Sdoppiamento funzionale e trappola della decisione congiunta nell’Unione europea

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3/2022

Sdoppiamento funzionale e trappola della decisione congiunta nell’Unione europea

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Il sistema istituzionale e le procedure decisionali dell’UE si basano sulla scissione dei ruoli (“dédoublement fonctionnel” di Georges Scelles) da parte dei detentori del potere esecutivo e delle relative amministrazioni negli Stati Membri, che agiscono come organi dello Stato e, allo stesso tempo, dell’UE. L’Unione incarna una forma di federalismo esecutivo paragonabile a quello tedesco, con tutti i problemi di un sistema politico interconnesso (“Politkverflechtung”), come ad esempio la cosiddetta trappola delle decisioni comuni (“Politkverflechtungsfalle” di Fritz W. Scharpf). Lo sviluppo dell’integrazione europea ha rafforzato gli organi esecutivi degli Stati Membri a scapito dei parlamenti e, allo stesso modo, gli organi esecutivi centrali rispetto alle autorità locali e regionali. Tuttavia, questo rafforzamento è stato accompagnato da un’attenuazione delle linee di responsabilità e della c.d. accountability.


Role Splitting and the joint decision trap in the European Union
The institutional system and decision-making procedures of the EU are based on role splitting (Georges Scelles’ dédoublement fonctionnel) by political holders of executive power and their administrations in the member states, who act as organs of the state and, at the same time, of the EU. The Union embodies a form of executive federalism similar to that of Germany, with all the problems of an interlocked political system (Politkverflechtung) e.g., the so-called joint decision trap (Fritz W. Scharpf’s Politkverflechtungsfalle). The development of European integration has strengthened member states’ executives at the expense of parliaments, and central executives in relation to local and regional authorities. However, this strengthening has been accompanied by a blurring of the lines of accountability.

1. Sdoppiamento funzionale e federalismo europeo

Durante la preparazione della Dichiarazione Schuman nel 1950, che aveva come scopo lontano la creazione di Stati uniti d’Europa, Jean Monnet e i suoi collaboratori scelsero di proposito di istituire un Consiglio dei ministri speciale composto da membri dei governi centrali degli Stati membri accanto all’Alta Autorità – il predecessore della Commissione, e come quest’ultima totalmente indipendente. Gli Stati non avrebbero potuto accettare l’istituzione di un’autorità sovranazionale con poteri vincolanti se le decisioni di quest’ultima non erano soggette a qualche forma di approvazione da parte dei governi stessi. Il Cancelliere tedesco Konrad Adenauer, che presiedette la prima riunione del Consiglio Speciale dei Ministri l’8 settembre 1952 in veste di titolare anche del portafoglio degli Esteri aprì così la seduta.

«Il Consiglio è l’organo federale della Comunità. Come tale, ha una doppia missione secondo il trattato. Da un lato, agirà come un’istituzione della Comunità, cioè un’istituzione di formazione sovranazionale, con diritti sovrani propri e indipendente dagli Stati. Come istituzione della Comunità, il Consiglio partecipa al regolamento e alla gestione dei diritti sovrani che gli Stati membri hanno escluso dalla loro sfera d’azione e hanno ceduto alla Comunità. In questa veste, è chiamato dal trattato a partecipare attivamente alla creazione di regolamenti da parte della Comunità. Sarà ascoltato su tutte le misure importanti dell’Alta Autorità. La sua approvazione o decisione è richiesta in casi importanti. Il suo accordo unanime è richiesto per questioni di grande importanza. D’altra parte, il Consiglio dei Ministri ha una seconda missione. Non difende solo gli interessi della Comunità nell’ambito dei diritti sovrani che le sono stati trasferiti, ma anche gli interessi degli Stati membri nell’ambito dei diritti sovrani che conservano. […] Il Consiglio dei ministri ha dunque un ruolo di collegamento e di mediazione. Si trova all’intersezione di due sovranità, una sovranazionale e una nazionale. Deve servire gli interessi della Comunità allo stesso modo di quelli degli Stati e trovare un equilibrio che dia loro ciò che gli appartiene rispettivamente. Come stabilisce il trattato, deve armonizzare gli interessi reciproci. In quanto organo, gli viene così assegnato un compito prioritario che riguarda tutti coloro che lavorano per l’unificazione dell’Europa»[1].

Questo discorso merita di essere letto alla luce della teoria dello “sdoppiamento funzionale” (“dédoublement fonctionnel”) dell’internazionalista francese Georges Scelle (1978-1961). Tale dottrina è stata particolarmente ben spiegata in lingua inglese da Antonio Cassese, uno dei migliori internazionalisti italiani contemporanei[2]:

«Poiché non esistono “governanti e agenti specificamente internazionali” (“gouvernants et agents spécifiquement internationaux”), i membri nazionali del governo così come i funzionari statali svolgono un ruolo “doppio”: essi agiscono come organi statali quando operano all’interno del sistema giuridico nazionale; essi agiscono in quanto agenti internazionali quando operano all’interno del sistema giuridico internazionale. Così, quando il capo dello Stato o il legislatore statale partecipano alla formazione di un trattato legislativo, essi agiscono come organi legislativi internazionali […] analogamente, ogni volta che uno o più funzionari statali intraprendono un’azione esecutiva (ricorso alla forza senza guerra, rappresaglie, intervento armato, guerra vera e propria) essi agiscono come agenzie esecutive internazionali (“agents exécutifs internationaux”). Per evitare possibili equivoci, va sottolineato che per Scelle i funzionari nazionali non hanno un doppio ruolo che si svolge contemporaneamente, ma un doppio ruolo nel senso che operano alla maniera di Dr. Jakyll [sic] e Mr. Hyde, esibendo una doppia personalità. In altre parole, anche se dal punto di vista del loro status giuridico sono e rimangono organi nazionali, possono funzionare sia come agenti nazionali che internazionali».

Come risultato dello sdoppiamento funzionale, la posizione degli esecutivi centrali degli Stati membri è stata rafforzata sia a spese dei parlamenti centrali che in relazione alle autorità locali e regionali. Il Consiglio dell’UE (da non confondere con il Consiglio europeo) ha potere decisionale nella funzione legislativa dell’UE in tutti i campi, nella maggior parte dei casi in quanto co-legislatore con il Parlamento europeo. Fino al trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° ottobre 1993, il Consiglio era addirittura l’unica istituzione ad esercitare il potere legislativo.

2. Sdoppiamento funzionale e trappola della decisione congiunta

Le conseguenze dello sdoppiamento funzionale nelle istituzioni dell’UE sono state analizzate nel 1988 dallo scienziato politico tedesco Fritz W. Scharpf come “trappola della decisione congiunta” (“Politikverflechtungsfalle”)[3], che risulta dal particolare tipo di intreccio politico (“Politikverflechtung”) del sistema federale tedesco e di quello dell’Unione europea.

Nelle parole di Scharpf[4]:

«In Germania come nella Comunità europea/Unione, le scelte politiche importanti a livello centrale, e anche tutti i cambiamenti istituzionali, dipendono dal sostegno dei governi costituenti (dei Länder o degli Stati membri) sia per accordo unanime che per voti a maggioranza qualificata. In contrasto con le fazioni ideologiche o di classe dei parlamenti nazionali, il Bundesrat e il Consiglio dei Ministri dovrebbero rappresentare gli interessi su base territoriale. […] come in Germania, i governi dell’UE hanno generalmente cercato il consenso ed evitato decisioni che avrebbero violato gli interessi vitali di uno Stato membro […] Ho usato la metafora della “trappola della decisione congiunta” per riassumere gli argomenti che spiegano queste pratiche. Essi partono dal fatto che, sulle questioni di riforma istituzionale, i governi membri rappresentano non solo gli interessi dei loro elettori, ma anche il loro stesso interesse istituzionale che, nel contesto attuale, può essere interpretato come una preoccupazione di autonomia e influenza. Se i problemi all’interno dei loro territori non possono più essere risolti attraverso scelte politiche autonome, questi governi possono delegare con riluttanza le competenze [sic] a istituzioni di livello superiore. Ma cercheranno comunque di mantenere quanta più influenza possibile sull’esercizio di queste competenze. Per evitare che le decisioni violino le loro preferenze, insisteranno sull’unanimità o sul voto a maggioranza qualificata anche se i risultati saranno probabilmente inefficienti dal punto di vista della risoluzione dei problemi».

L’analisi di Scharpf riconosce così lo sdoppiamento funzionale e aggiunge una spiegazione delle ragioni per cui gli attori nell’esercizio del loro ruolo nell’UE non basano le loro posizioni sull’ottimizzazione dei loro interessi nazionali. Per comprendere appieno la natura della trappola della decisione congiunta dell’UE e le sue conseguenze, è necessario aggiungere un elemento supplementare che completa l’analisi di Scharpf, cioè la crescita della settorializzazione delle politiche. Questa settorializzazione riduce a sua volta la leggibilità dell’azione politica e rende più difficile la responsabilità democratica.

3. Il rafforzamento della posizione del governo nazionale a spese del parlamento e delle autorità locali e regionali

Il Consiglio dell’UE è composto da membri dei governi centrali degli Stati membri il che lo contraddistingue dai soliti organi delle organizzazioni internazionali, dove gli Stati sono in pratica rappresentati dai loro ambasciatori o rappresentanti permanenti.

Una questione centrale per la problematica della responsabilità politica degli esecutivi trattata frequentemente nella letteratura giuridica e politica è quella della natura pubblica dei dibattiti del Consiglio. Gradualmente, prima con il trattato di Amsterdam (1997) e poi con il trattato di Lisbona (2007), è stato stabilito che le riunioni del Consiglio in cui agisce come legislatore devono essere pubbliche, poiché le attività legislative dovrebbero essere pubbliche come lo sono nei parlamenti nazionali. Invece il Consiglio non deve tenere riunioni pubbliche quando non agisce in quanto legislatore, come, per l’appunto non sono pubbliche le riunioni del Consiglio dei ministri nazionale.

Un’altra questione che è stata discussa a lungo dagli studiosi e dalla politica è quella del modo in cui il Consiglio vota: unanimità o maggioranza qualificata. Nei casi ridotti in quantità ma importanti in qualità, come per esempio nel caso dell’armonizzazione fiscale, in cui il Consiglio vota all’unanimità, la responsabilità può sembrare semplice da garantire: con la pubblicità delle riunioni, la posizione di un governo in Consiglio è nota e la conseguenza ne è particolarmente visibile se ha impedito l’adozione di una decisione. Detto questo, la possibilità per uno Stato membro di usare il suo diritto di veto è limitata dal punto di vista politico. Di fatto, c’è sempre un complesso negoziato a monte delle decisioni del Consiglio, qualunque sia il metodo di voto. Nella maggior parte dei casi il Consiglio dovrebbe votare a maggioranza qualificata, rappresentando il 55% degli Stati membri e il 65% della loro popolazione. Risulta da questo sistema istituzionale non solo una difficolta a collegare il risultato delle elezioni nazionali alle scelte politiche fatte insieme a livello europeo, ma anche un rafforzamento del governo a spese del parlamento, dovuto allo sdoppiamento funzionale dei capi di stato e di governo degli Stati membri. Tale sistema, rafforza un fenomeno che può essere osservato nella maggior parte delle democrazie pluraliste, indipendentemente dalla partecipazione o meno all’integrazione europea.

Il rafforzamento del governo centrale rispetto alle autorità locali e regionali, anch’esso dovuto all’integrazione europea, è solo a volte concomitante con un rafforzamento del governo centrale per altre cause; al contrario è spesso concomitante con il decentramento. Gli anni ‘70 e ‘80 sono stati un periodo di significativo decentramento in diversi paesi dell’UE. Occorre tuttavia sottolineare che non c’è nessuna causalità tra integrazione europea e decentramento negli Stati membri, anzi, anche se in taluni paesi come Italia o Francia vi è una correlazione temporale. Infatti, come dimostrato dal caso tedesco, lo sdoppiamento funzionale dei membri del Consiglio porta ad una centralizzazione delle scelte politiche a livello nazionale in tutti nei settori di politiche conferite all’Unione.

Occorre aggiungere che gli Stati membri sono responsabili del loro mancato rispetto degli obblighi dei trattati e del diritto derivato. Possono quindi essere oggetto di una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione – o da un altro Stato membro – che può portare a una procedura giudiziaria davanti alla Corte di giustizia. Le procedure d’infrazione – e lo scambio di informazioni che può eventualmente portare a tale procedura – coinvolgono formalmente solo il governo centrale e la Commissione, anche se lo Stato membro è responsabile dell’azione o inazione di tutte le istituzioni, siano esse situate a livello centrale, regionale o locale. Anche se un certo numero di Stati membri, tra cui l’Italia, ha sviluppato meccanismi istituzionali per coinvolgere le autorità regionali e locali nella definizione della posizione dello Stato da esprimere alla Commissione, alla fine, e soprattutto in caso di emergenza, è il governo centrale che decide.

Il fenomeno del rafforzamento del governo attraverso l’integrazione europea a spese del parlamento e a spese delle autorità locali e regionali non è accompagnato da adeguati meccanismi di responsabilità. A parte le cause strettamente endogene che impediscono un buon funzionamento dei meccanismi di responsabilità nelle democrazie contemporanee, ciò è dovuto in parte al sistema istituzionale dell’Unione e al suo funzionamento; è anche dovuto al funzionamento del federalismo europeo.

4. La settorializzazione delle politiche e la perdita di autonomia dei governi

Nella dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, che annunciava il futuro trattato di Parigi del 1951, la CECA fu concepita con un apparato istituzionale particolarmente adatto ai suoi obiettivi. A breve termine, si trattava di riportare la Germania nell’ovile dell’Europa occidentale e di organizzare le industrie del carbone e dell’acciaio – essenziali dal punto di vista della sovranità statale – secondo i principi di un’economia aperta che impedisse il ritorno delle concentrazioni verticali e orizzontali che avevano contribuito allo scoppio delle due guerre mondiali. A medio termine, l’obiettivo era quello di gettare le basi per una futura Europa federale, le cui competenze avrebbero gradualmente incluso la difesa e altri importanti settori politici. La mancata ratifica del trattato della Comunità Europea di Difesa da parte della Francia nel 1954 portò a un riorientamento degli obiettivi a breve e medio termine e dal punto di vista istituzionale a un rafforzamento del Consiglio rispetto alla Commissione/Alta Autorità. I Trattati di Roma del 1957 aggiunsero al settore del carbone e dell’acciaio non solo il nascente settore dell’energia atomica e quindi lo sviluppo del nucleare civile, ma anche la creazione di un mercato comune per tutti i prodotti (beni e servizi) e i fattori di produzione (lavoro e capitale), nonché una prima serie di politiche di accompagnamento: agricoltura, trasporti, commercio (accordi commerciali con paesi terzi), politica sociale e un sistema di associazione dei paesi e territori d’oltremare di Belgio, Francia, Italia e Olanda. Queste politiche non avevano all’epoca elementi istituzionali comuni specifici, con pochissime eccezioni. Lo sviluppo delle politiche incorporate nei trattati di Roma ha fortemente aumentato la settorializzazione degli esecutivi centrali degli Stati membri. È stato quindi necessario creare delle strutture di coordinamento, che non sempre funzionano bene. Inoltre, lo sviluppo di nuove politiche fa sì che pochi settori sfuggano al fenomeno dell’europeizzazione, che riduce sempre più i margini di autonomia degli esecutivi degli Stati membri.

Nei Trattati di Roma – che sono ancora in vigore in quanto TFUE e trattato Euratom – raramente ci sono impostazioni istituzionali specifiche per singole politiche comuni, con poche eccezioni. Il trattato Euratom prevede sin dall’inizio la possibilità di creare imprese comuni, in particolare nel campo degli appalti e della ricerca, senza precisare il contenuto istituzionale del loro statuto. Ciò permette, se del caso, la creazione di strutture che non dipendono dagli Stati membri ma solo dalla Commissione, come l’Agenzia di approvvigionamento Euratom o l’impresa comune ITER. Il trattato CEE del 1957 ha istituito la Banca europea per gli investimenti (BEI), con un sistema istituzionale basato sullo sdoppiamento funzionale. L’articolo 105 prevedeva l’istituzione di un comitato monetario a carattere consultivo; l’articolo 113 (ora 207 del TFUE) l’istituzione di un comitato speciale incaricato di monitorare i negoziati della Commissione sugli accordi commerciali; l’articolo 124 (ora 163 TFUE) nonché di un comitato per assistere la Commissione nella gestione del Fondo sociale europeo.

