Sulla necessità di una semplificazione amministrativa per le “Zone Economiche Speciali” (ZES)

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3/2022

Sulla necessità di una semplificazione amministrativa per le “Zone Economiche Speciali” (ZES)

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Ormai da tempo la pubblica amministrazione è considerata come un ostacolo allo sviluppo economico per via dell’alto grado di complessità, formalismo e inefficienza della sua attività. Ritenendo di poter fare a meno di un’amministrazione inefficiente, si assiste a un’espansione dell’amministrazione per legge. Per fare fronte a questo fenomeno si sono susseguite diverse riforme volte alla c.d. “sburocratizzazione”. La semplificazione amministrativa, però, non può essere concepita come semplice riduzione di una complessità, che in effetti rispecchia quella della realtà amministrata. In questo senso, la disciplina delle Zone Economiche Speciali offre un’interessante occasione per riflettere sui diversi tipi di semplificazione amministrativa prospettabili. Essa, infatti, consente da un lato di isolare alcune mutazioni subite da tradizionali istituti, come la conferenza dei servizi; dall’altro, invece, consente di definire la tensione tra l’istanza decisionista e quella “cognitiva”. È proprio quest’ultima, infatti, a consentire di valorizzare la necessità di un recupero della capacità tecnica dell’amministrazione, che potrebbe aiutare a individuare fecondi percorsi di riforme amministrative. La sola semplificazione, infatti, non è una soluzione sufficiente a risolvere la crisi dell’amministrazione pubblica e il PNRR sembra partire proprio da questa considerazione, promuovendo percorsi di selezione delle migliori competenze e qualificazione delle persone, attraverso una rivisitazione del pubblico concorso ed una valorizzazione del merito nella Pubblica Amministrazione.


On the need for administrative simplification for the “Special Economic Zones”
Public administration has long been regarded as an obstacle to economic development because of high degrees of complexity, formalism and inefficiency. On the assumption that one can do without an inefficient administration, we are witnessing an expansion of administration by law. To cope with this phenomenon, there have been several reforms aimed at the so called “de-bureaucratisation”. Administrative simplification, however, cannot be conceived as a simple reduction of complexity, which in fact reflects that of the reality administered. The regulation of Special Economic Zones offers an interesting opportunity to reflect on the different types of administrative simplification that can be envisaged. On the one hand, it allows one to isolate some mutations suffered by traditional institutions, such as the conference of services. On the other hand, it allows one to define the tension between the decision-making and the "cognitive" instance, as it is precisely the latter that makes it possible to highlight the need for a recovery of the administrative technical capacity, which could help identify fruitful paths of administrative reform. Simplification alone is not a sufficient solution to solve the crisis in public administration. The National Recovery and Resilience Plan seems to be starting from this consideration, promoting the selection of the best skills and qualifications, through a review of the public competition’s procedures and the promotion of merit in the context of Public Administration.

1. La semplificazione come problema.

Premetto qualche riserva, sia sulla semplificazione in sé, un lemma che ormai vuol dire tutto e niente, sia sull’idea della funzione risolutiva, salvifica che viene comunemente attribuita alle semplificazioni e in particolare a quelle procedurali. E quella pensata per le “Zone Economiche Speciali” (ZES) è, come dirò, essenzialmente una semplificazione procedurale.

La semplificazione, si sa, è, a dispetto del suo nome, fenomeno assai complesso ed il termine che la indica è ormai logorato dall’uso indistinto che se ne fa, specie in sede di comunicazione istituzionale, dove è diventato sinonimo di riforma della pubblica amministrazione (per un certo periodo il Ministero della funzione pubblica si è perfino chiamato Ministero per la semplificazione), a volte sostituito con il non elegante neologismo “sburocratizzazione” o, da ultimo, come nel PNNR, con il più accettabile “deburocratizzazione”.

In termini così generali e generici il termine semplificazione perde ogni capacità classificatoria e fa riferimento ad una crisi più che ad una soluzione, perché si risolve nella constatazione dell’inefficienza degli apparati, considerati incapaci di fare uso degli strumenti ordinari per assicurare una buona amministrazione e perciò meritevoli di essere sistematicamente bypassati con strumenti riconducibili solo in senso lato, e perciò atecnico, alla logica della semplificazione.

Per affrontare l’esame delle misure di semplificazione, nello specifico di quelle da ultimo dettate per le ZES, non si può perciò fare a meno di distinguere, nell’ambito di questa tendenza, tra le sue diverse espressioni, avendo essenzialmente riguardo a tre ambiti distinti: quello normativo, inteso anzitutto in senso sostanziale, e cioè di eliminazione o accorpamento di funzioni, quello procedurale e quello organizzativo.

2. Crisi dell’amministrazione pubblica e processi di riforma. Le tecniche di by-pass.

Prima di richiamare brevemente queste essenziali distinzioni, necessarie per inquadrare correttamente la semplificazione in esame, vorrei però anche provare altrettanto brevemente a spiegare perché, come dicevo, la semplificazione non basta da sola a risolvere la crisi dell’amministrazione pubblica.

L’amministrazione, è ormai un dato acquisito, è percepita come un ostacolo allo sviluppo economico, perché complessa, invadente, inefficiente, formalistica[1].

Il contatto dei cittadini e delle imprese con gli apparati amministrativi è problematico e impervio. Si vorrebbe un’amministrazione poco invadente quando prescrive e regola ma efficiente e celere quando è chiamata a rimuovere ostacoli all’iniziativa privata.

A questo complesso di percezioni negative si è cercato e ancora si cerca di rimediare con le riforme, che si esprimono in modo tanto continuo quanto inefficace.

Negli ultimi tempi, poi, senza che siano venute meno le ambizioni riformatrici, spesso velleitarie e quasi sempre non adeguatamente concretizzate, l’esame della realtà evidenzia una tendenza ormai ben delineata: una conclamata “paura di amministrare”[2], l’affermarsi sempre più generalizzato di atteggiamenti difensivi, e perciò paralizzanti, per evitare di incorrere in responsabilità amministrative, contabili e penali[3].

Un segnale di questa involuzione è la tendenza a fare a meno dell’amministrazione[4]. Si amministra sempre di più per legge, attraendo almeno formalmente nell’area della legislazione negoziazioni che spetterebbero al governo e all’amministrazione, con evidenti alterazioni degli equilibri costituzionali e patologiche distorsioni dei rapporti tra i poteri[5].

Quando poi il problema non viene risolto direttamente con la legge, il ruolo dell’amministrazione pubblica viene comunque compresso se non del tutto eliminato, anche per effetto di pericolose fughe in avanti da parte del giudice amministrativo che catturano anche la quota di funzione che dovrebbe essere indefettibilmente riservata all’amministrazione[6].

In alcuni casi si può fare direttamente a meno di un vaglio preventivo (s.c.i.a.), in altri l’effetto abilitante si produce anche in caso di inerzia (silenzio assenso), in altri ancora il potere non tempestivamente o non adeguatamente esercitato si estingue (conferenza dei servizi) ovvero viene avocato con meccanismi sostitutivi.

La pubblica amministrazione e il suo diritto, additati come freno allo sviluppo economico, sono stati messi nell’angolo[7].

Questa tendenza a percepire l’amministrazione come un problema dura da qualche decennio, almeno dagli ultimi quindici anni del secolo scorso, e permane tuttora, anche se il contesto è mutato, in una direzione – determinata dalla riscoperta dell’essenzialità del ruolo dell’amministrazione per fronteggiare crisi ed emergenze[8] – che dovrebbe consigliare maggiore cautela nel proporre soluzioni del tipo “l’amministrazione non funziona, facciamone a meno”.

È chiaro, beninteso, che il superfluo va eliminato[9], epperò l’essenziale deve essere non aggirato[10], ma migliorato con misure organizzative e recupero della capacità amministrativa[11].

Il contesto non è più di crescita economica e di integrazione sovranazionale, e non vede più il dominio culturale del new public management, che aveva ispirato le riforme di fine secolo, orientandole verso le privatizzazioni e le liberalizzazioni.

La crisi economica e finanziaria del 2008, ed ora quelle drammaticamente attuali, con la riproposizione di un nuovo interventismo statale, hanno stravolto il contesto e fatto cambiare ancora una volta il modo di concepire il rapporto tra stato e mercato, con il primo nuovamente chiamato a sopperire alle inefficienze del secondo mentre la pandemia ha richiesto una presenza forte dell’amministrazione, non solo di servizio ma anche in veste autoritativa[12].

È evidente che se l’amministrazione siede, anche in un contesto così cambiato, sul banco degli imputati, questo accade perché è la stessa amministrazione che, nonostante tutta questa euforia riformista, non è cambiata e continua a costituire un problema.

Ma è anche verosimile che questo accada perché riformare la pubblica amministrazione, per quanto non agevole, come dimostrano i tanti tentativi non riusciti, è certo più facile che mettere in moto politiche economiche e fiscali, specialmente in Europa, dove la presenza dell’Unione non consente il perseguimento di strategie autenticamente nazionali[13].

Questa difficoltà sistemica è inoltre sempre stata accompagnata dall’idea che l’amministrazione possa essere riformata a costo zero, producendo anche risparmi di spesa[14]. Si è trattato, come dimostra la prova dei fatti, di interventi miopi e con una visione orientata alla risoluzione di problemi nel breve periodo, scaricando la responsabilità del fallimento dei processi di riforma sulla “burocrazia” e sull’organizzazione amministrativa, senza considerare, invece, come uno dei principali ostacoli al migliore funzionamento dell’attività delle amministrazioni pubbliche sia addebitabile al depauperamento di professionalità, saperi, mezzi tecnici a disposizione degli apparati pubblici, oltre che al mancato rinnovamento generazionale nel pubblico impiego[15].

Solo il PNNR è in discontinuità sul punto degli investimenti per la riforma della pubblica amministrazione e del recupero complessivo della capacità degli apparati, che emerge, ad esempio dall’approvazione del d.l. n. 80/2021 (c.d. “Reclutamento”) il quale, al fine di implementare e rafforzare il capitale umano dell’amministrazione, opera su due fronti: il primo è quello di definire percorsi veloci, trasparenti e rigorosi per il reclutamento dei profili tecnici adatti ai traguardi prefissati dal PNRR; il secondo è di porre le premesse per la realizzazione delle due riforme trasversali previste dal PNRR (pubblica amministrazione e giustizia)[16].

3. Una semplificazione amministrativa in una riforma fiscale

Questa chiave di lettura sulle riforme amministrative come succedaneo di quelle economiche e fiscali può essere utile a cogliere un aspetto peculiare della disciplina sulle ZES, se è vero che in questo caso le questioni amministrative sono inserite nell’ambito di un provvedimento di portata più ampia. La semplificazione, in questo caso, non è una misura isolata ma un pezzo, importante, di una riforma fiscale ed economica.

Ragione di più per prenderla sul serio, decifrarla correttamente e valutarne l’adeguatezza rispetto alle finalità perseguite ma anche alle esigenze complessive del sistema.

4. Semplificazione sostanziale e semplificazione procedurale: una semplificazione radicale ma pur sempre procedurale.

In questa prospettiva occorre anzitutto definire in quale ambito della semplificazione amministrativa si collochi la riforma delle Zone Economiche Speciali, e specificamente la misura radicale prevista dall’art. 5-bis del d.l. n. 91 del 2017[17], che assorbe in un unico procedimento da svolgersi in conferenza di servizi semplificata tutti gli iter procedimentali previsti e che sfocia nel rilascio di un’autorizzazione unica, sostitutiva di ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominati, che abilita alla realizzazione di tutte le opere, prestazioni e attività previste dal progetto.

La disciplina originariamente dettata per le ZES si limitava invece a dimezzare i termini per il rilascio delle diverse autorizzazioni, ma, come denunciò chi si impegnò a contarle, 32 erano e 32 rimanevano[18].

