1/2020

In questa nota vengono presentate risposte ad alcune domande sul rapporto tra Unione Europea e Italia in questo primo periodo di crisi provocato dalla pandemia del coronavirus.


European Union and Coronavirus
This paper answers to some questions on the relationship between the European Union and Italy in this period of crisis caused by the coronavirus pandemic.

1. Cosa ha fatto l’Europa per aiutare l’Italia, così come gli altri Stati membri, nella crisi del coronavirus?

La Banca centrale europea (BCE) ha deciso nella notte tra il 18 e il 19 marzo di riacquistare immobilizzazioni bancarie per 750 miliardi di euro, portando il suo intervento a 1.000 miliardi, più della Federal Reserve degli Stati Uniti. Ciò dovrebbe incoraggiare le banche a fare prestiti a determinate società e, quindi, consentire loro di far fronte al rallentamento o alla sospensione delle loro attività.

La Commissione europea ha annunciato la sospensione dell’applicazione dei criteri del patto di stabilità nell’esame dei progetti di bilancio e dei bilanci rettificativi degli Stati membri. Ciò consente all’Italia, alla Francia e agli altri Stati membri di intervenire con la loro politica fiscale anche se si allarga il disavanzo di bilancio e si aumenta il debito pubblico. La Commissione ha inoltre consentito all’Italia di utilizzare fondi europei che non aveva speso e che avrebbe dovuto rimborsare al bilancio dell’Unione quest’anno.

La Commissione ha annunciato che terrà pienamente conto della situazione di emergenza nell’esaminare le sovvenzioni dirette e indirette fornite dagli Stati membri e dai loro enti locali alle imprese (aiuti di Stato). Tali sovvenzioni devono infatti essere verificate dalla Commissione per evitare la concorrenza sleale tra imprese di diversi Stati membri.

Le istituzioni europee (Commissione, Parlamento europeo e Consiglio dei ministri, costituite da membri di governi nazionali) avevano già da tempo fatto uso dei poteri (molto limitati) che gli Stati avevano loro concesso in materia di salute. Una direttiva (la n. 92/117/CEE) del 17 dicembre 1992 aveva imposto agli Stati di adottare misure di protezione contro determinate malattie e infezioni che avrebbero potuto essere trasmesse naturalmente dagli animali all’uomo (zoonosi) e contro batteri, virus o parassiti che possono causare zoonosi. Una decisione (la n. 2119/98 /CE) del 24 settembre 1998 aveva creato una rete per la sorveglianza e il controllo delle malattie trasmissibili, che include un sistema di allarme e risposta precoce finalizzato alla prevenzione e al controllo di tali malattie. Se il nuovo coronavirus fosse arrivato da un altro Stato membro, in Italia, le autorità sanitarie italiane sarebbero state allertate “in tempo reale”: come lo sono state le autorità francesi quando il virus è stato identificato in Italia. Questa decisione è stata integrata e sostituita da una nuova decisione (la n. 1082/2013/UE) del 22 ottobre 2013, che consente anche l’acquisto congiunto di farmaci da parte degli Stati membri; un accordo per l’acquisto congiunto è stato approvato dalla Commissione il 10 aprile 2014. Entro febbraio 2020, 25 paesi dell’UE, nonché il Regno Unito, lo avevano firmato (ad esempio la Spagna il 20 giugno 2014, l’Italia il 16 ottobre dello stesso anno, la Francia il 22 settembre 2015, la Germania, il 18 aprile 2016).
Il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC) dell’Unione ha attivato, il 28 gennaio 2020, il meccanismo di protezione civile per il rimpatrio dei cittadini europei da Wuhan e l’Unione ha cofinanziato i costi del trasporto di aeromobili per rimpatrio di persone sane o asintomatiche.

La Commissione europea ha deciso, il 31 gennaio 2020, di investire urgentemente 10 milioni di euro nel programma Horizon 2020 (Ricerca e innovazione) per sostenere la ricerca sul nuovo coronavirus, oltre a 47,5 milioni di euro già impegnati prima della crisi per finanziare la ricerca su vaccini, trattamenti, test diagnostici e misure preventive.

Il 27 marzo, la Commissione ha proposto di rendere disponibili 75 milioni di € provenienti dal bilancio UE per aiutare gli Stati membri a rimpatriare cittadini UE e per incrementare le risorse disponibili per la scorta di attrezzature mediche rescEU a 80 milioni di € il bilancio totale della prima. Lo strumento giuridico è un progetto di bilancio rettificativo, che prevede inoltre, tra l’altro, 3,6 milioni di € destinati al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, per rafforzare la capacità di individuare, valutare e comunicare le minacce per la salute umana derivanti dalle malattie infettive e, in particolare, aumentare la capacità di esperti alla luce della crisi da coronavirus. Il 29 marzo, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria straordinaria a distanza, l’”iniziativa di investimento in risposta al coronavirus”[1], l’estensione dell’ambito di applicazione del Fondo di solidarietà (FSUE) affinché comprenda le gravi emergenze di sanità pubblica e definire operazioni specifiche ammissibili al finanziamento[2], nonché la ospensione temporanea delle norme UE sugli slot aeroportuali[3]; la sospensione temporanea significa che le compagnie aeree non sono obbligate a utilizzare le loro bande orarie di decollo e atterraggio previste per mantenerle nella prossima stagione corrispondente.

2. Cosa si fa per rifornire maschere, forniture mediche e dottori, ai Paesi sotto attacco del coronavirus?

Il 1 ° febbraio 2020, la Cina ha chiesto all’Unione europea di facilitare la consegna di forniture mediche urgenti nel suo paese, che la Commissione ha immediatamente sostenuto, in una dichiarazione di Ursula von der Leyen del 3 febbraio. La Francia ha inviato 17 tonnellate di materiale a Wuhan il 19 febbraio. In Francia, un deputato del Front National ha criticato il 15 marzo questa spedizione, senza tener conto del fatto che il primo caso noto in Italia, a Codogno, risaliva solamente al 21 febbraio.

Inviare mascherine in Italia, Spagna e Francia poco più di un mese dopo è un gesto di reciprocità da parte della Cina. Dopo che la Germania, il 4 marzo, e la Francia, poco dopo, hanno annunciato il divieto di esportazione di mascherine dopo aver osservato movimenti di merci di natura sospetta, la Commissione europea ha ricordato che questa restrizione non poteva applicarsi tra i paesi membri dell’Unione, ed ha al contrario deciso che le esportazioni al di fuori dell’Unione avrebbero dovuto essere soggette ad autorizzazione preventiva.

La Commissione europea ha deciso, il 19 marzo, di costituire una scorta strategica “rescEU” di attrezzature mediche, tra cui ventilatori e mascherine protettive, per aiutare i paesi dell’UE nel contesto della pandemia di COVID-19 (v. sopra 7.)

Nel 2016, su iniziativa di Germania e Francia, l’Unione ha creato un Corpo medico europeo (i c.d. “caschi bianchi”) il cui spiegamento è coordinato dal Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC), che è il centro operativo del meccanismo di protezione civile e che coordina tra l’altro l’assistenza in caso di incendi boschivi. I Caschi bianchi intervengono per aiutare gli Stati che non dispongono di capacità mediche sufficienti (come in Africa con la crisi del virus Ebola); ovviamente, dal momento che la crisi del coronavirus si sta diffondendo in tutti gli Stati membri, questo presidio medico è troppo limitato in numero di medici per potere venire in aiuto di un paese come l’Italia. Mentre viene fatta tanta pubblicità per l’invio, benvenuto, di medici Cinesi, Cubani o Russi, non è stato rilevato nelle notizie che la Germania ha accolto dei malati di Covid-19 in provenienza di Francia ed Italia.

3. La chiusura delle frontiere è la fine dell’Unione europea?

Se le persone comunque non possono circolare se non per la spesa o un po’ di moto, la “chiusura dei confini” non ha alcun impatto su di loro, tranne che nelle regioni frontaliere. Il codice Schengen prevede la possibilità di ripristinare i controlli alle frontiere per motivi di ordine pubblico (come ha fatto la Francia con gli attacchi terroristici); nella situazione attuale, l’ordine pubblico include il controllo di possibili vettori di virus e ora sappiamo che lo sono anche soggetti sani.

La libera circolazione delle persone significa soprattutto che i cittadini europei hanno il diritto di essere e di rimanere in qualsiasi paese dell’Unione e che non dovrebbero essere discriminati perché non sono cittadini del paese in cui si trovano. Questo non è cambiato con la crisi del coronavirus, come ben sanno gli stranieri comunitari che (come me) vivono in Italia.

La libera circolazione delle merci non è stata soppressa; si applica a tutti i paesi dell’Unione europea nonché alla Svizzera e a Norvegia, Islanda e Liechtenstein; e fino alla fine del 2020 anche Regno Unito. Nessun dazio doganale, nessuna imposta, nessuna restrizione quantitativa è stata imposta tranne quella annunciata (e poi rimossa) sulle mascherine. I controlli sui camionisti possono essere solo di natura sanitaria. Il trasporto di pacchi ordinati via Internet non viene bloccato alla frontiera fintanto che non vi è un divieto di trasporto delle merci sull’intero territorio di un Paese.

La chiusura delle frontiere esterne dell’Unione, annunciata sia dal presidente della Repubblica francese che dal presidente della Commissione europea, significa semplicemente che gli Stati membri si coordinano per la gestione dei voli passeggeri in provenienza da paesi terzi: All’inizio dell’anno, solo l’Italia aveva bloccato i voli passeggeri dalla Cina e nulla ha impedito a un passeggero che arrivava in Francia di recarsi in Italia.

4. Perché l’Europa non è intervenuta prima?

Le istituzioni dell’Unione non hanno alcun potere di polizia sui territori degli Stati membri. Il bilancio dell’Unione europea (quasi mezzo miliardo di abitanti) nel 2020 prevede circa 150 miliardi di euro di pagamenti, mentre ad esempio quello dello Stato francese (65 milioni di abitanti) ne prevede più di 340 miliardi, oltre ai bilanci delle amministrazioni locali.

Le istituzioni dell’Unione non possono, inoltre, intervenire nella crisi sanitaria – imprevedibile due mesi fa- se non attraverso la diffusione di informazioni e l’organizzazione di riunioni.

In realtà la reazione delle istituzioni europee è stata notevolmente rapida, poiché si deve tener conto del fatto che la maggior parte delle decisioni importanti necessita di riunioni di rappresentanti di tutti gli Stati membri, che si svolgono in videoconferenza.

Vero è che, mentre le istituzioni di natura sovranazionale – anzitutto la BCE e la Commissione – hanno reagito molto rapidamente, il Consiglio europeo è l’Eurogruppo – il Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze ristretta ai paesi dell’Eurozona – non è stato capace finora di raggiungere un accordo su misure innovatrici di sostegno all’economia dei paesi più colpiti. La ragione e semplice: il Consiglio europeo e il Consiglio sono composti da membri degli esecutivi degli Stati membri che devono rendere conto al loro elettorato nazionale e quindi fanno fatica a focalizzarsi sull’interesse generale dell’Unione. E tuttavia notevole che l’Italia fa parte di un fronte comune di nove Stati membri, tra cui la Francia e la Spagna, ma anche il Belgio, che rappresentano il 60 % del PIL dell’Unione. Già pochi giorni dopo la riunione fallita del Consiglio europeo del 26 marzo, c’è chi in Germania e in Olanda ha sottolineato che se fallisce economicamente l’Italia, ne soffriranno anche questi paesi. Si ricorda che nove è il numero di Stati membri necessario secondo il TFUE per l’avvio di una cooperazione rafforzata. La paralisi del Consiglio europeo, che si auspica di poca durata, dimostra la correttezza dell’intuizione di Jean Monnet e Paul Reuter che hanno ideato l’Alta Autorità del Carbone e dell’Acciaio proposta nella dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950.

È meno la crisi che conta per il futuro dell’Unione europea, quanto il post-crisi. Molto probabilmente, finiremo come nel periodo post-Seconda Guerra Mondiale, con tutto da ricostruire. Si parla sempre della cooperazione franco-tedesca che ha permesso di evitare gli errori dell’era postbellica successiva alla Prima guerra mondiale. Non dimentichiamo, però, che le iniziative che sono seguite alla proposta di creare la Comunità europea del carbone e dell’acciaio sono state soprattutto iniziative franco-italiane. Infatti, nel 1952 sia il progetto di Comunità europea di difesa, sia quello di Comunità politica europea sono state iniziative congiunti dei due paesi. Se ritrovano questo spirito i nostri due paesi, che sono stati i primi colpiti dal contagio del coronavirus, saranno in grado di promuovere progetti adatti alle sfide future. Nel preparare il “Trattato del Quirinale” l’Europa dovrà essere centrale come meta comune delle istituzioni dei due Paesi.

  1. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020PC0113&from=EN
  2. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020PC0114&from=EN
  3. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52020PC0111

Jacques Ziller

Former Full professor of European Union law at the University of Pavia, former Professor of comparative public law and European Union law at the European University Institute of Fiesole, anciennement professeur de droit public à l'Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne