Sviluppo sostenibile e appalti pubblici. Sul ruolo degli appalti innovativi come strumento di sostenibilità

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4/2022

Sviluppo sostenibile e appalti pubblici. Sul ruolo degli appalti innovativi come strumento di sostenibilità

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Il contributo affronta in chiave giuridica il rapporto che intercorre fra sviluppo sostenibile e sistema degli appalti pubblici. Dopo aver esaminato l’applicazione della strategia del Sustainable Public Procurement nei c.d. appalti “tradizionali”, l’analisi approfondisce i vantaggi che possono derivare, sul piano della sostenibilità, dal ricorso, da parte delle stazioni appaltanti, ai c.d. appalti “innovativi”.


Sustainable development and public procurement
The role of innovative procurement as a sustainability tool. The paper analyses the relationship between sustainable development and public procurement system from a juridical perspective. After having examined the application of the “Sustainable Public Procurement” strategy in so-called “traditional” procurement, the study explores the sustainability benefits that can be derived from the use of so-called “innovative” procurement by contracting administrations.

1. Introduzione. Un’istantanea del sistema degli appalti

Uno dei vantaggi derivanti del processo di digitalizzazione del settore pubblico, e della pubblica amministrazione in particolare[1], è l’aver messo a disposizione dei cittadini alcuni strumenti informatici in grado di fotografare, con precisione e attendibilità[2], specifici settori amministrativi. Uno di questi strumenti digitali è la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP)[3], che, grazie alla gestione dell’ANAC, raccoglie, analizza e rende disponibile i dati aperti relativi ai contratti pubblici italiani, anche tramite strumenti di data visualisation.

Dall’elaborazione dei dati della BDNCP riferiti all’anno 2021[4], l’istantanea che ritrae il c.d. sistema dei contratti pubblici[5] è contraddistinta da alcune caratteristiche. Innanzitutto, il valore complessivo dei contratti pubblici rappresenta un’ampia percentuale della ricchezza che viene prodotta, ogni anno, nel nostro Paese[6]. Questa ricchezza, derivante da un numero elevato di procedure di aggiudicazione concluse (più di 5 milioni), è tuttavia ridimensionata da alcuni aspetti strutturali. Da un lato, la presenza di molte stazione appalti (più di 25.0000) ma di poche centrali di committenza; dall’altro, la distribuzione non omogenea delle amministrazioni contraenti sul territorio nazionale. Il risultato di questi due aspetti si traduce nella circostanza per cui la maggior parte di tutte le procedure di aggiudicazione concernono appalti di servizi, nel settore ordinario, di importo compreso fra i 40.000 € e i 150.000 €[7].

A fronte di questo quadro ricostruttivo, ci si potrebbe interrogare se sia possibile rendere maggiormente sostenibile il c.d. sistema italiano degli appalti pubblici[8] favorendo, così, lo sviluppo sostenibile. E, a fortiori, in che modo l’innovazione possa essere d’aiuto a tal fine.

Prima di poter procedere ad affrontare il quesito posto, pare tuttavia necessario precisare il significato del concetto di sostenibilità.

2. Il concetto di sostenibilità. Sostenibilità come sviluppo sostenibile, fra tutela dell’ambiente e crescita economica

Se nel 1996 si fosse aperto il vocabolario alla ricerca del significato del termine “sostenibilità”, il risultato trovato sarebbe stato alquanto scarno. Infatti, sarebbe risultata per “sostenibilità” soltanto la «[c]ondizione di ciò che è sostenibile»[9]; mentre, cercando di aggirare l’ostacolo alla ricerca di “sostenibile”, sarebbe risultato soltanto un tautologico «[c]he si può sostenere»[10].

Tuttavia, già soltanto pochi anni dopo, si sarebbe trovata nei dizionari una definizione vera e propria di sostenibilità, ovvero «[n]elle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri»[11].

Dalla definizione sopra riportata si evince come il concetto di “sostenibilità” sia, dunque, strettamente legato a quello di “sviluppo sostenibile”. Anzi: è possibile affermare che vi sia equivalenza e sovrapposizione fra questi due concetti[12]. Si avrà, infatti, sostenibilità qualora lo sviluppo non sia in grado di pregiudicare le generazioni successive. E ciò perché soltanto uno sviluppo orientato a preservare il futuro può essere definito sostenibile.

La consapevolezza odierna della necessità di tutelare i diritti delle generazioni future è frutto di un percorso iniziato alla fine della seconda guerra mondiale e maturato in particolare negli atti Settanta e Ottanta del secolo scorso. Il punto di partenza di questo iter è rappresentato dalla United Nations Charter del 1945, con la quale si intendeva tutelare le generazioni successive evitando il rischio di un ennesimo conflitto mondiale che, come la IWW e la IIWW, potesse mettere nuovamente a repentaglio la vita di milioni di persone[13]. Nella visione della United Nations Charter, dunque, il mezzo con cui tutelare le generazioni future era rappresentata dalla pace. Successivamente, invece, con la Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment[14] (c.d. Dichiarazione di Stoccolma) del 1972, per la prima volta si è messa in relazione la tutela dell’ambiente con la tutela delle generazioni future, sul presupposto che salvaguardando l’ambiente e le risorse naturali si potesse garantire ai posteri il soddisfacimento dei propri bisogni[15]. Grazie al c.d. Brundtland Report, intitolato Our Common Future[16] e approvato a seguito della World Commission on Environment and Development (WCED) delle Nazioni Unite del 1983, invece, per la prima volta venne cristallizzato il principio dello sviluppo sostenibile. In questo documento, infatti, esso viene definito come «development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs»[17].

Come è stato osservato dalla dottrina, nella definizione data dalla WCED lo sviluppo sostenibile non è legato esplicitamente all’ambiente[18], in quanto tale riferimento non compare in modo espresso. Anche se, come è stato correttamente sottolineato, è «necessario rifuggire la tentazione di “caricare” di significati inespressi la definizione, che comunque, una volta formulata, va interpretata oggettivamente»[19], tale circostanza mette in luce due aspetti che, fino ad allora, non erano ancora emersi in modo evidente. Il primo di essi concerne l’oggetto dello sviluppo sostenibile: esso non è l’ambiente, come potrebbe apparire dalla Dichiarazione di Stoccolma, bensì lo sviluppo umano (ça va sans dire). Lo sviluppo umano (attuale) è sostenibile soltanto se non danneggia e non mette a repentaglio i bisogni delle generazioni future. Lo sviluppo sostenibile, quindi, è diretto a tutelare le generazioni successive, e non l’ambiente in sé, il quale viene infatti tutelato strumentalmente: si tutela l’ambiente proprio per tutelare le generazioni successive. Il secondo aspetto che viene messo in evidenza dalla WCED è la presenza di altro antecedente logico, un altro fattore in grado di condizionare la tutela dell’ambiente: la crescita economica[20]. Soltanto tramite una corretta crescita economica è possibile tutelare l’ambiente, impostando politiche economiche mirate a un consumo responsabile delle risorse naturali in chiave di solidarietà intergenerazionale[21], tutelando in tal modo le generazioni future – sul punto il caso della c.d. Ecological Footprints[22] è emblematico.

Ecco che già soltanto quanto ricostruito fino a qui consente di cogliere la complessità del concetto di sviluppo sostenibile. La formazione di questo principio appare dunque paragonabile al procedere dell’auriga della biga alata del mito platonico[23]. Come noto, l’auriga è impegnato a condurre la biga alata verso l’iperuranio cercando di comporre i movimenti dei suoi due cavalli di cui l’uno, quello bianco, si dirige verso il mondo delle idee, mentre l’altro, quello nero, avanza invece verso un’altra direzione (il mondo concupiscibile). Similmente, lo sviluppo sostenibile ha proceduto delle volte trainato verso la tutela dell’ambiente, altre volte maggiormente verso gli aspetti della crescita economica. Ne sono un esempio, in relazione alla tutela dell’ambiente, la United Nations Conference on Environment and Development[24] di Rio de Janeiro del 1992 e la relativa Rio Declaration on Environment and Development[25] del 1992 sul piano internazionale, mentre su quello domestico il c.d. Codice dell’ambiente[26]; relativamente alla crescita economica, invece sia il Trattato di Amsterdam[27] del 1997, sia il Trattato di Lisbona[28] del 2009.

A questi due aspetti si aggiunge quello che è considerato il terzo pilastro dello sviluppo sostenibile, quello sociale, come emerge in modo evidente sia nella United Nations Agenda 2030 for Sustainable Development[29], i cui Sustainable Development Goals trascendono il mero ambito della tutela ambientale e della crescita economica, sia nella recente riforma costituzionale italiana agli artt. 9 e 41 Cost.[30], la quale appare essere connotata da lungimirante sincretismo, in quanto i tre menzionati aspetti si intersecano e si mescolano proficuamente.

In ogni caso, il citato percorso dello sviluppo sostenibile lo ha condotto, anche grazie alla guida della dottrina e dei commentatori, verso un suo sempre maggiore grado di perfezionamento teorico e una maggior autonomia scientifica rispetto alla tutela dell’ambiente. E questo al punto tale che, sul piano giuridico, è stato innalzato a principio generale dell’azione amministrativa[31].

Prima di procedere con la trattazione, pare necessario riassumere quanto riscostruito fino a qui. Nel primo paragrafo si è evidenziato l’importante valore economico del sistema degli appalti pubblici in Italia. Un valore economico talmente considerevole da poter influenzare l’economia. Come è stato messo in luce, lo Stato, tramite le stazioni appaltanti, acquista ingenti quantità di beni, servizi o lavori con la conseguenza di riuscire a influire sul mercato influenzandone le tendenze[32]. E proprio perché lo Stato influenza e condiziona il mercato con la sua domanda di lavori, beni e servizi, il mezzo tramite cui fa ciò, vale a dire gli appalti pubblici, può rappresentare una leva di cambiamento per rendere maggiormente sostenibile il sistema degli acquisti pubblici[33].

3. Sviluppo sostenibile e appalti “tradizionali”. Il Sustainable Public Procurement

In quanto principio generale dell’attività amministrativa, lo sviluppo sostenibile rappresenta un obiettivo verso cui l’azione dell’amministrazione deve tendere nel proprio agire[34]. E l’ambito degli appalti pubblici costituisce la cornice ideale all’interno della quale ciò avviene, in quanto esso deve essere visto come un ciclo di spesa in cui non vengono soltanto previsti dei fabbisogni e individuate le risorse per soddisfarli, ma in cui viene anche deciso come raggiungere, nella concretezza, il soddisfacimento di bisogni pubblici. Come è stato evidenziato dalla dottrina, il sistema degli appalti è un sistema giuridico-funzionale in cui «in contrapposizione alle sofisticazione delle dottrine giuridiche, [si] stabilisce un collegamento tra soluzione tecnica ed effetti che ne derivano»[35]. Pertanto, il soddisfacimento di tali bisogni deve avvenire prendendo in considerazione specifici valori di riferimento, anche non economici[36], previsti dagli stessi Trattati, come espressamente affermato in più occasioni dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in merito all’ammissibilità dei criteri di aggiudicazione ambientali e sociali[37].

Questa è la ragione per la quale è stato sviluppato il c.d. Sustainable Public Procurement[38], tessera ormai centrale nel mosaico del diritto europeo degli appalti, che non costituisce una procedura di aggiudicazione in sé bensì rappresenta uno specifico approccio al procurement. Un approccio composito, complesso[39], derivante proprio dalla eterogenea natura del concetto di sostenibilità, e a tal fine mirato a integrare la tutela dell’ambiente (Green Public Procurement[40]) e degli aspetti sociali (Socially Responsible Public Procurement[41]) negli appalti pubblici tramite l’impiego di apposite strategie procedimentali di acquisto[42].

Il Sustainable Public Procurement è applicabile a tutte le procedure di scelta del contraente: per una ragione di semplicità espositiva, il presente paragrafo si focalizzerà sull’applicazione del Sustainable Public Procurement a quelle procedure di scelta contraente che è possibile considerare rientranti nell’insieme dei c.d. appalti “tradizionali”. Quell’insieme, cioè, in cui per sottrazione sono ricomprese tutte le procedure di scelta del contraente[43] ad eccezione dell’appalto pre-commerciale (Pre-commercial procurement, PCP), dell’appalto di soluzioni innovative (Public Procurement of Innovation, PPI), dell’appalto transfrontaliero (Joint Cross-Border Public Procurement) e del partenariato per l’innovazione (Innovation Partnership, IP), le quali costituiscono l’insieme dei c.d. appalti innovativi. In proposito si tornerà più a fondo nel paragrafo successivo, al quale si rimanda specificatamente la trattazione di questo punto.

Ciò posto, le strategie procedimentali di acquisto accennate poc’anzi possono concernere solo alcune o tutte le fasi della procedura di gara. Alcuni esempi sono rappresentati dai criteri ambientali minimi (CAM) e da apposite clausole che possono essere applicate in ambiti differenti, quali quello delle forniture di energia elettrica e dei servizi di ristorazione.

3.1. I criteri ambientali minimi (CAM)

Una di tali strategie è rappresentata dal rispetto, in capo agli operatori economici partecipanti all’appalto, dei Criteri Ambientali Minimi (CAM).

Sulla spinta del diritto europeo, e in attuazione a una specifica norma contenuta nella c.d. legge finanziaria per l’anno 2007[44], l’allora Ministero dell’Ambiente, con decreto ministeriale dell’11 aprile 2008, aveva adottato il c.d. Piano di Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione[45] (noto anche come Piano di Azione Nazionale sul Green Public Procurement), con l’esplicito intento di promuovere gli appalti verdi fra le pubbliche amministrazioni aggiudicatrici. A tal fine, il Ministero dell’Ambiente ha dunque fatto ricorso allo strumento dei CAM, adottati con specifici decreti ministeriali, ovvero un elenco di categorie merceologiche, relative a forniture e affidamenti, per le quali vi è una generale maggior sensibilità verso la tutela dell’ambiente, derivante della natura della fornitura o dell’affidamento. In relazioni a queste categorie merceologiche, che sono periodicamente riviste e aggiornate, sono state previste stringenti specifiche tecniche che garantiscono un livello di maggior tutela ambientale (e sociale)[46]: un esempio è rappresentato dalla categoria merceologica “lavaggio industriale e del noleggio di tessili e materasseria”[47].

Al fine di rendere omogenea sul territorio italiano l’applicazione di tali specifiche tecniche, il Codice dei contratti pubblici ha previsto che ogni qual volta le stazioni appalti indìcano una procedura di appalto di forniture o affidamenti il cui oggetto rientra nel predetto elenco predisposto dal Ministero, le amministrazioni contraenti sono obbligate ex lege[48] a prevedere – e pretendere dagli operatori economici – la conformità dell’oggetto dell’appalto, e il suo processo di produzione, ai summenzionati criteri minimi ambientali.

Posto il potere di ANAC di promuovere direttamente ricorso al giudice amministrativo[49], nel caso in cui un’amministrazione aggiudicatrice stipuli un contratto in violazione della disciplina sui CAM a causa della propria azione omissiva, la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata sul fatto che i CAM non abbiano natura di mere norme programmatiche, ma siano invece automaticamente cogenti per l’amministrazione[50]: pertanto, l’amministrazione è obbligata a inserire il rispetto dei requisiti ambientali nel bando e nei documenti di gara[51], pena l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura di gara[52]; qualora, invece, l’amministrazione non inserisca i CAM, la relativa norma deve pertanto intendersi imperativa e cogente, con la conseguenza che essa opera indipendentemente da una sua espressa previsione negli atti di gara[53].

I CAM possono trovare attuazione sia in fase di predisposizione delle specifiche tecniche richieste dalla stazione appaltante in relazione alle caratteristiche che il singolo bene o la specifica fornitura devono possedere per soddisfare lo specifico fabbisogno[54]; sia nella fase di valutazione delle offerte – il rispetto dei CAM può infatti costituire un criterio premiante nella valutazione della componente tecnica dell’offerta (effettuata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), nell’ipotesi in cui la commissione voglia attribuire un punteggio premiante ulteriore rispetto alle specifiche tecniche minime stabilite nei documenti di gara[55].

3.2. L’applicazione di clausole ad hoc a vantaggio della trasversalità del concetto di sostenibilità (ambientale e sociale in particolare): i casi di acquisto di fornitura di energia elettrica e dell’affidamento di servizi di ristorazione

Un’altra strategia volta a garantire la sostenibilità in senso ampio consiste, invece, nell’introduzione di particolari clausole nella lex specialis e nella documentazione di gara.

Come è intuibile, l’inserimento di specifiche clausole consente all’amministrazione aggiudicatrice, in fase di progettazione della strategia di gara, di poter soddisfare il fabbisogno pubblico con maggior adattabilità, intervenendo con modalità sartoriali nello specifico caso di specie. Inoltre, tali clausole ad hoc possono essere impiegate per raggiungere una pluralità di obiettivi legati, direttamente o indirettamente, al soddisfacimento del particolare fabbisogno.

In relazione alla sostenibilità intesa come tutela dell’ambiente, un esempio può essere rappresentato da una best practice di S.C.R. Piemonte[56], la centrale di committenza della Regione Piemonte, in tema di appalti di fornitura di energia elettrica[57]. Questa centrale di committenza ha stipulato nel tempo – in particolare per quanto ivi di interesse, nel 2016, 2017, 2019 e 2021 – alcune convenzioni concernenti la fornitura di energia elettrica a favore degli enti regionali piemontesi[58]. Al fine di tutelare l’ambiente, le risorse naturali e diminuire la produzione di anidride carbonica, la centrale di committenza ha aumentato in ogni convenzione la percentuale di acquisto di fornitura di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, passando così dal 10% di acquisto di “energia verde” nella convenzione del 2016, al 50% in quella del 2017, per giungere al 100% in quella del 2019 – percentuale mantenuta anche nel 2021.

Per quanto attiene, invece, alla sostenibilità intesa in senso ampio, ricomprendendo sia gli aspetti ambientali sia quelli sociali[59], un’ulteriore strategia può riguardare, ad esempio, le gare di ristorazione. Come emerge dal Rapporto di sostenibilità 2018 di Consip[60], la Concessionaria dei servizi informativi pubblici ha bandito per conto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali procedure di gara per i servizi di ristorazione dei principali musei italiani: nella documentazione di gara, oltre a prevedere il rispetto dei CAM, ha imposto altresì la conformità dell’offerta tecnica ad ulteriori criteri ambientali e sociali, come ad esempio la produzione a km 0 del cibo servito, il trasporto dello stesso con mezzi a basso impatto ambientale, la destinazione del cibo avanzato a canili o gattili, oltre alla promozione di collaborazioni con enti che impiegano lavoratori con disabilità[61].

Il sostegno delle tematiche sociali è sempre più sentita dal legislatore italiano, e le procedure di appalto rappresentano uno degli strumenti tramite cui questi implementa misure volte a tal fine. Si pensi, infatti, alla recente modifica del Codice dei contratti pubblici volta a promuovere la parità di genere e quella generazionale tramite alcune specifiche previsioni[62], fra cui la riduzione delle garanzia provvisoria – che gli operatori devono versare all’amministrazione aggiudicatrice nel momento della partecipazione alla procedura – a favore di quegli operatori economici in possesso di una certificazione della parità di genere[63]; nonché l’espressa possibilità, per le amministrazioni, di prevedere criteri premiali di valutazione dell’offerta per gli operatori economici in possesso della predetta certificazione di parità di genere[64].

4. I limiti degli appalti “tradizionali” e i vantaggi derivanti dal ricorso agli appalti innovativi

Le strategie appena descritte rappresentano soltanto alcuni esempi di come sia possibile realizzare sul piano concreto il Sustainable Public Procurement. Queste strategie di tutela ambientale e sociale, a ben riflettere, sono state applicate agli appalti “tradizionali” [65], vale a dire a quelle procedura di aggiudicazione (già) note, presenti nell’attuale disciplina europea e domestica del procurement così come in quella precedente, e in cui l’elemento “innovazione” non è fondamentale in quanto, nel migliore dei casi, appare puramente un fattore accidentale. Agli appalti “tradizionali” si affiancano gli appalti “innovativi”, procedure di aggiudicazione sviluppate in tempi più recenti e incentrate, come si analizzerà di seguito, proprio sull’innovazione.

Di primo acchito potrebbe non sembrare evidente, ma tramite gli appalti innovativi le amministrazioni aggiudicatrici possono acquistare forniture, servizi e lavori in grado di incidere positivamente sull’ambiente, tutelandolo, e promuovendo buone pratiche di sostenibilità. Questo in quanto le amministrazioni possono far sviluppare e acquistare innovazione per risolvere problemi o situazioni irrisolvibili con gli strumenti a disposizione o con i beni e i servizi presenti sul mercato in quel preciso momento.

Un esempio pratico appare utile a tal riguardo. Alcuni anni fa[66], l’Österreichische Bundesbeschaffung GmbH[67] (l’Autorità federale austriaca per gli appalti pubblici) si era trovata innanzi a un problema che fino ad allora, avendo fatto sempre ricorso agli appalti “tradizionali”, non era riuscita a risolvere: acquistare un sistema in grado di diminuire la percentuale di inquinamento dell’acqua impiegata dalla produzione delle monete; acqua che, quindi, in conseguenza della lavorazione industriale, conteneva quantità di sostanze chimiche superiori al limite di legge e pertanto non poteva essere né riutilizzata né smaltita normalmente. Tuttavia, ricorrendo a un appalto innovativo (nello specifico, un appalto di soluzioni innovative, modello di cui si tratterà infra), nonché grazie a un’attenta progettazione della gara, a una corretta redazione della lex specialis e a una accurata gestione della procedura, l’Autorità federale austriaca per gli appalti è riuscita ad acquistare un sistema che consentiva, da un lato, di incrementare drasticamente il risparmio di acqua impiegata nella coniazione delle monete e, dall’altro, di filtrare ed eliminare dall’acqua grandi percentuali di componenti chimici.

Questo è soltanto uno fra i numerosi esempi che testimoniano la rilevanza degli appalti innovativi nell’ambito della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile. Prima di approfondire le ragioni che conducono a ritenere fondata tale affermazione, pare necessario soffermarsi brevemente nell’illustrazione di quali e cosa siano questi appalti innovativi.

5. Gli appalti innovativi

Come emerge intuitivamente dal significato letterale, gli appalti innovativi[68] sono delle procedure d’appalto caratterizzate da una natura innovativa e dunque strettamente correlate all’innovazione: negli appalti innovativi l’innovazione è l’elemento centrale.

In base alla definizione del Codice dei contratti pubblici, per innovazione si intende «l’attuazione di un prodotto, servizio o processo nuovo o che ha subito significativi miglioramenti tra cui quelli relativi ai processi di produzione, di edificazione o di costruzione o quelli che riguardano un nuovo metodo di commercializzazione o organizzativo nelle prassi commerciali, nell’organizzazione del posto di lavoro o nelle relazioni esterne»[69]. Un qualcosa è dunque innovativo se è nuovo o se ha subito miglioramenti tali da renderlo diverso da come era in origine[70]. In relazione agli appalti, l’innovazione è legata alla capacità di soddisfare un bisogno che il mercato, tramite i suoi prodotti o servizi, allo stato attuale non è in grado di soddisfare[71]. Se una procedura di appalto riesce a sviluppare un nuovo prodotto o servizio di cui vi è il fabbisogno, o a migliorarlo profondamente a tal fine, ma che il mercato per varie ragioni[72] non può in quel preciso momento fornire, allora quell’appalto può essere considerato un appalto innovativo[73]. In aggiunta a ciò, secondo recente dottrina[74] vi può essere altresì un appalto innovativo se esso è finalizzato all’acquisto di beni o servizi innovativi, oppure se è volto a favorire e incoraggiare operatori economici innovativi o, infine, se è il suo procedimento a essere innovativo. Sul punto si tornerà infra.

Questa particolare domanda pubblica, che rappresenta una vera e propria «sfida al mercato»[75], costituisce una leva strategica per incrementare non soltanto l’innovazione in sé, ma la crescita generale del Paese e dell’Unione europea[76]. E questo è il motivo per cui gli appalti innovativi sono nati in ambito europeo grazie alla teorizzazione dell’appalto pre-commerciale (Pre-Commercial Procurement), dell’appalto pubblico di soluzioni innovative (Public Procurement of Innovative Solutions), dell’appalto transfrontaliero (Cross-Border Public Procurement), e del partenariato per l’innovazione (Innovation Partnership), recepiti in un secondo momento anche in ambito domestico.

5.1. L’appalto pre-commerciale

L’appalto pre-commerciale (in inglese Pre-Commercial Procurement) è disciplinato nella Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007 – COM(2007)799[77], nonché per relationem dall’art. 158 co. 2 del Codice dei contratti pubblici[78], ed è legato all’ambito dei servizi di ricerca e sviluppo di carattere non commerciale[79]. Con esso, le stazioni appaltanti acquistano dagli operatori del mercato attività di ricerca e sviluppo, onde sviluppare e sperimentare soluzioni nuove per risolvere problemi complessi che non trovano risposte soddisfacenti sul mercato.

La procedura dell’appalto pre-commerciale si articola in tre fasi a sviluppo progressivo, al termine di ciascuna delle quali l’amministrazione precede a selezionare gli operatori economici per la partecipazione a quella successiva. Dopo aver verificato che il mercato non sia in grado di soddisfare il fabbisogno pubblico, ad esempio ricorrendo alle consultazione preliminari di mercato[80], si apre la prima fase di studio e ricerca, in cui si ha lo sviluppo di un progetto mirato a soddisfare il fabbisogno espresso dall’amministrazione; una seconda fase, invece, concerne la creazione del prototipo basato sul progetto sviluppato nella prima fase; la terza fase, infine, è quella di verifica dei risultati, nella quale il prototipo viene prodotto in pochi esemplari e testato in un contesto simile alla realtà e nella quale viene vagliata la sua funzionalità e il soddisfacimento o meno del fabbisogno iniziale. La commercializzazione dei risultati ottenuti dalla fase di ricerca e sviluppo è dunque esclusa dall’ambito dell’appalto pre-commerciale[81], e ciò sia nel caso in cui il risultato della fase di ricerca sia utile all’amministrazione, sia nel caso in cui esso invece non lo sia.

Il vantaggio per la stazione appaltante è notevole, in quanto, da un lato, essa può rivolgersi contemporaneamente a più operatori economici, i quali cofinanziano tutti insieme l’attività di ricerca e sviluppo di cui l’amministrazione necessiti; dall’altro, l’amministrazione non procede in alcun caso a all’acquisto della soluzione progettuale. Come sottolineato poc’anzi, l’appalto pre-commerciale non comprende la fase di commercializzazione: se l’amministrazione ha interesse ad acquistare il prodotto o il servizio sviluppato durante l’appalto pre-commerciale, essa può agire ricorrendo a una procedura di aggiudicazione ulteriore e distinta dall’appalto pre-commerciale. Può ricorrere, ad esempio, all’appalto di soluzioni innovative, in relazione a cui si rimanda all’analisi successiva.

In generale, il vantaggio per gli operatori economici che deriva dall’appalto pre-commerciale, e che incentiva perciò la loro partecipazione, è duplice. Da un lato, un primo vantaggio consiste principalmente nella circostanza per cui l’amministrazione aggiudicatrice paga un prezzo per sostenere l’attività di ricerca e sviluppo del privato, condividendo in tal senso il rischio d’impresa derivante dal carattere innovativo (e quindi: rischioso) del servizio o del prodotto – al punto che una parte della dottrina ha visto nell’appalto pre-commerciale una sorta di «modalità di finanziamento della ricerca e dell’innovazione»[82]. Proprio questo aspetto permette di distinguere l’appalto pre-commerciale dall’appalto di servizi di ricerca e sviluppo: quest’ultimo infatti, oltre a essere previsto esplicitamente dalla disciplina europea e nazionale[83], non prevede una compartecipazione dell’amministrazione al rischio di impresa in quanto essa paga un corrispettivo in denaro per impiegare in modo esclusivo i risultati del servizio di ricerca e sviluppo[84]. Il secondo vantaggio per il privato concerne la facoltà di utilizzare i risultati dell’attività di ricerca e sviluppo anche al di fuori del contesto dell’appalto pre-commerciale, senza la previsione di impiego esclusivo dei risultati da parte dell’amministrazione.

5.2. L’appalto di soluzioni innovative

L’appalto di soluzioni innovative (in inglese Public Procurement of Innovative Solutions), invece, non rappresenta in senso stretto una procedura d’appalto, bensì un «approccio all’innovazione»[85] che può essere perseguito attraverso diverse altre procedure[86] (in particolare: la procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo, la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara)[87]. In base alla classificazione proposta dalla dottrina e precedentemente richiamata[88], l’appalto di soluzioni innovative sarebbe un appalto innovativo in quanto finalizzato all’acquisto di beni o servizi innovativi.

Contrariamente all’appalto pre-commerciale, dal quale è esclusa la fase della commercializzazione, nell’appalto di soluzione innovative tale fase è ricompresa ma invece esula proprio quella della ricerca e sviluppo[89]. Il presupposto per l’attuazione di questo tipo di appalto, infatti, è che vi sia già sul mercato un prodotto o un servizio innovativo, ma esso non è ancora in grado di soddisfare appieno il fabbisogno dell’amministrazione se non dopo una sua implementazione migliorativa.

Il prodotto o servizio, una volta migliorato secondo gli standard (e al prezzo) stabiliti dall’amministrazione per il soddisfacimento dei propri fabbisogni, possiederà delle caratteristiche nuove che dovranno però essere testate dalla pubblica amministrazione; quest’ultima, grazie alla sua domanda d’acquisto, “consistente” e pertanto attrattiva per gli operatori economici, contribuirà a definirne gli standard tecnici necessari per la commercializzazione del bene o del servizio e per la sua immissione sul mercato di largo consumo. In questo caso, dunque, la stazione appaltante agisce in veste di early adopter[90] o di utente di lancio[91].

Il vantaggio per l’amministrazione consiste nel (poter) soddisfare un fabbisogno pubblico ricorrendo a una soluzione innovativa già (quasi totalmente) sviluppata, agli standard tecnici e al prezzo da essa stabiliti, e che necessita soltanto di un aggiustamento pre-commerciale – risparmiando tempo e risorse in quanto la fase di ricerca e sviluppo, che esula dall’appalto di soluzioni innovative, è già stata effettuata in precedenza. Gli operatori economici, invece, sono avvantaggiati dall’azione di early adapter dell’amministrazione poiché, grazie all’intervento dell’amministrazione, essi impiegano minori risorse (e meno tempo) per svolgere un’azione essenziale per la vendita su larga scala del proprio prodotto o servizio.

5.3. L’appalto transfrontaliero

Un altro tipo di appalto innovativo[92] è rappresentato dall’appalto transfrontaliero (in inglese Joint Cross-Border Procurement), previsto dall’art. 39 della Direttiva 24/2014/UE il cui testo è stato sostanzialmente trasposto nell’art. 43 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Innanzitutto, la disciplina europea stabilisce due principi generali: da un lato, gli Stati membri non possono vietare alle rispettive amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere alle attività di centralizzazione di committenza poste in essere da centrali di committenza ubicate in un altro Stato europeo – seppur possano delimitare aspetti specifici (es. tipo di attività di centralizzazione)[93]; dall’altro, le stazioni appaltanti non possono ricorrere all’appalto transfrontaliero per eludere la propria disciplina nazionale, dato che questa potrebbe essere più ristretta e limitante rispetto a quella di un altro Stato membro[94].

La disciplina europea, pertanto, consente in modo esplicito gli appalti transfrontalieri[95] – i quali risultano utili, in particolare, per risolvere un problema pratico che si verifica molto spesso sul mercato europeo: sovente può accadere, infatti, che lo stesso bene abbia un prezzo diverso a seconda del singolo Paese di riferimento – come è emerso in particolare durante le prime fasi della pandemia da Covid-19 in relazione ai dispositivi di protezione individuale[96]. Aspetto che può ovviamente incidere negativamente sulla tutela dei diritti degli individui.

In ogni caso, la disciplina europea prevede che le centrali di committenza dei Paesi europei possano realizzare un appalto transfrontaliero in due modi: avvalendosi tutte quante dell’attività di un’unica centrale di committenza situata nel Paese in cui il bene oggetto dell’appalto avrà il costo più basso[97], oppure stipulando fra esse un accordo che regoli i rapporti, sia in punto di diritti sia in punto di obblighi dei contraenti[98].

Nel primo caso, la Direttiva prevede, ad esempio, che un’amministrazione finlandese possa avvalersi delle attività di una centrale di committenza greca (in quanto, ad esempio, il bene oggetto che si intende acquistare ha il prezzo più basso proprio in Grecia). In questa ipotesi, troverà applicazione la disciplina dello Stato in cui ha sede la centrale di committenza straniera della quale l’amministrazione aggiudicatrice si avvale (per rimanere sull’esempio: si applicherà la disciplina greca)[99]. La ratio è uniformare la disciplina normativa da applicare, evitando che in alcune sotto-fasi del contratto si applichino regole differenti da Paese a Paese.

Nella seconda ipotesi, invece, vi sono due o più amministrazioni aggiudicatrici di Stati diversi (ad es. una lussemburghese, una slovena e una polacca) che agiscono insieme per aggiudicare un contratto di appalto. Tale appalto può essere posto in essere tramite l’istituzione di un terzo soggetto congiunto che agisce in nome e per conto delle singole amministrazioni partecipanti (come nel caso dell’European Grouping of Territorial Cooperation – EGTC, in italiano Gruppo europeo di cooperazione territoriale – GECT), oppure tramite un accordo fra esse senza prevedere, tuttavia, la creazione di un soggetto terzo. In quest’ultimo caso, le stazioni appaltanti sono chiamate a sottoscrivere un accordo nel quale devono essere stabilite le responsabilità delle parti, le disposizioni nazionali da applicarsi nell’appalto transfrontaliero (vale a dire, rimanendo sull’esempio, se si applicheranno quelle lussemburghesi, polacche, o slovene), nonché l’organizzazione interna della procedura di aggiudicazione dell’appalto (ovvero come essa debba essere gestita sul lato pratico, come debba avvenire l’esecuzione del contratto, ecc.).

Da quanto ivi ricostruito brevemente, appare intuitivo affermare che l’appalto transfrontaliero sia un appalto innovativo, stando alla classificazione citata in precedenza[100], a fronte dell’innovatività della sua procedura. Secondo una parte della dottrina, l’appalto transfrontaliero sarebbe idoneo a essere impiegato per acquistare prodotti e soluzioni innovative, nonché per promuovere l’innovazione fra gli operatori economici[101], specialmente se affidato ad amministrazioni dotate di un elevato livello di competenze tecniche – quali possono essere le centrali di committenza[102]. Di converso, altra parte della dottrina ha invece sottolineato le enormi difficoltà pratiche che le stazioni appaltanti dovrebbero affrontare in tal senso, sommando alle complessità della procedura dell’appalto transfrontaliero quelle dell’appalto di soluzioni innovative[103].

5.4. Il partenariato per l’innovazione

Un ultimo tipo di appalto innovativo è costituito dal partenariato per l’innovazione[104] (in inglese Innovation Partnership) disciplinato dall’art. 31 della Direttiva 2014/24/UE[105] e recepito dal Codice dei contratti pubblici all’art. 65[106].

Come dispone espressamene la disciplina nazionale, vi sono due condizioni preliminari per l’impiego del partenariato per l’innovazione: le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori possono ricorrere a questo tipo di appalto innovativo qualora vi sia, da un lato, l’esigenza di sviluppare beni, servizi o lavori innovativi per soddisfare un fabbisogno pubblico che il mercato non può ancora soddisfare; dall’altro, vi sia invece la necessità di acquistare le forniture, i servizi o i lavori che ne risultano – e questo a prezzi e con livelli di prestazioni concordati fra la stazione appaltante e gli operatori economici partecipanti. Sotto questo punto di vista, il partenariato per l’innovazione rappresenta una crasi fra l’appalto pre-commerciale e l’appalto di soluzioni innovative, perché prevede quelle fasi che invece sono espressamente escluse dai due appalti innovativi intesi singolarmente[107].

Anche il partenariato per l’innovazione si fonda su un approccio multifase a sviluppo progressivo, composto da fasi negoziali successive che, secondo la dottrina, lo riconducono alle procedure ristrette flessibili[108]. A livello generale, è possibile identificare tre precise fasi procedurali (prima: selezione dell’operatore economico; seconda: sviluppo della soluzione progettuale; terza: realizzazione e commercializzazione del prodotto sviluppato nella seconda fase)[109], che possono essere però suddivise in alcune sotto-fasi, descritte di seguito[110].

Prima di dare avvio al partenariato per l’innovazione, l’amministrazione aggiudicatrice deve verificare se il mercato sia già in grado di soddisfare il fabbisogno d’innovazione. Il che avviene tramite la pubblicazione di un avviso di consultazione preliminare di mercato[111] e di un eventuale invito dell’amministrazione aggiudicatrice, rivolto agli operatori economici, a partecipare alla consultazione preliminare di mercato.

Appurata tale incapacità del mercato, il partenariato per l’innovazione si apre con la sua prima fase. Innanzitutto, l’amministrazione pubblica un avviso di manifestazione di interesse o un avviso di indizione, motivando la scelta del ricorso a questa procedura di aggiudicazione, unitamente alla documentazione di gara – con cui, da un lato, viene espresso il fabbisogno da soddisfare e, dall’altro, vengono stabiliti l’iter procedurale in base a cui si articolerà l’appalto, le condizioni contrattuali minime e i requisiti tecnici minimi[112] –, invitando i potenziali offerenti presenti sul mercato, che soddisfino i requisiti di partecipazione stabiliti dall’amministrazione, a partecipare presentando un’offerta iniziale e un progetto iniziale di soluzione innovativa. Raccolte tutte le offerte iniziali pervenute, la stazione appaltante seleziona uno o più operatori economici (solitamente più di uno), le cui offerte sono state ritenute maggiormente idonee[113], e tramite lettera di invito li invita nella successiva fase di negoziazione.

La fase di negoziazione ha ad oggetto tali offerte iniziali e può essere effettuata dall’amministrazione aggiudicatrice separatamente con ciascun operatore economico. In ogni caso, l’amministrazione specifica nella lettera di invito i criteri tecnici di base che non potranno essere oggetto della negoziazione, così come il criterio di valutazione delle offerte che, ovviamente, non può che essere quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa[114]. A seconda della difficoltà tecnica dell’appalto innovativo, tal fase può suddividersi in ulteriori sottofasi a progressivo avanzamento, condizionate dal raggiungimento di obiettivi intermedi[115]: può esservi, ad esempio, una fase dedicata alla progettazione preliminare della soluzione innovativa e una fase di progettazione esecutiva. Proprio sulla base del grado di complessità, la stazione appaltante può decidere di ridurre il numero dei partecipanti al termine di ogni sottofase[116], nonché di interrompere il partenariato se ritiene improduttivo quanto fatto fino a quel momento[117].

In questa fase di negoziazione, la stazione appaltante può negoziare con gli operatori economici i contenuti delle offerte iniziali – eccetto per i predetti aspetti minimi individuati nella documentazione di gara e per il criterio di valutazione delle offerte – onde riuscire a trovare la soluzione progettuale che più si avvicina al soddisfacimento dei bisogni dell’amministrazione. Alla chiusura della fase della negoziazione, gli operatori economici (che eventualmente hanno superato la fase di ulteriore selezione sub-procedurale) presentano la loro offerta finale, che diventa in tal modo definitiva e non più negoziabile.

La fase successiva è quella dell’individuazione della miglior offerta finale[118]. Tale fase si apre con l’invito dell’amministrazione, rivolto agli operatori economici le cui offerte sono state selezionate nella fase precedente, a presentare la loro offerta finale, contente la soluzione progettuale finale. In questa ultima fase, l’amministrazione aggiudicatrice valuta le soluzioni progettuali finali – sempre sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (criterio che come scritto non può essere mai oggetto di negoziazione fra le parti[119]) – e seleziona l’offerta ritenuta migliore. L’amministrazione aggiudicherà la procedura all’operatore economico selezionato[120].

Come emerge da quanto ricostruito, il partenariato per l’innovazione si discosta dall’appalto pre-commerciale poiché alla fase di ricerca e sviluppo segue automaticamente la fase di commercializzazione. L’automatismo però non corrisponde all’obbligo di acquistare la fornitura o il servizio: infatti, qualora essa ritenesse il prototipo sviluppato non utile al soddisfacimento del fabbisogno pubblico, l’amministrazione ha la facoltà di risolvere il partenariato per l’innovazione e non proseguire con le fasi successive (o con la fase successiva)[121]. Proprio questo aspetto conduce a un punto in comune con l’appalto pre-commerciale: nel partenariato per l’innovazione vi è una distribuzione del rischio d’impresa – anche se probabilmente in misura minore – fra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico, dal momento che, come scritto e come anche posto in luce dalla dottrina, alla fine dell’iter procedurale quest’ultima potrebbe non veder mai sviluppato il prodotto o il servizio finale, mentre gli operatori sono in ogni caso retribuiti in relazione alle fasi del partenariato per l’innovazione a cui hanno effettivamente preso parte[122].

Va, infine, sottolineato un ulteriore aspetto del partenariato per l’innovazione: nonostante il nome, la dottrina maggioritaria ritiene che questo appalto non rientri in quel «fascio di istituti giuridici caratterizzati da alcuni comuni elementi»[123] che è il partenariato pubblico privato, né in quello contrattuale né in quello istituzionalizzato[124].

6. Sviluppo sostenibile e appalti innovativi. Riflessioni conclusive

Dopo aver ricostruito e descritto cosa siano gli appalti innovativi, e in che cosa essi consistano, pare necessario riflettere su come essi possano risultare proficui in relazione alla tematica dello sviluppo sostenibile.

Innanzitutto, gli appalti innovativi sono ritenuti molto preziosi dalle istituzioni pubbliche, europee[125] e nazionali[126], proprio in considerazione del fondamentale apporto che questi strumenti possono dare in numerosi campi, compreso quella tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Questo perché, come sottolineato in precedenza, lo Stato, tramite gli appalti pubblici, influenza il mercato e cambia le tendenze, rappresentando così una leva di cambiamento che può essere rivolta a specifiche esigenze reali e concrete. Esigenze che, in ultima analisi, sono connesse fra loro: si pensi alla teoria One Health[127], oppure ai vari Sustainable Development Goals (SDG) della United Nations Agenda 2030 for Sustainable Development[128]: per sconfiggere la povertà (SDG#1) è imprescindibile sconfiggere la fame (SDG#2), nonché ridurre le disuguaglianza (SDG#10), promuovendo, fra le altre, l’istruzione di qualità (SDG#4). Questo è soltanto uno fra i numerosi esempi che è possibile mettere in luce in relazione all’Agenda 2030, ma mostra bene i gradi di interconnessione fra le grandi questioni che incidono sulla realtà.

In questo contesto, gli appalti pubblici costituiscono un elemento di vantaggio, coincidente con la ragione per la quale essi sono stati teorizzati ed elaborati: colmare i limiti del mercato. Si è sottolineato infatti che nei c.d. appalti “tradizionali” si pone la questione dell’impossibilità soddisfare quei bisogni che il mercato non è in grado di soddisfare.

Grazie agli appalti innovativi, la pubblica amministrazione può efficientare sia la propria capacità conoscitiva dei fabbisogni sia il proprio potere decisionale nelle singole sottofasi delle procedure innovative d’appalto, dato che essa può partecipare direttamente alla creazione del prodotto o del servizio insieme agli operatori privati.

Creando la domanda pubblica di beni servizi e lavori, e influenzando in tal modo il mercato, le stazioni appaltanti possono contribuire ab initio, in una fase prodromica, a realizzare prodotti o soluzioni che, oltre a soddisfare il preciso bisogno, sono altresì in grado di essere rispettosi di default di quegli obiettivi che la stessa amministrazione ritiene meritevoli di tutela, come lo sviluppo sostenibile.

Ed è proprio questo il vantaggio degli appalti innovativi in relazione allo sviluppo sostenibile. Se negli appalti “tradizionali” i meccanismi del Sustainable Public Procurement, analizzati precedentemente, agiscono “a valle” della procedura di appalto, nel senso che le varie clausole e criteri di sostenibilità vengono inseriti in una procedura pre-esistente, la quale è logicamente distinta dai criteri di sostenibilità e non dipendente da essa, si può notare come, invece, non altrettanto avviene negli appalti “innovativi”. In essi, specialmente nel caso del partenariato per l’innovazione e degli appalti pre-commerciali, è possibile tutelare lo sviluppo sostenibile già “a monte”, nella fase di ricerca e sviluppo del prodotto o del servizio, creando vale a dire un bene o un servizio le cui caratteristiche risultano sustainable by default, cioè conformi intrinsecamente al principio dello sviluppo sostenibile – come d’altronde emerge anche dall’esempio dell’Autorità federale austriaca per gli appalti pubblici citato in precedenza. Con un ulteriore vantaggio: agli appalti innovativi, infatti, è comunque sempre possibile applicare altresì quegli strumenti del Sustainable Public Procurement, analizzati nel corso della trattazione, che sono applicati agli appalti “tradizionali”.

Questo dimostra un aspetto significativo: grazie agli appalti innovativi, dunque, non solo è possibile vedere la domanda pubblica come leva per incrementare l’innovazione, ma anche come leva per aumentare la sostenibilità.