Dagli anni ‘70 c’è stata una graduale estensione dei settori della politica comune, formalizzata nei trattati a partire dall’Atto unico europeo entrato in vigore il 1° luglio 1987. Con l’aumento delle politiche settoriali a livello dell’UE, i vari dipartimenti ministeriali degli Stati membri – e anche i membri del governo – sono stati sempre più inseriti in un sistema di relazioni a matrice. Da un lato, le relazioni interne del governo – tra i membri del governo e tra i servizi amministrativi centrali – sono cresciute in complessità. Dall’altro lato, alle relazioni interne si sono aggiunte le relazioni esterne dei ministri e dei servizi del governo centrale con le loro controparti in altri Stati membri e con la Commissione. Queste relazioni esterne, che non sono più un monopolio del ministero degli affari esteri, hanno creato comunità epistemiche di specialisti degli Stati membri nei loro settori politici – agricoltura, trasporti, ecc. – che non si inseriscono facilmente nel sistema di responsabilità degli Stati membri. C’è una ben nota tendenza degli esperti a sentirsi più legati alle loro controparti in altri Stati membri che ai politici e agli esperti di altri settori politici nel proprio stato membro[5].

La progressiva europeizzazione delle politiche pubbliche ha generato una crescente necessità di coordinamento all’interno del governo. Le risposte a ciò sono molto diverse da uno Stato membro all’altro, con conseguenze diverse sui canali di responsabilità del governo. Forti sistemi di coordinamento come quelli di Francia e di Regno Unito fino alla Brexit possono facilitare la responsabilità del governo nei confronti del Parlamento, se il livello politico lo sceglie o se il Parlamento è abbastanza forte.

Con i cosiddetti comitati di comitatologia – ormai più di una centinaia –, c’è un aumento della settorializzazione dovuto allo sdoppiamento funzionale dei detentori del potere esecutivo e dei funzionari di diversi dipartimenti ministeriali che fanno parte di comunità epistemiche europee oltre che della propria amministrazione nazionale. Questo fenomeno appare anche nella maggior parte delle agenzie europee che sono state create dalla fine degli anni ‘90, poiché molto spesso hanno una struttura organizzativa che riproduce il sistema dell’Unione, con rappresentanti della Commissione e rappresentanti degli esecutivi degli Stati membri nei loro organi decisionali.

5. La settorializzazione delle politiche e la perdita di autonomia dei governi

Se l’assetto istituzionale e i processi decisionali dell’UE rafforzano l’esecutivo a spese dei parlamenti, questo rafforzamento è accompagnato da una riduzione dell’autonomia decisionale del governo in tutte le aree di politica comune. Questo è vero per la maggior parte dei settori politici, ed è rafforzato dal sistema di voto applicabile al Consiglio e al Consiglio europeo.

Nei settori in cui i trattati prevedono l’unanimità, l’esecutivo mantiene la sua autonomia, ma solo in linea di massima. Poiché i voti in Consiglio sulle proposte legislative sono noti grazie alla trasparenza dei lavori del Consiglio, è facile sapere se un rappresentante del governo ha impedito l’adozione di una decisione una direttiva o un regolamento ritenuto contrario agli interessi nazionali, o se ha permesso l’adozione con un voto positivo. Tuttavia, in molti casi è meglio per il governo partecipare al compromesso su un testo che alla fine sarà adottato piuttosto che rimanere isolato e fuori dal gioco.

Nei settori in cui il Consiglio decide a maggioranza qualificata, che è il caso della maggior parte dei settori politici, l’esecutivo non ha nemmeno l’arma teorica del veto per garantire la sua autonomia. Se un governo vuole far modificare una proposta della Commissione, è costretto a fare alleanze con altri governi e deve anche tenere conto della posizione del Parlamento europeo. Qualsiasi sia il modo di votazione, giustificare una posizione di compromesso è più complesso e richiede molte più spiegazioni che spiegare un veto netto.

La perdita di autonomia del governo qui descritta è in un certo senso variabile a seconda del peso politico ed economico di uno stato membro. Nel caso dei piccoli Stati membri è certamente più importante e più costante che in quelli grandi; è per questo che i governi degli Stati membri più piccoli tendono a fare tanto più affidamento sulla Commissione, che deve difendere l’interesse generale dell’Unione. Detto questo, anche nel caso degli Stati membri più grandi come la Francia, la Germania, l’Italia e il Regno Unito prima della Brexit, l’autonomia degli esecutivi è ridotta, perché bisogna sempre cercare il più possibile il consenso tra gli Stati membri, o almeno creare delle coalizioni.

6. L’annebbiamento delle linee di responsabilità politica

La riduzione dell’autonomia degli esecutivi porta alla depoliticizzazione del consenso a livello europeo, per le ragioni spiegate da Scharpf. Tale depoliticizzazione spiega anche in gran parte la percezione dell’Unione come un sistema burocratico: tuttavia, non è la burocrazia della Commissione ad essere in difetto, o almeno non principalmente.

La perdita di autonomia porta molti degli esecutivi degli Stati membri a incolpare “Bruxelles” piuttosto che spiegare le ragioni del consenso europeo e i suoi benefici finali per ogni paese, al di là delle concessioni che è stato necessario fare. È abbastanza comune che un capo di governo o un ministro dica che una misura deve essere adottata “perché ce lo chiede l’Europa”, mentre evitano di specificare il loro ruolo nelle decisioni prese dalle istituzioni europee. Tendono così ad attribuire all’Unione la scelta di politiche che sono mal accolte dall’elettorato. Tipicamente, all’inizio del 1988 Helmut Kohl, di ritorno a Bonn dopo aver presieduto una riunione del Consiglio in cui erano state adottate diverse decisioni in vista del completamento del mercato interno previsto per il 31 dicembre 1993, fece una dichiarazione alla stampa lamentandosi della “mania normativa di Bruxelles” (“Brüsseler Regelungswut”), ma omettendo di spiegare quale fosse il suo ruolo nell’adozione di tali regolamenti.

D’altra parte, è abbastanza comune che i membri del governo si prendano il merito delle politiche che sono ben accolte dall’elettorato, anche quando sono semplicemente l’attuazione delle decisioni europee, in particolare la trasposizione delle direttive.

L’annebbiamento delle linee di responsabilità è certamente accresciuto dall’importanza dei finanziamenti incrociati per l’attuazione delle politiche dell’UE, un fenomeno ben noto anche all’interno degli Stati membri.

Il federalismo esecutivo basato sulla sdoppiamento funzionale che caratterizza le istituzioni e le procedure decisionali dell’UE e il conseguente meccanismo di trappola delle decisioni congiunte hanno un duplice impatto: le istituzioni dell’Unione, in particolare la Commissione, sono percepite dai cittadini come una macchina ingombrante e lontana dalle loro preoccupazioni; le istituzioni degli Stati membri, in particolare i parlamenti, ma anche gli esecutivi, sono percepiti come deboli nel proteggere i cittadini, e anche lontani dalle loro preoccupazioni. Questo è un fenomeno che deve essere compreso e le sue ragioni spiegate. Inoltre, i benefici finali del processo decisionale comune a livello europeo devono essere spiegati chiaramente e nel modo più semplice possibile.

Se il sistema possa essere riformato per rendere più chiare le linee di responsabilità e accountability è un’altra questione, che è ben nota anche negli stati federali, regionali o decentralizzati. Un sistema detto di a “torta a strati” (layer cake) dove ogni livello è l’unico responsabile delle scelte politiche sarebbe certamente più in linea con un’efficace partecipazione e controllo democratico, ma la crescente complessità delle politiche pubbliche è meglio servita da un sistema a “torta di marmo” (marble cake) che si ritrova anche nel federalismo duale degli Stati Uniti dove l’assenza di intreccio politico tra livello federale e livello statale si rivela anch’esso spesso fonte di bloccaggio politico.

  1. Traduzione dal’A. a partire dal testo disponibile in francese su https://www.cvce.eu/obj/discours_de_konrad_adenauer_8_septembre_1952-fr-61b9e46a-be38-4742-9bc1-103732a82aaa.html.
  2. A. Cassese, Remarks on Scelle’s Theory of “Role Splitting”, in International Law, European Journal of International Law, 1990, pp. 210-ss.
  3. F. W. Scharpf, The Joint-Decision Trap. Lessons From German Federalism and European Integration, in Public Administration, 1988, pp. 239-78.
  4. F.W. Scharpf, The Joint-Decision Trap Revisited, in Journal of Common Market Studies, 2006, pp. 845-64.
  5. Vedi tra gli altri H. Siedentopf e J. Ziller (eds.), Making European Policies Work – The Implementation of Community Legislation in the Member States, London, 1988. Pubblicato anche in francese con il titolo L’Europe des administrations? – La mise en œuvre de la législation communautaire dans les États membres, Bruxelles, 1988.

Jacques Ziller

Former Full professor of European Union law at the University of Pavia, former Professor of comparative public law and European Union law at the European University Institute of Fiesole, anciennement professeur de droit public à l'Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne