Contratti pubblici e sostenibilità ambientale: da un approccio “mandatory-rigido” ad uno di tipo “funzionale”?

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3/2023

Contratti pubblici e sostenibilità ambientale: da un approccio “mandatory-rigido” ad uno di tipo “funzionale”?

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Il presente contributo analizza il nuovo testo del Codice dei contratti pubblici con riferimento al principio dello sviluppo sostenibile e alla tutela dell’ambiente, che non risultano espressamente indicati dalle disposizioni dedicate ai principi. L’esame delle disposizioni del nuovo Codice costituisce occasione per ricostruire, sul piano interpretativo, il ruolo attribuito, dal legislatore nazionale e da quello europeo, alle stazioni appaltanti nell’utilizzo degli acquisti pubblici per il perseguimento di obiettivi orizzontali, come quello della sostenibilità ambientale e della neutralità climatica. L’approccio seguito nel nuovo Codice risulta in linea di continuità con quello precedente, di tipo mandatory-rigido. Ciò non toglie che, tenuto conto del principio della fiducia, possano essere adottati correttivi di tipo “funzionale”, volti ad assicurare l’effettiva finalizzazione degli acquisti pubblici al conseguimento di benefici per la collettività che minimizzano i danni all’ambiente e favoriscono l’innovazione.


Public procurement and environmental sustainability: from a “rigid-mandatory” to a “functional” approach?
This article analyses the new text of the Public Contracts Code with reference to the principles of sustainable development and environmental protection, neither of which are expressly mentioned among the new provisions. This examination provides an opportunity to reconstruct, according to Eu and national law, the role of the contracting authorities in pursuing environmental sustainability through public procurement. The approach followed in the new Code seems to be in line with the previous mandatory-rigid approach. Nevertheless, according to the principle of trust, corrective “functional” measures can be adopted to ensure that the processes of public procurement minimize damage to the environment and foster innovation.
Summary: 1. La considerazione dello sviluppo sostenibile nel nuovo Codice dei contratti pubblici.- 2. Il public procurement ed il perseguimento di una molteplicità di obiettivi/interessi orizzontali: uno strumento per promuovere la sostenibilità ambientale e contribuire al conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica nell’Unione europea.- 2.1. Dall’approccio eurounitario “non mandatory” all’approccio “mandatory” accolto dal legislatore nazionale.- 3. Il riconoscimento di una maggiore discrezionalità ai funzionari e ai dirigenti delle stazioni appaltanti e la “possibile” valorizzazione della sostenibilità ambientale.- 4. Sostenibilità e innovazione nei contratti pubblici.- 5. Alcune considerazioni conclusive.

1. La considerazione dello sviluppo sostenibile nel nuovo Codice dei contratti pubblici[1]

Si può notare come tra le disposizioni dedicate ai principi, i.e. quelle espressamente indicate agli artt. 1-12, d.lgs. n. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici), non sia contenuto alcun esplicito riferimento al principio dello sviluppo sostenibile o alla sostenibilità ambientale e alla tutela dell’ambiente.

Viene in tal modo a delinearsi uno scostamento significativo rispetto all’impostazione seguita nel Codice dei contratti del 2016, che all’art. 30, comma 1 stabilisce che il principio di economicità può essere subordinato «ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico». Ciò anche con riferimento ai contratti pubblici c.d. esclusi, per i quali l’affidamento deve avvenire nel rispetto dei principi anche di «tutela dell’ambiente ed efficienza energetica» (art. 4).

La mancata riproposizione di una disposizione di questo tipo non appare priva di conseguenze quanto meno sotto due profili. Occorre infatti, innanzitutto, tener conto che i principi sono destinati ad esplicare una funzione di guida nell’interpretazione di tutte le norme di settore, anche di quelle extra codicistiche; questo ruolo dei principi, di valenza generale, potrebbe risultare rafforzato dal fatto che è stata codificata una serie di principi generali nel nuovo Codice dei contratti pubblici, a cui è stata assegnata una «funzione ordinante e nomofilattica»[2].

In secondo luogo, il mancato riferimento allo sviluppo sostenibile o alla sostenibilità ambientale e alla tutela dell’ambiente in una delle disposizioni contenenti i principi della disciplina di settore rende meno agevole (ma non certo impossibile come si chiarirà) pervenire in via interpretativa ad una lettura, peraltro già prospettata in sede dottrinale, secondo cui occorre considerare la sostenibilità ambientale e sociale non più una deroga al principio di economicità bensì un elemento che è parte integrante del medesimo[3]. Lettura, quest’ultima, che è stata prospettata in ragione del fatto che, a norma dell’art. 3-quater, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152[4], l’attività amministrativa discrezionale delle amministrazioni pubbliche deve essere finalizzata a garantire il rispetto del principio dello sviluppo sostenibile, e che potrebbe risultare rafforzata dalla recente modifica degli artt. 9 e 41, commi 2 e 3 Cost., da cui si evince, in particolare, come l’iniziativa economica privata incontri nuovi limiti negativi, nel senso che non deve arrecare danni alla salute e all’ambiente, e possa essere indirizzata e coordinata (limite positivo) a fini (anche) ambientali[5].

Oltretutto, il fatto che la sostenibilità ambientale e sociale non sia più espressamente compresa, come si evince dagli art. 1-11 del nuovo Codice, nel novero dei principi e degli interessi «orizzontali»[6] – a cui deve risultare conforme l’attività amministrativa delle stazioni appaltanti preordinata alla scelta dei contraenti – richiede quanto meno di procedere ad una più articolata ricostruzione sul piano interpretativo nel caso in cui si intenda dimostrare che le stazioni appaltanti operano (ancora) un bilanciamento tra i principi di economicità e di concorrenza e quelli della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

Deve tuttavia rilevarsi come sussista il rischio che le considerazioni inerenti alla sostenibilità (nella dimensione soprattutto ambientale) siano da considerare fondamentalmente cristallizzate nelle specifiche disposizioni contenute nel nuovo Codice e in altri atti normativi (in particolare nei decreti ministeriali sui CAM)[7]. Se, infatti, da un lato l’accoglimento di un approccio mandatory ha il pregio di innalzare il livello di tutela ambientale nei processi di acquisto del settore pubblico, dal momento che le stazioni appaltanti sono obbligate (e non più semplicemente facoltizzate) ad inserire determinati requisiti e criteri ambientali, dall’altro le singole stazioni appaltanti potrebbero limitarsi a recepire i requisiti, le specifiche tecniche prescritte dalla normativa, senza tuttavia introdurre elementi che richiedono ai concorrenti di individuare soluzioni innovative in termini di prodotti e/o di processi, rinunciando, in tal modo, le medesime amministrazioni ad utilizzare gli spazi di discrezionalità che sono loro riconosciuti dall’ordinamento. Nella prospettiva testé indicata, la considerazione della sostenibilità nella dimensione ambientale verrebbe, in altri termini, a ridursi ad una questione di recepimento da parte delle stazioni appaltanti della disciplina positiva applicabile, per quanto debba comunque trovare applicazione il principio dell’equivalenza che, pur non essendo espressamente richiamato tra i principi generali del nuovo Codice, è da ricondurre al principio dell’accesso al mercato, di cui all’art. 3, risultando espressione del principio del favor partecipationis, che permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica[8].

Occorre peraltro tener conto che, come è stato evidenziato dalla Commissione europea, non sempre l’approccio tecnico può considerarsi quello più appropriato per ottenere un risultato circolare. Le stazioni appaltanti, in fase di progettazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, potrebbero infatti ritenere preferibile adottare un approccio funzionale, individuando criteri basati sui risultati/sulle prestazioni, ossia rivolti a descrivere «il risultato desiderato e quali sono i risultati attesi (ad esempio in termini di qualità, quantità e affidabilità)»[9].

Al fine di verificare quale sia l’impostazione seguita dal legislatore italiano nel nuovo Codice dei contratti non ci si può limitare alla considerazione dei principi dal medesimo contemplati, essendo necessario esaminare anche le altre disposizioni ivi contenute. Al riguardo può rilevarsi, in primo luogo, come i riferimenti alla sostenibilità (nella dimensione) ambientale non siano numerosi[10].

La disposizione più significativa è sicuramente costituita dall’art. 57, comma 2 riguardante i CAM, che, in linea di continuità col Codice del 2016, ha inteso confermare l’obbligatorietà dei CAM (rectius delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali) adottati con D.M., nonché l’obbligo per le stazioni appaltanti di tenere in considerazione i criteri ambientali premianti ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Un ulteriore rinvio alle caratteristiche ambientali inerenti all’oggetto del contratto si rinviene, seppure in via “indiretta”, attraverso il rimando, operato dall’art. 79 Specifiche tecniche e dall’art. 80 Etichettature, all’allegato II.5, che, in assoluta continuità con quanto disposto dal previgente Codice (artt. 68 e 69 d.lgs. n. 50/2016), richiama il principio di equivalenza.

Un’altra disposizione di sicuro rilievo è individuabile nell’art. 130 riguardante i servizi di ristorazione, là dove si stabilisce che sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo e che la valutazione dell’offerta tecnica tiene conto in particolare, tramite l’attribuzione di un punteggio premiale: «… b) del rispetto delle disposizioni ambientali in materia di economia sostenibile (green economy), nonché dei pertinenti criteri ambientali minimi di cui all’articolo 57»[11].

Occorre peraltro tener conto che, con riguardo ai contratti di concessione, all’art. 178, comma 2 del nuovo Codice si stabilisce che «per le concessioni ultraquinquennali, la durata massima della concessione non supera il periodo di tempo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati nell’esecuzione dei lavori o dei servizi, insieme con un ritorno sul capitale investito; per quest’ultimo scopo si tiene conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici assunti dal concessionario per rispondere alle esigenze riguardanti, ad esempio, la qualità o il prezzo per gli utenti ovvero il perseguimento di elevati standard di sostenibilità ambientale».

Più in generale, si può osservare come, anche in base ad altre disposizioni del nuovo Codice dei contratti, trovino fondamentalmente conferma istituti e regole, già contenute nel previgente Codice dei contratti, riconducibili al green public procurement o meglio al circular public procurement[12].

Va rilevato, infatti, come, non diversamente dal Codice dei contratti del 2016, con riferimento ai criteri di aggiudicazione degli appalti, all’art. 108, comma 4 si stabilisce che l’offerta economicamente più vantaggiosa, deve essere individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ed è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali «gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto», nonché, con riguardo ai criteri di aggiudicazione delle concessioni, all’art. 185, comma 2 si prevede che possono essere inclusi anche «criteri ambientali, sociali o relativi all’innovazione». Sempre nella prospettiva del circular public procurement, viene confermata la possibilità di individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa «sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita» (art. 108, comma 1), nonché l’ammissibilità della variante c.d. environmental del criterio dei costi del ciclo di vita, che consente alla stazione appaltante di tenere in considerazione i «costi imputati a esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, purché il loro valore monetario possa essere determinato e verificato» (allegato II.8, par. III)[13]. Parimenti, senza operare soluzioni di continuità col passato, sono rinvenibili disposizioni riconducibili alla c.d. funzione strategica negativa, segnatamente: quella in tema di esclusione dalle procedure degli operatori, là dove sono accertate gravi violazioni delle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, nonché degli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X alla direttiva 2014/24/UE (art. 95, comma 1, lett. a)[14]; quella riguardante la possibilità per le stazioni appaltanti di decidere di non aggiudicare l’appalto all’offerente che ha presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa se ha accertato che l’offerta non soddisfa gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali di diritto del lavoro indicate nell’allegato X alla direttiva 2014/24/UE (art. 107, comma 2).

Infine, in termini non dissimili dalla previgente normativa di settore, si è prevista la possibilità di inserire condizioni di esecuzione dei contratti attinenti ad esigenze sociali e ambientali (art. 113).

Se si esaminano le disposizioni richiamate non può, tuttavia, non rilevarsi che, proprio cogliendo l’occasione di un completo rinnovo delle disposizioni del Codice dei contratti, ci si sarebbe potuti attendere da parte del legislatore una diversa (e forse più coraggiosa) considerazione del principio dello sviluppo sostenibile, o meglio della sostenibilità intesa nelle sue varie accezioni con riferimento tanto alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, quanto all’esecuzione dei medesimi. Ciò, tanto più se si considera che l’oggetto della delega, ex art. 1, lett. F) della l. 21 giugno 2022, n. 78, risultava particolarmente ampio, annoverandosi tra i criteri e principi direttivi della legge di delegazione la: «semplificazione delle procedure finalizzate alla realizzazione di investimenti in tecnologie verdi e digitali, in innovazione e ricerca nonché in innovazione sociale, anche al fine di conseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, e di incrementare il grado di ecosostenibilità degli investimenti pubblici e delle attività economiche secondo i criteri di cui al regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020; previsione di misure volte a garantire il rispetto dei criteri di responsabilità energetica e ambientale nell’affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, in particolare attraverso la definizione di criteri ambientali minimi, da rispettare obbligatoriamente, differenziati per tipologie ed importi di appalto e valorizzati economicamente nelle procedure di affidamento, e l’introduzione di sistemi di rendicontazione degli obiettivi energetico-ambientali; in seguito all’emanazione di nuovi decreti ministeriali in materia di criteri ambientali minimi, previsione di un periodo transitorio con tempi congrui per l’avvio della relativa applicazione».

2. Il public procurement ed il perseguimento di una molteplicità di obiettivi/interessi orizzontali: uno strumento per promuovere la sostenibilità ambientale e contribuire al conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica nell’Unione europea

Con l’entrata in vigore delle direttive del 2014[15] gli appalti pubblici sono stati concepiti in modo diverso, dal momento che è divenuto possibile considerarli come uno strumento strategico a disposizione della politica economica di ogni Stato membro[16]. Si è, in altri termini, dischiusa la possibilità di perseguire, mediante il public procurement, una molteplicità di obiettivi/interessi; ciò ha indotto a considerarlo uno strumento rivolto non più soltanto ad assicurare la trasparenza, nonché l’efficace utilizzo dei fondi pubblici ed il value for money per le stazioni appaltanti, bensì a promuovere, in senso ampio, un cambiamento sociale[17]. È ad esempio del tutto evidente che il public procurement può contribuire al raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite del 2015[18] e costituisce uno strumento che consente alle amministrazioni pubbliche di perseguire molti di questi obiettivi, essendo gli stessi qualificabili come finalità orizzontali. Oltretutto, i contratti pubblici, allorquando sono realizzate opere e/o esternalizzate attività, rappresentano anche un mezzo per il conseguimento dei suddetti obiettivi sostenibili[19].

Occorre poi sottolineare come nella Comunicazione della Commissione europea, “Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa” del 3 ottobre 2017[20] – in cui è stata posta in rilievo l’importanza del «passaggio da un approccio puramente amministrativo a uno strategico e orientato alle esigenze» – trovi sostanzialmente conferma l’osservazione secondo cui le direttive del 2014 rappresentano un punto di partenza (non di arrivo) del processo di trasformazione del contratto pubblico in uno «strumento strategico a disposizione della politica economica di ogni Stato membro».

Tale processo è proseguito anche attraverso successivi interventi settoriali (non riguardanti in senso proprio il public procurement), tutti orientati a promuovere la sostenibilità e lo sviluppo sostenibile[21], che hanno individuato nei contratti pubblici uno dei principali strumenti per la realizzazione dei relativi obiettivi di policy.

Un riconoscimento dell’importanza degli appalti pubblici «rispettosi del clima» e del ruolo esemplare che deve essere svolto dalle autorità pubbliche, incluse le Istituzioni dell’Unione europea è, ad esempio, contenuto nel “Green Deal” del 2019, che costituisce il principale strumento programmatorio europeo rivolto a promuovere la sostenibilità ambientale ed è parte integrante della Strategia della Commissione Ue per attuare l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite[22]. Nella medesima prospettiva, nel Piano di investimenti del Green Deal europeo[23] si prevede che la Commissione, in successivi interventi settoriali, proporrà «criteri o obiettivi verdi obbligatori minimi per gli appalti pubblici», i quali «stabiliranno di fatto una definizione comune degli acquisti verdi»; l’utilità di una siffatta definizione verrà considerata anche nell’ottica della raccolta dei dati necessari per poter valutare l’impatto prodotto dagli appalti pubblici verdi.

Le indicazioni contenute in tale ambizioso piano strategico (Green Deal) sono state recepite in atti e piani attuativi, molti dei quali debbono essere ancora approvati. Si consideri, ad esempio, la proposta di Direttiva sull’efficienza energetica (EED)[24], ove a più riprese si fa riferimento al «Ruolo esemplare del settore pubblico», cui è dedicato l’intero Capo II. Rispetto alla disciplina previgente, tale ruolo non solo viene enfatizzato ed esteso a tutte le amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori (invece che al solo governo centrale), ma sono individuati anche i presupposti affinché esso possa effettivamente esplicarsi. Invero, all’art. 7 della predetta proposta si stabilisce che, per i contratti superiori a una determinata soglia, gli Stati membri sono tenuti a far sì che i contraenti pubblici «acquistino esclusivamente prodotti servizi, edifici e lavori ad alta efficienza energetica» ed «applichino il principio “l’efficienza energetica al primo posto” (…)» anche in relazione ai contratti pubblici per i quali non sono previsti requisiti specifici.

La medesima proposta di direttiva prevede, inoltre, che gli Stati membri «esigono» che, nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori «tengano conto, se del caso, dei più ampi aspetti sociali, ambientali e legati alla sostenibilità e all’economia circolare in particolare per quanto riguarda il settore dei trasporti, al fine di conseguire gli obiettivi dell’Unione in materia di decarbonizzazione e inquinamento zero»; e, in termini ancor più netti, sempre all’art. 7 si precisa che, ove opportuno e conformemente ai requisiti stabiliti nell’allegato IV, gli Stati «impongono alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori di tenere conto dei criteri dell’Unione relativi agli appalti pubblici verdi», fermo restando l’obbligo di sostenerle «nell’adozione di requisiti di efficienza energetica, anche a livello regionale e locale»[25]. Come appare evidente la citata disposizione fa riferimento ai criteri GPP sviluppati dalla Commissione, i quali, pur avendo una matrice comune con i CAM nazionali (si v. la Comunicazione “Appalti pubblici per un ambiente migliore” del 2008)[26], a differenza di questi ultimi presentano carattere tendenzialmente non mandatory.

Va poi fatto cenno al fatto che, ad integrazione della riforma della disciplina sull’efficienza energetica, la Commissione ha adottato una proposta di direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD)[27], riconducibile anch’essa al programma di lavoro della Commissione per il 2021, che si inserisce nell’ambito del pacchetto “Pronti per il 55 %” (Fit for 55)[28]. In questo caso, gli obiettivi individuati – i.e. ottenere nuovi edifici a emissione zero e raggiungere determinate classi di prestazione energetica – riguardano tutti gli edifici, ma per quelli occupati da enti pubblici o di loro proprietà sono previste tempistiche più stringenti e, in alcuni casi, misure più ambiziose (si v. l’art. 7)[29].

Nel Green Deal sono stati inoltre anticipati i contenuti del nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare, che è stato approvato nel marzo 2020[30], nel quale la Commissione ha ulteriormente sottolineato l’importanza del public procurement con riguardo al processo di transizione da un’economia lineare a un’economia circolare. Quest’ultimo Piano ha dunque inteso rafforzare quanto era stato indicato nel precedente Piano del 2015[31], evidenziando, per un verso come gli appalti pubblici costituiscano «un motore chiave della transizione verso l’economia circolare», per l’altro che la Commissione europea può promuovere diverse azioni «per facilitare l’integrazione dei principi dell’economia circolare nei GPP»[32].

Occorre altresì evidenziare che nel Piano d’Azione del 2020 – in cui si è tra l’altro rilevato che i limiti «insiti nelle iniziative su basa volontaria» hanno comportato di fatto un ridotto impatto degli strumenti esistenti – sono stati indicati gli impegni che la Commissione intende assumere, segnatamente: quello di proporre «criteri e obiettivi minimi obbligatori in materia di appalti pubblici verdi (GPP) nella legislazione settoriale»; quello di introdurre «gradualmente un obbligo di comunicazione per monitorare il ricorso agli appalti pubblici verdi (GPP) senza creare oneri amministrativi ingiustificati per gli acquirenti pubblici»; quello di «favorire lo sviluppo di capacità mediante orientamenti, attività di formazione e la diffusione di buone pratiche e incoraggiando gli acquirenti pubblici a partecipare all’iniziativa “Acquirenti pubblici per il clima e l’ambiente”, che agevolerà gli scambi tra gli acquirenti che intendono ricorrere agli appalti pubblici verdi».

Più di recente, la Commissione europea ha adottato un primo Pacchetto di proposte per l’economia circolare per rendere “ordinari/la norma” i prodotti sostenibili, promuovere modelli di business circolari e responsabilizzare i consumatori per la transizione verde[33].

Con più specifico riferimento alla strategia sul tessile sostenibile è stata prevista l’introduzione, entro il 2024, di criteri obbligatori che andranno a integrare/sostituire i sistemi volontari già messi a punto dalla Commissione, quali i criteri di assegnazione dell’Ecolabel UE per i prodotti tessili[34] e i criteri dell’UE per gli appalti pubblici verdi relativi ai prodotti e ai servizi tessili[35].

Vanno richiamate poi le proposte di direttive inerenti alla progettazione ecocompatibile[36] e ai prodotti da costruzione (CPR)[37], atteso che si prevede di conferire alla Commissione il potere di integrare i regolamenti mediante atti delegati, con cui si stabiliranno i requisiti di sostenibilità applicabili agli appalti pubblici (compresi l’attuazione e il controllo di tali requisiti e la comunicazione in merito da parte degli Stati membri) e che potranno assumere la «forma di specifiche tecniche obbligatorie, criteri di selezione, criteri di aggiudicazione, clausole sull’esecuzione dell’appalto od obiettivi, a seconda dei casi»[38].

Per concludere questa panoramica riguardante gli interventi normativi di recente proposti in ambito eurounitario, da cui si desume che il public procurement costituisce uno strumento per favorire la transizione verso un’economia verde e climaticamente neutra, appare opportuno richiamare anche la proposta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità sociale e ambientale[39]. Muovendo dalla consapevolezza dei limiti che presentano misure e azioni “volontarie” – che sono risultate inidonee ad apportare miglioramenti su vasta scala e in tutti i settori – con tale proposta di direttiva si intende introdurre una normativa in materia di dovere di diligenza delle società attive nel mercato unico, prevedendo, tra l’altro, un obbligo sostanziale per alcune società di adempiere il dovere di diligenza al fine di individuare, prevenire, attenuare e rendere conto dei danni esterni derivanti dagli impatti negativi sui diritti umani e dagli impatti ambientali negativi nelle attività che svolgono, nelle loro filiazioni e nella catena del valore a cui partecipano. Si tratta di un intervento che non incide direttamente sulla domanda pubblica e sulla sua regolamentazione, essendo interamente circoscritto al lato dell’offerta, presa peraltro in considerazione nel suo complesso. Appare tuttavia innegabile la sua rilevanza in relazione al tema del sustainable/green public procurement, tenuto conto che con tale normativa si intende promuovere la sostenibilità, che, come si è evidenziato, costituisce una delle finalità principali perseguita attraverso l’utilizzo strategico dei contratti pubblici. A ciò si aggiunga che un siffatto intervento sul lato dell’offerta può, per certi versi, considerarsi strumentale al rafforzamento di tale utilizzo strategico dei contratti pubblici, dal momento che potrebbe consentire, nel medio/lungo periodo, alle pubbliche amministrazioni di rivolgersi a una platea di operatori economici sempre più “evoluti” sul piano della sostenibilità ambientale e, quindi, maggiormente attrezzati a supportare la domanda pubblica “verde” o “circolare”[40].

2.1. Dall’approccio eurounitario “non mandatory” all’approccio “mandatory” accolto dal legislatore nazionale

Si è già evidenziato supra che nelle direttive del 2014 l’approccio seguito è stato di tipo “non mandatory”, dal momento che, come è stato precisato nel considerando 95 della Direttiva n. 24/2014 non si è ritenuto «opportuno fissare requisiti obbligatori generali per gli appalti in materia ambientale, sociale e di innovazione» in ragione «delle sensibili differenze tra i singoli settori e mercati». Più di recente, il legislatore europeo ha accolto un’impostazione diversa con riguardo ad alcuni settori. Oltre a quanto si è osservato supra, occorre infatti rilevare che, al fine di imporre l’utilizzo di criteri ambientali e sociali nelle procedure di affidamento di contratti pubblici, l’approccio seguito in alcuni settori (ad. es.: quello dei mezzi di trasporto su gomma, quello delle attrezzature da ufficio, quello delle prestazioni energetiche negli edifici, quello dell’efficienza energetica)[41], è di tipo mandatory[42].

Occorre tuttavia evidenziare come, secondo una parte della dottrina, essendoci ancora un gap di conoscenze in ordine all’impatto potenziale del GPP sull’ambiente, ai prezzi dei contratti ed alla possibilità che il medesimo possa effettivamente guidare la trasformazione verde, non è possibile pervenire alla conclusione che il GPP costituisca lo strumento più conveniente per promuovere le politiche ambientali, anche in considerazione del fatto che sono perseguiti plurimi obiettivi/interessi orizzontali. Di conseguenza, secondo tale impostazione il GPP non dovrebbe essere esteso a tutti i settori, bensì applicato soltanto a quei settori il cui impatto potenziale dal punto di vista ambientale risulti maggiore[43].

Altra parte della dottrina ha invece proposto di passare dall’attuale sistema volontario di applicazione del GPP ad uno di tipo mandatory, in quanto quest’ultimo incentiverebbe il mercato ad individuare soluzioni rispettose dell’ambiente e fornirebbe un forte ed efficiente incentivo alle stazioni appaltanti ad impegnarsi nelle procedure di acquisto verdi[44]. Per altro verso, come è stato osservato, la fissazione di requisiti obbligatori di sostenibilità può produrre effetti positivi anche sul lato dell’offerta, dal momento che, determinando una maggior standardizzazione, nonché semplificazione delle procedure di aggiudicazione, evita la frammentazione del mercato interno, nonché riduce le asimmetrie informative tra le stazioni appaltanti e gli operatori economici e, conseguentemente, rende maggiormente prevedibili le decisioni amministrative[45].

Per quanto, come si è osservato, nel nuovo Codice dei contratti pubblici non sono molte le disposizioni che espressamente risultano direttamente ricollegabili al circular public procurement o al sustainable public procurement[46], le medesime non possono che essere valutate nell’ambito di un contesto più ampio. Deve, in particolare, constatarsi come il legislatore del nuovo Codice dei contratti abbia inteso confermare scelte che appaiono ormai essersi solidificate nell’ordinamento. Il legislatore nazionale non si è infatti discostato dall’approccio finora seguito, ossia quello di rendere mandatory requisiti di sostenibilità ambientale con riferimento a specifici prodotti e servizi, che a livello euro-unitario non lo erano (e in diversi ambiti continuano tuttora a non esserlo)[47]. In altri termini, il legislatore nazionale ha già mostrato di voler utilizzare gli spazi di discrezionalità riconosciuti agli Stati membri dalle direttive europee, in quanto, attraverso la disciplina dei criteri minimi ambientali (CAM), ha reso obbligatori requisiti attinenti alla definizione del contenuto di contratti pubblici[48]. Ciò, è da collegare soprattutto al fatto che, come è stato rilevato dalla più recente giurisprudenza amministrativa, la ratio dell’obbligatorietà dei CAM risulta individuabile nell’esigenza di garantire «che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”»[49]. Peraltro, l’osservazione dei medesimi giudici amministrativi, secondo cui la disciplina contenuta nell’art. 34, d.lgs. n. 50/2016 contribuisce «a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica»[50], rende evidente come la normativa di settore, che appare sempre più orientata al perseguimento di obiettivi/interessi “orizzontali”, rifletta ormai il più generale mutamento di paradigma che si è verificato a livello eurounitario e nazionale.

3. Il riconoscimento di una maggiore discrezionalità ai funzionari e ai dirigenti delle stazioni appaltanti e la “possibile” valorizzazione della sostenibilità ambientale

Non sembra peraltro che possa disconoscersi come uno dei fattori più rilevanti, nella prospettiva di rendere gli appalti maggiormente orientati allo sviluppo sostenibile, alla sostenibilità ambientale, sia individuabile nell’adeguata formazione, qualificazione professionale dei funzionari e dirigenti delle stazioni appaltanti[51]. È del tutto evidente, infatti, come solamente personale altamente qualificato possa operare scelte effettivamente improntate ad un approccio basato sul sustainable procurement, a partire da quelle programmatorie, preordinate all’individuazione dei bisogni da soddisfare, a quelle inerenti alla progettazione della disciplina delle procedure di aggiudicazione e alla definizione dell’oggetto dei contratti da aggiudicare.

In tale prospettiva deve valutarsi la portata dell’art. 2, comma 2 del nuovo Codice, a norma del quale: «Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato»[52].

Il principio della fiducia congiuntamente al principio del risultato, a cui deve essere improntata l’attività amministrativa delle stazioni appaltanti, sembra presupporre che sia riconosciuta un’ampia discrezionalità ai funzionari e dirigenti pubblici, i cui compiti sono da individuarsi nella programmazione, nella progettazione e nella definizione delle regole della gara e dei contenuti del contratto.

In altri termini, detta discrezionalità dovrebbe esplicarsi con riferimento all’intero ciclo di vita del contratto pubblico, secondo la definizione che è ora contenuta nell’All. I.1 del nuovo Codice dei contratti[53]. D’altronde, dalla nuova normativa emerge una piena e completa adesione alla logica del ciclo di vita, che rende evidente come sia stato compiuto un passo in avanti rispetto al Codice dei contratti del 2016, in cui il riferimento a tale logica era circoscritto alla/e prestazione/i oggetto del contratto. Invero, l’art. 68, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 in tema di specifiche tecniche[54] e gli artt. 95, comma 11 e 96 del medesimo decreto in tema di criteri di aggiudicazione[55] denotavano l’accoglimento – in attuazione delle indicazioni scaturenti dal diritto dell’Ue[56] – di un approccio olistico solamente con riguardo alla prestazione oggetto del contratto che l’amministrazione intendeva affidare, attraverso una considerazione complessiva, anche sotto il profilo temporale, di tutte le sue fasi (i.e. “dalla culla alla tomba”: dal reperimento delle materie prime, alla produzione, all’utilizzazione del servizio, allo smaltimento, ecc.), incluse quelle consecutive e/o interconnesse. Nel previgente Codice dei contratti non era infatti rinvenibile un’espressa indicazione normativa in merito alla necessità per le stazioni appaltanti di considerare ab origine (i.e. sin dalla fase programmatoria) tutte le fasi di cui si compone l’operazione negoziale. Questa lacuna può dirsi colmata dalla disciplina contenuta nel nuovo Codice, in cui si puntualizza che il processo di digitalizzazione del settore (cui è dedicata la Parte II del Libro I, recante “Della digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti”) deve riguardare l’intero ciclo di vita digitale dei contratti, che, di norma, «si articola in programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione» (si v. l’art. 21, recante “Ciclo di vita digitale dei contratti pubblici”).

La completa “interiorizzazione” della logica del ciclo di vita e la sua applicazione al contratto nel suo complesso, e non solo al suo oggetto, costituisce un aspetto centrale, sia in quanto dovrebbe favorire una maggiore attenzione alla fase esecutiva contrattuale, in cui molto spesso si trascurano i profili inerenti alla sostenibilità[57] (che invece potrebbero essere valorizzati ex art. 100, d.lgs. n. 50/2016), sia perché rende possibile una più ampia considerazione, da parte delle stazioni appaltanti, degli interessi sociali e ambientali, e, conseguentemente, permette alle stesse di promuovere in termini complessivi la sostenibilità delle commesse pubbliche[58].

Tale più ampia discrezionalità comporta, peraltro, che sia rimessa ai funzionari e dirigenti delle stazioni appaltanti, sulla base dei bisogni rilevati, la definizione delle modalità e delle misure concrete che possono orientare i contratti pubblici verso il conseguimento di obiettivi che garantiscano una maggiore sostenibilità[59], nonché l’indicazione di benefici che, minimizzando o annullando i danni all’ambiente, risultano valutabili in termini positivi non soltanto per la stazione appaltante, ma anche, più in generale, per i cittadini[60].

Si può tuttavia osservare come, stante l’indicato binomio fiducia (rectius: discrezionalità) e risultato – al di fuori dei casi in cui la disciplina normativa applicabile impone il rispetto di specifici criteri o clausole – non essendo stato previsto un obbligo per le stazioni appaltanti di definire gli obiettivi più appropriati di sostenibilità o di performance ambientali che sono richiesti agli operatori economici interessati all’aggiudicazione di quel contratto, non vi sia alcuna garanzia che la discrezionalità, che si è intesa riconoscere, venga effettivamente esercitata in tal senso. In altri termini, al fine di orientare maggiormente i contratti pubblici al perseguimento di finalità orizzontali, sarebbe necessario stabilire un obbligo di specificazione dei risultati attesi. Nella prospettiva indicata, infatti, la precisazione dei risultati attesi o di determinati target di sostenibilità – da effettuarsi nell’esplicazione delle attività programmatorie e di progettazione –, pur dovendo continuare a costituire espressione della discrezionalità riconosciuta ai funzionari e ai dirigenti delle stazioni appaltanti, dovrebbe essere resa mandatory.

Non è tuttavia rinvenibile nel nuovo Codice una disposizione che imponga alle stazioni appaltanti di individuare obiettivi di sostenibilità ambientale, anche tenendo conto delle peculiarità dell’oggetto del contratto da affidare (relativamente all’intero suo ciclo di vita), di tal che vi è il rischio che la discrezionalità riconosciuta, costituente espressione del principio della fiducia, non si traduca in misure rivolte alla promozione di tale finalità orizzontale[61], a meno che la determinazione di tali obiettivi non sia prescritta da un decreto ministeriale contenente i CAM[62] e sempre che l’oggetto dell’appalto corrisponda ad una delle categorie disciplinate da tale decreto.

In definitiva, deve osservarsi come l’individuazione di vincoli di risultato, eventualmente accompagnata da incentivi[63] – pur in mancanza di un’espressa previsione contenuta nelle disposizioni del nuovo Codice – costituiscano misure che consentirebbero alle stazioni appaltanti di acquisire, mediante il confronto concorrenziale, soluzioni in grado di arrecare benefici alla collettività, in quanto minimizzano o eliminano i danni all’ambiente.

Riferimenti, sia pure generali, alla predetta impostazione funzionale sono rinvenibili anche in alcune proposte di atti normativi eurounitari, in cui si prevede che le prescrizioni inerenti ad appalti verdi possono assumere la forma di «specifiche tecniche obbligatorie», di «criteri di selezione», di «criteri di aggiudicazione», di «clausole di esecuzione dell’appalto» oppure di «obiettivi»[64]. Appare, poi, significativo che nell’ambito dell’approccio mandatory accolto si distingua tra “criteri” ed “obiettivi obbligatori”, che debbono essere parimenti rivolti a garantire «la massimizzazione dell’effetto leva della spesa pubblica per promuovere la domanda di prodotti con prestazioni migliori»[65]. Detta distinzione sembra, a ben vedere, evocare la distinzione tra un approccio tecnico e un approccio funzionale[66].

Infine, si può rilevare come il legislatore italiano avrebbe potuto far riferimento anche ad un’altra “tecnica” di recente conio, i.e. quella desumibile dalla fattispecie di cui all’art. 47, d.l. n. 77/2021, conv. dalla l. n. 108/2021, in cui il tipo di approccio adottato è quello «comply or explain». Si è infatti previsto che la stazione appaltante, in fase di progettazione della gara, è tenuta a prevedere specifiche clausole rivolte all’inserimento, «come requisiti necessari o come requisiti ulteriori premiali dell’offerta», di criteri orientati alla promozione di obiettivi sociali, che, nell’ipotesi qui in considerazione, avrebbero potuto individuarsi in obiettivi di sostenibilità ambientale; si è peraltro stabilito che siffatto obbligo non risulta configurabile in presenza di specifiche circostanze, da motivare, che rendono impossibile e/o non opportuno l’inserimento di considerazioni c.d. orizzontali in una determinata operazione contrattuale.

Come è stato correttamente osservato in dottrina, la disciplina legislativa riguardante i contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC impone alle stazioni appaltanti un particolare sforzo adattivo nell’utilizzo “strategico” dei medesimi contratti[67]. Pertanto, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 47 d.l. cit. nel nuovo Codice dei contratti si sarebbe potuto, ad esempio, per un verso stabilire un obbligo per le stazioni appaltanti di individuare requisiti necessari o premiali dell’offerta, connessi all’oggetto del contratto da aggiudicare, orientati alla promozione di obiettivi di sostenibilità ambientale, per l’altro prevedere la possibilità per gli enti appaltanti di sottrarsi a tale obbligo soltanto previa adeguata motivazione circa le ragioni dell’esclusione in relazione «all’oggetto del contratto, alla tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati», che «ne rendano l’inserimento impossibile».

4. Sostenibilità e innovazione nei contratti pubblici

Si è sottolineato in dottrina come gli appalti verdi (GPP) possano rappresentare il maggior stimolo per l’innovazione, soprattutto ecologica e rispettosa dell’ambiente, connessa alle tecnologie, ai prodotti e ai servizi[68]; d’altronde, quanto più i contratti pubblici sono utilizzati quale strumento per perseguire obiettivi di sostenibilità (ad. es. gli obiettivi dell’Agenda 2030), tanto maggiore diventa l’esigenza di sviluppare, per mezzo di questi, soluzioni innovative[69], ossia favorendo «l’innovazione attraverso i contratti pubblici»[70]. Si è, per converso, rilevato come a tal riguardo siano disponibili limitate ricerche e non siano stati ancora indagati alcuni aspetti rilevanti, tra cui, ad esempio, il fatto che la dimensione organizzativa delle stazioni appaltanti possa determinare una diversa spinta all’innovazione e/o produrre benefici connessi alle ricadute relative alla produzione[71].

Inoltre, muovendo dall’osservazione che il settore privato tende ad imitare quello pubblico, è stato osservato che quando l’obiettivo perseguito dal settore pubblico è quello di indurre nei mercati dei cambiamenti al fine di realizzare una sempre maggiore circolarità, la domanda di soluzioni innovative finisce per essere quella che produce il maggiore impatto[72]. In questa prospettiva, si è evidenziato, tuttavia, come gli appalti verdi non sempre e necessariamente comportino un’innovazione nei prodotti e nei processi, dovendo essere specificamente previsto l’abbinamento tra criteri ambientali e aspetti innovativi.

In un recente studio è stato, in particolare, posto in rilievo come sia essenzialmente l’aggiudicazione di appalti verdi a favore di piccole e medie imprese a determinare la più alta probabilità che siano sviluppati prodotti innovativi dal punto di vista ambientale, nonché che la domanda funga da driver dell’innovazione ambientale[73]. Non può però neppure essere trascurato il fatto che, nell’ottica dell’utilizzo strategico degli appalti pubblici, la richiamata molteplicità degli interessi perseguiti appare riscontrabile anche negli acquisti di beni e servizi innovativi, dal momento che le stazioni appaltanti li utilizzano non soltanto per soddisfare le proprie esigenze, ma anche per realizzare interessi orizzontali come la sostenibilità e la tutela dell’ambiente[74]. In questa prospettiva – per certi versi opposta a quella cui si è dato rilievo all’inizio del paragrafo – che considera i contratti innovativi quale strumento per lo sviluppo sostenibile, va inoltre osservato come, attraverso le procedure che consentono acquisti innovativi, ad esempio il partenariato per l’innovazione e gli appalti pre-commerciali, si possano perseguire tali obiettivi già dalla fase di ricerca e sviluppo, così da rendere possibile la creazione di «un bene o un servizio le cui caratteristiche risultano sustainable by default, cioè conformi intrinsecamente al principio dello sviluppo sostenibile»[75].

La indicata natura bidirezionale del rapporto tra innovazione e sostenibilità è stata colta dal legislatore eurounitario del 2014[76], al quale non è nemmeno sfuggita la correlazione tra flessibilità nella pianificazione dei processi di acquisto e spinta all’innovazione[77]. Al riguardo, deve rilevarsi come, secondo la Commissione europea, l’adozione di un approccio funzionale da parte delle stazioni appaltanti permetta «di integrare maggiore flessibilità nella procedura, offrendo maggiore libertà al mercato per innovare e fornire la soluzione più efficace con conseguente riduzione dei costi e delle risorse»[78]. Peraltro, anche nella Comunicazione della Commissione, Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione, è stato evidenziato, per un verso che sono «piuttosto scarse le probabilità che le specifiche tecniche descrittive stimolino il mercato a generare soluzioni innovative», per l’altro che «le specifiche tecniche redatte in termini di requisiti funzionali affidano al mercato la responsabilità di conseguire migliori risultati» e che «l’acquirente pubblico definisce requisiti minimi per evitare un’offerta dai risultati mediocri, ma non stabilisce vincoli eccessivi per quanto riguarda le modalità impiegate per raggiungere il risultato desiderato»[79].

Ne consegue che un approccio improntato alla flessibilità, che sia basato sulla definizione di obiettivi oppure di requisiti funzionali, comportanti soltanto la descrizione del risultato desiderato o dei risultati attesi, sembrerebbe maggiormente in grado di indirizzare gli operatori economici a proporre soluzioni innovative in termini di prodotti e/o di processi[80].

Al fine, peraltro, di orientare le stazioni appaltanti verso gli appalti innovativi, come è stato rilevato dalla Commissione europea, è necessario prevedere adeguati finanziamenti[81].

5. Alcune considerazioni conclusive

Come si è evidenziato, l’assenza di un espresso riferimento al principio dello sviluppo sostenibile e a quello della tutela dell’ambiente, contenuto nelle disposizioni dedicate ai principi del nuovo Codice dei contratti, appare poco comprensibile, sia tenuto conto del chiaro disposto normativo di cui all’art. 30, comma 1 e all’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, sia in ragione del rilevantissimo ruolo riconosciuto agli stessi principi a livello eurounitario. Non sembra infatti che possa trascurarsi il fatto che tali principi hanno una valenza orizzontale di “carattere generale”, ovvero che non risulta circoscritta al settore dei contratti pubblici, essendo ai medesimi attribuito un ruolo chiave in svariate politiche e normative eurounitarie.

Per tali ragioni, la mancata esplicita inclusione di tali principi tra quelli contemplati dagli art. 1-11 del nuovo Codice dei contratti non è tale, a ben vedere, da comportare l’esclusione dei medesimi dal novero dei principi applicabili al settore qui in considerazione.

Ciò, a ben vedere, per almeno due ordini di ragioni. Si può anzitutto rilevare che, con la codificazione all’art. 3-quater, d.lgs. n. 152/2006 del principio dello sviluppo sostenibile (da intendersi, nel caso di specie, essenzialmente nella dimensione ambientale), il medesimo è divenuto un’invariante del sistema del diritto amministrativo, in quanto per il tramite della disciplina speciale può ritenersi ormai assurto a principio generale[82].

In secondo luogo, occorre tener conto di quanto è stato specificato all’art. 12, comma 1 del nuovo Codice dei contratti, che costituisce la norma di chiusura, ovvero che «per quanto non espressamente previsto nel codice: a) alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241». Giova in particolare rilevare come in tale disposizione sia contenuto un rinvio alle disposizioni della l. n. 241/1990 applicabili sia alle procedure di affidamento, sia alle altre attività amministrative in materia di contratti, e, dunque, anche a quelle riguardanti la programmazione, la progettazione delle procedure di gara, nonché la definizione dell’oggetto del contratto. Ne consegue che il principio dello sviluppo sostenibile o della sostenibilità ambientale, per le ragioni sopra evidenziate, costituisce non soltanto un principio dell’ordinamento eurounitario, ma anche, ex art. 1, comma 1, l. n. 241/1990, uno dei principi generali a cui deve essere improntata l’azione amministrativa. Di tal che, tale principio, a cui è da ricollegare un effetto spill over, è certamente da annoverare tra i principi a cui risultano assoggettate (anche) le attività amministrative svolte nel settore dei contratti pubblici.

Da questo punto di vista non pare dunque che il quadro dei principi alla cui osservanza debbono risultare improntate le attività amministrative in materia di contratti pubblici possa considerarsi mutato rispetto alla disciplina del Codice dei contratti del 2016, per quanto sia stata eliminata l’espressa previsione che attribuisce alle stazioni appaltanti la possibilità di subordinare il principio di economicità a vari criteri/principi, tra cui quello della promozione dello sviluppo sostenibile.

Né sembra che, stante la già menzionata riforma degli artt. 9 e 41, commi 2 e 3 Cost., si possa disconoscere che la sostenibilità ambientale costituisca un valore/principio del nostro ordinamento, e che, conseguentemente, debba essere considerato come uno dei parametri con riferimento al quale il legislatore ordinario è chiamato ad effettuare il bilanciamento con altri valori, segnatamente con le libertà economiche.

Invero, in base alle nuove coordinate costituzionali, lo sviluppo sostenibile può considerarsi una formula riassuntiva, dal momento che lo sviluppo economico dovrebbe realizzarsi, attraverso l’iniziativa economica e le altre libertà economiche garantite a livello eurounitario, riducendo al minimo, e, nel migliore dei casi, evitando del tutto che si producano impatti ambientali negativi, secondo i dettami propri dell’economia circolare. Nei termini del bilanciamento che potrà essere effettuato dal legislatore ordinario (in ragione della direttiva costituzionale desumibile, ora, dai commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost.), nel disciplinare le modalità di esplicazione delle iniziative economiche private[83], sembra, a ben vedere, che il principio di economicità debba essere necessariamente considerato in modo congiunto con quello di sostenibilità ambientale.

Sotto altro profilo, come si è sottolineato, l’abbinamento del principio della fiducia con quello del risultato – in base all’impostazione accolta nel nuovo Codice dei contratti – sembrerebbe comportare un ampliamento della discrezionalità dei funzionari e dei dirigenti delle stazioni appaltanti, la cui esplicazione potrebbe essere indirizzata a promuovere la sostenibilità ambientale, mediante l’individuazione di obiettivi di risultato che richiedano agli operatori economici di garantire le migliori performance possibili, oppure in termini migliorativi rispetto ai criteri minimi imposti dalle disposizioni normative applicabili, al fine di realizzare modelli di produzione e consumo più sostenibili o “circolari”.

Oltretutto, secondo l’approccio funzionale indicato, la più ampia discrezionalità che sembra essere riconosciuta ai funzionari e ai dirigenti potrebbe tradursi nella definizione di obiettivi che spingano gli operatori economici a proporre soluzioni che risultino non soltanto più sostenibili, ma anche innovative in termini di prodotti e/o di processi. Occorre infatti tener conto che, non essendo possibile stabilire alcun automatismo tra la progettazione di procedure di aggiudicazione di appalti verdi o circolari e la proposizione, in sede di offerta, di soluzioni effettivamente innovative da parte degli operatori economici aspiranti aggiudicatari, è necessario che l’abbinamento tra criteri ambientali e aspetti innovativi costituisca oggetto di specifica considerazione da parte delle stazioni appaltanti.

  1. Il presente contributo riproduce, con alcune integrazioni, il testo della Relazione presentata al convegno su “La Pubblica Amministrazione nel Nuovo Millennio”, tenutosi il 15-16 dicembre 2022 presso l’Università degli studi di Milano, in occasione dei tre anni dalla costituzione del CERIDAP.
  2. Si v. la Relazione agli articoli e agli allegati, 12, ove si precisa che «si è voluto dare un contenuto concreto e operativo a clausole generali altrimenti eccessivamente elastiche (…), oppure utilizzare la norma-principio per risolvere incertezze interpretative (…) o per recepire indirizzi giurisprudenziali ormai divenuti “diritto vivente” (…). Più in generale, attraverso la codificazione dei principi, il nuovo progetto mira a favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze».
  3. Si v. A. Massera, F. Merloni, L’eterno cantiere del Codice dei contratti pubblici, in Dir. Pubbl., 2, 2021, 587 ss., spec. 590.
  4. Mentre al comma 1 dell’art. 3-quater, d.lgs. n. 152/2006, si afferma che «ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future», al comma 2 del medesimo articolo si riconosce che «anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione». Si può tuttavia osservare come nel settore dei contratti pubblici l’attività delle stazioni appaltanti risulti più che altro connotata da discrezionalità tecnica. S. Colombari, Le considerazioni ambientali nell’aggiudicazione delle concessioni e degli appalti pubblici, in Urb. app., 1, 2019, 1, 5 ss., in part. 12-13.
  5. Su detta modifica degli artt. 9 e 41 Cost. si v. ex multis: M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum Quad. Cost., 3, 2021, p. 285 ss.; A. Morrone, L’«ambiente» nella Costituzione. Premesse di un nuovo «contratto sociale», in AA.VV., La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022, 91 ss.; G. Severini, P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in Giust. insieme, 22 settembre 2021; G. Di Plinio, L’insostenibile evanescenza della costituzionalizzazione dell’ambiente, paper – 1° luglio 2021, in federalismi.it; e G. Chiola, La Costituzione ambientale in Italia: un tentativo di costituzionalizzare il diritto della natura oppure un problematico rafforzamento dei riconoscimenti esistenti?, in Nomos – Le attualità nel diritto, 2, 2022, A. Lamberti, Ambiente, sostenibilità e principi costituzionali: questioni aperte e prospettive alla luce della legge cost. 1/2022, in Nomos – Le attualità nel diritto, 3, 2023.
  6. Ritiene che sia preferibile utilizzare detta locuzione (generalmente riferita alle politiche “orizzontali”) al posto di quella di obiettivi/politiche “secondari/e”, S. Arrowsmith, P. Kunzlik, Public Procurement and Horizontal policies in EC Law: General Principles, in S. Arrowsmith, P. Kunzlik (eds), Social and Environmental Policies in EC procurement Law: New Directives and New Directions, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, p. 12 ss.
  7. Come ha osservato E. Caruso, I contratti pubblici tra obiettivi di sostenibilità e finalità concorrenziali: alla ricerca di nuovi equilibri, in P.A., 2022, p. 299, se già con le direttive del 2014 «il margine di scelta sull’an e sul quomodo rimesso alle singole amministrazioni» è risultato molto ridotto, si può considerare «quasi interamente consumato dalle scelte fatte a monte (e in via generale e astratta) dal legislatore oppure a livello ministeriale dai c.d. decreti CAM».
  8. Con riferimento alla c.d. clausola di equivalenza, si v. l’all. II.5. di cui infra. In base al principio di equivalenza, com’è noto, laddove siano richieste specifiche tecniche e/o etichettature determinate – anche sotto il profilo ambientale –, si deve sempre consentire all’operatore offerente di dimostrare che le soluzioni proposte, seppure difformi da quelle specificamente indicate nei documenti di gara, siano in grado di ottemperare ai suddetti requisiti in maniera equivalente.
  9. Si v. Commissione europea, Appalti pubblici per un’economia circolare. Buone prassi e orientamenti, Bruxelles, 2018, 14, in https://cp_european_commission_brochure_it.pdf. Va altresì considerato che all’art. 42, par. 3, lett. a) della direttiva n. 24/2014, si prevede che le specifiche tecniche possono essere formulate anche «in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, comprese le caratteristiche ambientali, a condizione che i parametri siano sufficientemente precisi da consentire agli offerenti di determinare l’oggetto dell’appalto e alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare l’appalto». Ha sottolineato come dette prestazioni o requisiti funzionali possano riguardare livelli di perfomance ambientali e climatici, processi di produzione e metodi riguardanti ogni fase del ciclo di vita della lavorazione e del confezionamento, E. Van Den Abeele, Integrating social and environmental dimensions in public procurement: one small step for the internal market, one giant leap for the EU?, Working Paper, Brussels, August 2014, 12, in https://www.etui.org/publications/working-papers/integrating-socialand-environmental-dimensions-in-public-procurement-one-small-step-for-the-internal-market-onegiant-leap-for-the-eup.
  10. Un primo riferimento, per dovere di completezza, si rinviene all’art. 39, d.lgs. n. 36/2023, riguardante la Programmazione e progettazione delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale, in base al quale, l’elenco delle infrastrutture suddette è inserito nel documento di economia e finanza con l’indicazione dei criteri di rendimento attesi in termini di sviluppo infrastrutturale, riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, sostenibilità ambientale, garanzia della sicurezza strategica, contenimento dei costi dell’approvvigionamento energetico del Paese, adeguamento della strategia nazionale a quella della rete europea delle infrastrutture. Il rispetto dei principi della sostenibilità non solo economica, territoriale, ma anche ambientale e sociale dell’intervento, anche per contrastare il consumo del suolo, incentivando interventi di recupero, riuso e valorizzazione del patrimonio edilizio esistente, è poi previsto all’art. 41 del medesimo decreto legislativo, riguardante i Livelli e contenuti della progettazione in materia di lavori pubblici.
  11. Può rilevarsi, al riguardo, che l’art. 130 del nuovo Codice dei contratti riproduce non l’art. 144 del Codice del 2016 (come sostituito dall’art. 6, l. 17 maggio 2022, n. 61, recante Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera), bensì la formulazione della medesima disposizione legislativa previgente. Non può non rilevarsi come la più recente formulazione dell’art. 144, d.lgs. n. 50/2016 risultasse “più avanzata” sul piano della sostenibilità ambientale, stabilendo che, nella valutazione dell’offerta tecnica occorre tener conto anche «del rispetto delle disposizioni ambientali in materia di green economy, dei criteri ambientali minimi pertinenti di cui all’articolo 34 del presente codice, della qualità della formazione degli operatori e della provenienza da operatori dell’agricoltura biologica e sociale».
  12. Nel paper della Commissione europea, Appalti pubblici per un’economia circolare. Buone prassi e orientamenti, Bruxelles, 2017, 5, si sottolinea come gli appalti pubblici circolari costituiscano «un approccio agli acquisti verdi che riconosce l’importanza delle autorità pubbliche nel sostenere la transizione verso un’economia circolare» e gli appalti circolari sono definiti come «il processo tramite il quale le autorità pubbliche acquistano lavori, beni o servizi che cercano di contribuire a cicli chiusi di energia e materiali nelle catene di approvvigionamento, riducendo nel contempo al minimo, e nel migliore dei casi evitando, gli impatti ambientali negativi e la creazione di rifiuti nell’intero ciclo di vita di tali lavori, beni o servizi». Si v. per un raffronto tra i due approcci A. Massera, Introduzione. Quali contratti per quali interessi pubblici?, in I contratti pubblici: la difficile stabilizzazione delle regole e la dinamica degli interessi, a cura di A. Maltoni, Napoli, 2020, 134-135.
  13. Sempre nell’allegato II. 8, par. III, in continuità con la disciplina previgente, si precisa altresì che «tali costi possono includere i costi delle emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all’attenuazione dei cambiamenti climatici».
  14. Con riferimento all’approccio pionieristico del legislatore nazionale, rispetto a quello europeo, volto ad introdurre il requisito della “moralità ambientale” come motivo di esclusione obbligatoria e non soltanto facoltativa, da parte della stazione appaltante (cfr. art. 57 della Dir. 2014/24/UE, che prevede la possibilità per le amministrazioni di escludere un operatore che viola le norme in materia di diritto ambientale), si v. ex multis: C. Vivani, Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, in Urb. app., 8-9/2016, 993 ss. La “moralità” sociale ed ambientale dell’impresa, viene poi specificata anche nell’ambito dell’art. 109 d.lg. n. 36/2023, laddove, tra gli indici qualitativi che esprimono l’affidabilità dell’impresa, si indica il rispetto «degli obiettivi di sostenibilità e responsabilità sociale».
  15. Appare significativo, ad esempio, che nel Considerando n. 95 della Direttiva n. 24/2014 si riconosca che «È d’importanza fondamentale sfruttare pienamente il potenziale degli appalti pubblici al fine di realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. In tale contesto, è opportuno ricordare che gli appalti pubblici sono essenziali per promuovere l’innovazione, che è di primaria importanza per la futura crescita in Europa».
  16. Si v. Commissione europea, Comunicazione, Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa, Strasburgo, 3.10.2017, COM(2017) 572 final, 3 ,in cui si sottolinea anche che vi è la necessità di passare da «un approccio puramente amministrativo a uno strategico e orientato alle esigenze, pienamente conforme alle norme», anche al fine di «sostenere la transizione verso un’economia circolare efficiente sotto il profilo energetico e delle risorse, e promuovere uno sviluppo economico sostenibile e società più eque e inclusive». Nella stessa Comunicazione si evidenzia altresì che «Gli appalti pubblici strategici dovrebbero rivestire un ruolo di maggiore importanza affinché i governi centrali e locali possano rispondere agli obiettivi sociali, ambientali ed economici, quali l’economia circolare».
  17. Detto aspetto è sottolineato da K.-M. Halonen, Is public procurement fit for reaching sustainability goals ? A law and economics approach to green public procurement, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2021, vol. 28(4), spec. 550-551. Tuttavia, per una diversa opinione si v. A. Sanchez-Graells, Public Procurement and the Eu Competition Rules, Oxford-Portladn, Bloomsbury, 2015, nonché Id, More Competition-Oriented Public Procurement to Foster Social Welfare, in K.V. Thai (eds), Towards New Horizons in Public Procurement, Florida, PrAcademics Press, 2010, 81 s., ad avviso del quale la concorrenza assicura anche nel settore dei contratti pubblici la più efficiente allocazione delle risorse e costituisce il principale strumento di crescita economica. Il medesimo A. ritiene peraltro che gli obiettivi socio-politici (i.e. i c.d. interessi secondari) debbono essere orientati all’accrescimento dell’efficienza degli obiettivi primari perseguiti nel settore dei contratti pubblici, si v. A. Sanchez-Graells, Regulatory Substitution between Labour and Public Procurement Law: The EU’s Shifting Approach to Enforcing Labour Standards in Public Contracts, in European Public Law, 24, 2, 2018, p. 229 ss, spec., 236.
  18. Si v. A. La Chimia, Appalti e sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030, in Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, a cura di L. Fiorentino, A. La Chimia, Bologna, il Mulino, 2021, 73 ss.
  19. Si v. F. Fracchia, P. Pantalone, Verso una contrattazione pubblica sostenibile e circolare secondo l’agenda ONU 2030, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2022, 243 ss., spec. 245, che distinguono tra «contratto sostenibile» e «contratto pubblico al servizio della sostenibilità». Con riguardo al secondo profilo indicato, si può, ad esempio, richiamare il ruolo dei contratti dell’amministrazione rispetto al raggiungimento dell’obiettivo n. 11 (“Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”), con riferimento al quale si rivela necessario «garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile».
  20. Si v. Comunicazione della Commissione europea, Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa, 3 ottobre 2017, COM(2017) 572 def.
  21. In tema si v. ex multis: F Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale scientifica, Napoli, 2010; Id, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2011, 170 ss.; C. Videtta, Lo sviluppo sostenibile. Dal diritto internazionale al diritto interno, in R. Ferrara, C.E. Gallo (a cura di), Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (dir.), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, Giuffrè, Milano, 2014, 221 ss.; J.D. Sachs, L’era dello sviluppo sostenibile, Milano, 2015; M. Antonioli, Sostenibilità dello sviluppo e governance ambientale, Torino, 2016.
  22. Si v. Commissione, «Il Green Deal europeo», Bruxelles, 11 dicembre 2019, COM(2019) 640, final., in part. p. 2.1.3 e 3.
  23. Si v. la Comunicazione della Commissione, Piano di investimenti per un’Europa sostenibile. Piano di investimenti del Green Deal europeo, del 14 gennaio 2020 COM(2020) 21, final,
  24. Si v. la Proposta di Direttiva sull’efficienza energetica (rifusione), Bruxelles, 14.7.2021, COM(2021), 558 final 2021/0203 (COD), che è stata approvata con emendamenti dal Parlamento europeo il 14 marzo 2023. Tale direttiva modifica la direttiva 2012/27/Ue del 25 ottobre 2012, che, a sua volta, era già stata oggetto in precedenza di altre modifiche (cfr. direttive 2018/844/Ue del 30 maggio 2018 e 2018/2022/UE dell’11 dicembre 2018).
  25. Si v. l’art. 7, comma 5 di tale proposta di direttiva. Il sostegno indicato dovrebbe tradursi, in particolare, nell’emanazione di «norme e orientamenti chiari, comprese metodologie di valutazione dei costi nel ciclo di vita e degli impatti e dei costi ambientali», nonché nell’istituzione di «centri di sostegno alle competenze», nell’incoraggiamento della «cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici, anche sul piano transfrontaliero», e nel ricorso «ove possibile ad appalti aggregati e appalti elettronici».
  26. Si v. la Comunicazione della Commissione, Appalti pubblici per un ambiente migliore del 16 luglio 2008 COM(2008) 400 def. Per i criteri GPP sviluppati dalla Commissione Ue, si v. https://ec.europa.eu/environment/gpp/eu_gpp_criteria_en.htm.
  27. Si v. la Proposta di direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia del 15 dicembre 2021, COM(2021) 802 final, [2021/0426 (COD)]. Sul tema si veda anche la Comunicazione della Commissione, Un’ondata di ristrutturazioni per l’Europa: inverdire gli edifici, creare posti di lavoro e migliorare la vita del 14 ottobre 2020 COM(2020) 662 final [{SWD(2020) 550 final}].
  28. Si v. sul tema la Comunicazione della Commissione “Pronti per il 55 %”: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica del 14 luglio 2021, COM(2021) 550 final.
  29. Si v. in argomento: R. Caranta, Towards mandatory SPP for buildings/works, in European Journal of Public Procurement markets, 4, 2022, 9 ss., in part. 15.
  30. Si v. la Comunicazione della Commissione europea, Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva, 11 marzo 2020, COM(2020) 98 final.
  31. Si v. la Commissione europea, «L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare», 2 dicembre 2015, COM(2015) 614 def.
  32. Si v. Commissione europea, Appalti pubblici per un’economia circolare. Buone prassi e orientamenti, cit. 5. In dottrina, si v. ex multis: C. Feliziani, I «nuovi appalti verdi»: un primo passo verso un’economia circolare? in Dir. econ., 2017, 2, 349 ss.
  33. Si v. Commissione europea, Primo pacchetto sull’economia circolare, in https://ec.europa.eu/commission. In tale pacchetto sono contenute le seguenti proposte/iniziative: 1. proposta di regolamento sulla progettazione ecocompatibile per i prodotti sostenibili; 2. proposta di revisione del regolamento sui prodotti da costruzione (CPR); 3. nuova strategia dell’UE per il tessile sostenibile; 4. proposta relativa a nuove norme per responsabilizzare i consumatori nella transizione verde e combattere il c.d. greenwashing.
  34. Si v. Decisione 2014/350/UE della Commissione, del 5 giugno 2014, che stabilisce i criteri ecologici per l’assegnazione del marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) ai prodotti tessili (GU L 174 del 13.6.2014, 45).
  35. Si v. Commissione europea, EU green public procurement criteria for textiles products and services, SWD(2017) 231 final.
  36. Si v. la proposta di Regolamento che stabilisce il quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili e abroga la direttiva 2009/125/CE del 30 marzo 2022, COM(2022) 142 final, [2022/0095 (COD)].
  37. Si v. la proposta di Regolamento che fissa le condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, che modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga il regolamento (UE) n. 305/2011 del 30 marzo 2022, COM(2022) 144 final, [2022/0094 (COD)].
  38. Si v. l’art. 84 della Proposta di Regolamento che stabilisce il quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili e abroga la direttiva 2009/125/CE, Bruxelles, 30.3.2022, COM(2022) 142 final, 2022/0095 (COD). In tale Proposta sono individuati anche i criteri a cui la Commissione si dovrà attenere nell’adozione dei suddetti atti delegati, segnatamente: «(a) il valore e il volume degli appalti pubblici aggiudicati per tale determinata famiglia o categoria di prodotti o per i servizi o i lavori che utilizzano la determinata famiglia o categoria di prodotti; (b) la necessità di garantire una domanda sufficiente di prodotti più sostenibili dal punto di vista ambientale; (c) la fattibilità economica per le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori di acquistare prodotti più sostenibili dal punto di vista ambientale, senza che ciò comporti costi sproporzionati».
  39. Si v. COM(2022)71 final, 2022/0051(COD), 23 febbraio 2022, che modifica la direttiva (UE) 2019/1937. Il Consiglio ha adottato la sua posizione (“orientamento generale”) su tale proposta di direttiva in data 30 novembre 2022.
  40. Tra i molteplici interventi significativi deve altresì menzionarsi il Regolamento UE sulla finanza sostenibile (Reg. 2020/852/UE, c.d. “Regolamento tassonomia”), che, oltre a sancire la nascita del primo sistema al mondo di classificazione delle attività economiche sostenibili, capace di creare un linguaggio comune che gli investitori potranno usare ovunque quando investono in progetti e attività economiche che hanno significative ricadute positive sul clima e sull’ambiente, introduce il principio do no significant harm (DNSH), ovvero non arrecare significativo danno all’ambiente. Da ultimo, poi, si veda anche la proposta di Regolamento sulle materie prime critiche (Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council, establishing a framework for ensuring a secure and sustainable supply of critical raw materials and amending Regulations (EU) 168/2013, (EU) 2018/858, 2018/1724 and (EU) 2019/1020, Bruxelles, 16/3/2023, COM(2023)final, con cui espressamente si riconosce che «Transparency on the relative footprint of critical raw materials placed on the Union market may also enable other policies at Union and national level, such as incentives or green public procurement criteria, fostering the production of critical raw materials with lower environmental impacts».
  41. Inoltre, all’art. 70 della Proposta di Regolamento UE relativo alle batterie e ai rifiuti di batterie, che abroga la direttiva 2006/66/CE e modifica il regolamento (UE) 2019/1020, si stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori, per un verso debbono tenere conto, negli appalti pubblici per batterie o prodotti contenenti batterie, dell’impatto ambientale durante il loro ciclo di vita, nell’ottica di garantire che tale impatto sia ridotto al minimo, per l’altro sono invitati a includere le specifiche tecniche e i criteri di aggiudicazione per garantire che la scelta ricada su un prodotto tra quelli con un impatto ambientale durante il ciclo di vita significativamente inferiore. Inoltre, si prevede che la Commissione possa stabilire, mediante atti delegati, criteri minimi obbligatori in materia di appalti pubblici verdi.
  42. Si v. per tale rilievo M. Cozzio, Public Procurement as a Tool to Promote Sustainable Businnes Strategies: The Way Forward for European Union, in International Community Law Rev. 24, 2022, spec. 176, che sottolinea come detto approccio continui per il momento ad essere limitato ad alcuni settori. Sul tema, con particolare riferimento ai più recenti interventi riguardanti il settore dei lavori e delle costruzioni, si v. la ricostruzione di R. Caranta, Towards mandatory SPP for buildings/works, cit., 9 ss., che si è espresso in termini critici con riguardo alle proposte di direttiva in tema di progettazione ecocompatibile e di prodotti da costruzione (pp. 16 ss. e 19 s.). In particolare, è stato osservato che il richiamo alla “fattibilità economica”, costituente uno dei criteri che deve seguire la Commissione nell’elaborazione di requisiti di sostenibilità, potrebbe indurre la medesima ad adottare soluzioni “al ribasso”, e quindi poco ambiziose sotto il profilo della sostenibilità ambientale, perché tarate sulla situazione di Stati membri nei quali gli acquisiti sostenibili sono meno diffusi e sviluppati. In particolare, appare condivisibile l’osservazione critica espressa dal medesimo A., secondo cui l’armonizzazione, che verrebbe realizzata con l’approvazione della proposta di direttiva sui prodotti da costruzione, non consentirebbe più ai legislatori nazionali e alle singole stazioni appaltanti (negli atti di gara) di disciplinare requisiti ulteriori rispetto a quelli fissati a livello Ue. In altri termini, le stazioni appaltanti risulterebbero vincolate alle specifiche tecniche armonizzate stabilite in ambito eurounitario, da intendere quindi «as a fully (instead of minimally) harmonised zone». Ciò finirebbe, a ben vedere, per compromettere la libertà delle stazioni appaltanti di definire l’oggetto del contratto.
  43. Si v. in tal senso K.-M. Halonen, Is public procurement fit for reaching sustainability goals? A law and economics approach to green public procurement, cit., 553-554.
  44. Si v. L. Mélon, More Than a Nudge? Arguments and Tools for Mandating Green Public Procurement in the EU, 12 Sustainability, 2020, spec. p. 15, nonché K. Poulikli, Towards mandatory Green Public Procurement (GPP) requirements under the EU Green Deal. Reconsidering the role of public procurement as an environmental policy tool, in ERA Forum, 2021, spec. 715.
  45. Si v. M. Andhov, R. Caranta (a cura di), Sustainability through public procurement: the way forward – Reform Proposals, SMART Project Report 2020, p. 41 ss., reperibile in https://www.idos-research.de/uploads/media/Sustainability_through_public_procurement_the_way_forward_Reform_Proposals.pdf.
  46. In argomento si v. ex multis: M. Andhov, R. Caranta (Eds.), Sustainability through public procurement: the way forward. Reform Proposals, SMART Project Report, 2020; F. Fracchia, S. Vernile, I contratti pubblici come strumento dello sviluppo ambientale, in Riv. quadr. dir. amb., 2, 2020, p. 4 ss.; A. La Chimia, Appalti e sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030, in Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., p. 77 ss.
  47. Com’è noto, già in base all’art. 34, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 era desumibile la natura vincolante delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali previste dai criteri ambientali minimi (CAM), ove l’oggetto dell’appalto corrispondeva ad una delle categorie oggetto della disciplina tecnica contenuta in un decreto sui CAM. Con riferimento ai CAM si v. ex multis: E. Bellomo, Appalti verdi in urbanistica ed edilizia: i criteri ambientali minimi, in Riv. giur. urb., 1, 2020, 143 ss.; M. Trevisan, Bandi di gara e criteri ambientali minimi (CAM), in I Contratti dello Stato e degli Enti pubblici, 2, 2021, 61 ss.; F. de Leonardis, L’uso strategico della contrattazione pubblica: tra GPP e obbligatorietà dei CAM, in Riv. quadrim. dir. amb., 3, 2020, 62 ss.
  48. Si v. sul punto ex multis: Cons. Stato (sezione V), sentenza del 3 febbraio 2021, n. 972.
  49. Si v. sul punto Cons. Stato (sezione III), sentenza del 14 ottobre 2022, n. 8773 che richiama Id., sent n. 6934/2022.
  50. Si v. ancora Cons. Stato (sezione III), sentenza del 14 ottobre 2022, n. 8773, cit.
  51. Sottolinea l’importanza degli aspetti organizzativi interni, nonché del rafforzamento delle competenze tecniche, giuridiche ed economiche del personale delle stazioni appaltanti, ai fini dell’effettiva realizzazione di procedure di acquisto circolari, S. D. Sönnichsen, J. Clement, Review of green and sustainable public procurement: Towards circular public procurement, in Journal of Cleaner Production, 245, 2020, spec. 10 s. Inoltre, nella Relazione della Commissione europea, Attuazione delle politiche nazionali in materia di appalti e relative migliori prassi nel mercato interno, Bruxelles, 20.5.2021 COM(2021) 245 final, p. 8, si sottolinea che uno dei principali problemi incontrati dagli Stati membri nell’attuazione degli appalti pubblici verdi è «la mancanza di conoscenze e competenze specifiche dei funzionari pubblici impegnati nelle gare d’appalto». Anche nella Comunicazione della Commissione europea, Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa, Strasburgo, 3.10.2017, COM(2017) 572 final, si sottolinea, per un verso che «per guidare il cambiamento sono necessari individui con le giuste competenze. Il basso livello di professionalizzazione degli acquirenti pubblici è un problema sistemico in molti Stati membri», per l’altro che «per un cambiamento di cultura e un maggiore uso degli appalti pubblici strategici è necessario un più ampio uso di pratiche flessibili, conoscenza dei mercati e strumenti innovativi». Anche a livello nazionale ci si è resi conto dell’importanza del rafforzamento delle competenze in materia di appalti verdi: alla luce delle criticità riscontrate nel corso degli anni in merito all’effettiva osservanza dei criteri ambientali, il Ministero della Transizione Ecologica – attraverso il Tavolo di coordinamento delle Regioni e Provincie Autonome, istituito ai sensi dell’art. 2 del Protocollo di intesa, sottoscritto dall’allora Ministero dell’Ambiente con le Regioni e Provincie autonome in data 2/10/2017 (della durata di 5 anni), al fine di definire e attuare misure omogenee nel settore degli appalti pubblici con particolare riferimento a tematiche relative agli acquisti e alla realizzazione di opere pubbliche sostenibili –, nell’ambito della linea L1 WP1 del progetto Creiamo PA “Formazione e diffusione del Green Public Procurement (GPP)”, finanziato dal Programma Operativo Nazionale Governance e Capacità istituzionale 2014-2020, ha inteso promuovere un percorso formativo a distanza, nonché un’attività di supporto da parte di esperti via e-mail attraverso il servizio “esperto GPP risponde”, prevedendo altresì affiancamenti on the job alle stazioni appaltanti, nonché l’organizzazione di conferenze e seminari.
  52. Rilevante risulta altresì quanto disposto dall’art. 63, d.lgs. n. 36/2023 in merito ai requisiti di qualificazione delle stazioni appaltanti.
  53. A norma dell’art. 3, lett. m) dell’All. 1 del nuovo Codice dei contratti pubblici, il “ciclo di vita del contratto pubblico”, è costituito dall’insieme «delle attività, anche di natura amministrativa e non contrattuale, che ineriscono alla programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione del contratto».
  54. In base a tale disposizione le caratteristiche di lavori, servizi e forniture «possono inoltre riferirsi allo specifico processo o metodo di produzione o prestazione dei lavori, delle forniture o dei servizi richiesti, o a uno specifico processo per un’altra fase del loro ciclo di vita anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale, purché siano collegati all’oggetto dell’appalto e proporzionati al suo valore e ai suoi obiettivi».
  55. A norma dell’art. 95, comma 11, d.lgs n. 50/2016: «I criteri di aggiudicazione sono considerati connessi all’oggetto dell’appalto ove riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale».
  56. Cfr., rispettivamente, gli artt. 42, 67 e 68 della direttiva 2014/24/Ue, ove vengono recepite le indicazioni di Corte giust., sentenza 10 maggio 2012, C-368/10, Commissione europea c. Regno dei Paesi Bassi.
  57. In particolare, ci si intende riferire alla previsione di specifiche clausole penali o clausole risolutive espresse, nonché alla predisposizione di appositi strumenti di controllo del rispetto degli obblighi sociali e ambientali lungo la catena di fornitura.
  58. Se si considerano ad esempio i CAM sulla ristorazione collettiva e sulla fornitura di derrate alimentari (approvati con d.m. n. 65 del 10 marzo 2020, in G.U. n. 90 del 4 aprile 2020), nella cui “definizione” è stata pienamente seguita la logica del ciclo di vita, si può osservare come sia stato dato rilievo agli impatti ambientali e sociali di tutte le fasi della prestazione, dalla produzione delle materie prime e dalla preparazione dei cibi, fino alla loro somministrazione e alla successiva attività di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, con riguardo agli aspetti sociali, è presa in considerazione l’intera filiera di fornitura e, in tale prospettiva, viene vietata la somministrazione di prodotti ittici provenienti da zone povere con problemi di (in)sicurezza alimentare (cfr. la relativa Relazione di accompagnamento aggiornata ad aprile 2022). Peraltro, una particolare attenzione è stata rivolta dal legislatore nazionale alle catene di fornitura, a seguito dell’introduzione del concetto di socially responsible procurement: per approfondimenti in merito si v.: Commissione Europea «Acquisti sociali — Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)», (2021/C 237/01), del 18/6/2021; C. Longo, Il sustainable public procurement. I contratti pubblici e l’Agenda 2030 tra criteri ambientali e criteri sociali, in ANAC, Working paper, 9, in https://www.anticorruzione.it/-/il-sustainable-pubblic-procurement#p1.
  59. Sottolinea come soprattutto attraverso la discrezionalità, che è riconosciuta alle stazioni appaltanti, sia possibile assicurare l’effettiva integrazione «of more stringent climate consideration in their public procurement decisions», K. Poulikli, Towards mandatory Green Public Procurement (GPP) requirements under the EU Green Deal. Reconsidering the role of public procurement as an environmental policy tool, cit., spec. 712.
  60. Sulla definizione di appalti pubblici sostenibili, si v. United Nations, Environment Programme, Sustainable public procurement: a global review, final report, 2013, in https://globalecolabeling.net/assets/Documents/unep-spp-report.pdf, In dottrina si v. ex multis: S. Valaguzza, Sustainable Development in Public Contracts. An Example of Strategic Regulation, Napoli 2016; B. Sjåfjell – A. Wiesbrock (a cura di), Sustainable Public Procurement Under EU Law, Cambridge, 2016.
  61. Sembra doversi dunque riconoscere che la situazione non risulta sostanzialmente mutata rispetto a quella desumibile dal Codice dei contratti del 2016. Al riguardo, deve in particolare evidenziarsi che, come è stato rilevato da A. Massera, op. cit., 134, «l’elemento più significativo della rilevanza delle considerazioni degli aspetti ambientali si colloca nel momento dell’aggiudicazione attraverso la valorizzazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa», «quale metodo che consente di valutare la qualità e la sostenibilità dell’offerta secondo criteri predeterminati e a condizioni date tenendo conto dei costi del ciclo di vita, ivi compresi i costi del “fine vita” del prodotto o del servizio e i costi delle esternalità ambientali». Trattandosi, tuttavia, di una possibilità di valorizzazione della sostenibilità, l’utilizzo o meno di tale metodo è rimesso interamente ad una scelta della stazione appaltante.
  62. Si consideri, al riguardo, ad esempio, che nel Piano d’azione nazionale sul Green Public Procurement, allegato al d.m. 23 giugno 2022, recante “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, della pulizia e spazzamento e altri servizi di igiene urbana, della fornitura di contenitori e sacchetti per la raccolta dei rifiuti urbani, della fornitura di veicoli, macchine mobili non stradali e attrezzature per la raccolta e il trasporto di rifiuti e per lo spazzamento stradale”, non soltanto viene evidenziato che, in ragione della «complessità del servizio trattato, i CAM non costituiscono parte di un capitolato o di un disciplinare da riportare integralmente nella documentazione di gara, ma devono essere analizzati e tarati in base alle peculiarità del territorio», ma si precisa anche che «nella definizione dei CAM non si è ritenuto opportuno individuare criteri prescrittivi in merito alle modalità organizzative da adottare, ma si è preferito piuttosto stabilire, laddove possibile, degli obiettivi da raggiungere tramite i modelli gestionali ritenuti più adatti ad ogni contesto».
  63. Come viene sottolineato nella Comunicazione della Commissione europea, Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione, Bruxelles, 2021/C 267, spec.,22 se da un lato «è fondamentale riconoscere che gli appalti per l’innovazione comportano determinati rischi, come la mancata fornitura di un prodotto o di un servizio, lo squilibrio tra i risultati attesi e la soluzione offerta ecc.» e che «poiché gestiscono denaro pubblico, gli acquirenti pubblici sono spesso restii a correre ulteriori rischi durante le procedure di appalto», dall’altro occorre dare atto che «per ovviare all’avversione al rischio, occorre fare ricorso ad incentivi finanziari e non, con l’intento di rafforzare la motivazione degli acquirenti pubblici».
  64. Si v. l’art. 58 della Proposta di Regolamento che stabilisce il quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili e abroga la direttiva 2009/125/CE, cit. Inoltre, al Considerando 87 della medesima Proposta di Regolamento si prevede che «Per contribuire all’obiettivo della neutralità climatica, del miglioramento dell’efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse e della transizione verso un’economia circolare che tutela la salute pubblica e la biodiversità, è opportuno delegare alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all’articolo 290 TFUE per imporre, se del caso, alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori … di allineare i loro appalti a criteri od obiettivi specifici in materia di appalti pubblici verdi … Rispetto a un approccio volontario, l’introduzione di criteri od obiettivi obbligatori farà sì che sia sfruttato al meglio l’effetto leva della spesa pubblica per stimolare la domanda di prodotti più efficienti». Dispone in termini non dissimili anche l’art. 84, par. 2 della Proposta di Regolamento che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga il regolamento (UE) n. 305/2011, cit.
  65. Si v. il Considerando 91 della Proposta di Regolamento che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga il regolamento (UE) n. 305/2011, cit.
  66. Si v. sul punto Commissione europea, Appalti pubblici per un’economia circolare. Buone prassi e orientamenti, Bruxelles, 2018, cit. p. 14. In tale documento la Commissione, muovendo dalla constatazione che un «appalto dovrebbe cercare di soddisfare un determinato bisogno, piuttosto che limitarsi semplicemente ad acquisire un prodotto specifico nell’ambito di un processo di routine», sottolinea come l’adozione di un approccio funzionale o basato sulle prestazioni consenta «di integrare maggiore flessibilità nella procedura, offrendo maggiore libertà al mercato per innovare e fornire la soluzione più efficace con conseguente riduzione dei costi e delle risorse».
  67. Si v. E. Caruso, I contratti pubblici tra obiettivi di sostenibilità e finalità concorrenziali: alla ricerca di nuovi equilibri, cit.
  68. Si v. ex multis: S. Alvarez, A Rubicon, Carbon footprint in Green Public Procurement: a case study in the services sector, in Journal of Cleaner Production, 93, 2015, 159 s.
  69. Si v. G. Licata, Public procurement and sustainability: WTO rules, general principles and the practice of States’ autonomy, in Ambientediritto.it, 2, 2021, 1 ss., in part. 6. Nello stesso senso cfr. il Considerando n. 47 della direttiva 2014/24/Ue ove si precisa che «L’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi svolge un ruolo fondamentale per (…) affrontare le principali sfide a valenza sociale». In generale, sul tema, cfr. G.M. Racca, C.R. Yukinis (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation. Lessons Across Borders, Bruylant, Bruxelles, 2019.
  70. Si v. J-B Auby, Conclusioni, in R. Cavallo Perin, M. Lipari, G.M. Racca (a cura di), Contratti pubblici e innovazioni. Per L’attuazione della legge delega, Napoli, 2022, p. 133, che distingue tra «l’innovazione attraverso gli appalti pubblici e l’innovazione nel quadro giuridico degli appalti pubblici».
  71. Si v. W. Cheng, A. Apolloni, A. D’Amato, Q. Zhu, Green Public Procurement, missing concepts and future trends. A critical review, in Journal of Cleaner Production, 176, 2018, spec. 781.
  72. Si v. S. D. Sönnichsen, J. Clement, Review of green and sustainable public procurement: Towards circular public procurement, in Journal of Cleaner Production, 245, 2020, spec. 10.
  73. Si v. B. Krieger, V. Zipperer, Does Green Public Procurement Trigger Environmental Innovations ?, in SSRN Electronic Journal, 2021, spec. 24.
  74. Si v. al riguardo G.F. Licata, I contratti pubblici come strumenti di promozione dell’innovazione, in I contratti pubblici: la difficile stabilizzazione delle regole e la dinamica degli interessi, a cura di A. Maltoni, Napoli, 2020, spec. 218.
  75. Si v. su punto S. Rossa, Sviluppo sostenibile e appalti pubblici. Sul ruolo degli appalti innovativi come strumento di sostenibilità, in Ceridap, 4, 2022, 61 ss, in part. 80.
  76. Si v. nuovamente il Considerando n. 47 della direttiva 2014/24/Ue ove si precisa che «La ricerca e l’innovazione, comprese l’ecoinnovazione e l’innovazione sociale, sono uno dei principali motori (…) della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», e che «la generazione di nuove idee e la loro traduzione in prodotti e servizi innovativi» promuove benefici ambientali e una crescita sostenibile.
  77. Si v. il Considerando n. 74, ove si specifica che «I requisiti funzionali e in materia di prestazioni sono inoltre strumenti appropriati per stimolare l’innovazione nell’ambito degli appalti pubblici e dovrebbero essere applicati il più ampiamente possibile».
  78. Si v. Commissione europea, Appalti pubblici per un’economia circolare. Buone prassi e orientamenti, cit., 14.
  79. Si v. Commissione europea, Comunicazione, Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione, Bruxelles, 15 maggio 2018 C(2018) 3051 final, spec. 36-37.
  80. Ciò non significa, tuttavia, che in determinati casi anche un approccio tecnico possa incentivare gli operatori economici a proporre soluzioni innovative. Si consideri, ad esempio, che nel Piano d’azione nazionale sul Green Public Procurement, allegato al d.m. 23 giugno 2022, cit., relativo ai CAM per l’affidamento del servizio di gestione ambientale, si specifica che «i criteri sulle caratteristiche tecniche di veicoli e attrezzature sono finalizzati non solo a ridurne l’impatto in fase di utilizzo e l’efficienza e l’efficacia del servizio, ma anche a sostenere l’innovazione e la competitività delle imprese che investono nel settore ambientale».
  81. Si v. Comunicazione della Commissione europea, Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione, cit. 22, in cui si sottolinea che esistono «diverse fonti di finanziamento in grado di fornire incentivi finanziari ad acquirenti pubblici desiderosi di partecipare ad appalti per l’innovazione. Alcuni finanziamenti specifici possono coprire molti dei costi aggiuntivi associati agli appalti per l’innovazione, come, ad esempio, i costi legati alla preparazione e alla gestione degli appalti, alle consultazioni preliminari di mercato, alle negoziazioni, alla ricerca e allo sviluppo (ad esempio, prototipazione, sperimentazione e certificazione), nonché quelli per mobilitare competenze specifiche in ambito tecnico o giuridico, per adeguare le procedure amministrative ecc. Tali finanziamenti possono inoltre compensare i costi immateriali generati dal cambiamento culturale e delle abitudini».
  82. Su tale processo di enucleazione di nuove invarianti per via legislativa (rectius dalla legislazione speciale) o per via interpretativa, si v. G. Morbidelli, I cinquanta anni dell’Enciclopedia del diritto, in Dir. Amm., 2011, spec., 532.
  83. Può considerarsi da tempo nota la correlazione sussistente tra la statuizione di cui al comma 1 e quanto sancito dai commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost., dal momento che, come è stato riconosciuto dai giudici delle leggi, la legge ordinaria può, «a tutela degli interessi della società, regolare e disciplinare con opportune limitazioni il principio della libera iniziativa economica privata …» (si v. Corte cost., sentenza n. 35 del 1959, in http://www.cortecostituzionale.it).

Andrea Maltoni

Full Professor of Administrative law, University of Milan.