Buona fede, affidamento e responsabilità civile della P.A. nel nuovo codice dei contratti pubblici

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4/2023

Buona fede, affidamento e responsabilità civile della P.A. nel nuovo codice dei contratti pubblici

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Dopo un’analisi della codificazione, da parte del d.lgs. 36/2023, dei nuovi principi in materia di appalti pubblici e della loro gerarchia, l’Autore si sofferma sul rapporto tra principio di buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, per studiare gli effetti giuridici che il primo esercita sulla seconda. In particolare, l’autore afferma che l’art. 5 c. 2 del nuovo Codice prosegue il processo di “civilizzazione” del diritto amministrativo, ampliando l’ambito di risarcibilità delle situazioni giuridiche coinvolte nelle procedure di gara. Tale processo, però, rischia di incontrare un ostacolo nel successivo c. 3, il quale qualifica come «colpevole» l’affidamento ingeneratosi a fronte di una illegittimità «agevolmente rilevabile».


Good faith, legitimate expectations and civil liability of the Public Administration in the new public contracts Code
Following an examination of the principles governing public contracts and their hierarchy as codified in Legislative Decree 36/2023, the author focuses on the relationship between the public administration's liability and the good faith principle, examining the legal implications of the former on the latter. Specifically, it is stated that by broadening the range of legal problems that can be resolved in connection with public procurement, Article 5 c. 2 of the new Code keeps the process of "civilising" administrative law going. This procedure, however, may hit a roadblock in the form of c. 3, which designates as "culpable" the reliance that was fostered in the face of a "easily detectable" illegitimacy.
Summary: 1. Dalla codificazione degli appalti pubblici a quella dei suoi principi e della loro gerarchia.- 2. Gli artt. 2 e 5 del nuovo Codice, tra principio della fiducia e responsabilità civile della stazione appaltante.- 3. Procedure selettive, regole di correttezza nelle trattative e responsabilità contrattuale: la “civilizzazione” della P.A., nella prospettiva di un diritto amministrativo paritario.- 4. Dai contratti pubblici al riparto tra le giurisdizioni, nel rapporto senza potere secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite.- 5. L’art. 5 del nuovo Codice e la Relazione al medesimo: affidamento legittimo e procedure selettive..

1. Dalla codificazione degli appalti pubblici a quella dei suoi principi e della loro gerarchia[1]

Un commento a prima lettura del nuovo “Codice dei contratti pubblici”, adottato mediante il d.lgs. n. 36/2023[2], non può non partire dai principi generali da esso enunciati e dal ruolo che a tali principi viene riconosciuto. Si tratta di un fil rouge costituente un tratto identitario (forse, il principale) del nuovo Codice, come viene rimarcato (prima ancora che nei commenti al medesimo) dalla stessa Relazione agli articoli e ai suoi allegati. Come questa rimarca, il precedente Codice dei contratti, adottato con d.lgs. n. 50/2016[3], non conteneva «una parte iniziale dedicata ai principi». Più che di una rivoluzione sembra trattarsi, però, di un nuovo drafting. Si è, così, tenuto conto del ruolo attualmente esercitato dai principi generali del diritto, i quali, sotto la spinta propulsiva del diritto dell’Unione e delle pronunzie della Corte di Lussemburgo, hanno progressivamente accresciuto la loro pervasività, determinando un effetto spillover[4].

Del resto, proprio nel settore degli appalti pubblici il diritto comunitario è stato solito massimizzare la propria influenza sull’ordinamento interno. In tale ambito l’interazione tra fonti multilivello contribuisce al trapianto degli istituti, che tracimano dal diritto eurocomunitario a quello nazionale. Si è accettato il fatto che i principi, ormai, assolvono ad un ruolo diverso, rispetto al passato: anziché colmare lacune, vere o supposte, la loro applicazione influisce, in misura crescente, sulla decisione. Il fenomeno è suscettibile di apprezzamenti di tenore opposto: secondo un’opinione diffusa, si tratta di una forma di manifestazione della «crisi della legge» e della sua capacità regolativa dei rapporti giuridici[5]; in una differente prospettiva, invece, l’impiego dei principi determina un ampliamento dei parametri di validità dell’azione amministrativa[6]. A quale tesi si intenda accedere, resta il fatto che, spesso, i medesimi principi conoscono gerarchie assiologiche. Il nuovo Codice non si sottrae a questo schema. Ai sensi dell’art. 4, infatti, le disposizioni in esso contenute (testualmente) «si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3».

Nella citata Relazione si legge, inoltre, che, ai fini dell’applicazione del nuovo Codice, questa disposizione riconoscerebbe «la natura fondante dei primi tre principi»: quello del risultato[7], quello della fiducia e quello dell’accesso al mercato. Non diversamente, tuttavia, anche i principi elencati dall’art. 5 all’art. 11 possono contribuire ad interpretare (ed applicare) le disposizioni contenute nel Codice: se così è, l’art. 4 denota un’antinomia, per superare la quale può ipotizzarsi che i principi di cui agli articoli da 1 a 3 siano muniti di carattere sovraordinato, come la Relazione, del resto, sembra lasciare intendere.

Si consideri, in proposito, l’art. 2, che introduce il principio della fiducia, al quale, insieme agli altri due principi, l’art. 4 accorda una primazia. Secondo la Commissione legislativa, tale principio determina «un segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla fiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari». L’intento perseguito, inteso a favorire il conseguimento del risultato (art. 1), è, di certo, quello di fronteggiare la c.d. “burocrazia difensiva”, che genera la c.d. “paura della firma”.

A questo punto, si impongono due concorrenti rilievi: il primo è che, con la proliferazione di tanti principi, non si avvertiva, certo, la necessità di crearne uno nuovo, quello della fiducia, tanto meno in via legislativa, seppure al fine di circoscrivere la responsabilità per danno erariale (art. 2, co. 3). Per un verso, la genesi di un principio avrebbe meritato una riflessione più approfondita; per altro verso, poi, la Relazione non indica dei parametri identificativi del medesimo principio, che si contrappone tout-court a concetti, non giuridici, come il sospetto e la diffidenza. In secondo luogo, poi, principi come quello del risultato e quello della fiducia non hanno cittadinanza nel diritto eurounitario: cosicché, la sovraordinazione che l’art. 4 del nuovo Codice riconosce a tali principi rischia di dequotare quelli dell’Unione, non ostante la primauté accordata ai medesimi, specie in considerazione del ruolo preminente che, nel diritto dei contratti pubblici, hanno sempre esercitato[8].

2. Gli artt. 2 e 5 del nuovo Codice, tra principio della fiducia e responsabilità civile della stazione appaltante

Un nuovo atto legislativo germina opinioni di diverso tenore. Nella scuola mainstream si iscrive, attualmente, un elevato compendio di laudatores del nuovo Codice. Anche per questo vi è spazio per qualche considerazione dissenziente, stante la presenza di ampie zone d’ombra, seppure accanto a molte luci. In particolare, suscita più di una perplessità il complessivo taglio adottato dal Codice. La cartina di tornasole si trova nella Relazione al medesimo, che denota un approccio di tipo “dottrinale”. Vero è che l’ordito del Codice, in molti passaggi, si apprezza per la tecnica raffinata. Non di meno, l’impressione che si ricava è che il legislatore (ma, forse, potremmo chiamarlo il “legislatore-giudice”) abbia impropriamente inteso “fare dottrina”. Se talune previsioni appaiono indissolubilmente legate a visioni di tipo dogmatico, si ha la sensazione che la Commissione legislativa abbia “codificato” la propria Weltanschauung: cosa che è avvenuta mediante la gemmazione delle costruzioni giuridiche propugnate dai giudici di palazzo Spada.

Per chiarire questo rilievo si consideri una disposizione contenuta nel Codice: si tratta dell’art. 5, che esprime (meglio ancora dell’art. 2) l’approccio fatto proprio dalla Commissione legislativa, attestato, inequivocabilmente, dalla Relazione sopra richiamata. Da un lato, nei primi due alinea dell’art. 5, le nozioni di buona fede e di affidamento[9] appaiono, quasi, sinonime; dall’altro lato, poi, nel terzo e nel quarto alinea, il legislatore si occupa del risarcimento del danno per la lesione dell’affidamento, laddove l’aggiudicazione risulti annullata dal giudice amministrativo ovvero dalla stessa stazione appaltante, in via di autotutela. L’obiettivo (chiarissimo) perseguito dai commi 3 e 4 consiste nell’intento di rafforzare la c.d. “rete di contenimento”[10], che aveva animato la nota sentenza del 1999, la n. 500[11], con cui le Sezioni unite avevano costruito un argine (o, meglio, una muraglia), al fine di fronteggiare le richieste di tutela dell’interesse legittimo pretensivo[12]. Per fare questo, l’affidamento – opportunamente riconosciuto «anche prima dell’aggiudicazione» – viene considerato “colpevole” («non si considera incolpevole», in base al co. 3, prima parte), «se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti».

Si tratta, tuttavia, di una previsione che non pare convincente, sia perché svaluta l’affidamento (cosa diversa, ovviamente, dalla presunzione di legittimità dell’atto amministrativo) che l’aggiudicazione è in grado di ingenerare, sia perché pone a carico degli operatori un obbligo di diligenza, i cui evanescenti confini appaiono difficilmente identificabili[13]. Ancora, nel nuovo Codice il danno risarcibile viene circoscritto (sempre nel co. 3) a quello effettivamente subito e provato (ma le regole contenute nel codice civile non sembrano di diverso tenore). In particolare, nel caso della lesione dell’interesse legittimo pretensivo, si impone il ricorso ad un giudizio prognostico, condotto su base probabilistica, in base ad un criterio di normalità: qui, il danno risarcibile presuppone una conseguenza sfavorevole, derivante da una condotta giudicata contraria al diritto, anche alla stregua della perdita di una chance, il cui apprezzamento soggiace ad una valutazione prognostica[14].

Si consideri, inoltre, come il co. 4 dell’art. 5 riconosca la responsabilità civile «dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito», mentre la seconda parte del medesimo alinea dispone che la stazione appaltante, condannata «al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso», può rivalersi[15] nei confronti dell’aggiudicatario, qualora venga accertata la sua responsabilità concorrente. Le evenienze possibili, pertanto, sono due: nella prima il «il terzo pretermesso» agisce nei confronti dell’ente aggiudicatore, che si rivale (in tutto o in parte) sull’aggiudicatario; nella seconda, invece, sussiste (recte: viene accertato) il concorso tra la responsabilità dell’amministrazione e quella dell’aggiudicatario.

Il drafting, qui, non appare impeccabile, legittimando non poche perplessità. Il punto di partenza va identificato nell’ultima parte del III alinea della disposizione in commento, secondo cui «nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione» il danno risarcibile è quello derivante «dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico». La norma collega, dunque, ad un «comportamento» il pregiudizio arrecato all’autonomia negoziale, in guisa da ledere l’affidamento incolpevole, alla stregua del canone della «diligenza professionale» (art. 5, co. 2); e, non diversamente, il IV alinea dell’art. 5 conclude connettendo l’aggiudicazione illegittima ad «un comportamento illecito»: per cui, ad integrare il fatto illecito è il comportamento, che viene posto in collegamento con l’invalidità del provvedimento da cui discende l’antigiuridicità[16].

Sennonché, il tessuto normativo in esame lascia le porte aperte a più di un quesito. In primo luogo, non è chiaro quando questa responsabilità: i) vada imputata all’ente aggiudicatore; ii) quando, invece, all’aggiudicatario, sempre in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione; iii) quando, infine, ad entrambi. Questo, soprattutto, perché la disposizione in commento non identifica gli elementi costitutivi del «comportamento illecito», al fine della causazione del pregiudizio economico risarcibile: come si vede, nell’ambito soggettivo, ma, specialmente, in quello oggettivo, permane l’evanescenza dei presupposti della responsabilità civile.

In secondo luogo, la facoltà di rivalsa riconosciuta a favore dell’amministrazione aggiudicatrice non identifica le azioni risarcitorie esperibili dal «terzo pretermesso» e non chiarisce, neppure, se quest’ultimo possa – o meno – fare valere la propria pretesa, nei diretti confronti dell’aggiudicatario. Il riferimento all’azione di rivalsa sembrerebbe propendere a favore della tesi contraria, mentre la costruzione del concorso di responsabilità milita a sostegno della conclusione opposta: verosimilmente, è la configurabilità, sul piano del diritto sostanziale, di una struttura plurisoggettiva nell’obbligazione risarcitoria, a risultare il dato più rilevante. Il quadro normativo di riferimento, in ogni caso, offre scarsi elementi per individuare i fatti costitutivi del concorso dell’aggiudicatario nella responsabilità della stazione appaltante: da un lato, chiarisce che sono i “comportamenti” a generare il fatto illecito; dall’altro lato, poi, imputa il danno risarcibile «all’interferenza del comportamento scorretto» (co. 3): il comportamento è, dunque, il criterio che ascrive la responsabilità vuoi alla stazione appaltante o all’ente concedente, vuoi all’aggiudicatario, vuoi agli uni e agli altri, in caso di concorso nella responsabilità.

Resta da chiedersi, a questo punto, che cosa succede quando l’aggiudicazione risulta legittima, come avviene nel caso in cui le condotte risultino prive di un collegamento con tale provvedimento e, parimenti, con la serie procedimentale che lo precede. All’interno del perimetro tracciato dal co. 4 della disposizione in commento, rivalsa e concorso sembrano presupporre che l’illiceità del comportamento discenda dalla illegittimità dell’azione autoritativa.

Il Codice non si occupa, almeno direttamente, dei comportamenti “senza potere”[17], imputabili alla stazione appaltante, quando sono i medesimi a costituire il fatto genetico dell’illecito, non ostante la legittimità dell’azione amministrativa: le regole di condotta, di certo, gravano sull’aggiudicatario, come sull’ente aggiudicatore; ma, se il provvedimento è legittimo, appare più difficile ipotizzare che il primo possa assumere una compartecipazione con il secondo nella causazione dell’illecito.

3. Procedure selettive, regole di correttezza nelle trattative e responsabilità contrattuale: la “civilizzazione” della P.A., nella prospettiva di un diritto amministrativo paritario

Vanno presi in considerazione, a questo punto, gli effetti che l’art. 5 del Codice è suscettibile di produrre sulle pretese risarcitorie, laddove l’operatore economico abbia (legittimamente) riposto l’affidamento, successivamente deluso, sulla conclusione del contratto. Il punto di partenza è rappresentato dall’idoneità della procedura ad evidenza pubblica ad instaurare un rapporto, che si iscrive nell’area della responsabilità precontrattuale: si tratta, del resto, di una conclusione alla quale, da molto tempo, sono congiuntamente approdati dottrina[18] e giurisprudenza[19]. Se così è, è su tutte le parti – e, soprattutto, su quella pubblica – a gravare l’obbligo di agire secondo buona fede, nell’ambito delle trattative preordinate alla conclusione del contratto, così come prevede l’art. 1337 c.c.: in particolare, in base ad un orientamento diffuso della giurisprudenza, viene in gioco un obbligo di condotta, che si iscrive nel dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., al fine di garantire l’autodeterminazione negoziale del contraente[20].

