La doppia legittimità democratica dell’Alta Autorità e della Commissione europea

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La doppia legittimità democratica dell’Alta Autorità e della Commissione europea

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Fin dai primi anni della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, il sistema di governo delle Comunità e poi dell’Unione europea è stato a un sistema parlamentare dualistico. La Commissione europea ha bisogno di un rapporto di fiducia sia con il Consiglio (e il Consiglio europeo) che con il Parlamento europeo. Il saggio sostiene che, di conseguenza, in questa prospettiva sia decisivo riconoscere il ruolo peculiare affidato al Consiglio europeo e al Parlamento europeo nei confronti delle altre istituzioni dell’Unione per il buon funzionamento delle principali istituzioni dell’Unione.


The dual democratic legitimacy of the High Authority and the European Commission
Since the early years of the European Coal and Steel Community, the system of government of the Communities and then of the European Union has been comparable to a dual parliamentary system. The European Commission needs a relationship of trust with both the Council (or European Council) and the European Parliament. Neither the importance of the European Council nor that of the European Parliament should be underestimated if the Union’s main institutions are to function smoothly.
Summary: 1. Nota introduttiva.- 2. La doppia legittimità della Commissione, una forma particolare di parlamentarismo dualista?- 3. La legittimazione dovuta alla funzione di controllo politico della Commissione - L’esperienza della CECA.- 4. La legittimazione dovuta alla funzione di controllo politico della Commissione, segue: l’esperienza delle Comunità europee e dell’Unione europea.- 5. La legittimazione derivante dal metodo di nomina della Commissione.

1. Nota introduttiva[1]

Per quanto comprensibile dal punto di vista della comunicazione politica e dei media negli Stati membri, l’attenzione ai risultati delle elezioni del Parlamento europeo come fattore determinante per la legittimazione democratica della Commissione risulta problematica. Ciò rischia, infatti, di oscurare, da un lato, la duplice natura di questa legittimità e, dall’altro, il fatto che la legittimazione della Commissione nelle sue relazioni con il Parlamento discende esclusivamente dal ruolo affidato al Parlamento in relazione alla sua nomina.

2. La doppia legittimità della Commissione, una forma particolare di parlamentarismo dualista?

Fin dagli esordi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (di seguito CECA), le cui istituzioni sono state create poco dopo l’entrata in vigore del Trattato di Parigi il 23 luglio 1952, il rapporto tra le tre istituzioni parte del c.d. “triangolo istituzionale” – per usare la formula di Jean-Louis Quermonne[2] – poteva essere analizzato utilizzando le categorie relative al sistema parlamentare dualista.

Secondo Philippe Lauvaux[3], «la teoria classica o dualista [del parlamentarismo] si basa sul principio dell’uguaglianza e della collaborazione dei poteri, cioè sul postulato della parità tra il Parlamento e il Capo dello Stato, al quale deve rendere conto un governo che nasce prima da quest’ultimo. Sottolineo che l’organizzazione fondamentale delle istituzioni sulla base di un certo rapporto tra i poteri[4] piuttosto che il criterio della responsabilità politica del governo»[5]. E Inoltre, aggiunge Lauvaux: «è vero che il sistema parlamentare dualista non è stato solo un concetto, ma che è stato attuato secondo l’analisi proposta dalla teoria, cioè sotto forma di collaborazione tra due poteri distinti, ad esempio nell’Inghilterra pre-vittoriana e nella Francia della Monarchia di Luglio». Non si può negare che né la responsabilità né la dissoluzione hanno svolto il ruolo a loro riconosciuto a livello teorico. «Ma il sistema è effettivamente dualista: implica che il governo goda della duplice fiducia del Capo dello Stato e del Parlamento»[6](tondo è di chi scrive): di conseguenza, all’interno del sistema istituzionale delle Comunità, e, oggi dell’Unione, il Parlamento non può essere sciolto, e la responsabilità della Commissione non ha avuto un peso rilevante, A tutt’oggi, l’esigenza di raggiungere la maggioranza dei due terzi per votare la mozione di censura ha finora funzionato solo come una spada di Damocle, come dimostrano, con tutta evidenza, le dimissioni della Commissione Santer il 15 marzo 1999[7]. Dunque, in un sistema parlamentare dualista, la legittimazione parlamentare (o democratica indiretta) del governo non deriva tanto dalla sua responsabilità, che è solo potenziale, nei confronti dell’Assemblea eletta, quanto dalla sua collaborazione con il Capo dello Stato e con il Parlamento. Inoltre, in un sistema parlamentare, a differenza di un sistema congressuale-presidenziale come quello degli Stati Uniti d’America, la legittimazione parlamentare poggia su un dualismo interno all’Esecutivo, di solito con un Capo di Stato, eletto o ereditario, e un governo.

Nella forma di governo dell’Unione, le funzioni abituali di un Capo di Stato sono esercitate dagli Esecutivi degli Stati membri, attraverso il Consiglio, e – dal momento in cui il Consiglio europeo è stato incluso fra le istituzioni – dal Consiglio dei Ministri e dal Consiglio europeo. L’impatto del c.d. sdoppiamento funzionale, per usare la formula di Georges Scelle[8], non va sopravvalutato: l’approccio teorico secondo la quale il Consiglio e il Consiglio europeo sono istituzioni dell’Unione e non degli Stati membri, viene infatti ampiamente contraddetto dalla prassi[9].

La peculiarità della forma di governo dell’Unione sta in questo: la Commissione non risponde al Consiglio o al Consiglio europeo – tranne nel caso dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – ciò, però non significa che non sia necessario un rapporto di fiducia tra la Commissione e il Consiglio se non si vuole correre il rischio che le istituzioni si blocchino. Proprio in questa prospettiva va ricordata la crisi della c.d. sedia vuota della seconda metà del 1965[10]. La crisi fu innescata dalla proposta del Presidente della Commissione CEE Walter Hallstein riguardo il finanziamento della Politica agricola comune. La proposta della Commissione prevedeva di sviluppare le risorse proprie delle Comunità, con la conseguenza di aumentare i poteri di bilancio del Parlamento europeo. Il passaggio dall’unanimità alla maggioranza qualificata in seno al Consiglio CEE in diversi settori, prevista dai trattati per il primo gennaio 1966 rafforzava automaticamente i poteri della Commissione in caso di disaccordo con uno Stato membro. La crisi fu in gran parte dovuta al fatto che Charles de Gaulle, Presidente della Repubblica francese – Paese al quale spettava la presidenza del Consiglio CEE fino al 30 giugno – criticò Hallstein per aver presentato una proposta senza consultare preventivamente gli Stati membri. La crisi, peraltro, risultava pure aggravata dal fatto che, da quando Konrad Adenauer era stato sostituito da Ludwig Erhard come Cancelliere della Repubblica Federale di Germania, il rapporto di fiducia tra il Capo di Stato francese e il Capo di Governo tedesco era venuta meno. Durante le discussioni in seno al Consiglio sulla proposta di Hallstein, il ministro degli Esteri tedesco, Gerhard Schröder, si soffermò proprio sulla la posizione del Bundestag adottata nel corso del dibattito sulla ratifica del Trattato di fusione, firmato l’8 aprile 1965, che avrebbe istituito una Commissione unica. In quell’occasione, il Parlamento tedesco aveva chiesto esplicitamente di aumentare i poteri del Parlamento europeo, proposta che de Gaulle vedeva con estremo sfavore, perché, fra l’altro, comportava maggiori poteri anche per una figura come Hallstein.

Nel luglio 1967 la scelta del belga Jean Rey come Presidente della Commissione rispondeva in gran parte al fatto che egli era stato considerato un mediatore utile e moderato durante la crisi della sedia vuota. I presidenti della Commissione che si sono succeduti nel corso del tempo hanno sempre cercato, durante il loro mandato, di mantenere, con i Governi degli Stati membri, una relazione basata sulla fiducia – in particolare con la Germania, Francia e Regno Unito da un lato, e con l’Italia e gli Stati membri più “piccoli” dall’altro, come hanno dimostrato le presidenze di Roy Jenkins (1967-1981), Jacques Delors (1981-1995) e Ursula von der Leyen sin dal 2019.

Per quanto riguarda i rapporti con il Parlamento europeo, la situazione è più complessa: è necessario distinguere tra la legittimità derivante dalle modalità di nomina della Commissione e quella dovuta alla funzione di controllo politico della Commissione. Poiché quest’ultimo aspetto è spesso trascurato, merita di essere approfondito in questo saggio.

3. La legittimazione dovuta alla funzione di controllo politico della Commissione – L’esperienza della CECA

Fin dai primi mesi di funzionamento delle istituzioni della CECA, le relazioni tra l’Alta Autorità e l’Assemblea comune hanno svolto un ruolo importante. L’art. 22 del Trattato CECA prevedeva un’unica sessione annuale, che di diritto, veniva avviata dal secondo martedì di maggio e non poteva essere prorogata oltre la fine dell’anno finanziario, fatta eccezione per le sessioni straordinarie richieste dal Consiglio «per esprimere un parere su questioni ad esso sottoposte dal Consiglio» o dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea stessa o dell’Alta Autorità. Ai sensi dell’art. 23, i membri dell’Alta Autorità potevano assistere a tutte le sedute dell’Assemblea ed essere ascoltati su loro richiesta (in particolare, del Presidente), e l’Alta Autorità era tenuta a rispondere oralmente o per iscritto alle domande che le venivano rivolte. L’articolo 24 prevedeva inoltre che l’Assemblea discutesse la relazione generale presentata dall’Alta Autorità durante una seduta pubblica, aggiungendo che, se necessario, era addirittura possibile adottare una mozione di censura sulla relazione. Per poter essere adottata, la mozione richiedeva «la maggioranza dei due terzi dei voti espressi e la maggioranza dei membri dell’Assemblea», nel qual caso i membri dell’Alta Autorità dovevano «rinunciare collettivamente alle loro funzioni». Queste disposizioni sono state riprodotte dai Trattati di Roma per le Commissioni CEE ed Euratom. L’unica differenza poteva essere presentata in qualsiasi momento «sulla gestione» della Commissione. Invece, con il sistema CECA poteva essere presentata solo in occasione della relazione annuale. Il Trattato CECA non attribuiva alcun ruolo all’Assemblea rispetto alla nomina dei membri dell’Alta Autorità, e lo stesso valeva per la Commissione secondo i Trattati di Roma.

La prima sessione dell’Assemblea si tenne a Strasburgo dal 10 al 13 gennaio 1953, sotto la presidenza di Paul Henri Spaak, politico belga di spicco e uno dei “padri fondatori” delle Comunità – insieme a Robert Schuman e Jean Monnet, Konrad Adenauer e Alcide de Gasperi. Monnet fece un resoconto orale dell’azione svolta fino a quel momento, dopodiché si apri un dibattito su due documenti elaborati dall’Alta Autorità: la Dichiarazione della situazione comunitaria e lo Stato di previsione generale (inerente alla previsione di spesa amministrativa)[11]. Il dibattito si concluse con i chiarimenti forniti dai membri dell’Alta Autorità. La composizione dell’Assemblea comune, in particolare la presenza di personalità con una significativa esperienza parlamentare come Spaak per il Belgio, Paul Reynaud e Pierre-Henri Teitgen per la Francia, Herbert Wehner e Franz-Josef Strauss per la Germania, de Gasperi e Ugo La Malfa per l’Italia – solo per citarne alcuni – spiega perché i rapporti tra le due istituzioni si siano instaurati fin dall’inizio con modalità paragonabili a si siano instaurati fin dall’inizio con modalità. Per Monnet – che aveva avuto esperienza di audizioni davanti all’Assemblea nazionale francese come Commissario generale per la pianificazione – e per Enzo Giacchero – che era stato membro dell’Assemblea costituente e poi della Camera dei deputati, e aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente del gruppo democristiano dal 1952 – era evidente che riuscire a mantenere buoni rapporti proprio per garantire la sua indipendenza dai governi degli Stati membri. Lo stesso valeva anche per René Mayer – che succedette a Monnet dopo le sue dimissioni nel giugno 1953 – data la sua esperienza come membro dell’Assemblea nazionale, come ministro e come Presidente del Consiglio.

