1/2024

Con la designazione di sei gatekeepers da parte della Commissione europea il Digital Market Act dispiega i suoi effetti, imponendo gli obblighi ivi previsti nei confronti delle Big Tech, che si trovano a confrontarsi con una disciplina per certi versi innovativa, anche se al confine con il diritto della concorrenza. Il presente contributo riflette su regolamento entrato in vigore quest’anno, sulle ragioni alla base della sua approvazione e sulla figura del gatekeeper.


Gatekeeper: old ideas or new solutions?
Six gatekeepers are appointed by the European Commission, tasked with imposing on Big Tech the obligations in the Digital Market Act. That Act imposes regulation that is innovative in some respects, although related to competition law. This contribution considers the regulation that became effective this year, the grounds for its approval, and the gatekeeper role.
Summary: 1. Introduzione.- 2. Genesi e obiettivi del Regolamento.- 3. Il gatekeeper.- 4. La designazione dei gatekeepers da parte della Commissione europea e gli obblighi previsti dal DMA.- 5. DMA e concorrenza: bis in idem?- 6. Conclusioni.

1. Introduzione

Il 6 settembre 2023 la Commissione europea ha designato per la prima volta sei gatekeepers, in base al Digital Market Act[1]. Si tratta di Alphabet (Google), Amazon, Apple, Bytedance (TikTok), Meta (Facebook) e Microsoft. In forza del regolamento, queste società hanno dovuto comunicare alle istituzioni europee la loro potenziale qualità di soggetto esercente una posizione influente all’interno del mercato digitale. La Commissione ha quindi avviato un’istruttoria conclusasi con l’individuazione di ventidue core platform service[2] (servizi di piattaforma di base[3]) o CPS, forniti da queste imprese, che ha portato alla loro designazione quali gatekeepers. Pertanto, a partire dalla data di designazione queste avranno sei mesi di tempo per adeguarsi agli obblighi previsti dal regolamento stesso, ulteriori e specifici, in aggiunta alle norme in materia di concorrenza, che rimangono impregiudicate, ma ritenute non più idonee a garantire la libertà di scelta dei consumatori e ad impedire l’imposizione di condizioni sfavorevoli alle imprese che si avvalgono di questi servizi[4].

Le ragioni per cui il diritto antitrust viene ritenuto fallimentare nel tutelare il mercato digitale sono da ravvisarsi in primo luogo nella sua eccessiva lentezza applicativa. Basti notare, a titolo esemplificativo, che le istruttorie avviate dalla Commissione europea, in forza dell’art. 102 TFUE[5], nei confronti di Google e Microsoft sono durate anni prima di concludersi con la comminazione di una sanzione[6]. In base al regolamento n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza, la Commissione dispone del potere di compiere accertamenti, richiedere informazioni, svolgere attività di indagine al fine di valutare se un’impresa stia abusando della sua posizione dominante, e quindi violando l’art. 102 del trattato, e all’esito, qualora ne ravvisi i presupposti, comminare una sanzione[7].

In secondo luogo, il diritto della concorrenza appare inefficace nei confronti dei giganti di internet, poiché anche quando si arriva alla sanzione, questa non è tale da avere quell’effetto afflittivo sufficiente a dissuadere il ripetersi di comportamenti anticoncorrenziali[8].

A tali limiti, se ne affianca anche uno di ordine teorico, relativo alla difficoltà di ricondurre determinati comportamenti dei grandi operatori digitali, come l’indicizzazione dei risultati nel motore di ricerca Google Search, nell’alveo della nozione di comportamento anticoncorrenziale[9].

Da queste premesse si muove il legislatore europeo, determinato a regolare il mercato digitale con strumenti innovativi, quale appunto si propone di essere il DMA.

2. Genesi e obiettivi del Regolamento

Nel mese di dicembre del 2020 la Commissione europea ha presentato il Digital Service Package, un pacchetto di misure volte a disciplinare l’economia digitale e comprendente due regolamenti il Digital Service Act (DSA) e il Digital Market Act (DMA) col dichiarato intento di creare uno spazio digitale sicuro per gli utenti e condizioni di parità per le imprese[10]. Queste misure si collocano in quel percorso di produzione normativa europea volto a disciplinare la rivoluzione tecnologica[11], avviato nel 2016 con l’approvazione del General Data Protection Regulation (il regolamento sulla protezione dei dati personali) seguito nel 2022 dal Data Governance Act[12], nel quale può essere inserito anche l’Artificial Intelligence Act[13], e definito da alcuni un nuovo costituzionalismo digitale[14].

Con questo insieme di regolamenti, l’Unione europea ha deciso di assumere una posizione decisa di fronte all’incedere delle innovazioni tecnologiche, ossia quella della regolazione, per un verso con l’obiettivo di rendersi protagonista sullo scacchiere internazionale[15], per un altro con l’intento di voler salvaguardare il funzionamento del mercato interno contro gli oligopoli dei giganti del digitale e assicurando agli utenti una tutela[16].

Una presa di posizione che vede quindi nell’intervento regolatorio da parte del legislatore la soluzione prescelta per garantire il funzionamento del mercato. Tale idea, secondo alcuni sarebbe ispirata dalle teorie dell’ordoliberismo,[17] quella corrente del pensiero economico[18] che attribuisce allo Stato il compito di stabilire delle regole e garantirle al fine di salvaguardare l’efficienza della concorrenza, in contrapposizione all’idea del liberalismo classico, fautore della politica del laissez-faire, ossia dell’arretramento dello Stato regolatore, quale unico modo attraverso cui la concorrenza possa esprimersi al meglio[19]. Il pensiero ordoliberale ritiene infatti che la libertà dei produttori di scegliere cosa offrire e la libertà dei consumatori di scegliere cosa acquistare, debba essere assicurata dalle leggi, aventi il compito non di proteggere gli attori del mercato, bensì di proteggere il sistema della concorrenza[20], sia dall’intervento statale sia dagli abusi dei privati assicurando e proteggendo la libertà di contrarre[21].

La soluzione adottata dall’Unione europea, si collocherebbe quindi nel solco di questa teoria economica, poiché al fine di prevenire le storture di un mercato dominato da pochi soggetti, si impongono specifici obblighi per le compagnie proprietarie delle piattaforme, limitando in tal modo il loro oligopolio[22], per preservare il funzionamento del mercato. E questo approccio non sembra possa definirsi nuovo, dal momento che secondo alcuni autori il pensiero ordoliberale ha sin dal Trattato di Roma influenzato il diritto della concorrenza europeo[23].

Mentre il DSA si concentra sui servizi digitali, il Digital Market Act ha quale obiettivo la regolamentazione delle piattaforme online, ossia quegli strumenti in grado di connettere un grande numero di utenti commerciali con una platea molto ampia di consumatori, caratterizzate dal fatto di impattare sia sul commercio sia sulla comunicazione, e quindi di unire ma anche controllare molteplici soggetti, di poter ricorrere alla sovvenzione incrociata per cui un servizio redditizio può finanziarne un altro, e di essere strutturate in modo tale da tenere impegnati gli utilizzatori[24]. Queste piattaforme, definite di base, in ragione dei loro servizi, creano una forte dipendenza degli utenti nei confronti di un numero ristretto di soggetti fornitori. Proprio per questa ragione vi è il rischio del verificarsi di pratiche sleali, che compromettano la contendibilità dei servizi e impattino sull’equità del rapporto commerciale tra fornitori dei servizi digitale e utilizzatori commerciali e finali, «con conseguenti riduzioni rapide e, potenzialmente, di ampia portata in termini di scelta» per gli utenti[25].