  1. Senza pretese di esaustività, si vedano in argomento R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, Giappichelli, Torino, 2020; R. Cavallo Perin (a cura di), L’amministrazione pubblica con i big data: da Torino un dibattito sull’intelligenza artificiale, Rubettino, Torino, 2021; A. Masucci, Digitalizzazione dell’amministrazione e servizi pubblici “on line”. Lineamenti del disegno normative, in Dir. pubbl., 1, 2019, 117 ss.; E. Carloni, Algoritmi su carta. Politiche di digitalizzazione e trasformazione digitale delle amministrazioni, in Dir. pubbl., 2, 2019, 363 ss.; A.G. Orofino, La semplificazione digitale, in Dir. econ., 3, 2019, 87 ss. In argomento siano consentiti i rimandi a S. Rossa, Contributo allo studio delle funzioni amministrative digitali. Il processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e il ruolo dei dati aperti, CEDAM-Wolters Kluwer, Milano, 2021 e, per profili comparatistici, a S. Rossa, Il diritto all’informazione come base per una amministrazione digitale: una comparazione fra Italia ed Estonia, in Dir. econ., 2, 2019, 543 ss. Invece, in relazione al processo di digitalizzazione dei contratti pubblici, argomento che come si vedrà nel corso della trattazione scorre parallelo ma non interseca la presente analisi e per tale ragione non verrà infra approfondito, si rimanda in particolare a G.M. Racca, La digitalizzazione dei contratti pubblici: adeguatezza delle pubbliche amministrazioni e qualificazione delle imprese, in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, cit., 321 ss.
  2. E questo grazie ai dati che vengono elaborati in informazioni. Sul punto, oltre ai riferimenti bibliografici riportati alla nota precedente, si vedano le osservazioni di G. Carullo, Gestione, fruizione e diffusione dei dati dell’amministrazione digitale e funzione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2017. Più specificamente in merito ai dati aperti sia consentito il riferimento a S. Rossa, Open data e amministrazioni regionali e locali. Riflessioni sul processo di digitalizzazione partendo dall’esperienza della Regione Piemonte, in Dir. inf., 4-5, 2019, 1121 ss. L’impiego dei dati aperti nel processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione incide anche sulla trasparenza dell’azione della stessa amministrazione: in relazione a questa tematica, sia consentito il richiamo a S. Rossa, Trasparenza e accesso all’epoca dell’Amministrazione digitale, in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, cit., 247 ss.
  3. La BDNCP è disciplinata dall’art. 62-bis d.lgs. n. 82/2005 ed è consultabile liberamente in https://dati.anticorruzione.it/#/home [ultima consultazione: 12.08.2022].
  4. Dati presi dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (consultabile in https://dati.anticorruzione.it/superset/dashboard/appalti/) [ultima consultazione: 12.08.2022].
  5. In argomento le riflessioni di G. Mazzantini, Analisi economica della spesa pubblica italiana, in L. Fiorentino, A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, Il Mulino, Bologna, 2021, 41 ss., pur riferite a dati antecedenti il 2021.
  6. Ovvero 257 miliardi €, che corrisponde a poco meno del 14% del PIL 2021 per l’Italia (pari a 1.781,2 miliardi €).
  7. Si veda a riguardo il Rapporto quadrimestrale sul mercato dei contratti pubblici, 2° quadrimestre 2021, sviluppato dall’Ufficio Osservatorio Studi e Analisi Banche Dati di ANAC, dal quale emerge che il 33,5% di tutte le procedure di affidamento perfezionate di importo pari o superiore a 40.000 € sia relativo ad appalti di servizi nel settore ordinario.
  8. In generale, sugli appalti pubblici in Italia la dottrina è molto ampia, ragione per cui si rimanda ai commentari del d.lgs. n. 50 del 2016. Si vedano, ex multis, F.G. Ferrari, G. Morbidelli (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Il D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50 commentato articolo per articolo, ed. La Tribuna, Piacenza, 2017; M. Corradino, S. Sticchi Damiani (a cura di), I nuovi appalti pubblici. Commento al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Giuffrè, Milano, 2017; M.A. Sandulli, M. Lipari, F. Cardarelli (a cura di), Il correttivo al codice dei tratti pubblici. Guida alle modifiche introdotte dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, Giuffrè, Milano, 2017; A. Carullo, G. Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, CEDAM-Wolters Kluwer, 2018; M.A. Sandulli, R. De Nictolis (dir.), Trattato sui contratti pubblici, Voll. I-V, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019; F. Caringella (dir.), Codice dei contratti pubblici, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022. In argomento, anche se in relazione alla disciplina italiana precedente al 2014-2016, si vedano anche R. Caranta, I contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2012. Relativamente alla situazione europea, invece, S. Treumer, M. Comba (Eds.), Modernising Public Procurement. The Approach of EU Member States, Elgar, Cheltenaham-Northampton, 2018, nel quale è riportata una visione complessiva di come le Direttive del 2014 sono state recepite nei diversi Paesi Ue, e in cui il capitolo dedicato all’Italia è scritto da M. Comba, S. Richetto, Transposition of the 2014 Public Procurement Package in Italy: meeting the deadline without really doing so, 135 ss.
  9. Voce Sostenibilità, in N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana “Lo zingarelli”, Zanichelli, Bologna, 1996, 1698.
  10. Voce Sostenibile, in N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana “Lo zingarelli”, cit., 1698.
  11. Voce Sostenibilità in Enc. Treccani Online (2018?), in https://www.treccani.it/enciclopedia/sostenibilita/ [ultima consultazione 12.08.2022]. In tal senso anche L. Santo, Sostenibilità, in Enc. Ita. Treccani, VII app., 2007.
  12. In argomento la dottrina è numerosa. Senza pretese di esaustività, si vedano F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale scientifica, Napoli, 2010; C. Videtta, Lo sviluppo sostenibile. Dal diritto internazionale al diritto interno, in R. Ferrara, C.E. Gallo (a cura di), Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (dir.), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, , Giuffrè, Milano, 2014, 221 ss.; F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2011, 170 ss.; V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. giur. ambiente, 2002, 209 ss. In relazione ai diritti umani si veda E. Frediani, Lo sviluppo sostenibile: da ossimoro a diritto umano, in Quad. cost., 3, 2017, 626 ss. Sulla relazione fra sostenibilità e cultura C. Videtta, Cultura e sviluppo sostenibile, Giappichelli, Torino, 2018. Per aspetti legati al diritto agrario S. Manservisi, Il principio dello sviluppo sostenibile: da Rio+20 al diritto dell’Unione europea e il suo fondamentale ruolo nel diritto agrario, in P. Borghi, S. Manservisi, G. Sgarbanti (a cura di), Il divenire del Diritto agrario italiano ed europeo tra sviluppi tecnologici e sostenibilità, Atti del Convegno di Bologna-Rovigo, 25-26 ottobre 2012, Giuffrè, Milano, 2014, 175 ss. In chiave comparata invece in I. Alogna, La circolazione del modello di sviluppo sostenibile: prospettive di diritto comparato per un percorso multidirezionale, in G. Cerrina Feroni, T.E. Frosini, L. Mezzetti, P.L. Petrillo (a cura di), Ambiente, energia, alimentazione: modelli giuridici comparati per lo sviluppo sostenibile (Environment, energy, food comparative legal models for sustainable development), I, Fondazione CESIFIN Alberto Predieri, Roma, 2015, 145 ss.
  13. Cfr. il preambolo: «[w]e the Peoples of the United Nations determined to save succeeding generations from the scourge of war, which twice in our lifetime has brought untold sorrow to mankind». La United Nations Charter è consultabile sul sito ufficiale delle Nazioni Unite all’indirizzo https://www.un.org/en/about-us/un-charter [ultima consultazione: 12.08.2022].
  14. Report of the United Nations Conference on the Human Environment, U.N. Doc. A/Conf.48/14 (1972), reprinted in 11 I.L.M., 1416. Il testo della Dichiarazione di Stoccolma è consultabile in http://undocs.org/en/A/CONF.48/14/Rev.1 [ultima consultazione 12.08.2022].
  15. Relativamente alla Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment cfr. in particolare il Principle 2[t]he natural resources of the earth, including the air, water, land, flora and fauna and especially representative samples of natural ecosystems, must be safeguarded for the benefit of present and future generations through careful planning or management, as appropriate») e il Principle 5 [t]he non-renewable resources of the earth must be employed in such a way as to guard against the danger of their future exhaustion and to ensure that benefits from such employment are shared by all mankind»).
  16. Cfr. World Commission on Environment and Development, Our Common Future, Oxford University Press, Oxford, 1987.
  17. Ibidem.
  18. Così F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, cit., 8.
  19. F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, cit., 9.
  20. In tal senso la dottrina: «il report sembra ispirarsi anche alla convinzione secondo cui la crescita economica può essere lo strumento attraverso cui perseguire la protezione dell’ambiente e, soprattutto, il benessere degli uomini», Ibidem.
  21. Come è stato sottolineato, «[l]a solidarietà è flessibile: l’impegno richiesto agli agenti, pur ispirato alla conservazione della specie, dunque, non è astrattamente definibile, ma è legato alle peculiarità dei contesti, nutrito di pragmatismo (nello sviluppo sostenibile, ciò impone, ad esempio, di tenere conto delle esigenze della crescita) e limitato ad alcune situazioni estreme che possono incidere sul destino dell’umanità», F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., 176.
  22. Sul punto W.E. Rees, Ecological footprints and appropriated carrying capacity: what urban economics leaves out, in Environment & Urbanization, 4(2), 1992, 121 ss. e W.E. Rees, M. Wackernagel, Ecological footprints and appropriated carrying capacity: Measuring the natural capital requirements of the human economy, in A. Jansson et al., Investing in Natural Capital: The Ecological Economics Approach to Sustainability, Island Press, Washington D.C., 1994.
  23. Si veda E.V. Maltese (a cura di) Platone. Tutte le opere, Vol. II, Fedro, Newton, Roma, 1997, 457-459 (246 a-b).
  24. Rio Declaration on Environment and Development, U.N. Doc. A/CONF.151/5/Rev.1 (1992).
  25. Il testo della dichiarazione è consultabile in: https://bit.ly/3JKeDD8 [ultima consultazione: 12.08.2022]. Cfr. in particolare il principio 4, secondo cui «in order to achieve sustainable development, environmental protection shall constitute an integral part of the development process and cannot be considered in isolation from it».
  26. Si veda l’art. 3-quater co. 1 d.lgs. n. 152/2006: «[o]gni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future».
  27. Cfr. art. B del Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi: «[l]’Unione si prefigge i seguenti obiettivi: – promuovere un progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione e pervenire a uno sviluppo equilibrato e sostenibile, in particolare mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni del presente trattato; […]».
  28. Cfr. art. 2 co. 3 del Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea: «[l]’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. […]».
  29. Cfr. https://www.un.org/sustainabledevelopment/development-agenda/ [ultima consultazione: 12.08.2022].
  30. Cfr. art. 9 co. 3 Cost., formulazione attuale a seguito della legge costituzionale n. 1 del 2022, che ha disposto che la Repubblica «[t]utela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. […]». In relazione all’ambiente nella giurisprudenza costituzionale italiana, si veda F. Lucarelli (a cura di), Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, ESI, Napoli, 2006. In ambito internazionale, invece, appaiono interessanti le riflessioni di E. Daly, J.R. May, Global environmental constitutionalism: a right-based primer for effective strategies, in L.C. Paddock, R.L. Glicksman, N.S. Bryner (Eds.), Decision Making in Environmental Law, Elgar, 2016, 21 ss. Cfr. anche l’art. 41 co. 2 e 3 Cost., formulazione attuale a seguito della legge costituzionale n. 1 del 2022, che stabilisce che l’iniziativa economica «[n]on può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
  31. In tal senso F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, cit., 32: «[i]l principio dello sviluppo sostenibile, matrice degli altri principi che ne costituiscono l’applicazione e la sostanziale traduzione, sembra in tal modo aver definitivamente valicato il limite, anche disciplinare, del diritto dell’ambiente, perché assurto alla dignità di principio generale dell’attività amministrativa tour court».
  32. Chiara sul punto A. La Chimia, Appalti e sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030, in A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., 73: «[l]o Stato compratore è acquirente capace di influenzare il mercato e cambiare le tendenze».
  33. Come del resto messo in evidenza dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 3 ottobre 2017 (COM(2017) 572 final), rubricato “Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa”, la quale, nella Introduzione, afferma che «[l]e autorità pubbliche possono farvi leva in maniera più strategica per dare maggior valore a ogni euro di fondi pubblici speso e per contribuire a un’economia più innovativa, sostenibile, inclusiva e competitiva. Il miglioramento delle procedure d’appalto contribuisce inoltre a rendere più forte il mercato unico […]».
  34. Cfr. art. 3-quater d.lgs. 152/2006, norma in relazione alla quale la dottrina ha sottolineato che «[l]o sviluppo sostenibile è anche considerato un obiettivo e la norma [art. 3-quater d.lgs. 152/2006] lo conferma là dove richiama l’esigenza di individuare un corretto rapporto fra risorse», F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., 179.
  35. Così E. Chiti, C. Franchini, L’integrazione amministrativa europea, Il Mulino, Bologna, 2003, 159, in relazione alla nozione di amministrazione aggiudicatrice nella giurisprudenza della Corte di giustizia: «è di tipo giuridico-funzionale, riconducendo l’interpretazione giuridica agli obiettivi della disciplina degli appalti. In questo modo, il giudice europeo svela ed esalta l’inevitabile collegamento tra ragionamento giuridico e decisione politica, presentati come gli elementi di un metodo funzionale in cui l’argomento tecnico-giuridico relativo alla nozione di amministrazione aggiudicatrice è ricondotto alle opzioni politiche di fondo della costituzione economica europea. In altri termini, la nozione di amministrazione aggiudicatrice, lungi dall’essere concepita come il frutto di una scelta tecnica e neutrale, viene fatta discendere dall’interpretazione delle principali disposizioni del Trattato sui rapporti economici, secondo una linea metodologica non convenzionale che, in contrapposizione alla sofisticazione delle dottrine giuridiche, stabilisce un collegamento tra soluzione tecnica ed effetti che ne derivano». Secondo R. Caranta, I contratti pubblici, cit., 542, tale argomentazione può essere oggetto di generalizzazione nell’ambito degli appalti.
  36. Si pensi in proposito all’importanza del criterio di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l’offerta presentata degli operatori economici è valutata sia in relazione alla componente economica sia in merito alla componente tecnica, consentendo dunque all’amministrazione aggiudicatrice di porre in essere una valutazione circa il rapporto qualità tecnica del bene e prezzo. Cfr. art. 67 Direttiva 2014/24/UE e art. 95 co. 6 d.lgs. n. 50/2016. In argomento ANAC, Linee guida n. 2 Offerta economicamente più vantaggiosa, agg. 2018.
  37. La Corte di giustizia europea si è espressa per la prima volta in merito all’ammissibilità di criteri di valutazione delle offerte di gara di carattere non economico a partire dal noto caso Corte giust. CE, sentenza 20 settembre 1988, C-31/87, Gebroeders Beentjes BV c. Paesi Bassi, ECLI:EU:C:1988:422, in relazione a clausole premiali di carattere sociale volte a contrastare la disoccupazione. Orientamento giurisprudenziale confermato pochi anni dopo da Corte giust. CE, sentenza 26 settembre 2000, C-225/98, Commissione c. Francia, ECLI:EU:C:2000:494. Con l’altrettanto nota sentenza Corte giust. CE, sentenza 17 settembre 2002, C-513/99, Concordia Bus Finland, ECLI:EU:C:2002:495, i giudici si sono pronunciati circa l’ammissibilità di criteri di valutazione delle offerte di gara di natura ambientale, a condizione che tali criteri fossero collegati con l’oggetto dell’appalto, che fossero previamente contenuti nella lex specialis, che fossero conformi ai principi del diritto unionale e che non conferissero una libertà incondizionata di scelta all’amministrazione. Negli anni successivi, tale filone giurisprudenziale si è consolidato anche grazie ad altre sentenze, fra cui Corte giust. CE, sentenza 4 dicembre 2003, C-448/01, EVN AG et Wienstrom GmbH c. Austria, ECLI:EU:C:2003:651 e Corte giust. UE, sentenza 10 maggio 2012, C-368/10, Max Havelaar Label – Commissione c. Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2012:284. In relazione agli orientamenti della giurisprudenza europea in merito al superamento dell’approccio (meramente) economico nella valutazione delle offerte degli operatori economici in sede di gara, si veda in particolare E. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici. Oltre il primato della concorrenza?, Jovene, Napoli, 2021, spec. 189 ss.
  38. In argomento, senza pretese di esaustività, si vedano F. Fracchia, S. Vernile, I contratti pubblici come strumento dello sviluppo ambientale, in Riv. quadr. dir. amb., 2, 2020, 4 ss.; M. Andhov, R. Caranta (Eds.), Sustainability through public procurement: the way forward. Reform Proposals, SMART Project Report, 2020; A. La Chimia, Appalti e sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030, in A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., 77 ss.; in chiave comparata L. Ventura, Public procurement e sostenibilità. Convergenze trasversali dei sistemi giuridici contemporanei, in Dir. comm. intern., 1, 2020, 243 ss. In senso ampio M. Antonioli, Sviluppo Sostenibile e Giudice Amministrativo tra Tutela Ambientale e Governo del Territorio, in Riv. ita. dir. pubbl. comunit., 2, 2019, 201 ss. In argomento si vedano, fra i numerosi contributi, R. Caranta, S. Marroncelli, Gli appalti pubblici tra mitigazione e resilienza: il contributo del GPP alla lotta contro i cambiamenti climatici, in Riv. giur. amb., 1, 2021, 83 ss.; G. Quinto, Le variabili ambientali nella disciplina degli appalti pubblici, in Ambientediritto, 1, 2020; A. Di Giovanni, L’ambiente sostenibile nel nuovo Codice degli appalti: green public procurement e certificazioni ambientali, in Dir. econ., 1, 2018, 157 ss.; C. Feliziani, I “nuovi” appalti verdi: un primo passo verso un’economia circolare?, in Dir. econ., 2, 2017, 349 ss.; S. Villamena, Codice dei contratti pubblici 2016. Nuovo lessico ambientale, clausole ecologiche, sostenibilità, economicità, in Riv. giur. edilizia, 3, 2017, 101 ss.; R. Caranta, M. Trybus (Eds.), The Law of Green and Social Procurement in Europe, DJØF, Copenhagen, 2010. In lingua inglese invece I.A. Nicotra, C. Sagone, Green Public Procurement: a look into the past to meet future challenges, in federalismi.it, 6, 2022, 259 ss.; T. Müller, Green public procurement, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, Giuffrè, Milano, 2021, 45 ss. In relazione al rapporto fra appalti pubblici ed economica circolare si vedano A. Lazzaro, Pubblica amministrazione e processi di sviluppo sostenibile: la nuova sfida dell’economia circolare, in Nuove Autonomie, 2, 2020, 405 ss., in part. 422 ss.; e M. Cocconi, Un diritto per l’economia circolare, in Dir. econ., 3, 2019, 113 ss., in part. 139 ss.
  39. Come già posto in luce da T. Stoffel, C. Carvero, A. La Chimia, G. Quinot, Multidimensionality of Sustainable Public Procurement (SPP) – Exploring Concepts and Eddects in Sub-Saharan Africa and Europe, in Sustainability, 11, 2019, 6352, nonché da S. Arrowsmith, Horizontal Policies in Public Procurement: A Taxonomy, in Journal of Public Procurement, Vol. 10, 2, 2010, 149 ss.
  40. L’esigenza di integrare la tutela ambientale negli appalti pubblici è stata tradotta dalle Istituzioni – europee e quindi domestiche – in norme giuridiche da poco meno di trent’anni. Il primo atto in tale ambito può essere considerato la Comunicazione della Commissione del 27 novembre 1996 (COM(96) 583 def), rubricato “Libro verde. Gli appalti pubblici nell’Unione europea. Spunti di riflessione per il futuro”. Successivamente sono seguite altre Comunicazioni della Commissione: la Comunicazione della Commissione del 18 giugno 2004 (COM(2003) 302) rubricata “Politica integrata dei prodotti”; la Comunicazione della Commissione del 16 luglio 2008 (COM(2008) 400) rubricata “Appalti pubblici per un ambiente migliore”; la Comunicazione della Commissione del 16 luglio 2008 (COM(2008) 397) rubricata “Piano d’azione per produzione e consumo sostenibili”; nonché la Comunicazione della Commissione del 2 dicembre 2015 (COM (2015) 614) rubricata “Piano d’azione europea per l’economia circolare”. Il Green Public Procurement è ovviamente presente nella disciplina dettata dalla Direttiva 2014/24/UE: cfr. in particolare i considerando 37), 92) e 95).
  41. In relazione agli aspetti della sostenibilità slegati dall’ambito ambientale, si vedano ex multis E. Caruso, La funzione sociale dei contratti pubblici. Oltre il primato della concorrenza?, cit.; D. Caselli, G. De Angeis, L. De Vita, B. Giullari, S. Lucciarini, A. Rimano, Il sistema del procurement dei servizi sociali in Italia tra concorrenza e concessione. Quali esiti sulle condizioni di lavoro, quali implicazioni sulla qualità del servizio, in L. Fiorentino, A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., 231 ss.; Å. Edman, P. Nohrstedt, No Socially Responsible Public Procurement without Monitoring the Contract Conditions, in European Procurement & Public Private Partnership Law Review, n. 12/2017, 352 ss.; C. Vivani, Appalti sostenibili, “green public procurement” e “socially responsible public procurement”, in Urb. app., 8-9, 2016, 993 ss.; in relazione alla disciplina giuridica precedente si rimanda a M.E. Comba, Green and Social Considerations in Public Procurement Contracts, in R. Caranta, M. Trybus (Eds.), The Law of Green and Social Procurement in Europe, cit., 299 ss.; a S. Arrowsmith, P Kunzlik, Social and Environmental Policies in EC Procurement Law: New Directives and New Directions, Cambridge University Press, Cambridge, 2009; e a C. Mc. Crudden, Buying Social Justice: Equality, Government Procurement and Legal Change, Oxford University Press, Oxford, 2007. In senso ampio anche J. Barraket, J. Weissman, Social Procurement and Its Implications for Social Enterprise: A Literature Review, Working Paper No. CPNS 48, The Australian Centre for Philanthropy and Nonprofit Studies, Queensland University of Technology, 2009. Come è stato sottolineato da L. Cellura, T. Cellura, G. Galluzzo, Manuale per l’applicazione dei criteri sociali negli appalti pubblici. Strumenti e procedure per l’attuazione del Sustainable Public Procurement, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2022, 10, il Sustainable Public Procurement non comprende al suo interno soltanto il Green Public Procurement e il Socially Responsible Public Procurement, bensì anche l’Ethical Public Procurement. Rilievo che testimonia la complessità di tale approccio.
  42. Oltre alle Direttive del 2014, si veda altresì la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Politica integrata dei prodotti – Sviluppare il concetto di “ciclo di vita ambientale” (COM/2003/0302 def).
  43. A titolo esemplificativo: la procedura aperta (ex art. 60 d.lgs. n. 50/2016); la procedura ristretta (ex art. 61 d.lgs. n. 50/2016); la procedura competitiva con negoziazione (ex art. 62 d.lgs. n. 50/2016); la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara (ex art. 63 d.lgs. n. 50/2016); e il dialogo competitivo (ex art. 64 d.lgs. n. 50/2016).
  44. Cfr. art. 1 co. 1126 l. n. 296/2006.
  45. Il Piano è stato successivamente aggiornato con Decreto del Ministero dell’Ambiente 10 aprile 2013.
  46. Molti CAM contengono riferimenti a parametri e criteri di natura sociale, come nel caso della categoria merceologica “calzature da lavoro e accessori in pelle”, al punto che vi è chi si riferisce a essi con la locuzione “criteri sociali minimi” (CSM). In tal senso, ad esempio, A. Fezza, G. Lombardo, I criteri sociali e ambientali minimi (CSM e CAM) nella contrattualistica pubblica. Possibili premialità per iniziative ad impatto sociale e ambientale, in Riv. trim. app., 3, 2019, 1085 ss.
  47. Cfr. Decreto del Ministro dell’Ambiente 11 aprile 2008, “Approvazione del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione”. Poiché questo decreto ha subito, e subisce, continue modifiche e integrazioni, si ritiene più agevole consultare l’elenco delle categorie merceologiche sul sito del Ministero della Transizione Ecologica all’indirizzo https://gpp.mite.gov.it/Home/Cam [ultima consultazione: 12.08.2022]. Sui CAM si vedano L. Cellura, T. Cellura, G. Galluzzo, Manuale per l’applicazione dei criteri sociali negli appalti pubblici. Strumenti e procedure per l’attuazione del Sustainable Public Procurement, cit., 211 ss.; M. Trevisan, Bandi di gara e criteri ambientali minimi (CAM), in I Contratti dello Stato e degli Enti pubblici, 2, 2021, 61 ss.; F. de Leonardis, L’uso strategico della contrattazione pubblica: tra GPP e obbligatorietà dei CAM, in Riv. quadrim. dir. amb., 3, 2020, 62 ss.; E. Bellomo, Appalti verdi in urbanistica ed edilizia: i criteri ambientali minimi, in Riv. giur. urb., 1, 2020, 143 ss.; F. de Leonardis, Norme di gestione ambientale e clausole ecologiche, in L’amministrativista.it, 2016; T. Cellura (a cura di), L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2016.
  48. Cfr. art. 34 d.lgs. n. 50/2016 (ma indirettamente anche gli artt. 4, 30 co. 1, 36 co. 1, 95 co. 6 e 12 d.lgs. n. 50/2016). È stato l’art. 18 l. n. 221/2015 a rende obbligatoria applicazione dei CAM negli gli appalti pubblici, introducendo l’art. 68-bis nel precedente Codice dei contratti pubblici, il d.lgs. n. 163/2006. In argomento si richiamano anche le già citate ANAC, Linee guida n. 2 Offerta economicamente più vantaggiosa, agg. 2018 in https://www.anticorruzione.it/-/lineeguida-n.-2.