Il 19 novembre 1954 venne presentata all’Assemblea paritetica una relazione sui poteri di controllo e sul loro esercizio[12]. Il suo autore, Teitgen, non era solo un raffinato giurista, ma anche un politico esperto, più volte ministro sin dal 1945, e membro dell’Assemblea nazionale francese, nonché dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa – all’interno della quale aveva ricoperto il ruolo di relatore del progetto di Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – e dell’Assemblea comune della CECA. Teitgen ha descritto la prassi della CECA in righe che meritano di essere lette e rilette: in particolare, egli ha sottolineato che, nella sessione del giugno 1953, Monnet, Presidente dell’Alta Autorità, aveva dichiarato quanto la sua istituzione «spera che ci venga data ogni opportunità di incontrarsi, in modo che il nostro lavoro comune possa essere svolto in costante cooperazione». Teitgen non manca di ricordare che, pochi giorni dopo, Monnet e l’Assemblea erano già riusciti a stabilire in che occasione fra le sessioni ordinarie, le sessioni straordinarie e le sessioni delle commissioni parlamentari si sarebbero dovute tenere delle riunioni congiunte. Lo scopo di tali riunioni non sarebbe stato quello di «limitarsi a esporre o esaminare le azioni già intraprese, ma di offrire all’Alta Autorità l’opportunità di far conoscere le grandi linee delle sue azioni e dei suoi progetti e di raccogliere da voi le reazioni e le osservazioni che questi progetti suscitano». Nella riunione del 23 giugno, Monnet dichiarò: «L’Alta Autorità informerà in tempo utile l’Assemblea o le commissioni competenti sui principi guida della sua azione e sulle grandi linee dei suoi progetti, riceverà le loro osservazioni e li informerà dei motivi delle decisioni infine prese». L’Assemblea aveva anzitutto deciso, con l’approvazione dell’Alta Autorità, che non solo avrebbe tenuto una sessione ordinaria ogni anno, «ma anche una sessione costitutiva entro quattro mesi dall’inizio del nuovo anno finanziario e sessioni straordinarie, in linea di principio ogni sei mesi». Inoltre, aveva pure stabilito che le sue commissioni sarebbero state permanenti, in modo da permettere all’Assemblea «di esercitare un certo grado di controllo durante le inter-sessioni». L’esperienza parlamentare dei membri dell’”Assemblea comune” nei rispettivi Stati membri e la determinazione di Monnet e dei suoi colleghi, riuscirono ben presto a introdurre una forma significativa di controllo parlamentare controllo parlamentare.

Teitgen, esperto com’era, non tralasciava però di riflettere sui problemi da superare per rafforzare il ruolo dell’Assemblea. Diceva in particolare che «essa avrà pieno successo solo quando i gruppi politici, ad esempio, avranno chiarito le loro tendenze, i loro principi e stabilito, per così dire, la loro dottrina di una politica generale del carbone e dell’acciaio e del ruolo e dei doveri della Comunità». Egli raccomandava inoltre all’Assemblea di chiedere all’Alta Autorità di accettare, se necessario, che gli osservatori nominati dalle commissioni dell’Assemblea potessero partecipare, in questa veste, alle riunioni del Comitato consultivo CECA, e che il Consiglio speciale dei ministri informi l’Assemblea e, se necessario, ne ascoltasse il parere. Teitgen precisava: «Recentemente [il Consiglio] ha accettato di ascoltare una delegazione della Commissione Affari Sociali. Il precedente dovrebbe essere sviluppato, mentre i rappresentanti del Consiglio dovrebbero essere invitati più regolarmente a parlare all’Assemblea e alle sue commissioni». Infine, Teitgen chiedeva che l’Assemblea partecipasse a qualsiasi modifica del Trattato e concludeva sottolineando che il Comitato per gli Affari Politici e le Relazioni Esterne della Comunità aveva «riconosciuto che l’elezione dei membri dell’Assemblea a suffragio universale avrebbe contribuito in modo singolare ad aumentare l’autorità e l’efficacia morale e politica della Comunità». Questo avveniva trent’anni prima che il Parlamento europeo adottasse il progetto di Trattato sull’Unione europea sulla base di una relazione di Altiero Spinelli. Il progetto di Comunità europea di difesa – che non fu ratificato a causa di un voto contrario dell’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954 – nella stessa prospettiva, prevedeva un articolo 38 in tal senso, il cui contenuto fu poi ripreso dai Trattati di Roma nel 1958.

È decisivo comprendere pure che il rapporto Teitgen sottolinei che «L’Assemblea, i gruppi politici e l’Ufficio di Presidenza sono stati unanimi nel ritenere che, sebbene il suo mandato si estenda a tre Comunità, la nuova Assemblea sia un’istituzione omogenea nella sua struttura e conformazione. La sua unità non deve essere contraddetta, nemmeno dalla sua organizzazione interna. Uno dei suoi primi compiti sarà quello di convincere le Comunità a non andare per la loro strada e ad allineare costantemente la loro politica e la loro organizzazione. I tre testi del Trattato devono quindi essere visti come mezzi diversi per un unico fine: un’integrazione europea armoniosa e omogenea»[13].

