T.A.R. Lazio, Sez. I-ter, 6 giugno 2024, n. 11559, Ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

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T.A.R. Lazio, Sez. I-ter, 6 giugno 2024, n. 11559, Ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

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Il TAR Lazio rinvia alla Corte di Giustizia tre questioni in ordine alla compatibilità delle norme italiane in materia di sanzioni disciplinari sportive e contestazione delle stesse (d.l. n. 220/2003 conv. l. n. 280/2003) con il diritto dell’Unione, in particolare, con il principio della tutela giurisdizionale effettiva, con il principio di legalità, di tassatività e di sufficiente determinatezza delle fattispecie incriminatrici, nonché con le libertà fondamentali di cui agli artt. 45, 49, 56 TFUE.


The Regional Administrative Court of Lazio referred to the Court of Justice three questions concerning the compatibility of the Italian rules on sporting disciplinary sanctions (Decree-Law n. 220/2003 converted into Law n. 280/2003) with European Union law and, in particular, with the principle of effective judicial protection, with the principle of legality, with the principle of the specific nature and sufficient determination of the offences, and with the fundamental freedoms under Articles 45, 49 and 56 TFEU.

Il T.A.R. Lazio interroga il Giudice dell’Unione europea in ordine alla compatibilità delle norme interne, in materia di giustizia sportiva, contenute nel d.l. n. 220/2003 conv. in l. n. 280/2003, con il diritto dell’Unione.

La causa principale avanti al T.A.R. capitolino ha ad oggetto l’impugnazione delle decisioni adottate dagli Organi di giustizia sportiva presso il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e la Federazione Italiana Giuoco Calcio, che hanno sanzionato il ricorrente – un dirigente sportivo di una nota società calcistica – disponendo allo stesso l’«inibizione temporanea di mesi 24 a svolgere attività in ambito FIGC, con richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA».

Il dirigente si rivolge dunque al Giudice amministrativo e, oltre a contestare la legittimità delle decisioni degli Organi di giustizia sportiva, solleva questioni di compatibilità tra diritto interno e diritto UE che vengono in parte recepite nell’ordinanza di rinvio.

Già nelle premesse, in termini assai generali ma indicativi del proprio orientamento, il T.A.R. osserva che il bilanciamento operato dalla legge italiana tra autonomia dell’ordinamento sportivo e tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi «sembra entrare in conflitto coi principi dell’Unione europea» (punto 14, Ordinanza).

È noto in dottrina, come lo sport occupi una posizione particolare nell’ordinamento. Lo stesso giudice del rinvio ne è consapevole, richiamando la c.d. “sporting exception” la quale opera quale esonero dall’obbligo di rispettare il diritto europeo nell’area delle regole tecniche poste a base dell’attività sportiva, in quanto regole puramente sportive, giustificate da motivi non economici e connesse all’agonismo (punto 15, Ordinanza). La connessa specificità del fenomeno sportivo determina in altri termini una sorta di riserva all’ordinamento sportivo nazionale, inteso come ordinamento originario riconosciuto dalla legge nazionale (Costituzione italiana, artt. 2 e 18) (punto 15.1, Ordinanza). Il principio di specificità e autonomia dell’ordinamento sportivo è espresso in Italia dalla legge n. 280/2003 (di conversione del d.l. n. 220/2003).

Laddove tuttavia non ricorrano questioni tecniche, che giustificano il predetto esonero dal rispetto del diritto europeo, subentra la primazia di quest’ultimo rispetto a norme interne eventualmente in contrasto con esso.

Il contrasto può in particolare emergere, osserva il T.A.R., con riferimento al piano del diritto sostanziale, ossia con riferimento alle libertà fondamentali, sul piano economico – rientrando le attività sportive e le connesse attività nel genus delle attività economiche – nonchè sul piano processuale nel senso di limitare la possibilità agli operatori di ottenere tutela giurisdizionale (punto 15.2, Ordinanza).

Con riferimento alla prima questione, che costituisce il primo quesito di rinvio e che ad avviso di chi scrive in realtà è fortemente connesso con il terzo aspetto (il «piano processuale» come chiamato dal T.A.R.), il T.A.R. svolge un articolato ragionamento.

Secondo il decreto-legge n. 220/2003, convertito nella legge n. 280/2003, come interpretato nel diritto vivente nazionale, l’autorità giudiziaria nazionale (T.A.R. e Consiglio di Stato), osserva il giudice del rinvio, non può annullare o sospendere i provvedimenti sanzionatori amministrativi emanati dalla giustizia sportiva. Sotto questo punto di vista, dunque, il quadro normativo e giurisprudenziale attualmente in vigore nell’ordinamento italiano sembra in contrasto con il diritto del ricorrente ad un ricorso e ad un processo effettivo ed in particolare con gli artt. 6 e 19, par. 1, TUE e art. 47 Carta dei diritti fondamentali UE (punto 16).

