La sentenza evidenzia come sia necessario declinare in maniera dettagliata e coerente i criteri ambientali minimi nella documentazione di gara, ritenendo essa insufficiente un mero rinvio ai decreti ministeriali. Questo approccio garantisce che le prestazioni contrattuali rispettino effettivamente le norme ambientali, promuovendo una maggiore sostenibilità negli appalti pubblici.


The sentence highlights the requirement for a detailed and coherent evaluation of the minimum environmental criteria in the tender documents, stating that a simple reference to Ministerial Decrees is not enough. This approach ensures that contract performance effectively complies with environmental standards, promoting greater sustainability in public procurement.

Con la sentenza del 27 maggio 2024, n. 4701, il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’individuazione della soglia minima normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge di gara.

In particolare, il Consiglio di Stato ha stabilito che un mero richiamo, nella legge di gara, ai decreti ministeriali relativi ai criteri ambientali minimi (CAM) non è sufficiente per conformare la funzione del contratto, nella fase di scelta della migliore offerta, agli obiettivi dell’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, applicabile al caso controverso ratione temporis. Tali criteri devono essere coerentemente declinati all’interno della documentazione di gara e, quindi, applicati in modo concreto e dettagliato, affinché gli obiettivi ambientali siano effettivamente rispettati.

La questione è di notevole importanza, poiché – come evidenziato dal Consiglio di Stato – richiede di trovare un punto di equilibrio tra «l’esigenza di semplificazione della lex specialis (e della gara stessa)» e «l’esigenza di effettività dell’operatività dei criteri ambientali minimi nella fase di esecuzione del contratto».

Secondo il Collegio, la soluzione deve essere trovata innanzitutto sulla base dell’art. 34, co. 1, del d.lgs. n. 50/2016, che prescrive(va) espressamente «l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».

L’obbligo di inserimento dei CAM nella legge di gara – afferma il Consiglio di Stato – non è un obbligo di natura meramente formale, ma piuttosto sostanziale. E questo perché tali criteri mirano a garantire che l’esecuzione della prestazione contrattuale sia conforme agli standards richiesti, riducendo così gli impatti ambientali e promuovendo modelli di produzione e consumo più sostenibili.

Peraltro, la medesima disciplina è adesso contenuta nell’art. 57, co. 2, del d.lgs. n. 36/2023 che – come precisato dai Giudici di Palazzo Spada – «nonostante apparenti difformità testuali, si pone in relazione di continuità con il carattere c.d. mandatory dei criteri ambientali minimi: anche in considerazione del rilievo (non solo meramente esegetico) che tale processo di successione di norme è stato segnato, medio tempore, dalla riforma del parametro costituzionale rappresentato dagli artt. 9 e 41 della Costituzione».

Sulla base di tali considerazioni, il Consiglio di Stato non ha condiviso la posizione del T.A.R. secondo cui, essendo l’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016 norma imperativa e cogente, il contenuto dei decreti relativi ai CAM entrerebbe a far parte della legge di gara attraverso il meccanismo della c.d. “eterointegrazione”.

Il T.A.R. aveva affermato che il rinvio ai decreti ministeriali era sufficiente, poiché «l’onere di diligenza impone al concorrente di adeguare la propria offerta ai criteri ambientali minimi che la stazione appaltante non ha trascurato, mettendo l’operatore economico in grado di conoscere e valutare tali criteri per formulare un’offerta consapevole».

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che tale argomentazione non possa essere condivisa, in quanto, per un verso, «limita gli effetti del richiamo ai decreti ministeriali alla “formulazione di un’offerta consapevole” (…) e non anche alla coerente disciplina della valutazione delle stesse [offerte]», e, per l’altro, «ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto le questioni relative alla conformità della prestazione ai criteri ambientali».

Inoltre, si legge nella sentenza che la stazione appaltante aveva sostenuto, nella propria memoria, che la mancata inclusione dei CAM nella documentazione di gara (ossia nella lex specialis) non avrebbe potuto inficiare la gara stessa, poiché la scelta dei criteri di valutazione delle offerte sarebbe comunque dovuta rientrare nella discrezionalità dell’amministrazione, come tale sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità nei limiti della manifesta irragionevolezza.

Il Consiglio di Stato non ha condiviso (nemmeno) tale posizione. In particolare, ha affermato che la discrezionalità dell’amministrazione, in sede di valutazione delle offerte, incontra un (auto)limite nella legge di gara, la cui legittimità, dunque, è necessario valutare in sede di giudizio ai fini dell’eventuale invalidazione dell’intera procedura. In secondo luogo, in materia di gare pubbliche il perseguimento dell’interesse pubblico non è rimesso alla mera discrezionalità della p.a., ma è imposto dalla legge come criterio fondamentale che condiziona il contenuto delle offerte e delle prestazioni.

Infine, il Collegio ha sottolineato che «la sostenibilità ambientale delle scelte negoziali dell’amministrazione pone un problema di rispetto di canoni normativamente stabiliti, più che di esercizio di discrezionalità propriamente intesa».

Un ulteriore aspetto affrontato nella sentenza riguarda il principio del risultato. Mentre il T.A.R. ha declinato questo principio ponendo l’accento sull’importanza di un rapido raggiungimento delle finalità dell’appalto (ossia, «un sollecito affidamento e svolgimento del servizio»), il Consiglio di Stato ha chiarito che tale principio non si esaurisce nell’«effettivo e tempestivo svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione)», ma richiede che questo sia svolto in modo tale da attuare le politiche ambientali per le quali sono previsti i CAM.

In quest’ottica, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il principio del risultato non si pone in contrasto con quello di legalità ma anzi lo integra, ampliando il sindacato giurisdizionale e «facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili” (in senso analogo, successivamente, anche la sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 3985/2024)».

Inoltre, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il principio del risultato mira a garantire una rapida definizione dei reciproci diritti e obblighi delle parti, garantendo certezza e stabilità al rapporto negoziale, come attualmente previsto nell’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 il quale definisce il concetto di risultato «in un’ottica di unitarietà strutturale e funzionale fra aggiudicazione ed esecuzione».

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso, annullando la gara per il mancato rispetto della disciplina dei contratti pubblici sui criteri ambientali minimi.