4. La legittimazione dovuta alla funzione di controllo politico della Commissione, segue: l’esperienza delle Comunità europee e dell’Unione europea

Con il Trattato di fusione, entrato in vigore il 1° luglio 1967, l’Assemblea comune viene trasformata nell’Assemblea parlamentare europea, responsabile del controllo dei tre “esecutivi” – l’Alta Autorità della CECA, la Commissione della CEE e la Commissione dell’Euratom -. In realtà, si trattava di una novità solo formale, poiché esisteva già una sola Assemblea, che esercitava lo stesso controllo sui tre esecutivi, cosa che, di fatto, rafforzava il Parlamento nei confronti di questi ultimi.

Nella Relazione sull’attività dell’Assemblea per il periodo dal 1° luglio 1957 al 31 dicembre 1958 si legge: «L’esperienza della CECA ha dimostrato che, se l’istituzione parlamentare si è sviluppata in modo così positivo, è anche perché l’Alta Autorità, interamente responsabile dell’applicazione del Trattato CECA, e l’Assemblea comune hanno avuto un costante scambio di opinioni, che ha permesso all’Assemblea di seguire passo dopo passo la politica dell’Alta Autorità e di influenzarla. L’Assemblea parlamentare – questo il nome attribuitole dai Trattati di Roma – ha adottato questo metodo di scambio di opinioni con gli esecutivi della C.E.E. e dell’Euratom senza alcuna restrizione. L’efficacia di questo metodo di lavoro è stata riconosciuta non solo dall’Assemblea, ma anche dagli esecutivi»[14].

Nella sessione costitutiva dell’Assemblea parlamentare europea del 19 marzo 1958, Walter Hallstein, parlando del ruolo dell’istituzione parlamentare e sottolineando la necessità di una cooperazione tra la Commissione e l’Assemblea, dichiarava addirittura: «L’Assemblea non è solo il più forte elemento sovranazionale, politico e democratico della nostra Comunità; è anche il suo elemento più dinamico»[15]. Durante questa sessione costituente, l’idea che i problemi di ciascun settore dovessero essere affrontati solo in un contesto generale è stata accettata dalle altre istituzioni delle Comunità, «perché ogni atto di una Comunità ha ripercussioni dirette o indirette sugli interessi delle altre». Né l’Ufficio di presidenza dell’Assemblea comune durante i lavori preparatori, né quello dell’Assemblea parlamentare europea, in seguito, hanno mai pensato di creare commissioni specializzate per ciascuna Comunità. L’intera area coperta dai tre trattati è stata suddivisa tra tredici commissioni. Le competenze di ciascuna si estendevano alle tre Comunità, con la sola eccezione di due, ossia la commissione per l’associazione dei Paesi e territori d’oltremare e la commissione per l’agricoltura, che rientravano entrambe nel solo trattato CEE.

Il 30 marzo 1962 l’Assemblea decise di adottare la denominazione di Parlamento europeo, cambiamento che fu formalmente sancito nel diritto primario 25 anni dopo con l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo. Il Trattato di fusione dell’8 aprile 1965 entrò in vigore il 1° luglio 1967, un anno dopo che lo stallo causato dalla crisi della sedia vuota era stato superato dal Compromesso di Lussemburgo. L’unica modifica al rapporto tra commissione e parlamento riguardava la procedura di adozione del bilancio, che ampliava il potere dei rappresentanti eletti di presentare proposte. I poteri del Parlamento sono stati successivamente ampliati dai trattati del 22 aprile 1970 e del 22 luglio 1975, che hanno modificato alcune disposizioni inerenti al bilancio. Due anni dopo, l’Atto del 20 settembre 1976 relativo all’elezione dei rappresentanti all’Assemblea a suffragio universale diretto ha certamente rafforzato la legittimità politica del Parlamento come rappresentante dei popoli degli Stati membri, anche se non prevede alcuna disposizione specifica sul rapporto tra Parlamento e Commissione.

Questa prassi è stata rafforzata con la nomina di Roy Jenkins a Presidente della Commissione il 6 gennaio 1977. Come già discusso, dopo i conflitti tra de Gaulle e Hallstein, la scelta di Rey come presidente dell’esecutivo congiunto a partire dal luglio 1967 segnò un ripiegamento di quest’ultimo su un ruolo di mediazione. Successivamente, se Rey (presidente dal luglio 1967 al giugno 1970), Franco-Maria Malfatti (luglio 1970-marzo 1972) e Sicco Mansholt (marzo 1972-gennaio 1973) avevano maturato una significativa esperienza parlamentare, François-Xavier Ortoli (gennaio 1973-gennaio 1977) non ne aveva alcuna e interpretava il suo ruolo come quello di un alto funzionario – pur essendo perfettamente consapevole dell’aspetto politico di molte decisioni.

Jenkins, «the best Prime minister Britain never had», come ha scritto la stampa[16]16, aveva invece un’esperienza quasi trentennale come parlamentare e ministro di primo piano quando fu nominato Presidente della Commissione. Jenkins illustra perfettamente ciò che Monnet ha scritto nelle sue Memorie, pubblicate un anno prima della nomina di Jenkins: «A differenza di molti, io non temevo che l’ingresso della Gran Bretagna avrebbe ostacolato il funzionamento della Comunità. Loro vogliono che le cose funzionino», spiegava, «e quando vedranno che l’Europa funziona solo attraverso le sue istituzioni, saranno i suoi migliori difensori, soprattutto le istituzioni parlamentari. Certo, anche gli europei hanno i parlamenti, ma nessuno può dire fino a che punto li abbiano integrati in sé. […] L’azione parlamentare è penetrata nel midollo delle ossa dei cittadini britannici»[17]. Cinque giorni dopo il suo insediamento, Jenkins era a Strasburgo per prestare giuramento davanti alla Corte di giustizia e per pronunciare un discorso della durata di 32 minuti che aveva iniziato a scrivere durante il periodo natalizio; Emile Noël, segretario generale della Commissione CEE dal 1958 e poi della Commissione comune alle tre Comunità, gli disse che era stato un grande successo[18]. L’8 febbraio Jenkins si trovava di nuovo dinanzi al Parlamento europeo per presentare il programma della Commissione; in questa occasione, pronunciò un discorso di quasi un’ora. Uno sguardo al suo diario, pubblicato nel 1988, mostra che Jenkins si occupava con particolare attenzione dei rapporti con il Parlamento, come ad esempio in occasione della mozione di censura presentata dal gruppo che riuniva i gollisti francesi e il Fianna Fáil irlandese, oltre ai comunisti francesi, dopo la decisione di bloccare la vendita delle eccedenze di burro della CEE all’Unione Sovietica; la mozione fu respinta con 95 voti contro 15[19]. Da ciò si evince anche – sebbene non l’abbia scritto espressamente – che Jenkins era perfettamente consapevole che l’elezione a suffragio universale diretto avrebbe aumentato il potere del Parlamento e che sarebbe stato forse più difficile dialogare con i nuovi eletti alcuni dei quali non potevano contare su alcuna esperienza parlamentare.[20]. In questa luce, vale la pena di ricordare come David Marquand, che era uno dei suoi collaboratori a Bruxelles, sia stato uno dei promotori, insieme a Richard Corbett, dell’espressione “deficit democratico”, utilizzata dai federalisti europei per promuovere la partecipazione all’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto.

Gaston Thorn, presidente della Commissione europea dal 1981 al 1985, ha cercato di innovare rispetto ai suoi predecessori per tenere conto dell’elezione universale, presentando al Parlamento europeo un «programma generale di lavoro della Commissione per il 1981» che non esitò a descrivere così: «Si tratta del primo documento del genere. I miei colleghi ed io abbiamo infatti ritenuto che, tenendo conto dell’evoluzione e della natura del vostro ruolo, sia più utile indicarvi le nostre priorità in alcune; pagine, sulle quali avrete modo di riflettere, piuttosto che fornirvi il tradizionale Memorandum, allegato al non meno tradizionale discorso programmatico, il quale di fatto non era che un catalogo di tutte le attività che la Commissione doveva intraprendere» [21].

Jacques Delors ha continuato e rafforzato questa cooperazione durante i dieci anni del suo mandato, durante i quali sono stati adottati e attuati l’Atto unico europeo, che ha introdotto la procedura di cooperazione, e il Trattato di Maastricht, che ha introdotto la procedura di codecisione e ha conferito maggiori poteri al Parlamento nella funzione legislativa. Da allora, sia i media che gran parte del mondo accademico hanno concentrato la loro attenzione sulle funzioni legislative del Parlamento europeo e sul suo potere di nomina della Commissione. Tuttavia, sarebbe un grave errore dimenticare gli altri elementi della funzione di controllo politico che hanno continuato a svilupparsi.

Come riassume Juan F. López Aguilar, parlamentare spagnolo ed europeo di grande esperienza, ex ministro della Giustizia e professore di diritto costituzionale, «il controllo parlamentare si svolge […] utilizzando una serie di strumenti ampiamente noti nella prassi parlamentare. Dibattiti sulle dichiarazioni della Commissione – tra cui l’annuale ‘dibattito sullo stato dell’Unione’ in occasione della prima riunione plenaria di settembre dopo la pausa estiva di agosto -, interrogazioni parlamentari (interrogazioni con risposte orali, seguite da un dibattito, una serie di tempi di parola e di oratori), dibattiti su relazioni di natura o contenuto politico specifico (relazione INI su questioni istituzionali), scambio di opinioni con la Commissione su questioni politiche (documenti politici, relazioni annuali delle agenzie su questioni di interesse parlamentare, come nel caso dell’Agenzia per i diritti fondamentali, di Europol, di Eurojust o di Frontex), o dibattiti a seguito della presentazione di un argomento specifico da parte di un’autorità europea (il Presidente della BCE) o di un funzionario europeo (‘Mediatore europeo’) ampliano l’ambito delle attività del PE sotto l’egida dei poteri di controllo. Le commissioni d’inchiesta […] sono uno strumento molto specifico che consente al PE di svolgere il suo ruolo di istituzione abilitata a esercitare il controllo e la supervisione sulla Commissione e sull’amministrazione dell’UE»[22].

Ad avviso di chi scrive, il rafforzamento di questi strumenti deve essere considerato, come uno degli elementi chiave della legittimazione politica della Commissione, che merita senza dubbio di essere ulteriormente approfondito in questo saggio. Fra le voci più critiche è importante ricordare quella della eurodeputata di lungo corso Sophie in t’ Veld, che, nello scritto dal titolo più che eloquente «Il Parlamento europeo: cane da guardia o cagnolino? [The European Parliament, watchdog or lapdog]» non esita ad affermare che «il Parlamento dovrebbe dare piena attuazione all’articolo 17, paragrafo 8, del TFUE e chiedere conto alla Commissione in modo significativo. Non si tratta di un’opzione, ma di un obbligo previsto dai Trattati. Si dovrebbe iniziare reintroducendo un vero e proprio ‘Tempo delle interrogazioni’ con il Presidente della Commissione, almeno due volte al mese. Dovrebbe essere molto diverso dall’attuale prassi che vede il Presidente della Commissione pronunciare un discorso in plenaria, seguito da una lunga serie di dichiarazioni di un minuto da parte degli eurodeputati. Deve basarsi su domande e risposte reali e su un esame rigoroso, senza lasciare spazio di manovra alla Commissione. Questo creerà un’arena politica …. e l’odore di animali selvatici. Attualmente il Parlamento tratta la Commissione con i guanti di velluto. La Commissione sa di non avere nulla da temere dal Parlamento. Una volta superato l’ostacolo del voto di conferma, la Commissione può fare praticamente quello che vuole per cinque anni»[23].

In ogni caso, la legittimità della Commissione deriva oggi in larga misura dalle modalità di nomina di certo non più frutto della scelta esclusiva del Consiglio, cioè dai governi degli Stati membri, ma di una valutazione rispetto alla quale il Parlamento europeo svolge un ruolo sempre più importante. Poiché la dottrina e i media dedicano molta attenzione a questo tema, ci si limita di seguito a sottolineare alcuni punti che riteniamo meritevoli di attenzione.

5. La legittimazione derivante dal metodo di nomina della Commissione

È con il Trattato di Lisbona che la formula secondo cui il Parlamento europeo «elegge il Presidente della Commissione» compare per la prima volta nel diritto primario. Si tratta, infatti, di una delle innovazioni testuali proposte nel progetto di Trattato costituzionale approvato dalla Convenzione europea nella primavera del 2003. Al di là delle parole altisonanti utilizzate, che hanno ovviamente un peso simbolico e politico, a questa innovazione non si può attribuire un rilievo particolare. Solo il Trattato di Maastricht ha infatti disegnato un ruolo significativo per il Parlamento europeo nell’ambito del procedimento di nomina della Commissione: il nuovo articolo 158 da inserire nel Trattato CE recitava (evidenziazione aggiunta):

« 2. Previa consultazione del Parlamento europeo, i Governi degli Stati membri designano, di comune accordo, la persona che intendono nominare Presidente della Commissione.

I Governi degli Stati membri, in consultazione con il Presidente designato, designano le altre persone che intendono nominare membri della Commissione.

Il Presidente e gli altri membri della Commissione così designati sono soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. Dopo l’approvazione del Parlamento europeo, il Presidente e gli altri membri della Commissione sono nominati, di comune accordo, dai Governi degli Stati membri.»,

Con il Trattato di Amsterdam, le parole «previa consultazione del Parlamento europeo» sono state eliminate dalla prima frase, ma sono state immediatamente aggiunte alla fine della prima frase; «la nomina è approvata dal Parlamento europeo». Il terzo paragrafo rimane invariato.

Il Trattato di Nizza ha fatto un ulteriore passo avanti nella descrizione formale della procedura:

«Il Consiglio, riunito a livello di Capi di Stato o di governo e deliberando a maggioranza qualificata, designa la persona che intende nominare presidente della Commissione; tale designazione è approvata dal Parlamento europeo.

Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata e di comune accordo con il presidente designato, adotta l’elenco delle altre persone che intende nominare membri della Commissione, redatto conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro.

Il presidente e gli altri membri della Commissione così designati sono soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. Dopo l’approvazione del Parlamento europeo, il presidente e gli altri membri della Commissione sono nominati dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata».

Con il Trattato di Lisbona, l’art. 17, par. 6, 1° e 2° comma, TUE recita:

«Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura.

Il Consiglio, di comune accordo con il presidente eletto, adotta l’elenco delle altre personalità che propone di nominare membri della Commissione. Dette personalità sono selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri, conformemente ai criteri di cui al paragrafo 3, secondo comma e al paragrafo 5, secondo comma».

Una lettura attenta di queste disposizioni mette in evidenza che il cambiamento essenziale è dunque avvenuto con il Trattato di Maastricht, che ha introdotto la necessità di un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. Le modifiche ulteriori che hanno apportato novità decisive, al di là di quelle di natura simbolica sono state adottate con il Trattato di Nizza, che, al posto dell’accordo comune da raggiungere all’interno del Consiglio europeo – ossia, in altre parole, al diritto di veto di uno Stato membro – ha previsto il voto a maggioranza qualificata. Questi cambiamenti non hanno però avuto un impatto immediato, il che spiega perché molti commentatori tendono a sopravvalutare la riforma introdotta dal Trattato di Lisbona.

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht il 1° ottobre 1993, la prima occasione utile in questa direzione si presenta nel giugno 1994. Al termine del mandato della Commissione Delors, il primo ministro belga Jean-Luc Dehaene, membro del partito democristiano fiammingo, noto per le sue idee a favore di una maggiore integrazione europea, era stato contattato da qualche membro del Consiglio europeo per essere nuovo presidente della Commissione ed era sostenuto in particolare da Francia e Germania. La sua candidatura venne però ostacolata dal veto dal Primo Ministro britannico John Major al Consiglio europeo di Corfù del 24 e 25 giugno 1994[24], dodici giorni dopo l’elezione del Parlamento europeo. In quella occasione, il Parlamento avrebbe potuto provare almeno a mettere in luce il suo potere essenziale rispetto all’investitura del Presidente della Commissione, spingendosi fino a respingere Jacques Santer, proposto dal Consiglio europeo.

Di lì a poco, il corrispondente di un noto quotidiano francese scrisse dopo la nomina di Santer da parte del Consiglio europeo[25], «poiché la Comunità è composta da Stati quasi tutti favorevoli a una maggiore integrazione europea, la scelta di Jacques Santer è la migliore possibile, secondo Londra, o, più precisamente, la meno peggio. Tutti i candidati a succedere a Jacques Delors in questo secondo turno erano comunque molto lontani dalla posizione del governo di John Major sul futuro dell’Europa e, a maggior ragione, da quella degli ‘euroscettici’ del Partito Conservatore con cui il Primo Ministro deve costantemente confrontarsi. È questa constatazione realistica, più che l’entusiasmo per la personalità e le sue idee, a spiegare gli alti apprezzamenti di Londra per l’elezione di Jacques Santer, considerato dal governo il meno ‘pericoloso’ dei federalisti».

È importante ricordare che, scadendo il mandato della Commissione Delors solo nel gennaio 1995, ci fu un intervallo di sei mesi tra la nomina di Santer da parte del Consiglio e il voto del Parlamento sulla Commissione che avrebbe dovuto presiedere. Nella seduta del 18 gennaio 1995, la proposta del Consiglio fu approvata con 416 voti su 578, 103 voti contrari e 59 astensioni. I presidenti dei due principali gruppi, dei Socialisti e del Partito Popolare Europeo, avevano chiesto un voto di fiducia nonostante le numerose critiche dei deputati dopo l’audizione dei candidati da parte del Parlamento; quest’ultima procedura, anche se non ancora disciplinata, era comunque stata imposta dalla maggioranza dei deputati. È chiaro che questi ultimi hanno preferito evitare uno scontro con il Consiglio europeo, che avrebbe sicuramente messo in evidenza il nuovo potere del Parlamento, rischiando però al tempo stesso di essere una vittoria di Pirro. Una vittoria che, in altre parole, avrebbe rallentato l’avanzamento della procedura di nomina avvenuta con il Trattato di Amsterdam firmato nel 1997 e il Trattato di Nizza firmato nel 2001.

Non va poi dimenticato che nel 2014 era stato esperimentato per la prima volta il metodo dei cd. Spitzenkanditaten (candidati di vertice). Tale metodo era stato mutuato dalla prassi tedesca avviata negli anni Cinquanta del secolo scorso con l’accordo precedente alle elezioni al Bundestag i due partiti democristiani CDU e CSU che, nel caso avessero ottenuto la maggioranza al Bundestag, avrebbero votato a favore di Konrad Adenauer come futuro Cancelliere federale. L’accordo si discostava del parlamentarismo dualistico della Repubblica di Weimar e voleva imporre al Capo dello Stato di seguire la prassi del parlamentarismo britannico, dove il Sovrano nomina Primo ministro il leader del partito che ha vinto il maggior numero di seggi allo House of Commons.

Come giustamente osservato da Enzo Cannizzaro «il Parlamento, fondandosi su un passaggio di incerta natura che impone al Consiglio europeo di ‘tener conto’ del risultato delle elezioni europee, ha pensato bene di promuovere un accordo politico fra i principali gruppi parlamentari, a termine del quale il Presidente dovrebbe essere il capolista del gruppo che ha riportato il maggior numero dei consensi nelle elezioni europee. Di fatto, un tale accordo, se effettivamente attuato, vincola il potere di proposta del Consiglio europeo. Questo banale meccanismo si fonda su un accordo informale, una sorta di patto di sindacato, non, quindi, difforme dall’art. 17, par. 7. Ma esso tende a sovvertirne l’ispirazione ideale; e, cioè, che la Commissione non possa essere figlia di un solo genitore. In effetti, il metodo degli Spitzenkandidaten mira ad alterare, l’equilibrio istituzionale che si rispecchia nell’art. 17, par. 7, TEU, e a fare della Commissione il braccio esecutivo del Parlamento»[26].

Nel 2014, il Consiglio Europeo, il 27 giugno – cioè cinque settimane dopo le elezioni del 22-25 maggio – ha nominato come Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, Spitzenkandidat del gruppo PPE, popolare di centro destra, in ragione dell’accordo raggiunto prima delle elezioni tra i tre principali gruppi parlamentare, PPE, Socialisti e democratici (centro sinistra) e liberali ALDE. I Primi ministri dell’Ungheria Viktor Orbán e del Regno Unito David Cameron si opposero – quest’ultimo dichiarando la sua opposizione di principio al sistema dei Spitzenkandidaten.

Nel 2019, invece, non si raggiunse alcun accordo paragonabile a quelli precedenti, poiché i liberali si rifiutarono di designare un solo candidato prima delle elezioni del 23-26 maggio, e i gruppi non si misero d’accordo prima della riunione del Consiglio europeo per annunciare che voterebbero a favore di uno dei candidati dei tre gruppi. Il Presidente francese Macron, fra l’altro si oppose alla nomina dello Spitzenkandidat del PPE Manfred Weber – sostenuto dalla Cancelliere Angela Merkel. Data l’impossibilità di raggiungere una maggioranza qualificata al Consiglio europeo su questo nome, Macron riuscì a fare accettare ai suoi colleghi la candidatura di Ursula von der Leyen, Ministro della difesa tedesca e membro del partito CDU, ma che non era nemmeno stata candidata al Parlamento europeo. Si può di certo ritenere che la lettera dell’art. 17 TUE abbia avuto il sopravvento, poiché è, per l’appunto, il Consiglio europeo che nomina il Presidente proposto della Commissione europea. Nel caso di specie, fu tenuto conto dei resultati delle elezioni, nel senso che la CDU -CSU rappresentava il maggiore partito del gruppo PPE, il quale aveva avuto il maggior numero di voti. Se il Parlamento europeo avesse voluto imporre la candidatura di Weber, avrebbe potuto non votare a favore di von der Leyen; invece, la maggioranza del Parlamento scelse di evitare una crisi. In seguito, le commissioni più importanti del Parlamento rifiutarono l’audizione di due candidati commissari, la rumena Rovana Plumb e l’ungherese László Trócsányi in ragioni di conflitto d’interesse e votarono contro quella della francese Sylvie Goulard dato che era in corso un’inchiesta riguardo le possibili irregolarità relative alle sue attività per un think tank mentre era membro del Parlamento europeo. Fu così sottolineata la doppia legittimazione della Commissione, e quindi il carattere di dualistico del parlamentarismo dell’Unione europea.

Dopo l’elezione del 6-9 giugno 2024, le prime settimane hanno dimostrato non solo che la legittimazione della Commissione deriva, anzitutto e in prima battuta, dal Consiglio europeo, con la scelta a maggioranza qualificata di von der Leyen, Spitzenkandidata del PPE, e ancora più importante, Presidente uscente eletta nel 2019 con l’appoggio dei deputati PPE, Socialisti e democratici, Renew, nonché dai verdi e alcuni altri. È anche emersa la natura molto particolare del Consiglio europeo, che a differenza di un Capo dello Stato, non è carica monocratica ma è un collegio composto da Capi di Stato o di governo di ventisette paesi, tra cui alcuni hanno più peso di altri. Al tempo stesso, è diventata evidente anche la natura politica della scelta, alla quale il Primo Ministro ungherese Victor Orbán si è opposto formalmente alla nomina di von der Leyen con un voto contrario mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è astenuta. È da ricordare che formalmente l’astensione , in questo caso, ha valore di voto contrario, dato che se la decisione non raccoglie la maggioranza qualificata, equivale a una decisione negativa. È anche divenuta del tutto evidente la natura intergovernativa e politica della scelta del candidato presidente della Commissione, dato che, come già nel 2014 e nel 2019 è stato eletto il futuro Presidente del Consiglio europeo e designata la futura Altar rappresentante.