La questione è peraltro aggravata dal precedente con cui la Corte costituzionale, con le sentenze n. 49 del 2011 e n. 160 del 2019, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità sollevata con riguardo alla l. n. 280/2003, per la parte in cui la normativa riserva agli organi di giustizia sportiva la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto le sanzioni disciplinari, con sottrazione delle stesse al sindacato del giudice amministrativo. La Corte costituzionale, rammenta il T.A.R., ha escluso infatti che «… la mancanza di un giudizio di annullamento … venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost.» (Corte Cost. sentenza n. 49/2011). Contrariamente, evidenziano i Giudici capitolini, la Corte di Giustizia ha ribadito il principio di effettività del ricorso giurisdizionale, strumento imprescindibile per la tutela della rule of law in ambito europeo. Il principio, espresso dall’art. 19, par. 1, TUE («Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione»), trova affermazione anche nell’art. 47 CDFUE, il quale assurge a sua volta a norma di diritto primario (la Carta di Nizza ha «lo stesso valore giuridico dei Trattati» ai sensi dell’art. 6 par. 1 TUE). Nel caso di sanzione interdittiva – il cui effetto afflittivo grave consiste, nel caso posto all’attenzione del T.A.R., nell’impedire al ricorrente lo svolgimento di specifiche attività anche di tipo economico – il mero rimedio risarcitorio per equivalente pecuniario non può essere considerato equiparabile alla rimozione della sanzione stessa.

Spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, osserva il Giudice del rinvio, stabilire le modalità processuali di tali rimedi giurisdizionali; a condizione, tuttavia, che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività) (sul punto il T.A.R. fa richiamo espresso alla Corte giust., sentenza 21 dicembre 2021, C497/20, Randstad Italia, EU:C:2021:1037, punto 58; Corte giust., sentenza 10 marzo 2021, C-949/19, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N., EU:C:2021:186, punto 43 e giurisprudenza ivi citata) (punto 22, Ordinanza).

Il T.A.R. conclude in pratica nel senso che il diritto unionale e la giurisprudenza sembrano ostare al quadro normativo nazionale, in quanto società, associazioni, affiliati e tesserati sportivi in Italia: 1) sono costretti ad adire gli organi di giustizia sportiva per contestare le sanzioni; 2) una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva non possono ricorrere al giudice amministrativo per contestare le sanzioni e possono unicamente chiedere l’accertamento in via incidentale dell’illegittimità e il risarcimento per equivalente; 3) non possono a fronte di provvedimenti amministrativi del giudice sportivo, di cui sia accertata l’illegittimità, annullare o sospendere la sanzione disciplinare irrogata.

Con riferimento alla seconda questione pregiudiziale, il T.A.R. dubita che le norme in materia di sanzioni disciplinari sportive siano compatibili con il diritto UE e con la giurisprudenza della Corte: in particolare con l’art. 6 TUE, l’art. 7 CEDU, l’art. 49 CDFUE nonché con il principio di proporzionalità e legalità in materia sanzionatoria e penale (punto 24, Ordinanza).

Sul punto infatti il T.A.R. afferma (seppure in un punto successivo, relativo al terzo quesito) che il potere disciplinare conferito alla Federazione non appare essere «collocato in un quadro di criteri sostanziali che sia trasparente, determinato e preciso». È assente, in altri termini, nella legge n. 280/2003, una definizione dei criteri sostanziali sulla base dei quali la giustizia sportiva deve esercitare il proprio potere di sanzione disciplinare (punto 25, Ordinanza).

E ciò non può essere ammesso in considerazione del fatto che la giurisprudenza sovranazionale afferma che debbano essere fornite le medesime garanzie in termini di legalità e proporzionalità tanto alle sanzioni qualificate dall’ordinamento nazionale come reati quanto alle sanzioni che, seppure non penali, assumono carattere afflittivo (sentenza Engel and others v. the Netherlands del 1976, Öztürk v. Germany del 1984, Grande Stevens v. Italy del 2014 e A. and B. v. Norway del 2016) (punto 24).

Con il terzo quesito (terza questione pregiudiziale) il Giudice capitolino chiede, con il rinvio, se le norme interne sportive siano compatibili con le libertà fondamentali dell’individuo di circolazione e di concorrenza riconosciute dai Trattati (punto 25, Ordinanza). Il T.A.R. richiama a questo proposito la nota e recente sentenza Superlega affermando che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le decisioni assunte dalle associazioni di diritto privato organizzatrici delle competizioni calcistiche quali la FIGC possono essere qualificate quali «decisioni di associazioni di imprese» ai sensi dell’art. 101 TFUE e sono quindi soggette alle previsioni di tale disposizione (cfr. Corte giust., sentenza 21 dicembre 23, C-333/21, European Superleague Company SL, par. 87). Nel caso concreto, è evidente che la sanzione disciplinare della inibizione allo svolgimento delle proprie attività nei confronti di un manager di una società sportiva sia, nel concreto, un limite all’esercizio di un’attività economica e dunque sia ancora più importante che il potere sanzionatorio sia esercitato con tutte le garanzie per il destinatario della sanzione.

Stefano D'Ancona

Research fellow at the IUSS (Scuola Universitaria Superiore) of Pavia and Lawyer at the bar of Milan (qualified as Associate Professor of Administrative Law)