  49. Cfr. combinato disposto dell’art. 213 co. 9 e art. 211 co. 1-bis d.lgs. n. 50/2016.
  50. Cfr. T.A.R. Veneto (sezione I), sentenza del 18 marzo 2019, n. 329.
  51. Così Cons. St. (sezione V), sentenza del 3 febbraio 2021, n. 972.
  52. In tal senso T.A.R. Trentino-Alto Adige, (sezione I), sentenza del 14 maggio 2020, n. 66.
  53. Cfr. T.A.R. Veneto (sezione I), sentenza del 18 marzo 2019, n. 329.
  54. Cfr. art. 68 d.lgs. n. 50/2016.
  55. In ogni caso, secondo Cons. St. (sezione III), sentenza dell’11 marzo 2019, n. 1635, le amministrazioni aggiudicatrici sono legittimate a inserire criteri di valutazione ambientale, aggiuntivi e sussidiari, per premiare i processi aziendali degli operatori economici partecipanti. In ogni caso, si badi che secondo la giurisprudenza i CAM non costituiscono un requisito di partecipazione né di esecuzione. Cfr. sent. T.A.R. Campania, (Salerno), sentenza dell’8 marzo 2021, n. 1529, Diritto: «[è] sufficiente osservare che i criteri ambientali minimi non possono essere qualificati in senso proprio come requisiti, né di partecipazione, né di esecuzione; non di partecipazione, dal momento che questi afferiscono al concorrente, sia in quanto operatore economico (cd. requisiti generali), sia quale imprenditore del settore (cd. requisiti speciali); i requisiti di esecuzione sono invece condizioni soggettive ed oggettive dell’appaltatore, previsti onde assicurare il puntuale adempimento di obbligazioni inerenti al contratto pubblico per cui è stata indetta gara; in tal senso, essi sono esigibili non in capo al concorrente, e quindi fin dal momento della gara, ma solo dall’appaltatore ed al momento della stipulazione, essendo solo tale soggetto colui che deve assicurare la corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali».
  56. Si rimanda al sito istituzionale https://www.scr.piemonte.it/ [ultima consultazione: 12.08.2022].
  57. Cfr. Tender procedure for the purchase of 100% green electricity supply nel sito ufficiale di Interreg Europe, consultabile in https://bit.ly/3QG7V3r [ultima consultazione: 12.08.2022] e soprattutto, in relazione ai dati derivanti dalle convenzioni per l’anno 2016 e per l’anno 2017, si veda il report Spp Regions – Energia verde. Acquisto congiunto di 500 GWh in Piemonte, in https://bit.ly/3BUByty [ultima consultazione: 12.08.2022].
  58. Per la precisione, si veda l’art. 3 co. 1 legge Regione Piemonte n. 19/2007: «[l]a SCR-Piemonte spa svolge la sua attività in favore della Regione e dei seguenti soggetti aventi sede nel suo territorio: a) enti regionali, anche autonomi, ed in generale organismi di diritto pubblico dalla stessa costituiti o partecipati nonché loro consorzi o associazioni ed inoltre enti e aziende del servizio sanitario regionale; b) enti locali e enti, aziende e istituti, anche autonomi, istituzioni ed in generale organismi di diritto pubblico da questi costituiti o partecipati e comunque denominati nonché loro consorzi o associazioni, istituti di istruzione scolastica universitaria e agenzie territoriali per la casa».
  59. In argomento si veda anche la guida sugli appalti pubblici socialmente responsabili pubblicata dalla Commissione europea nel giugno 2021, intitolata “Acquisti sociali — Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)»” (2021/C 237/01).
  60. CONSIP, Rapporto di sostenibilità 2018, 2019, 44 ss., consultabile in https://bit.ly/3zGzbry [ultima consultazione: 12.08.2022]. Sul punto anche L. Cellura, T. Cellura, G. Galluzzo, Manuale per l’applicazione dei criteri sociali negli appalti pubblici. Strumenti e procedure per l’attuazione del Sustainable Public Procurement, cit., 259.
  61. Cfr. CONSIP, Rapporto di sostenibilità 2018, cit., 45.
  62. In argomento I. Paziani, L’attuazione della parità di genere attraverso i contratti pubblici: gli incentivi nel Codice dei Contratti Pubblici, in Media Appalti, 9 giugno 2022.
  63. Cfr. art. 93 co. 7 d.lgs. n. 50/2016.
  64. Cfr. art. 95 co. 13 d.lgs. 50/2016.
  65. Ad esempio, nel caso delle convenzioni di SCR Piemonte citate nel corpo del testo si trattava di procedure aperte ex art. 60 d.lgs. n. 50/2016.
  66. Per approfondimenti si veda il documento della Commissione europea, Green Public Procurement in practice, n. 58, febbraio 2016.
  67. Cfr. https://www.bbg.gv.at/ [ultima consultazione: 12.08.2022].
  68. Sugli appalti innovativi in generale, si vedano ex multis R. Caranta, P. Cerqueira Gomes, Public procurement and innovation, in ERA Forum, n. 22/2021, 371 ss.; P. Cerqueira Gomes, EU Public Procurement and Innovation: The Innovation Partnership Procedure and Harmonisation Challenges, Elgar, Cheltenham, 2021; C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit.; M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, in Dir. econ., 1, 2020, 179 ss.; G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, Bruylant, Bruxelles, 2019; M.E. Comba, La domanda pubblica come leva per l’innovazione: le potenzialità degli appalti innovativi per le Anchor Institutions, in M.E. Comba (a cura di), Le Anchor Institution nella società liquida: strumenti giuridici per una sperimentazione in Italia, in federalismi.it, 4, 2019, 46 ss.; S. Treumer, M.E. Comba (Eds.), Modernising Public Procurement. The Approach of EU Member States, Elgar, Cheltenham, 2018; M. Andrecka, Innovation partnership in the new public procurement regime – a shift of focus from procedural to contractual issues?, in Public Procurement Law Review, 2015, 48 ss. P. Telles, L. Butler, Public Procedure Award Procedures in Directive 2014/24/EU, in F. Lichère, R. Caranta, S. Treumer (Eds.), Modernising Public Procurement: The New Directive, DJØF, Copenhagen, 2014, 131 ss.; V. Lember, R. Kattel, T. Kalvet (Eds.), Public Procurement, Innovation and Policy, Springer, Berlin Heidelberg, 2014. In senso ampio, recentemente, R. Cavallo Perin, M. Lipari, G.M. Racca (a cura di), Contratti pubblici e innovazioni. Per l’attuazione della legge delega, Jovene, Napoli, 2022. In ogni caso, in relazione ai singoli appalti innovativi, analizzati di seguito, si richiamano i riferimenti bibliografici citati successivamente in nota.
  69. Art. 3 co. 1 lett. nnnn) d.lgs. n. 50/2016.
  70. In tal senso anche la definizione data dalla voce Innovazione, in Vocabolario online Treccani, in https://www.treccani.it/vocabolario/innovazione/ [ultima consultazione: 12.08.2022]: «[l]’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione e sim. […]. b. In senso concr., ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica, ecc. […] anche in particolari meccanismi o prodotti dell’industria […]».
  71. Così M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 181: «[e]lemento comune a tutti gli appalti innovativi deve essere l’assumere ad oggetto il raggiungimento di una determinata finalità che al momento non è soddisfatta dai prodotti presenti sul mercato, ma che può esserlo, in un tempo ragionevole, attraverso un prodotto nuovo».
  72. Ragioni non solo tecniche ma anche di convenienza economica di produzione.
  73. Una definizione simile è anche rinvenibile, in ambito politologico, in V. Lember, R. Kattel, T. Kalvet (Eds.), Public Procurement, Innovation and Policy, cit., 2: un appalto innovative si ha allorquando «a public agency places an order for product (goods, services or systems) that do not yet exists, but that could probably be developed within a reasonable period of time based on additional or or new innovative work».
  74. In tal senso G.M. Racca, C.R. Yukins, Introduction. The Promise and Perrils of Innovation in Cross-Border Procurement, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, cit., 1 ss.
  75. Cfr. sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID): «[t]ramite gli appalti innovativi, la PA lancia una “sfida” al mercato, esprimendo il proprio fabbisogno in termini funzionali, in modo che gli operatori interessati possano proporre la soluzione più in linea le esigenze della PA». Cfr. https://www.agid.gov.it/it/agenzia/appalti-innovativi [ultima consultazione: 12.08.2022].
  76. Chiara sul punto la Direttiva 2014/24/UE, considerando 47) prima parte: «[l]a ricerca e l’innovazione, comprese l’ecoinnovazione e l’innovazione sociale, sono uno dei principali motori della crescita futura e sono state poste al centro della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Le autorità pubbliche dovrebbero utilizzare gli appalti pubblici strategicamente nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione. L’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi svolge un ruolo fondamentale per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale. Ciò contribuisce a ottenere un rapporto più vantaggioso qualità/prezzo nonché maggiori benefici economici, ambientali e per la società attraverso la generazione di nuove idee e la loro traduzione in prodotti e servizi innovativi, promuovendo in tal modo una crescita economica sostenibile». In argomento si richiama anche la Comunicazione della Commissione del 15 maggio 2018 (COM(2018) 3051) rubricata “Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione”. In argomento si veda altresì M.E. Comba, La domanda pubblica come leva per l’innovazione: le potenzialità degli appalti innovativi per le Anchor Institutions, cit.
  77. Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007 (COM (2007) 799) rubricata “Appalti pre-commerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”. Come è stato evidenziato dalla dottrina, l’appalto pre-commerciale, introdotto da una semplice comunicazione a differenza degli altri appalti innovativi (di cui si dirà infra) che sono stati disciplinati dalle Direttive del 2014, «non è stato oggetto né di modifica, né di integrazione nelle citate direttive», C. Pagliarin, Il partenariato per l’innovazione. La pubblica amministrazione e l’iniziativa privata per l’innovazione, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit., 173.
  78. Cfr. art. 158 co. 2 d.lgs. n. 50/2016: «[l]e stazioni appaltanti possono ricorrere, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 4 del presente codice, agli appalti pubblici pre-commerciali, destinati al conseguimento di risultati non appartenenti in via esclusiva all’amministrazione aggiudicatrice e all’ente aggiudicatore perché li usi nell’esercizio della sua attività e per i quali la prestazione del servizio non è interamente retribuita dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’ente aggiudicatore, così come definiti nella comunicazione della Commissione europea COM 799 (2007) del 14 dicembre 2007, nelle ipotesi in cui l’esigenza non possa essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato».
  79. In argomento anche M. Delsignore, M. Ramajoli, Gli appalti pubblici pre-commerciali, in L. Fiorentino, A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., 347 ss.; M. Brasson, Quando le stazioni appaltanti ricorrono a soluzioni innovative: dialogo competitivo e servizi di ricerca e sviluppo, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit., 83 ss.; M. Barberio, Appalti innovativi – Parte 2. Partenariato per l’innovazione e appalti pre-commerciali, in l’Amministrativista, 2020; G. Delle Cave, Innovazione e sviluppo nelle Pubbliche Amministrazioni: gli appalti innovativi e i c.d. “pre-commerciali”, in l’Amministrativista, 2019; S. Papa, Gli appalti precommerciali: un particolare approccio all’aggiudicazione degli appalti di ricerca e sviluppo, in Giustamm., 3, 2017; G. Iosca, Innovazione nella contrattualistica pubblica: dagli appalti pre-commerciali al partenariato per l’innovazione, in App. e Contr., 10, 2015, 40 ss. Sul tema anche C. Spada, I contratti di ricerca e sviluppo, in Dir. amm., 3, 2021, 687 ss. Come è stato osservato da G.M. Racca, S. Ponzio, D. Gualtieri, PP2Innovate Tool – Guida al PPI nel settore “smart – energy”, Interreg Central Europe, 2018, 10 in https://bit.ly/3bQFocn [ultima consultazione: 12.08.2022], l’appalto pre-commerciale «non si concentra sull’acquisto di prodotti o servizi già esistenti – siano essi presenti sul mercato in scala ridotta o in grandi volumi – ma sulla fase di R&S e, in particolare, sull’esplorazione e sul progetto di possibili alternative e soluzioni che competano per divenire prototipi ed essere sviluppate in un numero limitato di esemplari identificati come il miglior risultato possibile». Sul punto si veda la pagina web Pre-Commercial Procurement sul sito della Commissione europea all’indirizzo https://bit.ly/3QDqaGI [ultima consultazione: 12.08.2022].
  80. Cfr. art. 66 d.lgs. n. 50/2016.
  81. Cfr. Comunicazione della Commissione del 14 dicembre 2007 (COM (2007) 799), punto 5.3.
  82. M. Delsignore, M. Ramajoli, Gli appalti pubblici pre-commerciali, in L. Fiorentino, A. La Chimia (a cura di), Il procurement delle pubbliche amministrazioni. Tra innovazione e sostenibilità, cit., 349.
  83. Cfr. art. 14 Direttiva 2014/24/UE e art. 158 co. 1 d.lgs. n. 50/2016.
  84. Sulla differenza fra appalto pre-commerciale e appalto di servizi di ricerca e sviluppo si veda C. Spada, I contratti di ricerca e sviluppo, cit.
  85. G.M. Racca, S. Ponzio, D. Gualtieri, PP2Innovate Tool – Guida al PPI nel settore “smart – energy”, cit., 15.
  86. E in quanto tale è disciplinato dalle Direttive del 2014 e dal Codice dei contratti pubblici.
  87. Ma non solo. Infatti, come evidenziato dalla dottrina, «[l]e Direttive Appalti del 2004 hanno anche introdotto o riformulato alcuni moduli procedimentali che possono essere definiti “innovation friendly” nel senso che, pur non essendo esplicitamente pensati e costruiti per stimolare l’innovazione tecnologica, ammettono comunque che l’innovazione possa esser presa in considerazione come elemento di valutazione. Essi sono: le indagini di mercato pre-gara ed il dialogo tecnico; i concorsi di progettazione; il dialogo competitivo; la possibilità di inserire varianti in fase di presentazione dell’offerta», M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 187.
  88. Cfr. G.M. Racca, C.R. Yukins, Introduction. The Promise and Perrils of Innovation in Cross-Border Procurement, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, cit., 1 ss.
  89. In tal senso, ad esempio, G.M. Racca, S. Ponzio, D. Gualtieri, PP2Innovate Tool – Guida al PPI nel settore “smart – energy”, cit., 15.
  90. Così il sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) alla pagina dedicata agli appalti pubblici di soluzioni innovative https://bit.ly/3zMrqjL [ultima consultazione: 12.08.2022]. Sul punto si consulti la pagina web Public Procurement of Innovative Solutions sul sito della Commissione europea all’indirizzo https://bit.ly/3bQwKuD [ultima consultazione: 12.08.2022].
  91. In tal senso G.M. Racca, S. Ponzio, D. Gualtieri, PP2Innovate Tool – Guida al PPI nel settore “smart – energy”, cit., 15.
  92. In argomento G.M. Racca, S. Ponzio, Contrats publics transnationaux: une perspective complexe, in Ius Publicum Network Review, 1, 2021, 1 ss.; R. Cavallo Perin, G.M. Racca, European Joint Cross-border Procurement and Innovation, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Boders, cit., 106 ss.; S. Ponzio, Joint procurement and innovation in the new Eu directive and in some Eu-funded projects, in Ius Publicum Network Review, 2, 2014, 1 ss.; R. Cavallo Perin, Conclusioni, in Atti del Convegno “Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione. Le strategie di aggregazione e cooperazione europea nelle nuove direttive, Roma, 14 maggio 2014. Recentemente anche F. Schotanus, Joint procurement: an economics and management perspective, in C. Risvig Hamer, M.E. Comba, Centralising Public Procurement. The Approach of Eu Member States, Elgar, Cheltenham, 2021, 54 ss.
  93. Cfr. art. 39 co. 2 Direttiva 2014/24/UE.
  94. Cfr. art. 39 co. 1 ultimo periodo Direttiva 2014/24/UE.
  95. Cfr. art. 39 co. 1 primo periodo Direttiva 2014/24/UE.
  96. Sui contratti pubblici durante il periodo di Covid-19 nel mondo si rimanda, in generale, a S. Arrowsmith, L.R.A. Butler, A. La Chimia, C. Yukins (Eds.), Public Procurement Regulation in (A) Crisis? The Global Lessions from the Covid-19 Pandemic, Hart, Oxford-London, 2021; C. Smith, N. Penagos, L. Marchessault, G. Hayman, Improving emergency procurement: an open data-driven approach, in Public Procurement Law Review, 4, 2020, 171 ss. In lingua italiana invece G. Sdanganelli, Il modello europeo degli acquisti congiunti nella gestione degli eventi rischiosi per la salute pubblica, in DPCE online, 2, 2020, 2323 ss.
  97. E ciò ai sensi dell’art. 39 co. 2 e 3 Direttiva 2014/24/UE.
  98. In base a quanto disposto dall’art. 39 co. 1, 4 e 5 Direttiva 2014/24/UE.
  99. La disciplina straniera si applica anche in altri casi: nell’aggiudicazione di un appalto nell’ambito di un sistema dinamico di acquisizione (SDA); nell’ambito di un accordo quadro, nello svolgimento di una riapertura del confronto competitivo; nell’ambito di un accordo quadro, nella determinazione di quale operatore economico parte dell’accordo quadro svolgerà un determinato compito.
  100. G.M. Racca, C.R. Yukins, Introduction. The Promise and Perrils of Innovation in Cross-Border Procurement, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, cit., 1 ss.
  101. Così R. Cavallo Perin, G.M. Racca, European Joint Cross-Border Procurement and Innovation, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, cit., 93 ss. Il progetto HAPPI (Healthy Aging Public Procurement of Innovations) è significativo a riguardo, in quanto esso è stato realizzato tramite a un appalto transfrontaliero con cui si è acquistato forniture di natura innovativa. In argomento si veda G.M. Racca, Appalti transfrontalieri congiunti di soluzioni innovative nel settore dell’assistenza sanitaria. Da un’esperienza pionieristica alle innovazioni post pandemia per i contratti pubblici, Progetto Happi, 2022 (in corso di pubblicazione). Per approfondimenti, invece, si rimanda al sito http://www.masterseiic.it/happi/ [ultima consultazione: 12.08.2022].
  102. In generale sulle centrali di committenza, e sul rapporto fra centrali di committenza e alto livello di professionalizzazione si vedano G.M. Racca, S. Ponzio, La scelta del contraente come funzione pubblica: i modelli organizzativi per l’aggregazione dei contratti pubblici, in Dir. amm., 1, 2019, 33 ss. M. Immordino, A. Zito, Aggregazione e centralizzazione della domanda pubblica di beni: stato dell’arte e proposte di migliorie al sistema vigente, in Nuove autonomie, 2, 2018, 223 ss.. M.E. Comba, Aggregazioni di committenza e centrali di committenza: la disciplina europea e il modello italiano, in Urb. App., 2016, 1053 ss.; B.G. Mattarella, La centralizzazione delle committenze, in Giorn. dir. amm., 2016, 613 ss.; G.M. Racca, La professionalità nei contratti pubblici della sanità: centrali di committenza e accordi quadro, in Foro amm. CDS, 7-8, 2010, 1727 ss.
  103. In tal senso M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 184.
  104. In argomento M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 188 ss.; C. Pagliarin, Il partenariato per l’innovazione. La pubblica amministrazione e l’iniziativa privata per l’innovazione, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit., 137 ss.; C. Krönke, Innovation Partnership: Purpose, Scope of Application and Key Elements of a New Instrument of Strategic Procurement, in G.M. Racca, C.R. Yukins (Eds.), Joint Public Procurement and Innovation – Lessons Across Borders, cit., 337 ss.; C. Chiariello, Il partenariato per l’innovazione, in Giustamm., 2, 2016, 1 ss.; S. Bigazzi, Le “innovazioni” del partenariato per l’innovazione, in A. Fioritto, Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato, Giappichelli, Torino, 2017, 225 ss. In generale, sui partenariati si veda R. Dipace, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Giuffrè, Milano, 2006 e, in relazione alla situazione dell’Unione europea, P. Bogdanowicz, R. Caranta, P. Telles (Eds.), Public-Private Partnerships and Concessions in the EU. An Unfinished Legislative Framework, Elgar, Cheltenham-Northampton, 2020.
  105. Come sottolineato da M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 194, il partenariato per l’innovazione è stato introdotto per la prima volta dalla Direttiva 2014/24/UE, non essendo previsto nelle precedenti Direttive del 2014.
  106. Poiché l’art. 65 del Codice dei contratti pubblici ha di fatto recepito il testo dell’art. 31 della Direttiva, si prenderà in esame il testo della disciplina italiana.
  107. Rispettivamente, la fase della commercializzazione nell’appalto pre-commerciale e quella della ricerca e sviluppo nell’appalto di soluzioni innovative.
  108. Secondo C. Pagliarin, Il partenariato per l’innovazione. La pubblica amministrazione e l’iniziativa privata per l’innovazione, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit., 158, da «un primo sguardo complessivo alla procedura si può agevolmente ricondurla nell’ambito di quelle ristrette, con fasi negoziali successive, tipiche di quelle flessibili, quali la procedura competitiva con negoziazione».
  109. Cfr. Comunicazione della Commissione europea del 15 maggio 2018 (C(2018) 3051 final), rubricata “Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione”, punto 4.2.3.4.
  110. La dottrina ha sottolineato che «[u]no degli aspetti più interessanti della suddivisione in più segmenti della procedura di selezione consiste nella possibilità per la stazione appaltante di svolgere un’attività di cherry picking, cioè di individuare le parti migliori delle diverse offerte per metterle insieme e costruire così una offerta ideale, da sottoporre poi all’offerta finale dei partecipanti. Tuttavia, tale possibilità è comune alle altre procedure simili come il dialogo competitivo e la procedura negoziata […] [Ma], mentre nel dialogo competitivo è necessario il consenso degli interessati per rilevare soluzioni proposte o informazioni riservate a tutti i partecipanti e poter così procedere con il cherry picking, nel partenariato per l’innovazione è richiesto soltanto che la stazione appaltante definisca a priori le modalità di protezione della proprietà intellettuale, in modo che ciascun partecipante ne sia consapevole dall’inizio della procedura», M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 196.
  111. Ai sensi dell’art. 66 d.lgs. n. 50/2016.
  112. E questo per una ragione precisa, come previsto dall’art. 65 co. 2 d.lgs. n. 50/2016: «[n]ei documenti di gara le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori fissano i requisiti minimi che tutti gli offerenti devono soddisfare, in modo sufficientemente preciso da permettere agli operatori economici di individuare la natura e l’ambito della soluzione richiesta e decidere se partecipare alla procedura».
  113. Cfr. art. 65 co. 9 primo periodo d.lgs. n. 50/2016: «[n]el selezionare i candidati, le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori applicano in particolare i criteri relativi alle capacità dei candidati nel settore della ricerca e dello sviluppo e nella messa a punto e attuazione di soluzioni innovative».
  114. Criterio che non può essere modificato o essere oggetto di negoziazione fra le parti. Cfr. art. 65 co. 4 ultimo periodo d.lgs. n. 50/2016.
  115. Ovviamente, in base a quanto disposto dall’art. 65 co. 5 secondo periodo d.lgs. n. 50/2016, «[i]l partenariato per l’innovazione fissa obiettivi intermedi che le parti devono raggiungere e prevede il pagamento della remunerazione mediante congrue rate».
  116. Nel rispetto dei principi di parità di trattamento fra operatori economici, di imparzialità, di trasparenza e buon andamento dell’amministrazione.
  117. Ciò a condizione che tale facoltà sia stata preventivamente inserita nella documentazione di gara. Cfr. art. 65 co. 5 ultimo periodo e art. 65 co. 8 d.lgs. n. 50/2016.
  118. Cfr. art. 65 co. 9 d.lgs. n. 50/2016.
  119. Cfr. art. 65 co. 6 ultimo periodo d.lgs. n. 50/2016.
  120. Cfr. art. 65 co. 10 d.lgs. n. 50/2016.
  121. Cfr. art. 65 co. 5 d.lgs. n. 50/2016.
  122. In tal senso M.E. Comba, Appalti pubblici per l’innovazione, cit., 197: «per quanto riguarda la struttura stessa della procedura, se essa supera le difficoltà inerenti all’appalto pre-competitivo perché unisce in un solo contratto la fase di ricerca e sviluppo con quella di acquisto del bene o servizio, dall’altra impone alla stazione appaltante di avviare una procedura per l’acquisto di un bene o servizio che potrebbe anche non venire mai ad esistenza, richiedendo così in capo alla stazione appaltante una certa propensione al rischio».
  123. M.P. Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, in G.F. Cartei, M. Ricchi (a cura di), Finanza di progetto e partenariato pubblico-privato. Temi europei, istituti nazionali e operatività, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, 3.
  124. Ex multis C. Pagliarin, Il partenariato per l’innovazione. La pubblica amministrazione e l’iniziativa privata per l’innovazione, in C. Pagliarin, C. Perathoner, S. Laimer (a cura di), Contratti pubblici e innovazione. Una strategia per far ripartire l’Europa, cit., 179.
  125. Si veda in tal senso la Comunicazione della Commissione europea del 6 luglio 2021 (2021/C 267/01), rubricata “Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione”, nella quale viene sottolineata la stretta relazione che intercorre fra ricorso agli appalti innovativi e sviluppo di un’economia europea verde e digitale.
  126. Relativamente al contesto italiano, occorre evidenziare come l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) abbia creato il portale web istituzionale https://appaltinnovativi.gov.it/ [ultima consultazione: 12.08.2022] nel quale sono raccolti tutti gli appalti innovativi posti in essere dalle amministrazioni aggiudicatrici italiane. La creazione di questo portale è volta dare diffusione al ricorso a questi strumenti e a promuovere una maggior consapevolezza della loro utilità pratica.
  127. La One Health è una teoria basata sulla consapevolezza che la salute dell’uomo, dell’ambiente e degli animali sono legate fra loro da un vincolo di interdipendenza, con la conseguenza che l’una incide sulle altre. Sul punto si veda la Joint Press Release dell’Health High Level Expert Panel (OHHLEP) della Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), della World Organisation for Animal Health (WOAH), del United Nations Environment Programme (UNEP) e della World Health Organization (WHO), 1 dicembre 2021, nel documento consultabile in https://bit.ly/3QJrbgt [ultima consultazione: 12.08.2022].
  128. Si veda https://sdgs.un.org/goals [ultima consultazione: 12.08.2022].

Stefano Rossa

Researcher type A in Administrative Law at the University of Piemonte Orientale.