Ebbene, l’agire secondo buona fede costituisce, ormai, una regola generale di condotta, della quale sono destinatari anche (o, soprattutto, come si legge in alcune pronunce) gli enti pubblici. Si tratta della conclusione di un lungo processo, che si articola in numerosi passaggi normativi: in primo luogo, nell’art. 10, co. 1, del c.d. “Statuto del contribuente” (l. n. 212/2000), ai sensi del quale: «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede»; in secondo luogo, nell’art. 1, co. 2-bis, l. n. 241/1990, aggiunto dalla novella del 2020, in base a cui: «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede»[21].

In questa cornice si iscrive il Codice, disponendo, al I alinea dell’art. 5, che: «Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento». Né può omettersi di ricordare che, per un verso, l’affidamento integra un principio generale riconosciuto dal diritto dell’Unione[22]; e per altro verso, l’art. 1, co. 1, l. n. 241/1990, s.m.i, dispone che l’attività amministrativa è retta dai principi dell’ordinamento comunitario, molti dei quali investono proprio il settore degli appalti pubblici[23].

Sennonché, legittimo affidamento e buona fede sono, al più, nozioni contigue, ma non coincidenti: il primo, di natura soggettiva, sorge a fronte dell’esercizio di poteri autoritativi nell’ambito del c.d. rapporto amministrativo; la seconda, di natura oggettiva, è consustanziale ad un comportamento[24]: con il corollario che, con riguardo alle tutele accordate dall’ordinamento, vengono in considerazione, in un caso, le regole di validità con l’erogazione dei rimedi annullatori; e, nell’altro, le regole di condotta, che danno vita alla tutela risarcitoria[25].

Di ciò sembra tenere conto il Codice, nel co. 2 dell’art. 5: recependo un recente punto di approdo della giurisprudenza, infatti, chiarisce che l’operatore economico vanta un affidamento «sul legittimo esercizio del potere» e «sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede». Qui, l’aggettivazione utilizzata dalla norma, nella qualificazione del comportamento, può essere intesa in due modi: sul piano soggettivo, come l’imputabilità tout-court della condotta alla P.A.; sul piano oggettivo, come un modulo comportamentale diverso, che si pone in una relazione di alterità con quello delle parti privati. Se, nella prima lettura (definibile come “minimalista”), l’aggettivazione (meramente descrittiva) risulta del tutto innocua, nella seconda (quella “massimalista”), si allude ad un modello alternativo di condotta, che la norma non si premura, neppure, di individuare. Il punto è che, nell’ambito delle trattative preordinate alla conclusione del contratto, non è configurabile un comportamento “amministrativo”, diverso dai parametri della buona fede e della correttezza, nella declinazione rinvenibile nel codice civile: ipotizzare il contrario, infatti, significa dequotare la paritarietà[26] delle parti nell’ambito delle trattative, ponendo la P.A. su «un piedistallo di intangibilità e perciò di privilegio»[27], con l’effetto di arrestare il processo di “civilizzazione” della P.A.[28].

4. Dai contratti pubblici al riparto tra le giurisdizioni, nel rapporto senza potere secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite

Ma, sul tema, il passaggio più significativo, contenuto nella Relazione al Codice, investe un profilo non direttamente regolato dalla nuova disciplina dei contratti pubblici e, cioè, quello del riparto tra le giurisdizioni. In particolare, la Commissione legislativa prospetta la necessità di “riportare” la cognizione della responsabilità precontrattuale degli enti aggiudicatori entro il perimetro della giurisdizione esclusiva[29]. Con tutta evidenza, l’obiettivo perseguito è quello di imporre la “visione” espressa dai giudici di palazzo Spada[30]. Il che appare un elemento distonico e disarmonico, specie se si considera come sia la stessa Relazione a riconoscere, in premessa, che il nuovo Codice non interviene sul riparto tra le giurisdizioni.

In base a questa lettura del codice del processo amministrativo, la giurisdizione del giudice amministrativo ricomprenderebbe la cognizione di qualsiasi (tipo e forma di) comportamento, che presupporrebbe (sempre e comunque) l’esistenza di un ancoraggio all’esercizio del potere. Tanto che la Relazione giunge, persino, a sollecitare l’adozione di «una norma ad hoc», che risolva «le incertezze in punto di giurisdizione»: ossia, il contrasto tra Sezioni unite e Adunanza plenaria, “esplicitando” come i comportamenti “scorretti” della P.A. presentino, sempre, un collegamento con l’esercizio della potestà amministrativa.

In realtà, la sollecitazione rivolta al legislatore è intesa non già a risolvere “incertezze”, vere o presunte, bensì ribaltare tout-court l’orientamento, ormai consolidato, delle Sezioni unite, con l’obiettivo di imporre, per legge, la tesi propugnata dall’Adunanza plenaria: tale iniziativa non pare condivisibile, attentando a quel controllo che l’art. 111 Cost., al co. 8, attribuisce alle Sezioni unite «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti; ma, soprattutto, contravviene alla riscrittura del riparto operata dai giudici della Consulta, recepita dalla legge processuale amministrativa.

D’altra parte, nella giurisdizione amministrativa si contrappongono due differenti indirizzi, il primo dei quali ritiene che il giudice amministrativo sia munito di giurisdizione, anche quando viene lamentata tout-court l’omessa osservanza degli obblighi di buona fede e di correttezza, in assenza di potere[31]; l’orientamento di segno opposto, invece, si colloca sulle posizioni espresse non già dall’Adunanza plenaria, ma dalla guardiana delle giurisdizioni[32]: l’adesione a quest’ultima opinione comporta la declinatoria della giurisdizione, a favore dell’autorità giudiziaria. Sotto l’angolazione considerata, si è posto, di recente, un Tribunale amministrativo, occupandosi del caso in cui l’aggiudicataria si era rifiutata di procedere, entro il termine di legge, alla sottoscrizione del contratto, fino ad indurre la stazione appaltante a revocare l’aggiudicazione, affidando i lavori alla seconda impresa in graduatoria, sulla base di condizioni economiche per sé meno favorevoli[33]. Merita rimarcare, in proposito, che un caso ricorrente è proprio quello della non aggiudicazione all’esito di una procedura selettiva, con conseguente lesione dell’affidamento dell’operatore. Il potere di non aggiudicare, già previsto dall’art. 95, co. 12, del Codice del 2016 (d.lgs. n. 50/2016), è contenuto anche nel nuovo Codice, all’art. 108, co. 10.[34] In tale contesto va considerata, ancora, la revoca dell’aggiudicazione, quando l’amministrazione aggiudicatrice, deludendo l’affidamento incolpevole dell’operatore economico, scopre, tardivamente, che la gara difetta della copertura finanziaria[35].

In controtendenza si pone, invece, il caso in cui viene esclusa la responsabilità precontrattuale della P.A., quando, a fronte della revoca di un bando di gara, risulta che l’operatore economico non abbia acquisito un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto[36]. Il risultato a cui perviene questo indirizzo è quello di escludere, di fatto, che, prima dell’aggiudicazione, sorga un affidamento ritenuto legittimo: si tratta, peraltro, di una interpretazione svalutativa del canone della buona fede, ponendosi in netto contrasto non soltanto con l’art. 1337 c.c., ma con quanto dispone, in modo inequivocabile, l’art. 5, co. 2, del nuovo Codice. Non ostante la titolarità del potere e del suo legittimo esercizio, l’amministrazione aggiudicatrice può essere ritenuta civilmente responsabile per avere contravvenuto agli standards di correttezza: e, trattandosi di un’attività incidente su un rapporto senza potere, secondo le Sezioni unite, la giurisdizione va attribuita al giudice ordinario, alla stregua di un orientamento, che si è andato consolidando, risalente alle (tre) c.d. ordinanze “gemelle”, rese nel corso del 2011[37].

Più di recente, è emersa una nuova tesi, che ibrida e recepisce il modello teorico della responsabilità civile, elaborato dalle Sezioni unite. Il Consiglio di Stato, se, da un lato, ha riaffermato la propria giurisdizione[38], dall’altro, ha riconosciuto la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, in caso di revoca legittima degli atti di gara a causa dell’indisponibilità finanziaria, laddove questa abbia contravvenuto alle regole di correttezza per avere omesso di informare le imprese concorrenti, con l’effetto di prolungare inutilmente lo svolgimento della gara[39]. In tale modo, ha operato una distinzione tra il buon amministratore e il contraente corretto, corrispondente a quella tra le regole di validità e le regole di comportamento. Resta il fatto, però, che le seconde esulano dall’area del potere e, quindi, dal perimetro della giurisdizione esclusiva, come può anticiparsi sin d’ora.

Ancora, sotto l’imperio del Codice previgente, è stata riconosciuta la risarcibilità del danno, in un caso in cui non si era conclusa una procedura di project financing e la stazione appaltante aveva tenuto un comportamento giudicato illecito: questo perché la procedura selettiva, poi annullata, doveva considerarsi invalida sin dall’origine per fatto imputabile all’amministrazione[40]; si è statuito diversamente, invece, sempre nell’ambito del project financing, quando la pretesa risarcitoria risultava fondarsi sull’omesso completamento della procedura, laddove venivano in rilievo non già le regole di condotta, ma le regole di validità involgenti l’esercizio dell’azione autoritativa[41].

Sulla tematica va registrato il contrasto tra le Supreme Magistrature. Così, di recente, le Sezioni unite hanno cassato il Consiglio di Stato, nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice aveva previamente annullato l’aggiudicazione, a causa dell’omessa consegna, da parte dell’aggiudicatario, della documentazione al medesimo per la stipulazione del contratto[42]: con tutta evidenza, nel caso esaminato il fatto genetico della responsabilità civile non traeva fonte dalla procedura a pubblica evidenza, derivando, per converso, da un comportamento (imputabile all’operatore economico) l’apprezzamento del quale investiva l’osservanza delle regole della buona fede (oggettiva) e della correttezza.

Da ultimo, sempre secondo le Sezioni unite, rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria la lesione dell’affidamento incolpevole, ingenerata, per responsabilità dell’amministrazione, dal piano provinciale delle attività estrattive (P.P.A.E.), successivamente annullato in sede giurisdizionale[43]: il pregiudizio individuato, infatti, non si poneva quale (diretta e immediata) conseguenza dell’illegittimità di un atto o dello stesso esercizio del potere pubblico, bensì come effetto di un comportamento (attivo o omissivo) della pubblica amministrazione, assunto in violazione del principio del neminem laedere; qui, il provvedimento amministrativo non rilevava come elemento costitutivo del fatto illecito, ma integrava un mero antecedente, storico e logico, che determinava l’obbligo di ripristinare l’integrità patrimoniale dell’impresa per le spese da questa sostenute e per le risorse da essa impiegate, a fronte della presentazione del progetto e degli investimenti eseguiti.

5. L’art. 5 del nuovo Codice e la Relazione al medesimo: affidamento legittimo e procedure selettive.

E’ agevole rimarcare, a questo punto, come nei casi appena considerati (ma la casistica, certamente, risulta molto più ampia) l’estensione delle frontiere della responsabilità civile consenta di accordare una tutela risarcitoria dal perimetro più ampio. Diversamente opinando, invece, verrebbero considerati leciti (meri) comportamenti, disancorati dall’esercizio del potere, i quali, non di meno, disattendono quei generali standards di correttezza, che gravano non soltanto su tutti i consociati, ma anche (e, anzi, a fortiori) sugli enti pubblici. Questo, ovviamente, se si conviene sul fatto che, non ostante il previo espletamento di una procedura selettiva tra i partecipanti, l’attività contrattuale della P.A. soggiaccia alle regole di diritto comune. Se così è, ne deriva come corollario che i comportamenti tenuti nel corso delle trattative non possono non osservare il principio di buona fede, la cui violazione, di conseguenza, legittima il ricorso ai rimedi risarcitori. Si tratta di una conclusione che viene rafforzata dal fatto che il nuovo Codice riconosce agli operatori economici, in modo espresso, la titolarità di un affidamento ben prima dell’aggiudicazione (art. 5, co. 2). Questo perché – nel corso dell’intera procedura – operatori ed «enti concedenti» sono tenuti a comportarsi «nel rispetto dei principi di buona fede e tutela dell’affidamento» (art. 5, co. 1): il nuovo quadro normativo, infatti, recepisce il punto d’approdo al quale, ormai da tempo, erano approdate la dottrina e la prevalente giurisprudenza, anche amministrativa[44].

In questo nuovo contesto, pertanto, non si può non dissentire da quelle tesi giurisprudenziali, le quali pervengono ad una interpretatio abrogans di tali principi, con l’effetto di determinare un inaccettabile arretramento dei confini della tutela risarcitoria, attraverso una sostanziale erosione del concetto di affidamento e della sua funzione: accedendo all’orientamento evocato, infatti, i comportamenti preordinati alla formazione del regolamento contrattuale rimarrebbero, ingiustificatamente, privi di qualsiasi forma di reazione da parte dell’ordinamento, pur risultando in contrasto, talora, in modo marcato, con il divieto del neminem laedere.

Va soggiunto, poi, che tale rilievo, pur affondando le sue radici nel diritto sostanziale, si pone in una relazione inscindibile con il processo, con specifico riguardo al riparto tra le giurisdizioni. Se, per un verso, le trattative precontrattuali vanno parametrate alle regole generali contenute negli artt. 1337 e 1338 c.c., costituenti applicazione dell’art. 1175 c.c., per altro verso, la cognizione del rapporto “senza potere” (artt. 24, 103 e 113 Cost.) presuppone la titolarità di situazioni sostantive aventi la consistenza di diritto soggettivo, che esulano dal perimetro di applicazione della giurisdizione esclusiva. Una simile conclusione trova un solido ancoraggio nella legge processuale amministrativa in vigore, redatta nella cornice del diritto vivente scritto dal giudice delle leggi: da una parte, l’art. 7, co. 2, c.p.a., devolve al giudice amministrativo, «nelle particolari materie indicate dalla legge» (art. 103, co. 1, ult. parte, Cost.), oltre all’esercizio (e al mancato esercizio) del potere, i comportamenti a questo riconducibili; dall’altra parte, poi, l’art. 133, co. 1, c.p.a., alle lett. g) e p)[45], precisa che le controversie attribuite al giudice amministrativo debbono sempre essere riconducibili, necessariamente, all’esercizio del potere pubblico. Tale risultato trova ulteriore conferma nel processo amministrativo: per un verso, nell’art. 7, co. 4, c.p.a., che attribuisce la tutela risarcitoria per la lesione di interessi legittimi alla giurisdizione amministrativa di legittimità, nelle «controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni», laddove viene in gioco, secondo la nota formula, il cattivo uso del potere; per altro verso, nel II alinea dell’art. 30 c.p.a. in base a cui il risarcimento del danno deve derivare «dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria»[46].

Né, d’altra parte, potrebbe invocarsi in contrario, in base al combinato disposto degli artt. 1, co. 1, e 7, co. 7, c.p.a., il principio di concentrazione delle tutele e di quello dell’effettività Questo per (almeno) due assorbenti ragioni: la prima, sul piano processuale, è che se la tutela risarcitoria non è cumulabile con quella annullatoria, viene meno, in radice, l’esigenza di una concentrazione tra le stesse; la seconda, sul piano sostanziale, è che rileva (non già la legittimità dell’azione amministrativa, ma) il comportamento riferibile ai corpi pubblici, senza un collegamento con il potere, nell’accezione rinvenibile nella giurisprudenza del giudice delle leggi, che ha riscritto il riparto tra le giurisdizioni. Sotto tale angolazione, non vengono in gioco, in alcun modo, le regole di validità, controvertendosi, per converso, sulla conformità dei comportamenti serbati alle regole generali della correttezza[47], avulsi, come tali, da un collegamento con il potere e con il suo esercizio: ed è in tutti questi casi che, con decorrenza dalla “triade” di ordinanze del 2011[48], la guardiana del riparto, con crescente fermezza, ha ritenuto la cognizione delle controversie spettante alla giurisdizione ordinaria, senza, di certo, incorrere nelle “incertezze” invocate nella Relazione al nuovo Codice dei contratti pubblici.

In particolare, la soluzione da questa propugnata merita censura – sul piano del metodo, come su quello del merito – sotto un ulteriore profilo, forse, più rilevante: la “norma ad hoc”, invocata dalla Commissione legislativa, risulterebbe foriera, infatti, di un significativo arretramento della tutela dei diritti, prefigurandosi di ridurre il perimetro della tutela risarcitoria, mediante una dilatazione, anomala ed ingiustificata, dell’ormai celebre “rete di contenimento”. Va scongiurata, quindi, l’adozione della paventata “norma ad hoc”, che legittimerebbe, sotto più di un profilo, seri dubbi di legittimità costituzionale. In disparte, comunque, l’improprietà della perorazione rivolta al legislatore, da parte delle Commissione legislativa.

In conclusione, non sembra esservi spazio alcuno per porre in discussione il riparto tra le giurisdizioni, grazie alla solidità con cui le Sezioni unite hanno tenuto la barra, consolidando un orientamento che ha evitato pericolose derive interpretative. Il rischio concreto, paventato in queste pagine, è quello di sterilizzare un risultato faticoso, al quale si è pervenuti attraverso un lungo e travagliato percorso: quello consacrato dal nuovo Codice, nei primi due alinea dell’art. 5, riconoscendo che gli operatori economici sono titolari di un affidamento legittimo, nel corso dell’intera procedura di scelta del contraente. Anche se, accanto a molte luci, non mancano zone d’ombra, come quella dischiusa dalla “colpevolezza” dell’affidamento, quando, ai sensi dell’art. 5, co. 3, prima parte, l’illegittimità dell’azione autoritativa risulta «agevolmente rilevabile»: questa previsione rischia, infatti, di compromettere quel processo di “civilizzazione” della P.A., che scendendo dal “piedistallo”, è tenuta ad osservare le medesime regole di correttezza che, nel corso delle trattative, gravano sulle parti private, in base agli artt. 1337-1338 c.c.

  1. Il presente scritto costituisce una rielaborazione della relazione svolta, il 19 giugno 2023, nell’Aula Magna del Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Ferrara, “Il nuovo codice dei contratti: novità, sfide e opportunità.
  2. Si tratta del Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della l. n. 78/2022 (recante delega al Governo in materia di contratti pubblici).
  3. Sul quale, ex aliis: E. Follieri (a cura di), Corso sul codice dei contratti pubblici (aggiornato con il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56), Napoli, 2017; F. Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del codice, degli atti attuativi e dei decreti di semplificazione 2020-2021, III Ed., Torino, 2021; R. Di Pace, Manuale dei contratti pubblici, ristampa aggiornata, Torino, 2021; S. Fantini, H. Simonetti, Le basi del diritto dei contratti pubblici, III Ed., Milano, 2022; A. Longo, Fondamenti di diritto dei contratti pubblici, Milano, 2022.
  4. Rimarcato, da ultimo, da D.U. Galetta, Proporzionalità e controllo sull’azione dei pubblici poteri, in Enc. dir., I Tematici, Potere e costituzione, Milano, 2023, p. 1033, rimarcando «come la circolazione di istituti giuridici nel contesto dell’Unione europea, grazie soprattutto all’opera di disseminazione compiuta, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia di Lussemburgo, abbia prodotto un progressivo ravvicinamento fra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri che fanno parte del cosiddetto spazio giuridico europeo».
  5. M.R. Ferrarese, La governance tra politica e diritto, Bologna, 2010, p. 8. Criticamente, M. Antonioli, A. Maniaci, Dal principio di legalità allo Stato giurisdizionale. Analisi critica dell’interpretazione giudiziaria, Torino, 2020, passim, e P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, Napoli, 2021. La crisi della “legge” può anche essere vista sotto l’angolazione della «esplosione legislativa», in cui lo Stato è ritenuto «una machina legislatoria che si autoalimenta dei problemi e dei guasti che essa stessa crea» G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, p. 84. In argomento, tra gli altri, B.G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte oscure, complicate, Bologna, 2011.
  6. Così, F.G. Scoca, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, VII Ed., Torino, 2021, p. 201, affermando che i principi generali dell’ordinamento «con sempre maggiore vigore, sono diventati, nel contempo, guida dell’azione amministrativa e parametro di valutazione per gli organi deputati al controllo». Sotto un’angolazione non dissimile, M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, VI Ed., Torino, 2022, 66, rimarca «la funzione limitativa del potere» assolta dai principi che governano l’azione autoritativa.
  7. Il principio della c.d. “amministrazione di risultato” rende recessiva la tesi, ormai, risalente, secondo cui la legalità integrerebbe tout-court il principio di buon andamento dell’amministrazione, nella prospettiva dischiusa dall’art. 97, co. 2 (olim 1), Cost., senza tenere conto, invece, dei concorrenti canoni dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa (art. 1, co. 1, l. n. 241/1990, s.m.i.): si tratta di un principio che ha ispirato, in misura crescente, l’azione legislativa (solo ad es., il d.l.gs. n. 150/2009), collegandosi alla nozione aziendalistica di performance. Così, M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, V Ed., Bologna, 2022, pp. 152-153. In argomento, tra gli altri: L. Iannotta, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in C. Pinelli (a cura di), Amministrazione e legalità. Fonti normative, Milano, 2000, pp. 38 ss.; Id., Economia, diritto e politica nell’amministrazione di risultato, Torino, 2003; M. Cammelli, Amministrazione di risultato, in AA.VV., Annuario 2002, A.I.P.D.A., Milano, 2003, pp. 107 ss.; G. Corso, Amministrazione di risultati, ivi, pp. 127 ss.; M. Immordino, A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati. Atti del Convegno (Palermo, 27-28 febbraio 2003), Torino, 2004.
  8. Come rimarca G. Napolitano, in Giorn. dir. amm., 2023, 3, p. 292, si tratta di un «termine ignoto (e fondamentalmente estraneo) alla tradizione del diritto amministrativo e qui impiegato non in senso tecnico, ma nel significato suggerito dal linguaggio comune».
  9. Sul principio dell’affidamento nel diritto pubblico, specialmente, F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970. Dello stesso Autore si vedano anche i successivi contributi: Il principio di buona fede nel diritto amministrativo, in Scritti per Mario Nigro, vol. II, Problemi attuali di diritto amministrativo, Milano, 1991, pp. 215 ss.; Il principio di buona fede e affidamento nel diritto pubblico, cit.; Affidamento, in S. Cassese (diretto da) Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 146 ss. Ex aliis, F. Trimarchi Banfi, Affidamento illegittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, in Dir. proc. amm., 2018, 836 ss.; Id., L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, 867 ss.; A. Travi, Affidamento (Diritto amministrativo), in AA.VV., Le parole del diritto. Scritti in onore di Carlo Castronovo, vol. I, Milano, 2018, pp. 33 ss.; Id., La tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. pubbl., 2018, pp. 216 ss., e F. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995.
  10.  F.D. Busnelli, Lesione di interessi legittimi: dal “muro di sbarramento” alla “rete di contenimento”, in Danno e resp., 1997, pp. 269 ss. Dello stesso Autore: La responsabilità per l’esercizio illegittimo della funzione amministrativa vista con gli occhiali del civilista, in Dir. amm., 2012, pp. 531 ss. Criticamente sulla relativa nozione, F.G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, pp. 13 ss.
  11.  Cass. civ., s.u., 22 luglio 1999, n. 500, pubblicata anche in RIDPC, 1999, con nota di G. Greco, Interesse legittimo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, pp. 1126 ss. Da ultimo, V. Neri, Ripensare la sentenza n. 500/1999 a vent’anni dalla sua pubblicazione, in Urb. e app., 2019, 610 ss. Sulla tematica, si richiama AA.VV., Risarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi, Atti del XLIII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, tenutosi a Varenna-Villa Monastero, il 18-20 settembre 1997, Milano, 1998.
  12. Su cui, specialmente, F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, pp. 287 ss. e, soprattutto, pp. 458 ss. Dello stesso Autore si veda già Per un’amministrazione responsabile, in Giur. cost., 1999, pp. 4045 ss., e, da ult., in Diritto amministrativo, cit., p. 51, affermando che «l’interesse legittimo “vive”, quindi, nel procedimento ed in connessione con (o in funzione dell’esercizio del potere (unilaterale) de parte dell’amministrazione … si colloca nel procedimento, ove fronteggia il potere esercitato dall’amministrazione, rappresentando e difendendo soluzioni favorevoli al suo titolare». Sull’argomento, specialmente, A. Romano Tassone, Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Enc. dir., Agg., Milano, 2002, pp. 983 ss. Nella prospettiva civilistica, per tutti, C. Castronovo, Responsabilità civile, IV Ed., Milano, 2018, pp. 219 ss.
  13. Infatti, secondo F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, cit., pp. 836 ss. e, soprattutto, pp. 865, in nota, l’illegittimità del provvedimento non risulta normalmente riconoscibile.
  14. Sull’argomento, specialmente, F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, pp. 872 ss., secondo cui la chance, per assumere una rilevanza giuridica, resta subordinata al raggiungimento di un determinato livello di probabilità. In materia di sanità: T.A.R. Aosta (sezione I), sentenza 20 aprile 2021, n. 115. Richiedono un rilevante grado di probabilità del danno, da ult.: T.A.R. Lazio-Roma (sezione I), sentenza 2 maggio 2023, Cons. St., 20 febbraio 2023, n. 1722, e Cons. St., 18 ottobre 2022, n. 8860. Per la rilevanza della chance perduta di incrementare il curriculum professionale dell’operatore economico: T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 5 agosto 2020, n. 8992. Sulla responsabilità precontrattuale della P.A., tra gli altri: T.A.R. Veneto (sezione II), sentenza 15 giugno 2020, n. 508. Sulla perdita di aggiudicazione di un appalto pubblico: Cons. St., 4 luglio 2022, n. 5554, e T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 4 gennaio 2021, n. 4. Sul nesso causale, Cons. St., 12 maggio 2023, n. 4800. Sempre sulla perdita di chance: Cons. St., 13 settembre 2021, n. 6268; T.A.R. Lazio-Latina (sezione I), sentenza 30 aprile 2021, n. 264; Cons. St., Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, in Foro it., 2021, III, 394, e in Resp. civ. e prev., 2021, 1246. Sul tema, si richiamano i seguenti contributi degli Studiosi del diritto civile: P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2017; M. Feola, Il danno da perdita di chance, Napoli, 2004; M. Foglia, Errata diagnosi del medico: il problema causale e la chance perduta, in NGCC, I, 2011, p. 449, in nota a Cass. civ., 29 novembre 2010, n. 24143. Criticamente, secondo C. Castronovo, La responsabilità civile, cit., pp. 132 ss., la nozione di danno da perdita di chance sarebbe «diventata, per diritto vivente, una vera e propria situazione giuridica soggettiva».
  15. Sulla quale si veda, da ult., Cass. civ, 1° dicembre 2021, n. 37709.
  16. Si confronti, ancora, G. Greco, La trasmissione dell’antigiuridicità (dell’atto amministrativo illegittimo), in Dir. proc. amm., 2007, pp. 326 ss.
  17.  A. Di Majo, Rapporti senza potere e potere senza rapporti: ancora sul riparto tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, in Corr. giur., 2004, p. 781. Da ult., M. Antonioli, Rapporto senza potere e tutela dell’affidamento. Le nuove frontiere della responsabilità civile della P.A., Milano, 2022.
  18.  M.S. Giannini, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, vol. III, Milano, 1963, oggi edito in Scritti, vol. V, Milano, 2004, pp. 151 ss. Secondo l’Autore, l’amministrazione pubblica, nel condurre una trattativa finalizzata alla conclusione di un contratto non fa esercizio di un potere discrezionale, come tale giudicato non sindacabile dal giudice ordinario (ivi, pp. 158 ss. e, soprattutto, p. 160). Si confronti anche M. Nigro, L’ammini­strazione fra diritto pubblico e diritto privato: a proposito di condizioni legali, in Foro it., 1961, I, pp. 457 ss., in nota a Cass. civ., s.u., 15 novembre 1960, n. 3042. In argomento, più di recente, M. Trimarchi, Sulla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Dir. amm., 3, 2022, pp. 705 ss.; B. Mameli, Responsabilità precontrattuale e buona fede, in AA.VV., Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. IV, Napoli, 2020, pp. 3301 ss.; M.L. Chiarella, La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione tra buona fede e tutela dell’affidamento, in federalismi.it, 2016; M. Protto, Responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urb. e app., 2005, pp. 1005 ss.; Id., La responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi come responsabilità da contatto amministrativo, in Resp. civ. e prev., 2001, pp. 213 ss.; R. Chieppa, Viaggio andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’e­sercizio dell’attività ministrativa, in Dir. proc. amm., 2003, p. 683 e, specialmente, pp. 695 ss.
  19.  Cass. civ., s.u., 12 luglio 1961, n. 1675, in Foro it., 1962, I, 96 e 1675, con nota di L. Bigliazzi Geri. Si veda anche la successiva Cass. civ., 8 maggio 1963, n. 1142.
  20.  Così, Cass. civ., 14 giugno 2021, n. 16743, secondo cui «il principio di correttezza e buona fede (omissis) opera come un criterio di reciprocità e, una volta collocato nel quadro di valori introdotto dalla Carta Costituzionale, deve essere inteso come una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” dettati dal­l’art. 2 Cost. La sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge». 
  21.  M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, cit., pp. 53-54 e p. 240.
  22.  Tale principio viene generalmente ricollegato alla sentenza Töpfer della Corte di giustizia, che, nell’ambito di un ricorso per annullamento (ex art. 173, par. 2, del Trattato CEE, ora art. 263, par. 2, TFUE) ha riconosciuto la ricevibilità del motivo proposto, facendo «parte dell’ordinamento giuridico comunitario», ma non la sua fondatezza. La pronunzia, considerata capostipite, ha dato avvio ad un orientamento che si è andato progressivamente consolidando. Tra le tante, Tribunale CE, sentenza 3 settembre 2009, T-326/07, Cheminova, ECLI:EU:T:2009:299, p.ti. 179 ss.; Tribunale CE, sentenza 4 febbraio 2009, T-145/06, Omya, ECLI:EU:T:2009:27, p.ti 68 e 117 ss.; Corte giust., sentenza 8 giugno 2000, C-396/98, Schloßstraße, ECLI:EU:C:2000:303; Corte giust., sentenza 11 luglio 2002, C-62/00, Marks & Spencer, ECLI:EU:C:2002:435, p.ti 43 ss.; Corte giust., sentenza 10 gennaio 1992, C-117/90, Kuehn; Corte giust., sentenza 28 aprile 1988, 120/86, Mulder, ECLI:EU:C:1988:213, p.ti 23-28. Da ult., Corte giust., sentenza 1° marzo 2022, cause riunite C-306/19, C-512/19 e C-595/19, Milis Energy e a., ECLI:EU:C:2022:164, p.ti 24 ss.; Corte giust., sentenza 20 gennaio 2022, C-165/20, Air Berlin, ECLI:EU:C:2022:42, p.ti 29 ss.; Corte giust., sentenza 15 aprile 2021, cause riunite n. C-798/18 e C-799/18, Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) e a., ECLI:EU:C:2021:280, p.ti 40 ss.; Corte giust., sentenza 11 luglio 2019, nelle cause riunite C-180/18, C-286/18 e C-287/18, Agrenergy e Fusignano Due, ECLI:EU:C:2019:605, p.ti 24 ss. Secondo J. Ziller, Diritto delle politiche europee e dell’Unione europea, Bologna, 2013, p. 539, è la Corte di Lussemburgo a detenere il potere esclusivo di statuire ciò che costituisce (e ciò che, invece, non costituisce) principio dell’Unione. Il principio in oggetto viene posto dalla Corte in connessione con quello della certezza del diritto. S. Bastianon, La tutela del legittimo affidamento nel diritto dell’Unione europea, cit., pp. 84 ss., ritiene che la Corte di giustizia differenzi il principio in esame dagli altri, «attribuendogli una natura sui generis». Collegandolo al principio della certezza del diritto, di carattere statico, ritiene che il legittimo affidamento sia munito di un carattere dinamico, tenendo conto del fattore tempo, «in presenza di uno stretto legame con il principio generale dell’irretroattività della legge» (ivi, p. 86). Il successivo corso della giurisprudenza dell’Unione ha riaffermato i tratti identitari del principio in esame, ribadendo la sua applicazione congiunta con quello della certezza (Corte giust., sentenza 12 dicembre 2013, causa C-362/12, Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation, ECLI:EU:C:2013:834, p.ti 44 e 48-49), in quanto «osta a che una modifica della normativa nazionale privi il contribuente, con effetto retroattivo, del diritto di cui fruiva anteriormente a tale modifica» (Corte giust., sentenza 12 dicembre 2013, causa C-362/12, cit., p.to 45). In senso opposto, circoscrivendo l’applicazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, da ult., Corte giust., sentenza 30 aprile 2020, C-184/19, Hecta Viticol SRL, ECLI:EU:C:2020:337, p.ti 55 ss., e Corte giust., sentenza 9 giugno 2016, C-332/14, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstücksgemeinschaft, ECLI:EU:C:2016:417, p.ti 58 ss. Si veda anche Corte giust., sentenza 11 aprile 2018, C-532/16, SEB bankas, ECLI:EU:C:2018:228, che, nel precisare che «il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione» (p.to 50), afferma che il principio della certezza del diritto non osta a che le autorità tributarie nazionali revochino al soggetto passivo un diritto alla detrazione dell’IVA, purché tale potere di rettifica abbia luogo entro un termine di decadenza, determinato dallo Stato membro nel rispetto del diritto dell’Unione (p.ti 51-53). Da ult., la l. n. 111/2023 (Delega la governo per la riforma fiscale), all’art. 4, co. 1, lett. b), si prefigge di «rafforzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio della certezza del diritto».
  23. In argomento, criticamente, N. Longobardi, Il diritto amministrativo in trasformazione, in N. Longobardi (a cura di), Il diritto amministrativo in trasformazione. Per approfondire, Torino, 2016, pp. 1 ss.
  24. In argomento, specialmente, F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, pp. 867 ss., Id., Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, cit., pp. 836 ss.
  25. Sul tema, ampiamente, C. Cicero, Regole di validità e di responsabilità, in Digesto (disc. priv., sez. civ.), Torino, 2014, pp. 539 ss. Tale distinzione è condivisa anche da Cons. St., Ad. plen., sentenza 4 maggio 2018, n. 5, in Foro it., 2018, III, 453.
  26. Si confronti, in proposito, la celebre tesi, a suo tempo, propugnata da F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario. Scritti giuridici, vol. IV, Milano, 2006, pp. 3230 ss.
  27. C. Castronovo, Responsabilità civile, cit., p. 221.
  28. Così, C. Castronovo, La “civilizzazione” della pubblica amministrazione, in Eur. dir. priv., 2013, pp. 637 ss.
  29. Si confrontino, al riguardo, Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Dir. proc. amm., 2005, 214, in Foro it., 2004, I, 2594, in Giur. it., 2004, 2255, in Giust. civ., 2004, I, p. 2207; Corte Cost., 11 maggio 2006, n. 191, in Giur. it., 2006, 1729; C. cost., 27 aprile 2007, n. 140, in Foro it., 2008, I, 435; e Corte Cost., 5 febbraio 2010, n. 35, in Foro it., 2010, I, 2975, e in Giur. cost., 2011, I, 42. Secondo la medesima Corte, la giurisdizione esclusiva non è ammessa nelle controversie in cui è «assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità» (Corte Cost. n. 204/2004, cit.), anche qualora si versi in una materia rientrante nella giurisdizione esclusiva. Ad avviso di V. Consolo, in V. Carbone, C. Consolo, A. di Majo, Il “waltzer delle giurisdizioni” rigira e ritorna a fine ottocento, in Corr. giur., 2004, p. 1130, con la sentenza n. 204/2004 la Corte costituzionale avrebbe realizzato il più intenso intervento manipolativo nella sua storia, sul quale l’Autore non ha nascosto le proprie «perplessità».
  30.  Cons. St., Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, in Foro it., 2022, 2, III, 68, e Cons. St., Ad. plen., n. 5/2018, cit. La prima delle due pronunzie, senza affrontare la questione del riparto tra le giurisdizioni, ha preso le mosse dalla constatazione che «l’affidamento è un principio generale dell’azione amministrativa». Con ciò ha riconosciuto l’affidamento del privato fondato sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità dell’operato della P.A. «ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica».
  31. Si confrontino, ad es.,T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 23 settembre 2022, n. 12110, identificando i presupposti della responsabilità precontrattuale della P.A.; T.A.R. Trentino-Alto Adige-Trento (sezione I), sentenza 23 maggio 2022, n. 99, in tema di project financing, T.A.R. Campania-Salerno (sezione I), sentenza 10 febbraio 2022, n. 429, e T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 15 novembre 2021, n. 11751.
  32. Così, T.A.R. Basilicata-Potenza (sezione I), sentenza 7 luglio 2022, n. 526, che, in seguito alla declinatoria della lite da parte del giudice ordinario, dopo essere stato adito in riassunzione, ha sollevato un conflitto di giurisdizione (artt. 10 e 11 c.p.a. e 41 c.p.c.), ritenendo che la cognizione della responsabilità precontrattuale della P.A. spettasse alla giurisdizione ordinaria. Questa pronunzia si è spinta a qualificare la responsabilità in questione come responsabilità da “contatto sociale qualificato”, alla stregua dei più recenti approdi della Corte regolatrice del diritto.
  33. In termini, T.A.R. Toscana (sezione I), sentenza 18 novembre 2022, n. 1348. La domanda di risarcimento dei danni, proposta dall’amministrazione aggiudicatrice, fondata sulla violazione dei doveri di correttezza, è stata ritenuta inammissibile per difetto di giurisdizione. Secondo il giudice adito, non ostante l’esclusività della giurisdizione (art. 133, co. 1, lett. e), n. 1, c.p.a.), la pretesa risarcitoria «non si correla ad uno scorretto esercizio del potere, ma ad un comportamento privatistico sleale e contraddittorio, nella fase che precede la stipulazione», per cui «nella vicenda e nella perimetrazione degli elementi costitutivi della responsabilità il potere non riveste alcun rilievo». Sotto l’impero del precedente Codice, la scelta adottata dall’amministrazione aggiudicatrice, in base alla giurisprudenza amministrativa, doveva risultare supportata da una motivazione giudicata idonea e adeguata. Tale orientamento, meritevole di essere condiviso, non trova alcuna smentita nel quadro normativo sopravvenuto.
  34.  Si vedano, ex aliis, T.A.R. Lazio-Latina (sezione I), sentenza 28 giugno 2021, n. 403, T.A.R. Abruzzo-Pescara, (sezione I), sentenza 7 febbraio 2020, n. 50, e T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 12 settembre 2019, n. 10901. In senso analogo, specialmente, Cons. St., 17 febbraio 2021, n. 1455, secondo cui «la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e di tutti gli atti di gara precedenti l’aggiudicazione definitiva, compreso il bando di gara, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione, il cui esercizio prescinde dall’applicazione dell’art. 21, quinquies, l. n. 241 del 1990, pur richiedendosi la sussistenza di concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna la prosecuzione delle operazioni di gara». Si confronti anche T.A.R. Veneto (sezione II), sentenza 16 giugno 2020, n. 508, affermando che «nelle gare di appalto, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’ag­giudicazione, in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento».In riferimento, invece, al Codice antecedente, adottato con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, T.A.R. Lombardia-Milano (sezione IV), sentenza 6 luglio 2021, n. 1655, che ha riconosciuto la legittimità della revoca dell’aggiudicazione, in mancanza della formale stipulazione del contratto, non ostante la sua l’anticipata esecuzione. Si veda anche TAR Lombardia-Brescia (sezione II), sentenza 3 luglio 2018, n. 648, in Foro amm., 2018, 1276, con riguardo al potere di revoca, esercitato in applicazione degli artt. 11, co. 11, 12 e 48 del citato d.lgs. n. 163/2006, puntualizzando che «i doveri di correttezza e buona fede sussistono anche prima e a prescindere dall’aggiudicazione, con la conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto, nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento.
  35.  Cons. St., 23 agosto 2016, n. 3671.
  36.  Da ultimo, T.A.R. Campania-Napoli (sezione VI), sentenza 21 gennaio 2023, n. 276, in Riv. giur. ed., 2023, 2, I, 37, T.A.R. Aosta (sezione I), sentenza 29 settembre 2022, n. 45, e T.A.R. Lazio-Roma (sezione II), sentenza 23 settembre 2022, n. 12110. In senso analogo, in tema di project financing, Cons. St., 27 ottobre 2023, n. 9298, secondo cui è necessario «un ragionevole affidamento», disconosciuto nel caso deciso.
  37.  Si tratta di Cass. civ., s.u., 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596, anche in Corr. giur., 2011, 943. Nel medesimo solco si collocano numerose pronunce, tra cui, Cass. civ., s.u., 4 settembre 2015, n. 17586, sulla quale, criticamente, C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 2016, pp. 569-570.
  38.  Così, Cons. St., 12 settembre 2023, n. 8273. Diversamente, invece, da ultimo, Cass. civ., s.u., 28 agosto 2023, n. 25324, riaffermando, anche in riferimento all’art. 5 contenuto nel nuovo Codice de contratti pubblici (ivi, 7.10), la giurisdizione ordinaria sulla domanda proposta dal privato, nei confronti della P.A., per conseguire il risarcimento dei danni causati dalla lesione dell’affidamento incolpevole riposto sull’adozione di un provvedimento ampliativo della propria sfera soggettiva, in quanto il pregiudizio deriva dalla violazione dei principi di correttezza e buona fede, che si traducono in regole di responsabilità, anziché di validità dell’atto (nello stesso senso, ex aliis, Cass. civ., s.u., 24 gennaio 2023, n. 2175, in Foro amm., 2023, 3, II, 341). Non di meno, va considerato che Cons. St., n. 8723/2023, cit., nel ritenere la propria giurisdizione, ha convenuto con le Sezioni unite nell’imputabilità della responsabilità civile, di carattere precontrattuale, dell’ente pubblico «per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito la aggiudicazione provvisoria è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza». Soggiunge il medesimo dictum che «la revoca è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune di Roma non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per tre anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2010» (ivi, p.ti 8.3.5. e 8.3.6.).
  39.  Muovendo dal rilievo, sopra considerato, che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, la decisione ha riscontrato la violazione degli obblighi informativi gravanti sulle parti, nel corso delle trattative. Infatti, il Comune di Roma era, da tempo, a conoscenza delle difficoltà legate al patto di stabilità e gli altri fattori esogeni che avrebbero determinato l’invalidità della procedura contrattuale. Sicché, con un comportamento superficiale, disattento e scorretto l’amministrazione ha omesso di informare tempestivamente gli operatori economici dell’impossibilità di stipulare il contratto e di eseguire l’appalto. L’amministrazione è stata condannata a risarcire l’aggiudicatario provvisorio, nei limiti dell’interesse negativo, delle spese amministrative e progettuali sostenute per la partecipazione alla gara (Cons. St., n. 8273/2023, cit.). In senso analogo, Cons. St., n. 9298/2023, cit.
  40. Si veda, in proposito, Cons. St., 11 gennaio 2018, n. 111.
  41. Cass. civ, s.u., 18 ottobre 2022, n. 30712, in Foro amm., 2023, 1, II, 10.
  42. Così, Cass. civ, s.u., 4 gennaio 2023, n. 111.
  43. In questo senso, Cass. civ, s.u., 6 febbraio 2023, n. 3496.
  44. Cons. St., n. 21/2021, e Cons. St., n. 5/2018, sopra citate. Anche se l’affermazione di tale principio rischia di rimanere sulla carta, se, poi, nella concreta applicazione, ad esso vengono posti condizioni e limiti, destituiti di un ancoraggio normativo, come avviene, spesso, nella giurisprudenza amministrativa: si veda, in proposito, il caso sopra richiamato, in cui l’affidamento, pur meritevole di protezione prima e indipendentemente dall’aggiudicazione, venga, comunque, escluso, affermandosi che il concorrente non avrebbe maturato un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
  45. Si tratta dei casi dell’espropriazione per pubblica utilità, delle ordinanze e dei «provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazione di emergenza» e, infine, della «complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti».
  46. Ex aliis, D. Falcon, F. Cortese, B. Marchetti, Commentario breve al codice del processo amministrativo, Padova, 2021, pp. 46 ss., pp. 312 ss. e, specialmente, p. 313; A. Police, Lezioni sul processo amministrativo, Napoli, 2021, pp. 116 ss.; F. Carrai, La tutela risarcitoria a fronte dell’illegittimo esercizio del potere, in V. Cerulli Irelli, L. De Lucia (a cura di), L’invalidità amministrativa, Torino, 2009, pp. 49 ss. e, specialmente, pp. 86 ss.; E. Follieri, Il Modello per lesione di interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in Dir. proc. amm., 2006, pp. 18 ss.; F.P. Luiso, Pretese risarcitorie verso la pubblica amministrazione, in Riv. dir. proc., 2002, pp. 43 ss.
  47. Non diversamente, sul punto, Cons. St., n. 8273/2023, cit.
  48. Cass. civ., s.u., nn. 13659, 13660 e 13911, cit.

Marco Luigi Antonioli

Associate Professor of Administrative Law, University of Ferrara.