A queste caratteristiche, deve inoltre aggiungersi la peculiare capacità di raccolta di grandi quantità di dati da parte di queste piattaforme, impiegati per ottimizzare la qualità dei servizi offerti, che produce l’effetto di aumentare gli utenti, attratti da un servizio migliore, rafforzando in questo modo la piattaforma già dominante e proteggendone la posizione[26]. Da un lato infatti eventuali concorrenti non disponendo delle medesime quantità di dati (al pari di Google, per esempio), non possono entrare in competizione, e dall’altro l’accumulo esponenziale di dati consente ai giganti tecnologici di espandersi in altri settori del mercato[27]. Tali caratteristiche conferiscono all’impresa che gestisce la piattaforma la posizione definita di gatekeeper (controllore dell’accesso al mercato)[28].

In definitiva, la ratio del regolamento è la tutela del mercato unico contro il rischio, peraltro già verificatosi[29], che la posizione di forza dei gatekeeper determini squilibri gravi in termini di potere contrattuale a discapito dei prezzi, della qualità dei servizi e della concorrenza[30].

La Commissione europea interviene quindi nel settore del mercato digitale e lo fa attraverso uno strumento normativo vincolante per gli Stati membri, il regolamento, già adoperato per gli altri interventi nel settore del digitale menzionati, al fine di assicurare l’uniformità del diritto. Infatti, la base giuridica del DMA è costituita dall’art. 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, avente ad oggetto l’armonizzazione e avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri. Vengono in tal modo introdotte apposite regole, uniformemente valide in tutta l’Unione europea, volte a limitare il potere[31] di quegli operatori tecnologici, che operando senza confini nazionali, quali guardiani dei passaggi che mettono in comunicazione imprenditori e utenti finali, sono in grado di incidere sul regolare funzionamento del mercato unico[32].

La necessità di disciplinare in maniera autonoma il mercato del digitale, viene motivata dalla ritenuta inadeguatezza delle norme sulla concorrenza (i cui pilastri sono gli artt. 101 e 102 del TFUE), limitate nel loro ambito di applicazione (ad esempio ai casi di comportamento anticoncorrenziale), che si esplicano in ogni caso solamente ex post, e dallo scarso impatto sui giganti tecnologici, i quali pur essendo stati colpiti negli ultimi anni da sanzioni comminate dalla Commissione europea per comportamenti anticoncorrenziali, non hanno in effetti visto limitata la loro influenza nel settore digitale, questo perché «il diritto vigente dell’Unione non affronta, o non affronta in maniera efficace, i problemi per quanto concerne l’efficiente funzionamento del mercato interno, imputabili al comportamento dei gatekeeper che non dispongono necessariamente di una posizione dominante in termini di diritto della concorrenza»[33].

Il regolamento pertanto appronta una tutela ex ante, complementare ma diversa da quella della concorrenza[34], la stessa scelta della base giuridica del regolamento individuata nell’art. 114 e non negli artt. 101 e 102 TFUE, va letta infatti come volontà di lasciare impregiudicate le norme sulla concorrenza di fonte unionale sia nazionale[35].

Le finalità perseguite dal DMA sono sancite dall’art. 1, ai sensi del quale obiettivo del DMA è «garantire, per tutte le imprese, che i mercati nel settore digitale nei quali sono presenti gatekeeper (controllori dell’accesso) siano equi e contendibili in tutta l’Unione, a vantaggio degli utenti commerciali e degli utenti finali». La contendibilità si riferisce alla capacità delle imprese di superare le barriere all’ingresso e all’espansione e poter contestare il gatekeeper «per quanto riguarda il merito dei rispettivi prodotti e servizi». Mentre con equità si fa riferimento all’equilibrio tra i diritti e gli obblighi degli utenti commerciali, per cui in condizioni patologiche di squilibrio il gatekeeper trae un vantaggio sproporzionato[36].

Contendibilità ed equità risultano essere quindi la cifra e gli scopi dell’intero impianto normativo; esse sono infatti strettamente interconnesse, come emerge dalla relazione alla proposta del regolamento, laddove nel motivare la proposta normativa si spiega che «le pratiche sleali e la mancanza di contendibilità creano inefficienze nel settore digitale in termini di prezzi più alti, qualità inferiore, minore scelta e minore innovazione, a scapito dei consumatori europei»[37], per cui gli obblighi previsti dal DMA perseguono tanto l’uno quanto l’altro dei richiamati scopi anche contemporaneamente.

3. Il gatekeeper

L’introduzione della figura giuridica del gatekeeper è sicuramente una delle più significative novità del regolamento[38]. Questo concetto risulta essere già presente negli studi sociologici e non solo[39], ma non è mai stato positivizzato in un testo normativo.

La nozione è stata elaborata nel 1947 dallo studioso di psicologia sociale Kurt Lewin[40], il quale formulò una teoria secondo la quale nella società vi sono taluni soggetti, che per il ruolo o la posizione ricoperti, esercitano un controllo sui canali di flusso tra una determinata area ed un’altra, operando come guardiani e decidendo cosa può attraversare il gate. La teoria è stata successivamente sviluppata in particolare nel settore delle comunicazioni, con specifico riferimento a quei soggetti i quali, in relazione alle notizie, operando come controllori del flusso delle informazioni, esercitano un potere decisorio su ciò che è divulgabile alla società[41]. In anni più recenti è stata inoltre rielaborata e adattata alla nuova realtà digitale[42] dell’informazione dominata dagli algoritmi[43] e da chi li gestisce e controlla, definiti Internet information gatekeeper, i quali esercitano un potere e dunque un controllo sul flusso, sul contenuto e sull’accessibilità delle informazioni, con conseguente capacità di incidere significativamente sulla vita democratica[44].

Il DMA fa propria questa nozione, la positivizza e ne fa il perno del sistema di regole ivi previste, definendo come tale all’art. 2 «un’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base, designata a norma dell’articolo 3», laddove con «piattaforma di base» deve intendersi, ai sensi del regolamento, uno qualsiasi dei servizi elencati nel medesimo articolo, ossia «a) servizi di intermediazione online; b) motori di ricerca online; c)servizi di social network online; d)servizi di piattaforma per la condivisione di video; e) servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero; f)sistemi operativi; g)browser web; h) assistenti virtuali; i)servizi di cloud computing; j) servizi pubblicitari online, compresi reti pubblicitarie, scambi di inserzioni pubblicitarie e qualsiasi altro servizio di intermediazione pubblicitaria, erogati da un’impresa che fornisce uno dei servizi di piattaforma di base elencati alle lettere da a) a i)». Dal combinato disposto dei due articoli, si ricava che sono gatekeeper, quelle imprese fornitrici di uno dei servizi definiti di piattaforma di base, le quali vengano designate tali dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 3, par. 4, qualora risultino in possesso dei requisiti previsti dall’art. 3 par. 1, ossia:

a) avere un impatto significativo sul mercato interno;

b) fornire un servizio di piattaforma di base che costituisce un punto di accesso (gateway[45]) importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali;

c) detenere una posizione consolidata e duratura, nell’ambito delle proprie attività, o prevedere che acquisisca siffatta posizione nel prossimo futuro.

Rispetto alla sussistenza dei menzionati requisiti il regolamento prevede una serie di presunzioni. In particolare, con riferimento al requisito dell’impatto sul mercato interno quando l’impresa ha un fatturato annuo nell’UE pari o superiore a 7,5 miliardi di euro, in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari, o se la sua capitalizzazione di mercato media o il suo valore equo di mercato equivalente era quanto meno pari a 75 miliardi di euro nell’ultimo esercizio finanziario, e se essa fornisce lo stesso servizio di piattaforma di base in almeno tre Stati membri. Mentre in riferimento al requisito di cui al punto b), la presunzione si applica qualora l’impresa fornisca un servizio di piattaforma di base che, nell’ultimo esercizio finanziario, annovera almeno 45 milioni di utenti finali attivi su base mensile, stabiliti o situati nell’Unione, e almeno 10.000 utenti commerciali attivi su base annua stabiliti nell’Unione. Ed infine, si presume l’ultimo requisito, se le soglie relative al numero di utenti finali sono state raggiunte in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari.

Rispetto a queste soglie quantitative, appare evidente che per la definizione di gatekeeper la soglia maggiormente rilevante risulta essere quella relativa agli utenti finali attivi, dato che le altre facendo riferimento a valori di bilancio, vanno ad includere anche quei soggetti non in possesso di tali caratteristiche che, come visto, contraddistinguono la qualità del guardiano. Tuttavia, proprio in relazione alla soglia relativa agli utenti possono sorgere dei problemi di accertamento, dato che rilevare con accuratezza quanti soggetti risultano essere attivi in una data piattaforma non è di immediata soluzione. A tale interrogativo, il DMA offre una interpretazione della disposizione chiarendo, nell’allegato, che gli utenti attivi vengono individuati in base alla misurazione più accurata comunicata dall’impresa che fornisce uno dei servizi di piattaforma di base[46], di fatto affidandosi ai dati comunicati dai soggetti privati notificanti[47].

La qualità di gatekeeper assume rilievo ai sensi del DMA solamente nel momento in cui la Commissione europea designa come tale un’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base. Ciò significa che vi è bisogno di un atto formale, all’esito di un procedimento in cui l’istituzione europea e il soggetto privato collaborano, quest’ultimo informando la Commissione senza indugio e in ogni caso entro due mesi dal raggiungimento delle soglie dimensionali previste dall’art. 3, e fornendo alla Commissione le informazioni pertinenti al superamento di queste soglie. La Commissione ha quindi il compito di valutare la sussistenza dei requisiti, e, senza indebito ritardo e comunque entro 45 giorni lavorativi dalla ricezione delle informazioni, relative al superamento delle soglie di cui all’art. 3, designa l’impresa come gatekeeper. Tuttavia, in base al paragrafo 5 dell’art. 3, l’impresa quando comunica alla Commissione il superamento delle soglie dimensionali (fatturato, valore di mercato e numero di utenti) può spiegare che un tanto non soddisfa i requisiti del paragrafo 1, ossia non si traduce in impatto significativo sul mercato e la piattaforma non costituisce un punto di accesso (gateway).

Proprio in forza dell’art. 3, par. 5 alcune società notificanti hanno esposto alla Commissione le ragioni per cui sarebbe da escludersi una loro designazione quali gatekeeper, in relazione a taluni servizi offerti. In particolare, rispetto al servizio iMessage e al sistema operativo iPad Apple ha infatti spiegato come il limitato numero di utenti e una disponibilità limitata ai soli dispositivi prodotti dalla stessa società, porti ad escludere questo strumento dalla nozione di gateway ai sensi del DMA. Similmente Microsoft giustifica la carenza dei requisiti di rilevanza come gateway dei propri servizi Bing, Edge e Microsoft Ads[48] in ragione della loro scarsa diffusione nell’Unione europea.

A fronte di queste argomentazioni, la Commissione europea ha deciso di avviare un’indagine di mercato, sui servizi iMessage, Bing, Edge e Microsoft Ads), in forza degli artt. 16, par. 1 e 17, par. 3, quest’ultimo, in particolare, prevede infatti tale potere, quando pur raggiungendo le soglie previste dall’art. 3, par. 2, ha presentato argomentazioni sufficientemente fondate tali da mettere in dubbio le presunzioni ivi stabilite. Nelle comunicazioni alle società sull’apertura di un’indagine di mercato, viene infatti motivata la necessità di verificare se, ancorché sussistano in concreto le soglie dimensionali di cui al par. 2 dell’art. 3, eccezionalmente non vengano soddisfatti i requisiti di cui al par. 1[49].

In definitiva, la designazione può avvenire solamente al ricorrere dei requisiti indicati dall’art. 3, paragrafo 1, tuttavia siccome questi risultano essere di incerta perimetrazione, viene introdotta una presunzione di sussistenza degli stessi, quando vengono raggiunte determinate soglie quantitative indicate nel successivo paragrafo 2, in relazione alle quali viene comunque ammesse una giustificazione contraria, ossia la possibilità dell’impresa di spiegare come in realtà pur avendo raggiunto quei valori non esercita un’influenza ai sensi del paragrafo 1, per cui si può concludere che si tratti di una presunzione relativa. Una soluzione già adottata nel settore della concorrenza[50].

La nozione di gatekeeper, nella prospettiva del Digital Market Act, identifica, pertanto, quelle imprese che soddisfano i tre menzionati requisiti, cumulativamente[51], in relazione ai servizi di piattaforma di base, costituenti un punto di accesso per gli utenti business per raggiungere gli utenti finali, di fatto non evitabile,[52], e quindi uno strumento obbligato tramite il quale entrare nel mercato digitale. Un tanto può valere per l’imprenditore intenzionato a vendere ad esempio un proprio prodotto sul portale di Amazon (già sanzionata poiché imponeva agli inserzionisti sul sito web di ricorrere al proprio sistema logistico per la vendita dei prodotti[53]); ma lo stesso può dirsi per uno sviluppatore che, intendendo vendere la sua applicazione o il suo software, deve necessariamente poterlo integrare nei sistemi operativi, il cui mercato è fondamentalmente dominato da Apple (sia per cellulari sia per pc) Google Android (per i cellulari) e Microsoft (per i computer).

4. La designazione dei gatekeepers da parte della Commissione europea e gli obblighi previsti dal DMA

Con l’entrata in vigore del DMA avvenuta il 1 novembre 2022[54] le compagnie operanti nel mercato digitale hanno dovuto comunicare alla Commissione il potenziale possesso dei requisiti previsti per essere considerati gatekeeper; si tratta in particolare di Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta, Microsoft e Samsung[55] che hanno provveduto ai sensi dell’art. 3 del regolamento a notificare il loro potenziale status, avviando in tal modo la procedura di verifica della durata di 45 giorni, all’esito della quale la Commissione ha designato quali gatekeepers sei delle sette società notificanti, escludendo solamente Samsung, in quanto dispongono di piattaforme[56] ritenute gateway, così come previsto dal paragrafo 9 dell’art. 3.

Il potere di designazione previsto dall’articolo in questione risulta essere molto ampio, dal momento che da un lato le presunzioni in relazione ai requisiti previsti per l’avvio della procedura non paiono stringenti, ma soprattutto, dall’altro, alle compagnie è consentito spiegare perché pur raggiungendo le soglie presuntive (ossia fatturato e numero di utenti) non soddisfano i requisiti per essere considerate gatekeeper; e la Commissione valuta se le spiegazioni fornite sono fondate e decide conseguentemente sulla designazione della società[57].

Le decisioni adottate in tale senso offrono un’interessante prospettiva della concreta applicazione delle disposizioni del DMA.

Infatti, la Commissione ha dovuto affrontare l’individuazione dei core platform service rilevanti ai sensi del regolamento (in particolare dell’art. 2), nonché le modalità di conteggio degli utenti attivi, onde verificare il raggiungimento del requisito indicato dall’art. 3: 45 milioni di utenti finali attivi mensilmente e 10 mila utenti commerciali attivi ogni anno.

Sul punto il regolamento traccia i criteri per delineare uno strumento quale CPS; da un lato, vi è appunto l’art. 2 in cui sono indicati i servizi da considerarsi piattaforma di base, dall’altro l’allegato D, par. 2, indica le modalità per determinare in concreto gli utenti di una piattaforma[58]. In particolare, non vanno considerati distinti i servizi di piattaforma di base che appartengono alla stessa categoria di servizi di cui all’art. 2, se la distinzione si fonda sui domini geografici di primo livello oppure sui domini generici[59]; mentre sono da considerarsi distinti i servizi utilizzati per scopi diversi dagli utenti finali o commerciali, nonostante appartengano alla medesima categoria; del pari sono da considerarsi separatamente anche questi servizi forniti in maniera integrata, ma adoperati per scopi diversi o non rientranti nella medesima categoria.

La Commissione europea fa applicazione di questi criteri al fine di distinguere i CPS, dando in particolare rilievo allo scopo per cui il servizio è utilizzato[60].

Nelle decisioni di designazione si osserva in effetti come lo scopo del CPS sia l’elemento da cui viene tratta la distinzione tra un servizio ed un altro. Questo emerge ad esempio dall’atto di designazione di Apple, quale gatekeeper, in relazione al servizio AppStore. A fronte delle osservazioni opposte dall’azienda, volte ad escludere l’unitarietà della piattaforma, ovvero ad evidenziarne la diversità a seconda della tipologia di dispositivo (computer, televisore, iPad, ecc.) in cui è presente, viene rilevata innanzitutto l’unicità dello scopo: l’applicazione viene usata come piattaforma di intermediazione per l’offerta e l’acquisto di altre applicazioni indipendentemente dal tipo di dispositivo su cui è installata. A rafforzare tale conclusione viene, inoltre, osservato come le regole previste negli accordi volti a disciplinare i rapporti con gli sviluppatori siano uguali. Infine, si rileva che anche i servizi connessi alla piattaforma forniti agli utenti sia business sia finali sono gli stessi indipendentemente dal dispositivo su cui operano[61].

A simili conclusioni si giunge anche nella decisione riguardante Amazon Marketplace e Amazon Advertising, offerti da Amazon in maniera integrata. Richiamando il criterio dell’allegato menzionato poc’anzi, la Commissione ritiene che la visualizzazione di annunci pubblicitari sul mercato on line di Amazon faccia parte sia della pubblicità sia dei servizi marketplace. Ciononostante, Amazon Advertising risulta essere un servizio distinto, dal momento che serve vari canali (anche siti web di terzi o software)[62].

Un discorso peculiare può essere fatto per Meta. L’azienda sostiene l’unicità del core platform service composto da Facebook e Instagram. Contestando le considerazioni della società, la Commissione non sembra far applicazione del criterio dello scopo, ma osservando la struttura stessa dei due servizi evidenza come questi abbiano marchio diverso, siano commercializzati come due distinti piattaforme, siano accessibili attraverso due differenti domini e richiedano due account separati per poter essere utilizzati. A conclusione del suo ragionamento, accanto a questi rilievi, la Commissione anche in questo caso richiama il criterio della diversità di scopo per concludere come si tratti di due servizi differenti[63].

Le sei compagnie così designate hanno sei mesi di tempo[64] per adeguarsi agli obblighi previsti nel regolamento agli artt. 6, 7 e 8, che nella formulazione del DMA risultano essere applicabili tutti indistintamente ai soggetti qualificati come gatekeeper, inviando alla Commissione, nel termine predetto, una relazione nella quale si descrive «in modo dettagliato e trasparente»[65] le misure adottate per garantire l’osservanza degli obblighi. Tra quelli elencati nell’art. 5, molti sono relativi all’utilizzo dei dati, per cui al fine di proteggere i consumatori viene imposto il divieto di trattare i dati personali degli utenti che utilizzano servizi di terzi, i quali si avvalgono delle piattaforme dei gatekeepers «ai fini della fornitura di servizi pubblicitari online» o di combinare i dati provenienti dal servizio di piattaforma con i dati provenienti da altri servizi forniti dallo stesso operatore economico «o con dati personali provenienti da servizi di terzi». Tali obblighi devono essere rispettati in forza della sola designazione.

Viceversa, il successivo articolo 6 elenca ulteriori obblighi, i quali a differenza di quelli sanciti nell’articolo precedente, sono suscettibili di ulteriore specificazione[66], tra cui l’obbligo di non utilizzare in concorrenza con gli utenti commerciali, dati non accessibili al pubblico[67] «generati o forniti da tali utenti commerciali nel quadro del loro utilizzo dei pertinenti servizi di piattaforma di base o dei servizi forniti contestualmente o in ausilio ai pertinenti servizi di piattaforma di base, compresi i dati generati o forniti dai clienti di tali utenti commerciali» oppure l’obbligo di applicare nei confronti degli utenti commerciali condizioni generali eque, ragionevoli e non discriminatorie per l’accesso ai negozi di applicazioni software, motori di ricerca online e servizi di social network online.

Come è stato osservato[68] tale elenco risulta essere basato sulla casistica in materia antitrust, ad esempio il divieto di utilizzare i dati combinati forniti attraverso due servizi offerti dallo stesso soggetto richiama il caso della decisione presa dall’autorità antitrust tedesca nei confronti di Facebook[69]. Mentre il divieto di utilizzo di dati non pubblici forniti dagli utenti commerciali per far loro concorrenza, richiama la vicenda Commissione/Amazon Marketplace, nella quale Amazon è stata accusata di sfruttare a proprio vantaggio i dati forniti dagli utenti business[70].

5. DMA e concorrenza: bis in idem?

Nella relazione alla proposta di regolamento sui mercati digitali, chiarendo il contesto in cui questo si inserisce, la Commissione rappresenta la necessità di integrare il diritto in materia di concorrenza con un apposito sistema di regole finalizzate a contrastare, con prescrizioni ex ante, le pratiche sleali dei gatekeeper non contemplate dalla disciplina della concorrenza, senza tuttavia pregiudicare la possibilità di ricorre alla tutela ex post del diritto antitrust[71]. Da un lato, quindi, ritiene insufficiente il ricorso alle norme sulla concorrenza per contrastare le pratiche sleali delle compagnie digitali, dall’altro esplicitamente dichiara che le norme del Digital Market Act sono complementari al diritto della concorrenza e non lo pregiudicano, con conseguente possibile applicazione di entrambi i sistemi, quello generale (antitrust) e quello settoriale (il DMA). Il carattere complementare viene, in particolare, illustrato al considerando 11 in cui viene affermato che il regolamento persegue un obiettivo complementare, ma diverso, dalla protezione della concorrenza non falsata su un dato mercato, consistente nel garantire che i mercati in cui sono presenti gatekeeper siano e rimangano equi e contendibili[72]. Nello specifico tale regolamento mirerebbe a proteggere un interesse giuridico diverso rispetto a quello protetto dalle norme sulla concorrenza (in primis gli artt. 101 e 102). In altre parole, il DMA mira a evitare le storture del mercato in cui operano soggetti, che per le loro grandi dimensioni possono alterarne l’equilibrio, senza necessariamente porre in essere un abuso[73].

Gli obbiettivi dichiarati come differenti non sembrano in realtà essere lontani dalla disciplina antitrust[74]: invero la contendibilità, intesa quale libertà di entrare nel mercato, può vedersi come una componente essenziale del modello di economia di mercato, mentre l’equità è nozione di rilevanza generale nell’ambito dei rapporti negoziali[75]. In realtà gli elementi da cui è possibile trarre una distinzione tra le discipline, piuttosto che rispetto agli obiettivi, sono da rinvenirsi nel sistema di applicazione delle norme. Nel DMA viene previsto un sistema accentrato, di tutela ex ante, in cui è la Commissione europea a imporre gli obblighi previsti dal regolamento mediante designazione di un soggetto quale gatekeeper, disponendo, come visto nel paragrafo precedente, di ampi poteri di indagine di mercato, di ispezione, di fare audizioni, nonché del potere di avviare una procedura nei confronti di un gatekeeper per l’adozione di sanzioni. Inoltre, tali regole si applicano a prescindere dal fatto che vi sia una reale distorsione del mercato, bensì unicamente sulla qualità soggettiva di talune imprese. Viceversa, il diritto della concorrenza vede una forma diffusa di tutela assicurata non solo dall’autorità antitrust europea, ma anche da quelle nazionali, ed è ex post[76], ossia quando il comportamento di un’impresa danneggia la concorrenza, ossia quando viene compiuto un abuso della posizione dominante.

Il bisogno di esplicitare così dettagliatamente gli obiettivi del regolamento, nel dichiarato intento di fare chiarezza sulla diversità tra il DMA e il diritto della concorrenza, ha in ogni caso il fine di fissare l’ambito di applicazione delle regole per i gatekeeper e scongiurare l’applicazione del principio del ne bis in idem[77], ossia quel principio generale dell’ordinamento[78] per cui nessuno può essere sanzionato due volte per il medesimo fatto. Tuttavia, nel diritto della concorrenza tale principio assume caratteristiche peculiari, poiché, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, per la sua applicazione, oltre ai requisiti della identità del fatto e dell’autore, è altresì necessaria l’unicità dell’interesse giuridico tutelato[79]. Sembrerebbe pertanto che, alla luce del terzo requisito non si confligga col principio del ne bis in idem, poiché il DMA tutelerebbe un interesse giuridico diverso. In effetti, la Corte di Giustizia ha fatto salva l’applicazione delle sanzioni in materia di concorrenza e quelle derivanti dall’applicazione di una disciplina settoriale[80].

6. Conclusioni

Il Digital Market Act rappresenta il tentativo da parte dell’Unione europea di disciplinare il mercato del digitale, contro il rischio di lasciare a determinati privati il potere di dettare le regole,[81] nella convinzione che il diritto della concorrenza non sia più idoneo a garantire il funzionamento del mercato[82]. Ma quella che sembra essere una disciplina di settore, risulta, invero, una regolamentazione separata[83] ovvero specifica per quei soggetti in possesso dei requisiti per essere qualificati gatekeeper, come si evince dall’art. 2 punto 1, per il quale è gatekeeper «un’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base, designata a norma dell’articolo 3», che porta dunque ad escludere un’applicazione generalizzata a tutti i fornitori di questo tipo di servizi.

Il DMA crea quindi un mercato regolamentato separato per i gatekeepers, in cui opera un preciso insieme di obblighi e soprattutto un sistema di vigilanza del loro rispetto peculiare ed accentrato in capo alla Commissione, con effetti escludenti sul potere di intervento da parte delle autorità nazionali volti a garantire l’equità e la contendibilità nei confronti dei soggetti designati[84]. In particolare, l’accentramento in capo alla Commissione dei poteri di indagine e di comminare sanzioni, addirittura escludendo un simile potere in capo agli Stati membri[85], che devono limitarsi a collaborare con l’UE[86], unitamente all’ampio potere di designazione dei gatekeeper, aprono la via a possibili “pressioni” dei portatori di interessi[87].

Inoltre, come osservato dalla dottrina[88], vi è un rischio di stratificazione di norme che si materializza nell’impregiudicata possibilità per il legislatore nazionale di legiferare nel medesimo settore[89]. Non essendo chiaro cosa possa essere considerato un obbligo ulteriore[90], non si comprende quali siano i limiti imposti agli Stati.

Tale evenienza sembra già essersi concretizzata con la recente approvazione della legge 5 agosto 2022 n. 118, che ha modificato l’art. 9 della legge 18 giugno 1998 n. 192, volta a contrastare gli abusi di posizione non dominante delle piattaforme digitali. Il legislatore italiano ha novellato la legge sulle subforniture recependo i rilievi fatti dall’AGCM, relativamente alla necessità di integrare l’abuso di dipendenza economica con particolare riferimento alle grandi piattaforme digitali, introducendo una presunzione di dipendenza economica «nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori», tipizzando i casi in cui essa può realizzarsi che sembra stridere col regolamento sui mercati digitali; può, infatti, apparire ripetitivo[91] o addirittura confliggente, se si considera che l’art. 1 par. 6 del DMA fa salve le norme nazionali relative all’abuso di posizione dominante, ma non di dipendenza economica[92] o, ancora, una moltiplicazione delle tutele: ex ante il DMA, ex post la l. 192/1998.

Viceversa, paradossalmente, sfuggono al regolamento quei nuovi servizi recentemente entrati nel mercato digitale, come ChatGPT, che ha visto in pochi mesi crescere il numero di utenti finali attivi, ma anche quelli commerciali interessati a integrarlo nei servizi offerti alla clientela. Inquadrare questo strumento, o simili, nell’elenco dei core platform service (di cui all’art. 2 del regolamento) non sembra agevole per le caratteristiche peculiari di questi large language models[93]. Tuttavia, gli effetti sul mercato non sono meno trascurabili, se si tiene conto che aziende come Microsoft stanno investendo risorse ingenti per integrarli nei loro prodotti[94]. Il rischio è che il DMA risulti già obsoleto, come dimostra l’attenzione posta dal Parlamento europeo che deplora il mancato inserimento tra i CPS anche dei servizi cloud e auspica una vigilanza sui nuovi gatekeeper nel settore dell’intelligenza artificiale[95].

Questi problemi hanno almeno in parte a che fare con l’approccio complessivo che, come evidenziato, sembra essere quello della teoria ordoliberista, poiché volto a limitare il potere oligopolistico e conseguentemente le pratiche anti-competitive[96].

Il DMA può essere allora visto come una soluzione nuova, che appare non tanto ispirato a teorie economiche quanto traduzione in norme giuridiche di una teoria elaborata dalle scienze delle comunicazioni.

  1. Regolamento 2022/1925/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 settembre 2022, relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale e che modifica le direttive (UE) 2019/1937 e (UE) 2020/1828.
  2. Si tratta di Android, Google Search, Chrome, Google Maps, Google Play, Google Shopping, Google Ads e YouTube, Amazon Marketplace, Amazon Ads., App Store, Safari, iOS, TikTok, Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger, Meta Marketplace, Meta Ads, LinkedIn, Windows PC OS.
  3. Questi vengono definiti all’art. 2 par. 1, punto 2) del DMA mediante elencazione quali: servizi di intermediazione online; motori di ricerca online; servizi di social network online; servizi di piattaforma per la condivisione di video; servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero; sistemi operativi; browser web; assistenti virtuali; servizi di cloud computing; servizi pubblicitari online, compresi reti pubblicitarie, scambi di inserzioni pubblicitarie e qualsiasi altro servizio di intermediazione pubblicitaria, erogati da un’impresa che fornisce uno dei servizi di piattaforma di base elencati alle lettere da a) a i). Tale scelta definitoria, tuttavia, non chiarisce il concetto di core platform service, che si ricava invece dal considerando 15, per cui esso si riferisce a quei servizi caratterizzati da un uso diffuso e comune e dall’importanza per il collegamento tra utenti commerciali e utenti finali.
  4. Comunicato stampa della Commissione europea, Digital Markets Act: Commission designates six gatekeepers, in https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_4328.
  5. La disposizione vieta lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante da parte di una o più imprese nel mercato interno ed elenca quali pratiche possano essere considerate abusive, ossia l’imporre prezzi o condizioni non eque, limitare lo sviluppo e la produzione in danno dei consumatori, attuare pratiche di concorrenza sleale e subordinare la conclusione di contratti all’accettazione di altre prestazioni supplementari.
  6. Per una casistica della durata delle istruttorie avviate dalla Commissione in forza dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, si veda F. Bostoen, Understanding the Digital Markets Act, in Antitrust Bulletin, 2023, disponibile in SSRN.
  7. Tale attività può risultare molto articolata, essendo necessario acquisire tutti gli elementi da cui si possa ricavare se effettivamente un’impresa abbia abusato della sua posizione, cosa che porta ad una dilatazione dei tempi, prima dell’irrogazione di una sanzione.
  8. R. Podszun, From Competition Law to Platform Regulation – Regulatory Choices for the Digital Markets Act, in Economics Journal, 2023, https://doi.org/10.1515/econ-2022-0037, p. 2.
  9. R. Podszun, op. cit., p. 4.
  10. The Digital Services Act package, in https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/digital-services-act-package.
  11. J. Ruohonen, S. Mickelsson, Reflections on the Data Governance Act, in Digital Society, 2/2023, https://doi.org/10.1007/s44206-023-00041-7.
  12. Si tratta del Regolamento 2022/868/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2022, relativo alla governance europea dei dati e che modifica il regolamento 2018/1724/UE (Regolamento sulla governance dei dati), applicabile da settembre 2023 e che costituisce uno dei pilastri della strategia europea sui dati.
  13. Il regolamento sull’intelligenza artificiale in corso di discussione volto a stabilire regoli comuni sull’intelligenza artificiale, attualmente in discussione.
  14. B. Carotti, La politica europea sul digitale: ancora molto rumore, in Riv. trim. dir. pubbl., 4/2022. Per una riflessione sul costituzionalismo nell’epoca del digitale T. E. Frosini, L’ordine giuridico del digitale, in Giur. Cost., 1/2023.
  15. B. Carotti, op. cit., p. 997.
  16. G. Buttarelli, La regolazione delle piattaforme digitali: il ruolo delle istituzioni pubbliche, in Giorn. dir. amm., 1/2023, p. 122.
  17. A. Iannotti della Valle, Il Digital Markets Act e il ruolo dell’Unione europea verso un costituzionalismo digitale, in Giur. Cost., 3/2022, pag. 1868.

    Una ipotesi di regolazione del mercato digitale che muova dai principi dell’ordoliberalismo è stata avanzata da M. Wörsdörfer, Ordoliberalism 2.0: Towards a New Regulatory Policy for the Digital Age, disponibile in SSRN, 2020.

  18. Per una ricostruzione della teoria ordoliberale si veda G. Franco, Il concetto di ordo nell’ordoliberalismo della scuola di Friburgo, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 1/2019.
  19. Tra i numerosi contributi sull’argomento si vedano ad esempio D. Bell, What Is Liberalism?, in Political Theory, 6/2014; J. G. Ruggie, International regimes, transactions, and change: Embedded liberalism in the postwar Economic Order, in International organization, vol. 36, 1982.
  20. P. Behrens, The Ordoliberal Concept of ‘Abuse’ of a Dominant Position and its Impact on Article 102 TFEU. Nihoul/Takahashi, Abuse Regulation in Competition Law, Proceedings of the 10th ASCOLA Conference Tokyo 2015, Forthcoming, disponibile in SSRN.
  21. I. Herrera Anchustegui, Competition Law Through an Ordoliberal Lens, 2015, disponibile in SSRN, p. 151.
  22. C. Massa, Ultimi sviluppi della riforma del digitale in Europa: il Digital Markets Act tra costituzionalismo europeo e concorrenza, in I Post di AISDUE, III, Sezione “Atti convegni AISDUE”, n. 7/ 2021, p. 143.
  23. B. Farrand, The ordoliberal internet? Continuity and change in the EU’s approach to the governance of cyberspace, in European Law Open, 2/2023, secondo il quale la concezione ordoliberale del rapporto tra diritto, mercato e società ha influenzato la struttura dell’Unione europea a livello istituzionale. D. Gerber, Law and Competition in Twentieth Century Europe, Oxford, 1998, anche se tale conclusione è stata sottoposta a critica, poiché non adeguatamente giustificata o comunque in parte errata. In particolare, per un’analisi critica della tesi di Gerber, sull’influenza dell’ordoliberismo sul diritto europeo e sull’origine teorica della nozione di abuso di posizione dominante, presente nell’art. 102 TFUE, si vedano B. J. Rodger, Review of Law and Competition in Twentieth Century Europe: Protecting Prometheus, by D. J. Gerber, in The American Journal of Comparative Law, 2000, https://doi.org/10.2307/840974 e P. Behrens, op. cit.
  24. N. Nicoli, P. Iosifidis, EU digital economy competition policy: From ex-post to ex-ante. The case of Alphabet, Amazon, Apple, and Meta, in Global Media and China, 2023.
  25. Considerando 1 e 2 del regolamento.
  26. F. Ferrari, Le concentrazioni nei mercati data-driven: la privacy rinnegata, in Dir. comm. internaz., 4/2021, p. 1021.
  27. F. Ferrari, op. cit., p. 1021.
  28. Considerando 3.
  29. Si pensi ad esempio al caso Google e Alphabet contro la Commissione europea, in cui quest’ultima ha sanzionato la società americana per violazione delle regole sulla concorrenza, da cui è scaturita una controversia decisa dal giudice di primo grado dell’Unione europea che ha stabilito in euro 4,125 miliardi la sanzione, si veda Tribunale, sentenza 14 settembre 2022, n. T‑604/18, Google e Alphabet/Commissione ECLI:EU:T:2022:541; sull’argomento cfr. G. Guzzardi, L’abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi digitali, in Nuova giur. civ. comm., 2/2023, p. 309. Anche la vicenda Amazon contro Commissione europea, Tribunale, ordinanza 14 ottobre 2021 n. T-19/21, Amazon.com e a./Commissione ECLI:EU:T:2021:730, che ha respinto l’impugnazione del provvedimento di avvio della procedura ai sensi dell’art. 102 TFUE deciso dalla Commissione.
  30. In tal senso il considerando 4.
  31. N. Moreno Belloso, N. Petit, The EU Digital Markets Act (DMA). A Competition Hand in a Regulatory Glove, disponibile in SSRN, 2023.
  32. Nella relazione alla proposta del regolamento, viene spiegata la scelta di ricorrere a questo strumento legislativo, onde prevenire iniziative autonome degli Stati membri, che, a fronte della natura transfrontaliera dei servizi di piattaforma, comporta il rischio di una frammentazione normativa, con conseguenti effetti negativi sul funzionamento del mercato unico. Si veda sul punto la Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali), in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020PC0842&from=en, p. 6.
  33. Considerando 5.
  34. Considerando 11.
  35. M. Midiri, Le piattaforme e il potere dei dati (Facebook non passa il reno), in Dir. dell’Informazione e dell’Informatica, 2/2021, p. 116.
  36. Considerano 32.
  37. Relazione alla proposta di regolamento del parlamento europeo e del consiglio relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali), 2020, in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A52020PC0842.
  38. Come osservato da P. Manzini, in Equità e contendibilità nei mercati digitali: la proposta di Digital Market Act, in I Post di AISDUE, 2/2021, p. 32.
  39. Per una ricostruzione della gatekeeping theory nei vari settori in cui è stata analizzata si veda K. Nahon, Gatekeeping a critical review, in Annual Review of Information Science and Technology, 1/2009.
  40. K. Lewin, Frontiers in group dynamics. II. Channels of Group Life; Social Planning and Action Research, in https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/001872674700100201, lo studio riguarda in particolare il flusso del cibo e da chi e per quali motivi viene acquistato; tale soggetto esercitando un poter su ciò che dal mercato arrivava ad esempio sulla tavola è, secondo l’autore, un guardiano, appunto un gatekeeper.
  41. Ex multis C. B. Schwalbe, B. W. Silcock, E. Candello, Gatecheckers at the visual news stream. A new model for classic gatekeeping theory, in Journalism Practice, 9:4, 465-483, (2015), DOI: 10.1080/17512786.2015.1030133.
  42. In particolare ad opera di opera di K. Barzilai‐Nahon, Toward a theory of network gatekeeping: A framework for exploring information control, in Journal of the American Society for Information Science and Technology, 2008, la quale ha elaborato la Network Gatekeeper Theory, in cui analizza la dinamica complessa che lega i gatekeepers e i gated, quest’ultimi identificati quali soggetti sottoposti ai primi.
  43. J. Wallace, Modelling Contemporary Gatekeeping. The Rise of Individuals, Algorithms and Platforms in Digital News Dissemination, in Digital Journalism. (2017) http://dx.doi.org/10.1080/21670811.2017.1343648.
  44. O. Linksey, Regulating ‘Platform Power’, in LSE Law, Society and Economy Working Papers, 1/2017, disponibile in SSRN, p. 10. E. Laidlaw, A Framework for Identifying Internet Information Gatekeepers. International Review of Law, Computers & Technology, 3/2010, disponibile in SSRN.
  45. Con tale espressione in informatica si intende uno strumento, o nodo, che mette in comunicazione un computer o una rete ad un altro computer o rete.
  46. Per poi specificare con quali strumenti o attraverso quali elementi tale conteggio debba avvenire:

    «In particolare: a) si ritiene che la raccolta di dati sull’uso dei servizi di piattaforma di base da ambienti in cui è stato effettuato l’accesso con registrazione o autenticazione presenterebbe prima facie il minor rischio di duplicazione, per esempio in relazione al comportamento degli utenti su piattaforme o dispositivi diversi. Pertanto, ove tali dati esistano, l’impresa presenta dati anonimizzati aggregati sul numero di utenti unici per ciascun servizio di piattaforma di base, ricavati dagli ambienti in cui è stato effettuato l’accesso con registrazione o autenticazione. b) nel caso di servizi di piattaforma di base a cui accedono anche utenti finali al di fuori degli ambienti in cui si effettua l’accesso con registrazione o autenticazione, l’impresa presenta inoltre dati anonimizzati aggregati sul numero di utenti unici del relativo servizio di piattaforma di base sulla base di una misurazione alternativa che registra anche gli utenti finali al di fuori degli ambienti in cui si effettua l’accesso con registrazione o autenticazione, quali indirizzi IP, marcatori temporanei (cookies) o identificativi di altro tipo come i tag di identificazione a radiofrequenza, a condizione che tali indirizzi o identificativi siano oggettivamente necessari per la fornitura dei servizi di piattaforma di base».

  47. Per un rilievo critico sul ricorso a questo criterio si veda F. Bostoen, op. cit.
  48. Rispettivamente motore di ricerca, browser e servizio di pubblicità.
  49. Si vedano in proposito Case DMA.100022, Apple, Number-independent interpersonal communication services; Case DMA.100047, Apple, iPadOS; Cases DMA.100015, Microsoft, Online search engines; DMA.100028, Microsoft, Web browser; DMA.100034, Microsoft, Online advertising services, tutti reperibili in https://digital-markets-act-cases.ec.europa.eu/search.
  50. Si veda in materia di presunzione e normativa europea antitrust F. Ghezzi, M. Maggiolino, L’imputazione delle sanzioni antitrust nei gruppi di imprese, tra “responsabilità personale” e finalità dissuasive, in Riv. Soc.,5/2014.
  51. Come chiarisce la Commissione europea nella sua decisione con cui designa Alphabet gatekeeper, cfr. Commission decision of 5.9.2023 designating Alphabet as a gatekeeper pursuant to Article 3 of Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector, p. 9.
  52. F. Bostoen, op. cit., p. 14.
  53. In tale occasione Amazon ha ricevuto una sanzione pari a 1,128 miliardi di euro, in https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2021/12/A528-chiusura.
  54. Anche se l’applicazione di quasi tutte le disposizioni si è avuta a partire dal 2 maggio 2023.
  55. Si veda il comunicato stampa della Commissione europea del 6 settembre 2023, qui https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_4328.
  56. Si tratta di TikTok, LinkedIn, Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger, Google Search, Google Maps, Google Play, Google Shopping, Amazon Marketplace, Apple store, Meta Marketplace, Chrome Safari, Google, Amazon, Meta, YouTube, Google Android, IOS, Microsoft PC OS.
  57. Art. 3 par. 5.
  58. Il quale recita: «Ai fini del calcolo del numero di «utenti finali attivi» e «utenti commerciali attivi»: a) L’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base non individua come distinti i servizi di piattaforma di base che appartengono alla stessa categoria di servizi di piattaforma di base ai sensi dell’articolo 2, punto 2), basandosi principalmente sul fatto che essi sono forniti utilizzando nomi di dominio diversi, siano essi domini di primo livello geografici (ccTLD) o domini di primo livello generici (gTLD), o su eventuali attributi geografici. b) l’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base considera servizi di piattaforma di base distinti i servizi di piattaforma di base che sono utilizzati per scopi diversi dai loro utenti finali o dai loro utenti commerciali o da entrambi, anche se i loro utenti finali o i loro utenti commerciali possono essere gli stessi e anche se appartengono alla stessa categoria di servizi di piattaforma di base ai sensi dell’articolo 2, punto 2). c) l’impresa che fornisce servizi di piattaforma di base considera servizi di piattaforma di base distinti i servizi che l’impresa in questione offre in modo integrato, ma che: i) non appartengono alla stessa categoria di servizi di piattaforma di base ai sensi dell’articolo 2, punto 2), o ii) sono utilizzati per scopi diversi dai loro utenti finali o dai loro utenti commerciali o da entrambi, anche se i loro utenti finali e i loro utenti commerciali possono essere gli stessi e anche se appartengono alla stessa categoria di servizi di piattaforma di base ai sensi dell’articolo 2, punto 2)».
  59. Trattasi in sintesi dell’ultima parte del nome del sito internet. Nel caso di domini geografici è ad esempio .it o .uk; mentre nel caso dei domini generici il più noto è il .com.
  60. Commission decision of 5.9.2023 designating Alphabet as a gatekeeper pursuant to Article 3 of Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector, p. 8, reperibile in https://digital-markets-act-cases.ec.europa.eu/latest-updates/InstrumentDMA.
  61. Commission decision of 5.9.2023 designating Apple as a gatekeeper pursuant to Article 3 of Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector, p. 11, reperibile in https://digital-markets-act-cases.ec.europa.eu/latest-updates/InstrumentDMA.
  62. Commission decision of 5.9.2023 designating Amazon as a gatekeeper pursuant to Article 3 of Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector, reperibile in https://digital-markets-act-cases.ec.europa.eu/latest-updates/InstrumentDMA.
  63. Commission decision of 5.9.2023 designating Meta as a gatekeeper pursuant to Article 3 of Regulation (EU) 2022/1925 of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector, reperibile in https://digital-markets-act-cases.ec.europa.eu/latest-updates/InstrumentDMA.
  64. Termine previsto dall’art. 3, par. 10.
  65. Art. 11 DMA.
  66. La rubrica dell’art. 6 recita infatti «obblighi dei gatekeeper che potranno essere oggetto di ulteriori specifiche a norma dell’articolo 8», questo articolo consente alla Commissione di adottare un atto di esecuzione che specifica le misure che il gatekeeper interessato deve attuare per garantire un’osservanza effettiva degli obblighi di cui agli articoli 6 e 7.
  67. Che come specificato nel successivo capoverso sono rappresentati da «tutti i dati aggregati e non aggregati generati dagli utenti commerciali che possono essere ricavati o raccolti attraverso le attività commerciali degli utenti commerciali o dei loro clienti, compresi i dati relativi a click, ricerche e visualizzazioni e i dati vocali, relativi ai pertinenti servizi di piattaforma di base o ai servizi forniti contestualmente o in ausilio ai pertinenti servizi di piattaforma di base del gatekeeper».
  68. M. Colangelo, La regolazione ex ante delle piattaforme digitali: analisi e spunti di riflessione sul Regolamento sui mercati digitali (Regolamento (UE) 2022/1925 del 14 settembre 2022), in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2/2023, p. 418; l’autrice fornisce un’ampia casistica a cui si ispirerebbero gli obblighi prescritti.
  69. Bundeskartellamt/Facebook, decisione B6-22/16 del 6 febbraio 2019.
  70. Caso COMP/AT.40462 e Caso COMP/AT.40703 – Amazon https://ec.europa.eu/competition/antitrust/cases1/202252/AT_40462_8825091_8265_4.pdf.
  71. Relazione alla proposta di regolamento, cit.
  72. Gli obiettivi vengono sanciti dall’art. 1 ove si afferma che le finalità perseguite dal regolamento sono di «contribuire al corretto funzionamento del mercato interno stabilendo norme armonizzate volte a garantire, per tutte le imprese, che i mercati nel settore digitale nei quali sono presenti gatekeeper (controllori dell’accesso) siano equi e contendibili in tutta l’Unione, a vantaggio degli utenti commerciali e degli utenti finali».
  73. G. Guzzardi, L’abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi digitali, in Nuova giur. civ. comm., 2/2023, p. 312.
  74. M. Colangelo, op. cit., p. 422.
  75. M. Libertini, Il regolamento europeo sui mercati digitali e le norme generali in materia di concorrenza, in Riv. trim. dir. pubb., 4/2022, p. 1071.
  76. M. Colangelo, op. cit., p. 423. M. Libertini, op. cit., p. 1072.
  77. A. C. Witt, The Digital Markets Act – Regulating the Wild West, 2023, disponibile in SSRN, p. 25.
  78. Sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione europea.
  79. V. Falce, N.M.F. Faraone, Mercati digitali e DMA: note minime in tema di enforcement, in Dir. ind., 1/2022, p. 8.
  80. Cort. giustizia, grande sez., sentenza 22 marzo 2022, n. 117, a C-508/19, domanda di pronuncia pregiudiziale

    proposta dal Sąd Najwyższy – Polonia, M.F. / J.M, ECLI:EU:C:2022:201.

  81. P. Akman, Regulating Competition in Digital Platform Markets: A Critical Assessment of the Framework and Approach of the EU Digital Markets Act, in European Law Review, 2022, disponibile in SSRN, p. 18.
  82. R. Podszun, op. cit., p. 6.
  83. M. Colangelo, op. cit., p. 423.
  84. J. Hoffmann, L. Herrmann, L. Kestler, Gatekeeper’s potential privilege—the need to limit DMA centralization, in Journal of Antitrust Enforcement, 2023, 00, p. 20.
  85. I quali devono limitarsi ad individuare l’autorità che si occuperà di coadiuvare la Commissione europea nell’applicazione del DMA. In Italia la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022, all’art. 18 indica l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quale soggetto per l’esecuzione del regolamento UE 2022/1925.
  86. Art. 1 par. 5 del Digital Market Act.
  87. M. Wörsdörfer, The Digital Markets Act and E.U. Competition Policy: A Critical Ordoliberal Evaluation, in Forthcoming, Philosophy of Management, disponibile in SSRN, p. 164.
  88. V. Falce, N.M.F. Faraone, op. cit., p. 7.
  89. L’art. 1 par. 5 statuisce infatti che “Al fine di evitare la frammentazione del mercato interno, gli Stati membri non impongono ulteriori obblighi ai gatekeeper per mezzo di leggi, regolamenti o misure amministrative allo scopo di garantire l’equità e la contendibilità dei mercati. Nessuna disposizione del presente regolamento impedisce agli Stati membri di imporre obblighi alle imprese, comprese le imprese che forniscono servizi di piattaforma di base, per questioni che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, purché tali obblighi siano compatibili con il diritto dell’Unione e non derivino dal fatto che le imprese pertinenti hanno lo status di gatekeeper ai sensi del presente regolamento.”
  90. J. Hoffmann, L. Herrmann, L. Kestler, op. cit., p. 7.
  91. V. Bachelet, Il rafforzamento del contrasto agli abusi di posizione “non dominante” delle piattaforme digitali (Art. 33, l. 5 agosto 2022, n. 118, che modifica l’art. 9, l. 18 giugno 1998, n. 192), in Nuove Leggi Civ. Comm., 1/2023.
  92. I due concetti vanno tenuti distinti. L’abuso di posizione dominante si realizza quando un’impresa in posizione dominante si avvale della propria forza economica per fare concorrenza sleale ad un’altra (cfr. M. Filice, Le nuove frontiere in tema di abuso di posizione dominante, in Giornale di dir. amm., 1/2015, p. 88). L’abuso di dipendenza economica si configura quando si fa abuso di una situazione di fatto in cui è possibile per l’impresa più forte di determinare nei rapporti commerciali con la controparte un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi e la possibilità concreta, per l’impresa dipendente, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti (cfr. A. Pisani Tedesco, L’abuso di dipendenza economica, tra avanzamenti del Legislatore e incertezze giurisprudenziali, in La Nuova giur. civ. comm., n. 1/2023, p. 193).
  93. Trattasi di sistemi di intelligenza artificiale basati su algoritmi addestrati su grandissimi dataset, in grado di svolgere funzioni diverse (per una definizione cfr. https://www.agendadigitale.eu/industry-4-0/ia-limpatto-dei-large-language-model-sulle-aziende-usi-e-problemi/).
  94. C. Carugati, Competition in generative artificial intelligence foundation models, Bruegel, 2023, disponibile in http://www.jstor.org/stable/resrep52128.
  95. Si veda Progetto di relazione sulla politica di concorrenza – Relazione annuale 2023 (2023/2077(INI)) della Commissione per i problemi economici e monetari, 20 settembre 2023.
  96. In tal senso si veda M. Wörsdörfer, Big Tech and Antitrust: An Ordoliberal Analysis, in Philos. Technol., 2022, https://doi.org/10.1007/s13347-022-00556-w.

Luca Pellizzoni

PhD student in "Applied Data Science and Artificial Intelligence" (Public Administration - Administrative Law), University of Trieste.