In ogni caso, resta il fatto che per la Presidenza della Commissione, sarà necessario ottenere un voto a maggioranza assoluta dei presenti. Soltanto successivamente sarà possibile avviare formalmente la procedura di nomina della Commissione, che necessita del triplice accordo tra Presidente eletto della Commissione, singoli governi degli Stati membri, e maggioranza del Parlamento europeo. Nel momento del presente scritto, nulla garantisce che si tratterà di un percorso facile.

  1. Il presente contributo è la versione italiana aggiornata di un saggio pubblicato originariamente in lingua francese: J. Ziller, La double légitimité démocratique de la Haute-Autorité et de la Commission depuis les Communautés européennes jusqu’à la Commission von der Leyen, in Revue de l’Union européenne, n° 678, maggio 2024, pp. 276-282.
  2. J.-L. Quermonne, Le système politique de l’Union européenne, Montchrestien, Parigi, 1992.
  3. V. Ph. Lauvaux, Le parlementarisme, PUF, Parigi, 2002, pp. 25-26. La traduzione è mia.
  4. Lauvaux cita G. Burdeau, Le régime parlementaire dans les constitutions européennes d’après-guerre, Les Éditions internationales, Parigi, 1932, p. 84.
  5. Lauvaux, ibid.
  6. Ibidem.
  7. V. CVCE, La crise de la Commission Santer, https://www.cvce.eu/obj/la_crise_de_la_commission_europeenne-fr-7380f95b-1fb2-484d-a262-d870a0d5d74d.html
  8. V. G. Scelle, Précis de droit des gens – Principes et systématique, Sirey, Parigi, 1932 e 1934; e Id., Règles générales du droit de la Paix, in Recueil des Cours de l’Académie de La Haye, IV, 1933, pp. 358-359.
  9. V. J. Ziller, Sdoppiamento funzionale e trappola della decisione congiunta nell’Unione europea, in CERIDAP, 3, 2022.
  10. V. J. Ziller, Defiance for European Influence -The Empty Chair and France, in A. Jakab, D. Kochenov (a cura di), The Enforcement of EU Law and Values – Ensuring Member State’s Compliance, OUP, Oxford, 2017, pp. 422-435.
  11. Communauté européenne du charbon et de l’acier, Annuaire- Manuel De l’Assemblée Commune, Lussemburgo, 1956, p. 131, in http ://aei.pitt.edu/36318/1/A2466.pdf.
  12. Communauté européenne du charbon et de l’acier – Assemblée commune, Session extraordinaire novembre-décembre 1954. Novembre 1954, n° Document 5 ; 1954-1955. [s.l.]. “Rapport fait au nom de la Commission des Affaires politiques et des Relations extérieures de la Communauté, du 19 novembre 1954, sur les pouvoirs de contrôle de l’Assemblée Commune et leur exercice, par M. P.-H. Teitgen, Rapporteur”, pp. 7-20, in http ://www.cvce.eu/obj/rapport_teitgen_19_novembre_1954-fr-e5e7e6e8-035d-4c40-a04d-6d747a74b198.html.
  13. Ibidem.
  14. Activité de l’Assemblée Commune du 1er juillet 1957 au 18 mars 1958 et de l’Assemblée Parlementaire Européenne du 19 mars au 31 décembre 1958, in https ://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-FR.asp?fileid=1238&lang=FR
  15. Ibidem.
  16. 16 V. J. Campbell, Roy Jenkins: A Well-Rounded Life, Vintage Publishing, Londra, 2015, cap. 20, p. 1.
  17. V. J. Monnet, Mémoires, Fayard, Parigi, 1976 (cap. 18, pag. 1 versione e-book).
  18. R. Jenkins, European Diary, Collins, Londra, 1988, (Cap. 19. p. 158 versione e-book).
  19. R. Jenkins, European Diary, cit.
  20. Per una visione critica della presidenza della Commissione Jenkins, tuttavia, si veda N. Piers Ludlow, Roy Jenkins and the European Commission Presidency, 1976-1980: At the Heart of Europe, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2016.
  21. Discorso al Parlamento europeo di Gaston Thorn, Presidente della Commissione delle Comunità europee. Presentazione della relazione generale 1980 e del programma della Commissione per il 1981, Lussemburgo, 11 febbraio 1981, in https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/a80612ea-84cb-41c9-bc0c-a40362189f84f.
  22. J.F. López Aguilar, Parliamentarianism and accountability of the executive power on a European scale : the experience of the European Parliament, in M. Morabito, G. Tusseau (a cura di), Regional Accountability and Executive Power in Europe, Routledge, Londra, 2024, p. 137. La traduzione è mia.
  23. S. in’t Veld, The Scent of Wild Animals, in M. Morabito, G. Tusseau (a cura di), Regional Accountability and Executive Power in Europe, cit., p. 150. La traduzione è mia.
  24. Per un resoconto del vertice di Corfù si veda: https ://www.cvce.eu/de/collections/unit-content/-/unit/en/d5906df5-4f83-4603-85f7-0cabc24b9fe1/3f235f67-f124-4667-996c-89c0e59a7566/Resources#f4a1e698-1b5c-4b62-bc99-3a28b03489d7_en&overlay
  25. Le Monde, 17 luglio 1994.
  26. E. Cannizzaro, Il metodo degli Spitzenkandidaten e la Costituzione materiale europea, in Eurojus, 2, 2024.

Jacques Ziller

Former Full professor of European Union law at the University of Pavia, former Professor of comparative public law and European Union law at the European University Institute of Fiesole, anciennement professeur de droit public à l'Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne