Contratti pubblici e amministrazione del futuro

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3/2023

Contratti pubblici e amministrazione del futuro

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Il contributo sottolinea come i contratti pubblici siano una variabile determinante per il futuro dell’amministrazione ma al tempo stesso rappresentino un grande sfida, per la complessità della materia e la difficoltà nel disciplinarla in modo semplice ma al tempo stesso efficace. Il testo si sofferma sui molti interessi che l’amministrazione deve considerare nell’affidamento degli appalti e su come il nuovo codice abbia cercato di coniugare una disciplina più snella con il perseguimento degli obiettivi di legalità e trasparenza. La difficoltà di semplificare è testimoniata dall’esperienza dell’ordinamento inglese, che sta adottando una riforma della disciplina dei contratti pubblici che presenta molti aspetti comuni alla normativa europea e continentale.


Public contracts and the Administration of the Future
The article highlights how public contracts are a crucial variable for the future of the government administration but at the same time represent a great challenge due to their complexity of the subject and the difficulty of in regulating them it in a simple yet effective way. The text article focuses on the many interests that the public administration has to consider when awarding contracts and how the new procurement Aact tries to combine a more streamlined discipline approach with the pursuit of the objectives of legality and transparency. The difficulty of achieving this goal can be seen is testified byin the recent experience of the UK legal system, which after Brexit is in the process of adopting a reform of public contract law that, despite the declared political intentions, still has many aspects in common with European and continental law.
Summary: 1. La sfida dei contratti pubblici e le sue variabili.- 2. I contratti pubblici tra funzionalizzazione e logica negoziale.- 3. La riforma del codice dei contratti pubblici e le soluzioni offerte: un primissimo bilancio.- 4. La disciplina dei contratti pubblici nel Regno Unito dopo la Brexit e la difficoltà di semplificare.

1. La sfida dei contratti pubblici e le sue variabili[1]

Per il loro cruciale impatto sulla finanza pubblica, sull’economia e sul benessere della collettività i contratti pubblici rappresentano una delle più grandi sfide per il futuro della nostra amministrazione. Una sfida sulla cui vittoria incidono una serie di variabili, non sempre controllabili, anche perché in gran parte indipendenti.

Una prima decisiva variabile, che esercita un’influenza preponderante, è certamente data dalla qualità della legislazione: quella che ci occupa è materia nella quale negli ultimi venti anni si sono susseguite continue riforme, spesso dettate da eventi contingenti e non sempre ispirate a logiche coerenti[2].

Accanto ad essa, con peso altrettanto rilevante, vi è poi una seconda variabile, rappresentata dalla c.d. capacità amministrativa.

Non c’è forse settore nel quale la buona legislazione e la buona amministrazione non possono fare a meno l’una dell’altra: se nessuna amministrazione – anche la più virtuosa –può rimediare ai difetti di una cattiva legislazione, anche le migliori legislazioni da sole non riescono a cambiare i comportamenti dei funzionari che sono chiamati ad applicarle.

C’è, poi, un altro fattore che spesso non viene tenuto in adeguata considerazione, ma che ha una ricaduta enorme sull’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, dalla loro genesi, alle loro vicende di svolgimento, alla loro conclusione, e alla loro complessiva “riuscita”, ed è il comportamento della controparte contrattuale, attuale e potenziale, che qui svolge un ruolo di protagonista, in modo molto diverso da quanto accade nell’attività amministrativa provvedimentale di tipo tradizionale.

Non v’è dubbio che la disciplina degli appalti pubblici sia indirizzata anche agli operatori economici, che da essa – così come applicata dalle stazioni appaltanti – ricevono incentivi e disincentivi rispetto alle strategie e ai comportamenti da porre in atto in questo peculiare settore del mercato, dominato spesso da forti asimmetrie informative e da logiche imprenditoriali non sempre convergenti con quelle delle stazioni appaltanti. Si pensi alle dinamiche sottese alla partecipazione alle gare (e alla conseguente esecuzione del contratto) in forma associata, e alle difficoltà di conciliare le vicende della compagine associativa con i principi della par condicio e di concorrenza, nonché con l’interesse dei contraenti alla stabilità del contratto stipulato[3].

Una quarta variabile è costituita dalla quantità e dalla qualità degli interessi di cui la normativa e l’azione amministrativa sono state nel tempo chiamate a farsi carico in questo settore.

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando il diritto dei contratti pubblici non era altro che una branca della contabilità di stato, con la quale condivideva la funzione di controllo della spesa pubblica.

È stato da tempo sottolineato in dottrina come nell’evoluzione del diritto dei contratti pubblici un peso crescente – spesso fattore di complicazione – siano i diversi e spesso eterogenei interessi di cui esso è stato via via chiamato a farsi carico, e tra questi interessi, o valori, anche sotto la spinta dell’ordinamento comunitario, ha a lungo primeggiato quello della concorrenza, considerata innanzitutto come parità di opportunità di accesso al mercato, e poi come divieto di favoritismi.

Oggi non può dirsi che la tutela della concorrenza sia più il principale obiettivo della disciplina degli appalti, ma essa certamente ne caratterizza tuttora molti principi e previsioni specifiche, tanto da determinare la riconduzione della legislazione in materia alla potestà legislativa statale.

Negli anni la rilevanza crescente di molteplici interessi ha arricchito le finalità della normativa, che ha abbracciato progressivamente il contrasto alla corruzione, l’integrità delle stazioni appaltanti e dei loro comportamenti, l’affidabilità e l’integrità, specularmente, degli operatori economici che con queste trattano.

Più recentemente si sono aggiunti altri non meno importanti obiettivi, quali la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (green procurement), la protezione e promozione delle piccole e medie imprese, la tutela dei lavoratori e dell’attività di impresa anche in situazione di crisi, il conseguimento di finalità sociali[4], la garanzia della parità di genere[5] e la tutela delle disabilità[6].

In molti casi, la disciplina non si limita soltanto a prevedere condizioni di compatibilità, o a introdurre incentivi premianti per i comportamenti più virtuosi, ma chiede alle amministrazioni di attuare vere e proprie scelte di politica industriale attraverso azioni positive[7]: è questo il caso degli obiettivi ambientali, che hanno finito per connotare l’intero ciclo di conclusione dei contratti, dalla loro progettazione, alle specifiche tecniche, ai requisiti richiesti agli offerenti, ai criteri di aggiudicazione, all’oggetto della prestazione[8].

Quelli richiamati sono tutti interessi pubblici certamente meritevoli, ma esogeni o secondari rispetto al contratto, che vengono a funzionalizzare ulteriormente l’attività dell’amministrazione ma che possono contribuire a disorientare gli operatori e ad alterare il gioco della concorrenza, tanto da creare tensioni all’interno dell’intero sistema, talora generando un vero e proprio corto circuito tra obiettivi e risultati conseguiti[9].

Vi è poi, infine, almeno una quinta variabile: il giudice amministrativo.

Se non può dirsi che la lentezza della realizzazione delle opere sia colpa della giustizia amministrativa, è vero però che il contenzioso in materia di appalti pubblici è molto elevato[10].

Nonostante la disciplina codicistica preveda strumenti di soluzione alternativa delle controversie, manca tuttora la previsione di strumenti in grado di disinnescare quel circolo vizioso che porta troppo spesso a trasferire il confronto concorrenziale dal procedimento al processo. Non sempre gli esiti sono quelli attesi: da una parte il giudice non è incline a decidere questioni delicate e di tenore tecnico, dall’altra le amministrazioni sono spesso determinate ad attendere che sia il giudice a indicare loro la strada da seguire. In altre, meno frequenti, occasioni, invece, è il giudice a sostituirsi nell’esercizio di quelle valutazioni che spetterebbe all’amministrazione adottare, o comunque a interpretare le previsioni normative in modo da ampliare la discrezionalità applicativa della stazione appaltante[11].

In ogni caso il contenzioso incide, non sempre prevedibilmente e coerentemente, sull’affidamento e sul buon esito delle commesse pubbliche, oltre che sull’interpretazione della disciplina vigente. Peraltro, talora non è il solo giudice amministrativo a decidere le sorti di una procedura ad evidenza pubblica: si pensi, ad esempio, all’intervento del giudice fallimentare, cui spetta autorizzare la prosecuzione dell’attività di esecuzione di una commessa pubblica da parte di un imprenditore sottoposto a procedura concorsuale[12].

2. I contratti pubblici tra funzionalizzazione e logica negoziale

La moltiplicazione delle finalità ha contribuito a rendere più complessa una disciplina che negli anni si era già stratificata, traducendosi in una proliferazione di norme e nella creazione di più sottosistemi, ciascuno rispondente a logiche interne non sempre facilmente armonizzabili, cui certo non hanno giovato regimi sospensivi, norme derogatorie e miniriforme, dettate dall’emergenza della pandemia e poi dall’attuazione del PNRR[13].

Non sembra allora scontato ricordare che, al fondo, c’è pur sempre un contratto, ossia l’incontro consensuale di due volontà finalizzato a creare un duplice valore, il profitto per il privato, l’interesse della collettività per l’amministrazione. Quest’ultimo, anche quando non si traduce in un bene finale per gli amministrati, ma ha rilevanza meramente strumentale, cioè va semplicemente a dotare l’amministrazione di beni, servizi o opere, deve comunque garantire quello che oggi il testo del codice appena approvato definisce (pur con formulazione non priva di ambivalenze) “il risultato”, ossia il conseguimento di quei beni, servizi e opere in modo che sia ottenuto nei tempi più brevi possibili il miglior rapporto qualità prezzo. L’incontro di una domanda e di una offerta resta sempre l’elemento qualificante di qualsiasi contratto, pubblico o privato che esso sia.

Nel caso dei contratti pubblici questo “virtuoso” incontro è ancora più importante, perché in molti casi l’oggetto della prestazione è un bene rilevante per la collettività, sia esso un’opera pubblica o una fornitura (si pensi ai dispositivi medici): dunque il valore del contratto, che si accompagna al prezzo, non è soltanto la qualità materiale della prestazione ma anche il suo valore sociale.

L’obiettivo di non scegliere un contraente poco affidabile o poco qualificato, e di massimizzare al tempo stesso il raggiungimento delle finalità che la disciplina dei contratti impone in questa fase alle stazioni appaltanti, deve necessariamente coincidere con quello di ottenere effettivamente la prestazione migliore.

Come in tutti i contratti, inoltre, non conta solo il momento in cui le volontà finalmente si incontrano, l’accordo si stringe, il contratto si perfeziona, ma conta altrettanto – e per certi versi ancor di più – il momento dell’adempimento, che è esatto non solo quando è immediato, veloce, puntuale, ma anche e soprattutto quando è qualitativamente adeguato nella prestazione, ossia fedele alle modalità pattuite e ai bisogni che queste ultime mirano a soddisfare.

Tutto questo è considerato quasi scontato, un dato per così dire materiale, metagiuridico, una sorta di esternalità positiva del contratto “ben concluso”, ossia conforme alla disciplina normativa generale e a quella speciale dettata per la singola procedura. Sappiamo infatti che la peculiarità della disciplina dei contratti pubblici è quella di porre l’accento sul momento che precede la stipula del contratto, riservando alla fase dell’esecuzione per lo più le norme derogatorie rispetto alla disciplina privatistica.

La motivazione è nota. In dottrina, anche di recente, è stato sottolineato come quelli che pone in essere l’amministrazione siano sempre contratti pubblici di diritto privato[14], per la conformazione pubblicistica che la loro disciplina imprime all’esercizio della capacità di diritto privato, sottoponendo la formazione della volontà dell’amministrazione a una serie di vincoli pubblicistici.

La teoria della funzionalizzazione del contratto pubblico, di recente ripresa in dottrina, risponde soprattutto all’esigenza di affermare una continuità tra le fasi contrattuali rifiutando la cesura tra la fase pubblicistica e quella privatistica, e mettendo in luce la presenza di poteri amministrativi esercitabili anche nel corso dell’esecuzione del contratto[15].

Riconoscere carattere funzionale all’attività esecutiva del contratto, individuando poteri pubblicistici a efficacia negoziale, può agevolare una ricostruzione unitaria dei contratti pubblici.

La finalità della disciplina, tuttavia, dovrebbe essere in primo luogo quella di assicurare il più possibile che la sinergia tra domanda e offerta, il cui obiettivo finale è creare valore, non si realizzi solamente – e nel migliore dei casi – nel momento in cui queste si incontrano, ma venga preventivamente stimolata e coltivata lungo tutto il ciclo di vita della commessa, e ciò non solo per giustificare l’esercizio di taluni poteri autoritativi di cui il privato contraente non disporrebbe, come l’annullamento d’ufficio e la risoluzione del contratto.

La legislazione finora in vigore si è concentrata soprattutto sulla fase di affidamento, pur abbracciando alcuni aspetti della fase esecutiva, come lo ius variandi e la cessazione anticipata degli effetti del contratto, ma ha solo parzialmente lambito altrettanto importanti momenti come la progettazione della gara e i metodi di verifica del corretto adempimento del contraente, nel disciplinare i quali ha tenuto conto in via pressoché esclusiva dei profili amministrativo-contabili.

3. La riforma del codice dei contratti pubblici e le soluzioni offerte: un primissimo bilancio

In questo quadro si inserisce la riforma del nuovo codice[16], e che forse ha lasciato delusi quanti si aspettavano una decisa semplificazione delle norme, un taglio radicale delle regole, un ritorno all’ossatura delle direttive europee, o poco più.

Quello che il testo ha cercato di imprimere, in pochi mesi di lavoro serrato e alla luce dei criteri impartiti dalla legge delega, è un cambio di passo rispetto alle precedenti codificazioni.

Le finalità della riforma sono state quelle di semplificare, rispetto al numero e alla complessità delle regole, accelerare rispetto alle procedure, promuovere, rispetto alla concorrenza e alla partecipazione delle piccole e medie imprese, digitalizzare, qualificare e professionalizzare rispetto alle stazioni appaltanti. Il tutto, in un’ottica di massimizzazione del raggiungimento del miglior rapporto qualità-prezzo, e dunque, almeno in teoria, nel dichiarato intento di assicurare che il contratto e il contraente rispondano alle attese della stazione appaltante e, tramite essa, della collettività.

Vi è, dunque, un saldarsi delle specifiche prescrizioni e delle singole regole su delle disposizioni di principio, che occupano numerosi articoli del codice, e che dovrebbero non solo ispirare l’operato delle amministrazioni ma anche fornire la chiave interpretativa per le norme di dettaglio.

Non è questa la sede per un commento delle singole disposizioni, sulle quali stanno già scorrendo fiumi di inchiostro e di parole.

Guardando al complesso degli articoli, oltre duecento, e degli allegati, più che una semplificazione intesa come riduzione del numero delle regole, se ne ricava il tentativo di procedere a una complessiva razionalizzazione della disciplina. In particolare, il sistema delle linee guida, che costringevano l’interprete a consultare testi diversi e a provvedere a un continuo aggiornamento interpolando il testo normativo con quanto contenuto negli atti di soft law, si è deciso di optare per una “concentrazione” del testo in un’unica fonte, omogenea (auspicabilmente) anche nelle modalità di formulazione e nelle tecniche di redazione. Il disegno ricorda quello della legislazione europea, nel quale regolamenti o direttive sono spesso accompagnati da allegati (alcuni dei quali “cedevoli” e destinati a essere sostituiti nel tempo) volti a integrare il testo nelle parti più di dettaglio e più tecniche. Non è chiaro – ma è questione diversa – se il cambio di rotta, con un ritorno a una diversa organizzazione delle fonti di disciplina, segni una presa di coscienza del fallimento della soft law (così come finora utilizzata) nella disciplina degli appalti pubblici o sia espressione della volontà di un ridimensionamento – almeno su questo fronte – del ruolo dell’ANAC, chiamata forse a svolgere troppi compiti.

Importante, nell’opera di razionalizzazione della disciplina, è la semplificazione di alcune procedure (come per gli appalti sottosoglia), ma soprattutto la previsione di numerose norme “infrastrutturali”, che dovrebbero rafforzare la cinghia di trasmissione che traduce le regole in attività concreta e dunque promuovere quel circuito virtuoso tra legislazione e applicazione pratica, indispensabile per ottenere un significativo miglioramento della qualità complessiva dell’attività contrattuale pubblica.

Tra queste norme non vi sono soltanto quelle sulla digitalizzazione di intere procedure o di loro singoli segmenti o atti (si pensi alle modalità di prestazione della garanzia provvisoria), ma anche quelle che, dopo anni di attesa, dovrebbero finalmente mettere in atto il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e dunque consentire un miglior controllo sulla prima delle variabili individuate[17].

In linea di massima, la previsione di un meccanismo che abiliti allo svolgimento delle funzioni di committenza solo le amministrazioni dotate di un’adeguata formazione è da valutare positivamente. Il sistema predisposto dal legislatore, nel codice e nell’allegato II.4 è piuttosto macchinoso e basato sull’assegnazione di un punteggio risultante da una combinazione complessa di criteri e relativi pesi affidata a una tecnica di regressione, e che in sostanza parametra il punteggio di ciascuna stazione appaltante a quello ottenuto dalle altre. Oltre a creare una sorta di concorrenza tra amministrazioni, non è chiaro se il meccanismo, anziché a una logica abilitante, risponda alla finalità di ridurre il numero delle stazioni appaltanti, ma soprattutto è di difficile prevedibilità negli esiti e di conoscibilità nelle modalità di calcolo.

Si conferma infine la politica della centralizzazione delle committenze, che certamente rappresenta uno strumento di efficientamento del sistema di acquisti. Concretandosi molte delle attività contrattuali pubbliche in operazioni seriali, l’affidamento alle centrali di committenza può tradursi in un guadagno di efficienza ed economicità, fermo restando un effetto spersonalizzante che in taluni casi potrebbe non adeguatamente valorizzare le peculiarità della singola commessa e interpretare il fabbisogno delle amministrazioni che ne sono destinatarie.

Altre norme infrastrutturali, che dovrebbero avere in prospettiva un grande impatto sulla tempistica delle procedure e sulla riduzione dei margini di errore, sono quelle in materia di digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti, o di alcuni adempimenti degli operatori, come l’utilizzo delle tecnologie basate su registri distribuiti (previste anche al fine di prevenire la contraffazione di documenti come le garanzie). Dovrebbero infine, pur con un rinvio al 2025, trovare applicazione i sistemi di gestione informativa digitale delle costruzioni (Building Information Modelling), da cui dovrebbe derivare una significativa modernizzazione delle modalità di progettazione dei lavori e la valorizzazione di una concorrenza qualificata[18].

Un altro obiettivo della riforma è quello di semplificare le procedure attraverso un aumento della discrezionalità delle stazioni appaltanti, discrezionalità che in realtà è termine che sintetizza concetti molto diversi, dalla maggior flessibilità delle procedure e dallo snellimento, pur non decisivo, di alcune loro fasi (progettazione), da un allentamento selettivo dei vincoli dell’evidenza pubblica (appalti sottosoglia, affidamenti alle società in house), fino a una maggior autonomia nel disegno della gara (suddivisione in lotti) e della procedura da scegliere (appalto integrato), oltre che nella gestione del rapporto contrattuale (principio dell’equilibrio, rinegoziazione, modifiche del contratto e revisione prezzi).

Mentre anche il nuovo testo prevede un dialogo delle stazioni appaltanti con il mercato, sia nella fase preparatoria che precede l’indizione della gara (consultazioni preliminari di mercato), che nel corso di talune procedure (dialogo competitivo), di norma esclusa è la partecipazione nelle fasi preliminari di altri stakeholders, con l’unica eccezione del dibattito pubblico, che è previsto soltanto per gli appalti di opere pubbliche. Potrebbe risultare opportuna invece – almeno per talune categorie di contratti – la previsione di una partecipazione di rappresentanti delle categorie dei futuri fruitori di prestazioni che hanno un particolare impatto sulla salute, sulla qualità della vita, per valutare più correttamente il fabbisogno in vista dell’indizione della gara, o per definire in modo più efficace i criteri qualitativi di valutazione delle offerte tecniche.

Tornando al testo, a una più ampia discrezionalità lasciata in taluni casi alle stazioni appaltanti, fa da contraltare una codificazione capillare di altri aspetti, come le cause d’esclusione, la cui disciplina è affidata ai cinque articoli del codice nonché a un allegato[19], che contengono una descrizione dettagliata di ognuna delle circostanze che possono condurre all’esclusione, nel tentativo di lasciare il minor margine interpretativo possibile alle amministrazioni (si veda la definizione dell’illecito professionale grave): evidente è il tentativo di codificare orientamenti giurisprudenziali consolidati per contenere la discrezionalità delle amministrazioni, ma il risultato è una disciplina di non agevole lettura, non tanto e non solo per le stazioni appaltanti, ma innanzitutto per gli operatori economici.

Le disposizioni del nuovo codice, nelle parti dedicate alle procedure di gara, accompagnano l’intero ciclo del contratto, disciplinando anche alcuni aspetti ritenuti salienti dell’esecuzione. E tuttavia, ancora scarsa – se non inesistente – è la disciplina delle verifiche su ciò che dovrebbe qualificare un “buon” appalto, ossia la qualità della sua esecuzione. I controlli sull’affidabilità del contraente vanno poco oltre la fase di aggiudicazione e attengono a profili spesso formali – ancorché non irrilevanti – come la persistenza del possesso dei requisiti, in particolare di quelli che più incidono sull’integrità dell’esecutore, oppure ancora ai tempi e alla quantità, più che alla qualità dell’esecuzione. Quest’ultima rileva, solo in ipotesi di accertata gravità, quale illecito professionale sanzionabile con l’esclusione.

Su questo punto si tornerà nel prosieguo, ma ci sembra insufficiente quanto previsto dall’art. 109 del testo, sotto la rubrica “reputazione dell’impresa”, laddove, riprendendo alcuni aspetti dell’istituto del rating d’impresa – rimasto inattuato nel regime del vecchio codice[20] – si prevede che l’ANAC gestisca un sistema digitale di monitoraggio delle prestazioni quale elemento del fascicolo virtuale degli operatori, fondato su requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase esecutiva, il rispetto della legalità, l’impegno sul piano sociale e in favore della sostenibilità. A parte l’eterogeneità dei criteri, che richiamano sia aspetti legati alla legalità, sia aspetti legati alla performance, appare molto generica la previsione di un sistema di “incentivi” (e non penalizzante) per gli operatori al rispetto dei principi del risultato e della buona fede e dell’affidamento[21].

La minuziosa disciplina delle cause di esclusione e delle loro modalità di applicazione continuerà ad essere con ogni probabilità foriera di contenzioso, così come la rinnovata disciplina dell’accesso agli atti, di cui all’art. 36 del nuovo codice, che prevede l’onere per i concorrenti di indicare preventivamente quali parti delle offerte chiedono che vengano oscurate e un mini-rito acceleratissimo sul diniego dell’istanza di oscuramento presentata da un concorrente, con un regime di stand-still rispetto alla ostensione delle offerte fino alla scadenza del termine per impugnare, e la previsione di un procedimento sanzionatorio nell’ipotesi di reiterato rigetto delle istanze di oscuramento.

A questo proposito, il testo, accanto a un articolo in materia di ricorsi giurisdizionali, prevede un titolo interamente dedicato ai rimedi alternativi di risoluzione delle controversie, tra cui la “stabilizzazione” del Comitato consultivo tecnico[22], il primo istituto a essere operativo con la pubblicazione del codice, e la cui introduzione peraltro aveva suscitato reazioni critiche della dottrina[23].

Sappiamo peraltro che molta parte del contenzioso si concentra sulle operazioni di gara, sulle esclusioni (disposte o mancate), sulle modalità di aggiudicazione, sulla valutazione di anomalia. Si pensi all’istituto della c.d. inversione procedimentale, tramite il quale l’amministrazione può posticipare la verifica del possesso dei requisiti alla fase che segue l’aggiudicazione per snellire il procedimento di gara: in questi casi l’espletamento della fase procedimentale che la stazione appaltante ha legittimamente omesso, viene talora richiesto in sede giurisdizionale attraverso la proposizione di motivi che ipotizzano la potenziale esclusione, oltre dell’aggiudicatario, anche di ulteriori concorrenti i cui requisiti non sono stati oggetto di valutazione in sede di gara.

La nuova disciplina con ogni probabilità non sarà in grado di incidere significativamente su queste distorsioni, che sono in buona parte addebitabili anche a una indomabile litigiosità delle imprese, legata anche e soprattutto all’eccessiva concentrazione di certi mercati: resta il dubbio che quelli previsti siano strumenti di effettiva “de-giurisdizionalizzazione” dei conflitti o ulteriori fattori di complicazione del sistema, incidendo poco sulla variabile del contenzioso giurisdizionale.

Le ragioni della complessità della costruzione di una normativa sui contratti pubblici, e della tanto lamentata “ipertrofia legislativa”[24], non derivano soltanto dalla necessità di coordinare molteplici obiettivi talora confliggenti, ma dalla difficoltà di mettere a sistema le interazioni tra le regole e i soggetti che sono chiamate ad applicarle, i cui comportamenti sono espressione di logiche spesso non coincidenti.

È forse anche per questo che la linea di semplificazione drastica, con l’auspicato ricorso al semplice “copia-incolla” della normativa di fonte europea, non ha trovato nemmeno questa volta posto nel disegno riformatore.

4. La disciplina dei contratti pubblici nel Regno Unito dopo la Brexit e la difficoltà di semplificare

Del resto, la strada della semplicità non sembra essere quella prescelta nemmeno da ordinamenti che in passato hanno seguito la linea di una disciplina “minimalista” del diritto degli appalti pubblici, predicando, rispetto al diritto di fonte comunitaria, la dottrina del copy out, come specularmente opposta alla nostra politica del gold plating.

È questo il caso del Regno Unito, sul quale vale la pena di soffermarsi brevemente.

Come era previsto, la legislazione in materia di appalti vigente prima della Brexit – di derivazione eurounitaria – è stata interamente ripensata, con l’obiettivo non solo di sistematizzarla, ma di liberarla di tutte le complicazioni indotte dal recepimento della normativa europea, pur garantendone la conformità rispetto al Government Procurement Agreement della World Trade Organization.

In particolare, il proposito era quello di raccogliere in un’unica normativa la disciplina recata da diverse fonti legislative e regolamentari puntando su un unico testo legislativo snello, rinviando alla soft law per gli aspetti di dettaglio e lasciando un ampio margine di flessibilità alle stazioni appaltanti.

A tal fine, dal 2020 è stata avviata una lunga opera di riscrittura delle leggi vigenti, iniziata con la pubblicazione di un Green Paper[25] nel quale sono stati enunciati i criteri ispiratori della riforma e gli obiettivi ai quali ispirare l’attività contrattuale pubblica: il conseguimento dell’interesse pubblico (inteso come bene comune), il rapporto qualità-prezzo, la trasparenza, l’integrità, la parità di trattamento degli operatori, la non discriminazione.

In linea con questa direttrice, autorevole dottrina, già prima della pubblicazione del Libro Verde aveva formulato alcuni principi guida per la riforma[26].

I principi, che in parte richiamano quelli fatti propri dal nostro testo di riforma, sono: rapporto qualità prezzo, integrità, effettiva attuazione di politiche sociali, ambientali e altre di natura trasversale, apertura delle commesse pubbliche al mercato e al commercio, parità di trattamento, correttezza, accountability, ed efficienza procedimentale. Sotto il profilo della tecnica legislativa, la riforma avrebbe soprattutto dovuto riequilibrare il rapporto tra fonti primarie e soft law.

L’autrice ha proposto di applicare questi principi attraverso sette diversi percorsi:

Una politica tesa a rendere più informazioni possibili accessibili a tutti attraverso una unica piattaforma digitale;

La creazione di un regime uniforme per appalti e concessioni, esteso anche ai rimedi;

Una semplificazione della legislazione, con una nuova suddivisione della disciplina tra hard law e soft law, restituendo a quest’ultima la funzione chiarificatrice ed esplicativa, e il carattere non vincolante delle prescrizioni;

L’uso di categorie, regole e terminologie familiari e comuni, compresi quelli in uso nel diritto europeo;

La ricerca di un nuovo bilanciamento degli interessi pubblici da perseguire e un correlato cambiamento verso un aumento della flessibilità[27], anche per modulare nella disciplina concreta delle gare il rapporto tra le diverse finalità perseguite, favorendo il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali, in modo più ampio rispetto a quanto consentito dalla normativa di fonte europea;

Un sistema di rimedi effettivo ed equilibrato: termini brevi, azioni per danni limitate solo ai casi di colpa gravissima dell’amministrazione, ricorso alla revisione amministrativa, prima interna e poi affidata a un organismo indipendente;

Un quadro comune per il Regno Unito.

Ai documenti preparatori ha fatto seguito la complessa gestazione di un testo legislativo, tuttora in fase di approvazione alla Camera dei Comuni, che tuttavia sembra avere solo in parte raccolto i suggerimenti della dottrina e i proclami politici.

Quello licenziato dalla camera dei Lords è un disegno di legge che consta di 124 articoli, in media piuttosto lunghi, e di una serie di allegati[28].

Nel complesso, il testo è più breve di quello che da noi è stato appena approvato, soprattutto se si considera la lunghezza degli allegati, e tuttavia, rispetto alle aspettative, è una legge che, pur recependo alcuni dei principi contenuti nel libro verde, affronta molti aspetti di dettaglio e ricalca in gran parte lo schema delle direttive, mantenendone anche molte delle classificazioni.

Non potendo per ragioni di spazio soffermarci sull’intero testo – che peraltro potrebbe subire emendamenti prima della definitiva approvazione – è tuttavia utile sottolineare alcuni punti di interesse, anche nella prospettiva di una comparazione con le scelte del nostro legislatore.

A differenza del nostro codice, il disegno di legge inglese non contiene molte norme di principio, ma si limita, in un unico articolo, a enunciare alcuni obiettivi che vanno sempre tenuti in considerazione dalle stazioni appaltanti[29]: conseguire il massimo rapporto qualità-prezzo, massimizzare il beneficio collettivo, condividere le informazioni in modo da consentire agli operatori di comprendere appieno le politiche e le decisioni dell’autorità, agire, e far vedere di agire, con integrità. Segue il dovere di trattare gli operatori allo stesso modo, evitando comunque di mettere un’impresa in una posizione di ingiustificato vantaggio o svantaggio. Infine, le stazioni appaltanti debbono tenere conto delle difficoltà delle piccole e medie imprese nel partecipare agli appalti e verificare se tali barriere possono essere eliminate o ridotte.

Le priorità nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, nonché nella promozione dell’innovazione e degli strumenti per minimizzare le frodi, lo spreco o l’abuso delle risorse pubbliche vengono dettate da un policy statement ministeriale, sottoposto ad approvazione parlamentare, che le stazioni appaltanti debbono tenere presente nel disciplinare le singole gare[30].

Quanto alle fasi che precedono la vera e propria gara, anche in questo caso non si prevedono particolari adempimenti progettuali o di programmazione, fermo restando l’obbligo di pubblicare un avviso preliminare e la facoltà di effettuare una consultazione del mercato (o di altri eventuali soggetti), in vista della predisposizione dei documenti di gara e al fine di meglio stabilire i requisiti e i termini contrattuali[31]. Assente, dunque, una disciplina simile a quella prevista da noi con riferimento al responsabile di progetto e alla analitica previsione delle fasi di progettazione e programmazione.

Per ciò che riguarda le procedure, non si riscontrano particolari novità rispetto ai metodi di scelta del contraente previsti dalla normativa eurounitaria. In particolare, sono previste soglie, e vengono articolate le procedure in competitive aperte o flessibili (ristrette), affidamento diretto, sistemi dinamici di acquisizione e accordi quadro. Non ci sono procedure né condizioni diversificate per lavori, servizi o forniture, e nemmeno per appalti e concessioni, che risultano dunque assoggettati alla medesima disciplina. Gli affidamenti diretti debbono essere supportati da una delle giustificazioni che vengono specificate analiticamente in un apposito allegato. Le stazioni appaltanti, inoltre, debbono valutare l’opportunità di concludere più contratti e di prevedere la suddivisione in lotti, motivando sul punto[32].

Con riferimento alla fissazione dei requisiti di partecipazione, le disposizioni lasciano ampio margine di scelta alle stazioni appaltanti, che debbono calibrare secondo proporzionalità i requisiti sulla base della natura, della complessità e del valore della commessa. Non sono previste particolari disposizioni rispetto alle garanzie, né viene dettata la disciplina della partecipazione delle imprese in forma associata e su questo punto si registra una notevole differenza rispetto al nostro sistema: non sono previsti sistemi di qualificazione né degli operatori, né delle stazioni appaltanti, la cui professionalità costituisce un prerequisito.

Anche la disciplina dei criteri di aggiudicazione lascia spazi di discrezionalità e flessibilità alle stazioni appaltanti, sia nella loro predisposizione[33], sia nella percentuale da assegnare a ciascuno di essi rispetto al punteggio complessivo, sia nei rispettivi pesi e nella graduatoria di importanza. Per determinate categorie di contratti, finalizzati a fornire servizi di assistenza, che possono essere affidati senza il rispetto delle regole previste per le procedure di gara (c.d. light touch contracts[34]), è previsto che i criteri vengano scelti anche sulla base delle opinioni dei destinatari finali dei servizi[35].

Un punto su cui la normativa si sofferma con particolare attenzione e specificità, con una disciplina forse ancora più dettagliata di quella contenuta nel nostro nuovo codice, è invece quello delle cause d’esclusione, di cui si occupano alcuni articoli del testo della legge[36], nonché due lunghi allegati dedicati rispettivamente alle cause obbligatorie e discrezionali di esclusione, che possono estendersi anche a eventuali subappaltatori[37]. Il regime predisposto dall’attuale testo è molto analitico e soprattutto molto rigoroso, dal momento che le esclusioni possono avere quale esito apposite indagini seguite dall’iscrizione in una black list ministeriale[38].

Allo stesso modo, rigorosa è la disciplina sui conflitti di interesse e sulle misure che stazioni appaltanti e operatori debbono prevedere per mitigarli.

Un profilo che merita particolare menzione riguarda la previsione dell’obbligo delle stazioni appaltanti, per contratti il cui importo superi una certa soglia, di prevedere almeno tre indicatori di performance, rispetto ai quali valutare le prestazioni dell’operatore durante l’intero ciclo di vita del contratto[39]. Il testo prevede che i risultati delle valutazioni debbano essere resi pubblici e che l’amministrazione possa risolvere il contratto qualora la qualità dell’esecuzione non sia in linea con gli indicatori. Inoltre, la scarsa qualità di passate esecuzioni contrattuali rientra tra le cause di esclusione discrezionali: la fama di bad performer può insomma condizionare l’accesso al mercato.

Di interesse è anche la parte sui rimedi, che si sofferma tuttavia solo sulle azioni giurisdizionali, esprimendo una netta preferenza per i rimedi che precedono la stipula del contratto, se del caso accompagnati dalla previsione di misure cautelari. La disciplina lascia ai rimedi risarcitori uno spazio sussidiario e, pur prevedendola, limita ad ipotesi eccezionali la possibilità di dichiarare inefficace il contratto già stipulato. Lascia sorpresi che, almeno nel testo attualmente in corso di approvazione, e a differenza di quanto disposto dal nostro codice, manchi la previsione di tali rimedi. La lacuna è certamente rilevante, tenuto conto del ruolo che notoriamente nell’ordinamento inglese rivestono i rimedi alternativi alla giurisdizione, rappresentati sia da strumenti di revisione interna delle decisioni, sia da un articolato sistema di organi indipendenti di ricorso (i tribunals). E tuttavia, l’omissione è meno grave di quanto non appaia. Se da una parte non può escludersi che una specifica disciplina relativa ai ricorsi amministrativi venga predisposta in un secondo momento, dall’altra occorre sottolineare che in materia di appalti pubblici vengono proposti pochissimi ricorsi l’anno, la maggior parte dei quali non raggiunge lo stadio della decisione nel merito[40], in un contesto generale nel quale il numero dei ricorsi giurisdizionali è molto basso, non solo per il ricorso ad altre forme di prevenzione o di composizione della controversie, ma anche per l’elevato costo delle procedure.

In conclusione, il preannunciato «bonfire of red tape» con la legislazione degli appalti pubblici, tanto decantato tra gli obiettivi di riforma dell’ex premier Boris Johnson[41], non ha subito dunque una sorte molto diversa da quella del nostro altrettanto auspicato taglio drastico della disciplina esistente.

Pur nella significativa presenza di alcuni importanti profili di differenziazione, dati soprattutto dal peso nel nostro codice di una rilevante parte di norme c.d. “infrastrutturali” e organizzative, e da una complessiva maggior flessibilità prevista in favore delle stazioni appaltanti nel sistema inglese, non si rilevano quelle radicali differenze di impostazione che, tenuto conto dell’impatto della Brexit, ci si sarebbe aspettati di riscontrare.

Certamente alla base della pur parziale convergenza di esperienze così diverse, anche sul piano della cultura giuridica e amministrativa, vi è la necessità di inserirsi in un contesto di regole internazionali, oltre che europee, e di adottare a tal fine un linguaggio comune e regole, almeno in parte, condivise.

Ma, al di là di questa comprensibile ragione, vi è evidentemente anche la consapevolezza che – al di là dei proclami politici – un sistema di regole sufficientemente articolato è necessario – anche se purtroppo non sufficiente – per governare un settore di insopprimibile complessità, la cui corretta gestione è un obiettivo fondamentale non solo per un’amministrazione a prova di futuro, ma anche per la promozione della crescita economica e del benessere della collettività.

  1. Testo, rivisto e corredato di note, dell’intervento presentato alla tavola rotonda “Pubblica Amministrazione e giustizia amministrativa in Italia. Sfide attuali e prospettive future” tenutasi il 15.12.2022, presso l’Università degli Studi di Milano, in occasione dell’Incontro di studio organizzato a tre anni dalla nascita di CERIDAP (Milano, 15-16.12.2022).
  2. Per una sintesi, v. M. Cafagno, Committenza (servizi di), in Enc. dir., I tematici, III, Funzioni amministrative, Milano, 2022, 218, il quale parla di un processo laborioso di stratificazione di interventi legislativi eterogenei, per provenienza, periodo storico, oggetto e impostazione culturale.”
  3. Il tema delle modifiche soggettive, per “addizione” o “sottrazione” dei raggruppamenti d’impresa è stato oggetto di contrastanti orientamenti giurisprudenziali, e di ben tre sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 2/20, n. 10/21 e n. 2/22).
  4. Sul tema si v. il recente lavoro monografico di E. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici, Jovene, Napoli, 2021, nonché gli scritti raccolti in C. Marzuoli – S. Torricelli (a cura di), La dimensione sociale della contrattazione pubblica. Dalle esternalizzazioni alla contrattazione socialmente sostenibile, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017.
  5. Si v. da ultimo T.A.R. Lazio (sezione V), sentenza del 8 marzo 2023, n. 3873, che ha accertato la legittimità della previsione di una lex di gara che aveva introdotto criteri premiali per la previsione di meccanismi ad assicurare la c.d. parità di genere, richiamando non solo le previsioni contenute nel decreto semplificazioni, ma la stessa formulazione dell’art. 95, comma 6, lett. a) del codice dei contratti pubblici, anche come modificato dal d.l. 20 aprile 2022, n. 36, laddove fa riferimento alla possibilità di includere tra i criteri di valutazione dell’offerta anche caratteristiche sociali, e segnatamente l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere.
  6. Si v. quanto previsto dall’art. 47 del d.l. n. 77/2021 e poi meglio specificato dalle linee guida adottate dal Dipartimento per le Pari Opportunità con decreto del 7 dicembre 2021.
  7. V. in questo senso le riflessioni sul New Green Deal e sulla svolta che esso ha impresso nella costituzione economica, ponendo obiettivi che intendono conciliare i principi del libero mercato con il raggiungimento dell’obiettivo della decarbonizzazione, di E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica europea e assetti di governance, in Dir. pubbl., 2021, 423 ss., il quale include l’aggiudicazione degli appalti pubblici tra le politiche che dovranno necessariamente coordinarsi con le nuove linee di politica industriale improntate alla decarbonizzazione.
  8. Si veda sul tema F. de Leonardis, L’uso strategico della contrattazione pubblica: tra GPP e obbligatorietà dei CAM, in Riv. quad. dir. amb., 2020, 62 ss., il quale sottolinea la doverosità della considerazione degli obiettivi ambientali, introdotta, anche se formulata in modo meno netto di quanto non sarebbe stato necessario. Più recentemente F. Fracchia, P. Pantalone, Verso una contrattazione pubblica sostenibile e circolare secondo l’Agenda ONU 2030, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2022, 243 ss., secondo i quali i contratti pubblici sarebbero strumentali rispetto al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.
  9. Non a caso si è parlato, in questo ambito, di una “torsione teleologica” o “finalistica” del diritto dei contratti pubblici: così E. Guarnieri, Funzionalizzazione e unitarietà della vicenda contrattuale negli appalti pubblici, BUP, 2022, 123 ss. Sui comportamenti opportunistici che le clausole sociali, ove non adeguatamente calibrate, possono generare, v. D. Capotorto, Clausole sociali e moral hazard: la regolazione che punisce il virtuoso e premia l’opportunista, in Giorn. dir. amm., 1, 2021, 47.
  10. La macromateria “appalti” occupa una percentuale di rilievo del numero di ricorsi complessivi depositati dinanzi agli organi della giustizia amministrativa di primo e di secondo grado, come si può ricavare dalle appendici allegate alla relazione annuale sull’attività della giustizia amministrativa del Consiglio di Stato, pubblicata sul sito della giustizia amministrativa. Rilevante è altresì il numero delle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che si pronunciano ogni anno su controversie relative ad appalti pubblici (5 nel 2019, 8 nel 2020, 5 nel 2021, 3 nel 2022).
  11. Si pensi, per esempio, all’ampiezza della nozione di grave illecito professionale fatta propria da Cons. St., sez. VI, 28 novembre 2022, n. 10483.
  12. Su cui v. da ultimo, S. Vinti, La crisi dell’operatore collettivo tra scambi di ruoli e immodificabilità soggettiva, in federalismi.it, 6, 2023, 212, il quale rileva come la valutazione dell’affidabilità del contraente venga in questo caso affidata a un giudice, quello della crisi d’impresa, che si propone di tutelare primariamente gli interessi dei creditori più che quelli della stazione appaltante.
  13. Su cui v. E. D’Alterio, Riforme e nodi della contrattualistica pubblica, in Dir. amm., 2022, 667 ss.
  14. Così li definisce M. Mazzamuto, Contratti pubblici di diritto privato, in Dir.ec., 2022, spec. 29 ss., laddove l’autore osserva che la capacità di diritto privato delle amministrazioni, per la quantità e la qualità dei vincoli a cui risulta sottoposta, non è una capacità generale.
  15. V. E. Guarnieri, Funzionalizzazione e unitarietà della vicenda contrattuale negli appalti pubblici, cit. 235 ss. il quale riprende la nota impostazione di C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982. Sul tema, su cui vi è un’ampia letteratura, sia consentito un rinvio a P. Chirulli, Autonomia pubblica e diritto privato nell’amministrazione. Dalla specialità del soggetto alla rilevanza della funzione, Cedam, Padova, 2005, 344 ss.
  16. Il cui testo, predisposto da una Commissione istituita presso il Consiglio di Stato, è stato velocemente approvato dal Governo, con alcune modifiche: d. lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici).
  17. Il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti è disciplinato dall’art. 63 del codice. Sul tema, sia consentito un rinvio a P. Chirulli, Qualificazione delle stazioni appaltanti e centralizzazione delle committenze, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, Banca d’Italia, n. 83, Aprile 2018, 21 ss.
  18. Sul tema, v. diffusamente S. Valaguzza, Governare per contratto. Creare valore attraverso i contratti pubblici, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, 189.
  19. Artt. 94-98 del codice e allegato II.10.
  20. Il d. lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) lo prevedeva al comma 10 dell’art. 83, affidando all’ANAC il compito di predisporre attraverso linee guida il sistema di valutazione sulla base del quale rilasciare a richiesta apposita certificazione e prevedendo, all’art. 95, c. 13 che le stazioni appaltanti avessero la facoltà di indicare nei documenti di gara criteri premiali da applicare alla valutazione delle offerte in relazione al maggior rating di legalità e di impresa. In tema, v. L. Galli, M. Ramajoli, Il ruolo della reputazione nel mercato dei contratti pubblici: il rating d’impresa, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1, 2017, 84.
  21. Ai sensi del comma 2 dell’art. 109 spetterà infatti all’ANAC definire gli elementi del monitoraggio, le modalità di raccolta dei dati e il meccanismo di applicazione del sistema per incentivare gli operatori al rispetto dei principi del risultato di cui all’articolo 1 e di buona fede e affidamento di cui all’articolo 5, bilanciando questi elementi con il mantenimento dell’apertura del mercato, specie con riferimento alla partecipazione di nuovi operatori.
  22. Su cui si v. di recente il lavoro di P. Otranto, Dalla funzione amministrativa giustiziale alle ADR di diritto pubblico. L’esperienza dei dispute boards e del collegio consultivo tecnico, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023.
  23. V. ad es., A. Massera, F. Merloni, L’eterno cantiere del Codice dei contratti pubblici, in Dir. Pubbl., 2021, 621, che la definiscono una forma di amministrazione parallela, priva di requisiti di vera indipendenza e trasparenza. In senso critico, v. anche F. Francario, Il collegio consultivo tecnico. Misura di semplificazione ed efficienza o inutile aggravamento amministrativo?, in www.giustiziainsieme.it.
  24. Parla di iper-regolazione, come una delle cause dell’inefficienza delle committenze pubbliche S. Valaguzza, Governare per contratto, cit., 57 ss.
  25. Transforming Public Procurement”, Cabinet Office, CP 353, Dicembre 2020.
  26. In particolare, S. Arrowsmith, Reimagining public procurement law: proposals for post-Brexit reform, in Public Law, 2021, 69 ss.
  27. Tra i punti sottolineati nell’articolo vi è un aumento della discrezionalità delle stazioni appaltanti nel calibrare i criteri di aggiudicazione, dando la giusta importanza a quelli di carattere più soggettivo, in favore di una migliore individuazione dell’offerta che offre il miglior rapporto tra qualità e prezzo, prevenendo la corruzione attraverso una maggior professionalità delle stazioni appaltanti – adeguatamente supportata da soft law che guida il loro operato – più che attraverso il rigore delle regole.
  28. HL Procurement Bill, attualmente alla terza lettura parlamentare, disponibile su https://bills.parliament.uk/bills/3159 (ultimo accesso 1 aprile 2023).
  29. Art. 12 Procurement Bill.
  30. Art. 13, che disciplina anche il procedimento di approvazione del NPPS.
  31. L’articolo 16 (Preliminary market engagement) specifica anche le cautele che la stazione appaltante deve osservare per non creare posizioni di ingiustificato vantaggio o distorsive della concorrenza e come comportarsi quando ciò avviene.
  32. Art. 18.
  33. La stazione appaltante, secondo l’art. 23, c. 2, deve sincerarsi che i criteri: a) si riferiscano all’oggetto del contratto, b) siano sufficientemente chiari, misurabili e specifici, c) non siano in contrasto con le specifiche tecniche, e d) sia uno strumento proporzionato alla luce della natura, della complessità e del valore della commessa.
  34. Sono specifici contratti così definiti dall’art. 9 della legge, aventi ad oggetto servizi sociali, sanitario-assistenziali e di istruzione, il cui ambito di estensione è rimesso alla disciplina secondaria, e il cui regime di affidamento è più flessibile o parzialmente derogatorio rispetto a quello generale.
  35. L’art. 23, c. 6, prevede in particolare di tenere conto dei bisogni dei diversi utenti finali dei servizi e dell’importanza dalla prossimità tra il fornitore e l’utente per una efficace ed efficiente prestazione dei servizi.
  36. Artt. 26-30, 57-65.
  37. All. 6 e 7.
  38. Cfr. artt. 59 e ss.
  39. Art. 52 del testo, che prevede i casi in cui è obbligatoria la previsione di almeno tre indicatori di performance e l’art. 70 che disciplina le conseguenze della bad performance e le correlate misure di pubblicità e informazione.
  40. Si possono consultare le statistiche del ministero della giustizia, disponibili al seguente indirizzo https://www.gov.uk/government/statistics/civil-justice-statistics-quarterly-october-to-december-2022/civil-justice-statistics-quarterly-october-to-december-2022#judicial-reviews4
  41. Menzionato da S. Arrowsmith, Reimagining public procurement law, cit., 70.

Paola Chirulli

Full Professor of Administrative Law, "Sapienza" University of Rome.