppo ne sarebbe colpito, positivamente o negativamente».
  10. Ancora dal Gothenburg Consensus Paper: «il processo di valutazione non dovrebbe essere pregiudizievolmente impostato per supportare o rifiutare la proposta, e dovrebbe essere rigoroso e trasparente. L’adeguatezza della valutazione si misura sulla completezza delle risposte che fornisce (che sono quelle richieste dal modello epidemiologico: effetto atteso sulla salute sia a lungo sia a breve termine, sia diretto, sia indiretto, disuguaglianze introdotte, meccanismi d’azione), sulla validità dell’informazione prodotta (sia quantitativa, sia qualitativa) e sull’efficacia comunicativa dei processi sociali in cui la valutazione si realizza (partecipazione dei diversi portatori d’interesse, trasparenza della comunicazione, “empowerment” dei più vulnerabili».
  11. J. Kemm, J. Parry, S. Palmer, Health impact assessment: concepts, theory, techniques, and applications, Oxford, 2004.
  12. L.R. Puglia 24 luglio 2012, n. 121, cui ha fatto seguito il regolamento regionale di attuazione 3 ottobre 2012. Sulla VDS regionale pugliese si veda F. Giampietro, Ilva: riesame dell’AIA, quale futuro? (parte prima), in Ambiente & sviluppo, 4, 2013, p. 312. Per un raffronto tra VDS regionale e VDS statale, M. Tagliaferro, La VDS a metà del guado: tra politica legislativa ambientale, statale e regionale, in Ambiente & sviluppo, 7, 2013, p. 648; E. Maschietto, La valutazione del danno sanitario: una terra di conquista tra competenza statale e regolamentazione regionale, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2014, p. 773. Sulla VDS regionale come «precedente importante, rispetto al quale la legislazione regionale ha meritoriamente funzionato da laboratorio e stimolo rispetto a quella statale», M. Mengozzi, Le valutazioni sanitarie: alcuni spunti dal caso ILVA, in M. Di Folco, M. Mengozzi (a cura di), La salute nelle valutazioni di impatto ambientale, Napoli, 2020, p. 110, laddove si richiama anche T.A.R. Lazio (sezione III quater), sentenza n. 8982/2014, nella parte in cui evidenzia come la VDS pugliese, nelle more dell’adozione della normativa statale, abbia fatto fronte rispetto ad «una obiettiva lacuna normativa, che di fatto estrometteva dal campo di indagine istruttoria il pregnante interesse pubblico connesso alla tutela sanitaria».
  13. A cura congiunta dell’azienda sanitaria locale e dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente competenti per territorio
  14. Nell’ambito di una linea di continuità con il format delle usuali procedure adottate nella valutazione degli impatti sulla salute, il decreto articola una serie di fasi che possono essere identificate in: «una fase conoscitiva, finalizzata alla raccolta dei dati ambientali e sanitari disponibili; una fase di valutazione di 1° livello relativa alla valutazione della loro qualità, alla stima del ruolo dello stabilimento nel determinare la qualità ambientale dell’area, alla ricostruzione del profilo sanitario della popolazione esposta ed all’identificazione dei contaminanti emessi dallo stabilimento che, per le loro proprietà chimico fisiche e tossicologiche, possono costituire un rischio per la salute umana; una fase di valutazione di 2° livello nella quale, su precise indicazioni formulate nella fase precedente, si procede a specifiche indagini epidemiologiche, e/o a stime quantitative dell’esposizione umana a specifici contaminanti; una fase di valutazione di 3° livello nella quale, si specifica l’indicazione emergente dalla fase precedente, si procede ad una completa analisi probabilistica del rischio associata ad esposizioni critiche precedentemente evidenziate; una fase di rapporto, in cui si discutono i risultati delle valutazioni, corredati da esaustive considerazioni».
  15. Per un approfondimento dell’istituto alla luce del caso ILVA, S. Vernile, L’autorizzazione integrata ambientale tra obiettivi europei e istanze nazionali: tutela dell’ambiente vs. semplificazione amministrativa e sostenibilità socio-economica, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2015, p. 1697.
  16. E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata di interessi sensibili, in Diritto amministrativo, 3, 2017, p. 447, sottolinea un «particolare rapporto di connessione consequenziale tra Vds ed Aia», posto che il rapporto VDS «andando ad incidere sulle prescrizioni condizionali apposte all’Aia, produce un mutamento da leggere in termini di incidenza rispetto alla funzione del provvedimento abilitativo ad efficacia conformativa. In altri termini, il riferimento allo strumento della Vds viene a costituire un parametro di riferimento al fine di operare una rilettura del significato e della portata della clausola prescrittiva-condizionale apposta al provvedimento autorizzatorio. Tale affermazione induce a ritenere che il rapporto di Vds integra uno strumento attraverso il quale si produce un rafforzamento della connessione dell’Aia con la situazione fattuale all’interno della quale essa si inserisce». Muovendo da queste premesse, l’A. giunge a concludere che «il rapporto di Vds, per come delineato dal legislatore e dal successivo decreto interministeriale, assume in definitiva il carattere di una versa e propria “componente essenziale” dell’atto autorizzatorio in materia ambientale. In quest’ottica esso rappresenta il punto logico di partenza e la condicio necessaria per il successivo riesame dell’Aia ex art. 29-octies cod. amb. Nell’ottica di un adattamento delle sue prescrizioni condizionali al mutato esito sanitario risultante dalla valutazione». In senso critico sull’efficacia giuridica vincolante della VDS statale: M. Tagliaferro, La VDS a metà del guado, cit.; V. Cavanna, La valutazione di impatto sulla salute (HIA); applicazione in ambito nazionale e internazionale, in Ambiente & sviluppo, 2, 2014, p. 123.
  17. Rileva “indubbie affinità” tra la Valutazione del danno sanitario e il modello della Valutazione dell’impatto della salute, C. Feliziani, La valutazione di impatto sanitario tra principio di integrazione e proliferazione dei procedimenti, in Federalismi – Osservatorio di diritto sanitario, 17 ottobre 2018, p. 6. In senso analogo, S. Grassi, Procedimenti amministrativi e tutela dell’ambiente, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, II ed., 2017, Milano, p. 1586.
  18. Il profilo distintivo tra i due strumenti emerge anche da Cons. St. (sezione V), sentenza del 23 novembre 2016, n. 4907.
  19. Le istituzioni chiamate a partecipare comprendono gli enti territoriali, ARPA, ASL, ARES.
  20. Per una puntuale ricognizione dei «processi di sperimentazione di strumenti volti alla valutazione dell’impatto sanitario» in ambito regionale, si rinvia ampiamente a S. Pajno, V. Pucci, Il diritto “fondamentale alla salute nei procedimenti di valutazione ambientale, cit., pp. 159-ss.
  21. Il catalogo comprende: i progetti per centrali termiche e altri impianti di combustione co potenza termica superiore a 300 MW; i progetti di impianti di raffinazione, gassificazione e liquefazione.
  22. Nell’ambito della vastissima letteratura sulla valutazione d’impatto ambientale, senza pretesa di completezza: R. Ferrara, La valutazione di impatto ambientale, in R. Ferrara, G.F. Ferrari (a cura di), Commentario breve alle leggi in materia di urbanistica ed edilizia, Padova, 2015, p. 800; F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Introduzione al diritto dell’ambiente, Roma – Bari, 2018; B. Giuliani, Valutazione ambientale strategica, valutazione d’impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, in F.G.Scoca, P.Stella Richter, P.Urbani (a cura di), Trattato di diritto del territorio, vol. II, Torino, 2018, p. 1067; S. Grassi, Procedimenti amministrativi e tutela dell’ambiente, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, II ed., 2017, Milano, p. 586; A. Milone, Le valutazioni ambientali, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. I procedimenti amministrativi per la tutela dell’ambiente, vol. II, Milano, 2014, p. 13; A. Police, La valutazione di impatto ambientale, in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Discipline di settore, vol. II, Padova, 2013, p. 527; G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2015, p. 64.
  23. C. Feliziani, La valutazione di impatto sanitario tra principio di integrazione e proliferazione dei procedimenti, cit., pp. 7-8, sottolinea come «l’istituto della VIS ritorni, ancorché implicitamente, anche nel novellato art. 25 del d. lgs. n. 152 del 2006. Dapprima al III comma, a mente del quale “il provvedimento di VIA contiene le motivazioni e le considerazioni su cui si fonda la decisione dell’autorità competente, incluse le informazioni relative al processo di partecipazione del pubblico, la sintesi dei risultati delle consultazioni e delle informazioni raccolte ai sensi degli artt. 23, 24 e 24 bis”. E, poi, nel successivo IV comma, laddove si legge che “il provvedimento di VIA contiene altresì le eventuali e motivate condizioni ambientali che definiscono: a) le condizioni per la realizzazione, l’esercizio e la dismissione del progetto, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti; b) le misure previste per evitare, prevenire e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi; c) le misure per monitoraggio degli impatti ambientali significativi e negativi (…)”. In entrambi i casi, infatti, benché il legislatore non faccia espressa menzione della valutazione di impatto sanitario sembrerebbe potersi ritenere che tale istituto sia da considerare ricompreso o, per lo meno, presupposto tanto nel richiamo ai risultati e alle informazioni raccolte ex art. 23 contenuto nel citato III comma dell’art. 25, quanto nel riferimento alle eventuali e motivate condizioni di cui al successivo IV comma, le quali – a rigore – non dovrebbero essere sic et simpliciter ambientali ma interessare anche gli aspetti connessi alla tutela della salute, pena il vanificare – di fatto – la ratio che sta alla base della previsione della VIS».
  24. La quale a sua volta modificava la prima direttiva del Consiglio 85/337/CEE sulla procedura VIA. Per un inquadramento delle ambizioni della politica ambientale europea e sui motivi ispiratori della direttiva del 1985, D.U. Galetta, La valutazione d’impatto ambientale alla luce dell’esperienza tedesca, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 3, 1992, p. 827.
  25. Le Linee Guida sulla valutazione d’impatto sulla salute, redatte dall’Istituto Superiore di Sanità e approvate con decreto del Ministro della salute del 27 marzo 2019, articolano una sequenza procedimentale che ricalca gli schemi procedurali comunemente utilizzati per le procedure di autorizzazione e valutazione ambientale (VIA, VAS, AIA), proponendo dunque un impianto strutturato in una pluralità di fasi successive: screening, scoping, assessment, appraisal, monitoring e reporting. Nel senso che la sequenza delle fasi in cui si articola la procedura nello schema proposto dalle linee-guida soddisfi «l’esigenza di procedimentalizzazione del principio di sostenibilità», V. Tamburrini, Principio di sostenibilità e tutela della salute: osservazioni alla luce della recente normativa sulla valutazione di impatto sanitario, in M. Di Folco, M. Mengozzi (a cura di), La salute nelle valutazioni di impatto ambientale, pp. 75-76. Per un approfondimento sulla “rilevanza sistematica” del riferito principio: F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2021, p. 183.
  26. A. Police, La valutazione di impatto ambientale, cit.
  27. C. Feliziani, La valutazione di impatto sanitario tra principio di integrazione e proliferazione dei procedimenti, cit., p. 9.
  28. Le informazioni sono le seguenti: a) una descrizione del progetto, comprendente informazioni relative alla sua ubicazione e concezione, alle sue dimensioni e ad altre sue caratteristiche pertinenti; b) una descrizione dei probabili effetti significativi del progetto sull’ambiente, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio e di dismissione; c) una descrizione delle misure previste per evitare, prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili impatti ambientali significativi e negativi; d) una descrizione delle alternative ragionevoli prese in esame dal proponente, adeguate al progetto ed alle sue caratteristiche specifiche, compresa l’alternativa zero, con indicazione delle ragioni principali alla base dell’opzione scelta, prendendo in considerazione gli impatti ambientali; e) il progetto di monitoraggio dei potenziali impatti ambientali significativi e negativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto, che include le responsabilità e le risorse necessarie per la realizzazione e la gestione del monitoraggio; f) qualsiasi informazione supplementare di cui all’allegato VII relativa alle caratteristiche peculiari di un progetto specifico o di una tipologia di progetto e dei fattori ambientali che possono subire un pregiudizio. La normativa prevede inoltre che lo studio di impatto ambientale sia predisposto dal proponente secondo le indicazioni e i contenuti di cui all’allegato VII alla parte seconda del presente decreto laddove, ai fini della descrizione del progetto, in punto di restituzione di elementi idonei alla valutazione della componente salute ai fini del rilascio della VIA, si fa riferimento esclusivamente alla «valutazione del tipo e della quantità dei residui e delle emissioni previsti, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo. inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e del sottosuolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione, e della quantità e della tipologia di rifiuti prodotti durante le fasi di costruzione e di funzionamento».
  29. Istituita con d.P.R. n. 90 del 14 maggio 2007 (Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell’articolo 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248).
  30. In argomento: A. Barone, Il diritto del rischio, Milano, 2006; Id., Pianificazione territoriale e principio di precauzione, in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Tutele parallele norme processuali, III, Padova, 2015; M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente. Come sistema complesso, adattativo, comune, Torino, 2007, p. 247; F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005; ID., Il principio di precauzione, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 413.
  31. Torna d’attualità il richiamo a S. Pajno, V. Pucci, Il diritto “fondamentale alla salute nei procedimenti di valutazione ambientale, cit., pp. 159-ss., nell’ambito di una ricognizione sviluppata anche da V. Cavanna, La valutazione di impatto sulla salute (HIA): applicazione in ambito nazionale e internazionale, in Ambiente & sviluppo, 2, 2014, p. 123.
  32. Cons. St., 23 giugno 2021, n. 4802. Per un commento: V. Cavanna, Ancora sulla tutela della salute e i poteri del Sindaco in casi di installazioni soggette ad AIA: il caso ex ILVA di Taranto, in Ambiente & sviluppo, 10, 2021, p. 711.
  33. Cons. St., 20 gennaio 2015, n. 163. La decisione fa riferimento ad un provvedimento autorizzatorio per impianto di termovalorizzazione dei rifiuti, rilevata la assenza di un previo e puntuale studio epidemiologico dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto.
  34. Peraltro non nuovo, come evidenziano i riferimenti giurisprudenziali che segnala E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata degli interessi sensibili, cit., 447: Cons. St. (sezione V), sentenza del 9 aprile 2015, n. 1805; in precedenza, T.A.R. Toscana (sezione II), sentenza del 20 gennaio 2014, n. 107.
  35. Cons. St. (sezione IV), sentenza dell’11 febbraio 2019, n. 983, laddove ancora una volta si chiarisce che l’Amministrazione che in tali casi non la effettui incorre «nel tipico vizio dell’eccesso di potere sotto il profilo del mancato approfondimento istruttorio, sintomatico della disfunzione amministrativa».
  36. Il SNPS si presenta dunque come un “network” che il legislatore vuole agisca in interazione con il Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale (SNPA) di cui alla legge 28 giugno 2016, n. 132, concorrendo al perseguimento degli obiettivi di prevenzione primaria correlati in particolare alla promozione della salute, alla prevenzione e al controllo dei rischi sanitari associati direttamente e indirettamente a determinanti ambientali e climatici, anche derivanti da cambiamenti socio-economici, valorizzando le esigenze di tutela delle comunità e delle persone vulnerabili o in situazioni di vulnerabilità, in coerenza con i principi di equità e prossimità che abbiamo visto ispirare tutta l’evoluzione della programmazione nazionale in materia di prevenzione. Fanno parte del SNPS, operando in coordinamento tra loro, nella riferita logica di rete: i Dipartimenti di prevenzione delle Aziende sanitarie locali; le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; gli Istituti zooprofilattici sperimentali; l’Istituto superiore di sanità, con compiti di coordinamento e supporto tecnico-scientifico; il Ministero della salute, con compiti di indirizzo, programmazione, monitoraggio, comunicazione istituzionale, anche mediante l’adozione di apposite direttive. Per un commento alla normativa di istituzione, M. Medugno, Attuazione del PNNR: l’istituzione del Sistema Nazionale Prevenzione Salute, in Ambiente & Sviluppo, 8-9, 2022, p. 548.