L’innovazione da molti richiesta è dunque per certo radicale ed importante al fine di agevolare le iniziative, ma si tratta pur sempre di una semplificazione procedurale e non sostanziale, posto che la normativa che prevede e disciplina il rilascio dei permessi necessari rimane invariata.

La semplificazione, come è stato osservato, è anzitutto un problema del legislatore più che dell’amministrazione[19]. Problema la cui soluzione implicherebbe la riduzione della disciplina normativa ad un ambito circoscritto di regole chiare ed agevolmente individuabili.

È chiaro, d’altronde, che ogni semplificazione, anche quelle che attengono al procedimento e all’organizzazione, integra un fenomeno normativo, perché è con le leggi che si pone mano, come si fece col capo IV della legge 241 del 1990, agli strumenti rivolti a semplificare il percorso procedimentale.

La semplificazione normativa in senso proprio attiene, invece, per un verso, alla riorganizzazione del materiale normativo esistente (semplificazione normativa formale mediante la redazione di Testi Unici e Codici), e per altro verso, ben più importante, al taglio delle disposizioni attributive di potere con l’intento di sopprimere o almeno accorpare le funzioni amministrative (semplificazione normativa sostanziale o, per meglio dire, autentica)[20].

Nel caso in esame non si è disposta nessuna soppressione di funzioni ma unicamente la loro concentrazione in un procedimento unificato ed accelerato che sfocia nel rilascio di un’autorizzazione unica[21] chiamata a sostituire tutte quelle previste dalla disciplina vigente, che tuttavia non viene modificata.

Siamo dunque di fronte ad una semplificazione procedurale, cui si accompagna la misura organizzativa che attribuisce al commissario il potere di rilasciare l’autorizzazione.

La semplificazione procedurale è la prima tentata con la legge 241 del 1990 in attuazione del principio di non aggravamento, dalla medesima legge espresso. Essa può riguardare l’alleggerimento degli obblighi informativi e procedimentali dei privati (es.: autocertificazione) ovvero l’alleggerimento e/o la concentrazione degli adempimenti istruttori e decisori della pubblica amministrazione, anche attraverso misure di accelerazione e/o sostituzione del soggetto inerte.

È il caso, quest’ultimo, della conferenza dei servizi, che, nella sua versione semplificata, è individuata come lo strumento da adottare per il rilascio dell’autorizzazione unica.

5. La conferenza semplificata e la mutazione genetica del modello.

È dunque sulla semplificazione procedurale e specificamente sul meccanismo della conferenza dei servizi semplificata che si punta, come emerge dal novellato art. 5, co. 1, lett. a-bis), del d.l. n. 91 del 2017, il quale dispone che nell’ambito del procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica – nonché di ogni altro atto di assenso o nulla osta necessario all’avvio dell’attività – i termini di cui all’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990 sono ridotti della metà.

È inoltre dettato un meccanismo specifico per il caso di opposizione delle amministrazioni preposte alla cura di interessi sensibili alla determinazione conclusiva, che si differenzia da quella prevista in via generale essenzialmente sul piano dei soggetti coinvolti. Essi sono l’Autorità Politica delegata per la coesione territoriale e il sud (per l’indizione), il Dipartimento per le politiche di coesione (per l’istruttoria, la cui necessità viene rimarcata), il Commissario della ZES (nel caso occorra anche la V.I.A.), il quale, di fronte ad un diniego, può chiedere la devoluzione al Consiglio dei Ministri «ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti». Anche se con questi specifici adattamenti, pur sempre si tratta di una conferenza di servizi semplificata.

È ben noto che la conferenza dei servizi è un istituto tra i più tormentati, sulla cui disciplina il legislatore si è accanito. L’istituto ha subito almeno 10 novelle normative, che hanno portato il testo del 1990 da 1 articolo, 4 commi e 159 parole a 5 articoli, 33 commi e 2824 parole. Oggi la disciplina si sviluppa per 7 pagine di difficile lettura, che hanno l’ambizione di prevedere tutte le possibili evenienze, indicando per filo e per segno all’amministrazione procedente come deve comportarsi ad ogni possibile incrocio con le altre amministrazioni coinvolte[22].

In disparte ogni facile commento su una semplificazione che si esprime con una disciplina così paradossalmente complicata, quel che occorre sottolineare è che la faticosa ricerca di un punto di equilibrio tra le esigenze di coordinamento infrastrutturale e di semplificazione ha, con le modifiche più recenti, segnato il ripiegamento delle prime e la prevalenza delle seconde[23].

Si è prodotta una “mutazione genetica” del modello, «da metodo di lavoro cooperativo e dialettico, capace di offrire la valutazione complessiva e contestuale dei punti di vista fatti valere da una pluralità di amministrazioni chiamate ad esprimersi in una stessa vicenda concreta, ad espediente di gestione di possibili dissensi (o atteggiamenti interdittivi o non collaborativi) attraverso forme di decisione alternativa o di intervento sostitutivo»[24]. Tutto questo in una logica accentratrice che sposta in sede di Consiglio dei ministri la ricerca della soluzione quando l’amministrazione dissenziente, portatrice di interessi sensibili, si oppone.

La mutazione genetica dell’istituto è dunque completa, e trasforma la conferenza di servizi da modulo organizzativo razionale di cognizione e gestione di problemi complessi a strumento per aggirare il problema e raggiungere a ogni costo un esito del procedimento. Tale considerazione si fonda anche sulla circostanza per cui, allo stato attuale, la modalità ordinaria di svolgimento dei lavori è per di più diventata – le statistiche lo confermano – quella semplificata e asincrona, cioè non contestuale, ora prescelta anche per il rilascio dell’autorizzazione unica nelle ZES.

Viene meno così il tratto più qualificante del metodo cooperativo, cioè «lo scambio di vedute, il confronto di argomenti, il dialogo sulle diverse opinioni»[25], e «la gestione dei procedimenti pluristrutturati torna ad essere affidata al vecchio sistema sequenziale e diacronico che, non contemplando la contestualità delle analisi, rende molto difficile cogliere nella sua compiutezza le reali dimensioni del problema e di affrontarlo con flessibilità e attitudine negoziale»[26].

6. Vantaggi e rischi di una semplificazione radicale. La necessità di un intervento per ridurre le funzioni. Tagliare il superfluo, migliorare il necessario.

In una logica decisionista, il modello semplifica e può funzionare, ma il prezzo che si paga è alto, quantomeno in termini di impoverimento cognitivo[27]. Da questo punto di vista, particolarmente forte è la equivalenza tra mancata tempestiva comunicazione della determinazione e comunicazione di una determinazione difettosa, intendendosi per tale quella non congruamente motivata, non formulata in termini di assenso/dissenso, ovvero non contenente in modo chiaro e analitico le condizioni per il suo superamento. La mancata tempestiva comunicazione e la determinazione difettosa sono equiparate ed entrambe considerate alla stregua di un assenso senza condizioni.

Si tratta di un ulteriore irrigidimento dello scambio a distanza che già caratterizza la conferenza, volto palesemente ad impedire quelle prassi elastiche ed irrituali avallate dalla giurisprudenza e guardate con favore dalla dottrina, in base alle quali un parere ostativo, comunque rappresentato, non si poteva considerare inesistente ma avrebbe dovuto comportare un nuovo e definitivo supplemento di esame con un reale confronto dialettico.

La rigida soluzione prescelta, tutta incentrata sul piano procedurale, e sulla non contestualità del confronto, dovrebbe essere in grado di far conseguire il risultato di una decisione celere e preferibilmente favorevole[28]. E ciò potrebbe segnare il successo della riforma, se appunto riguardata nella particolare ottica semplificatrice messa in evidenza.

Ma il giudizio è diverso se si guarda la situazione da un’altra prospettiva, probabilmente più ambiziosa, e si considera che la semplificazione autentica consiste nella ricognizione analitica delle molte, troppe funzioni contemplate ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione, nella prospettiva della eliminazione di tutte quelle superflue, ovvero della loro concentrazione secondo un disegno funzionale e organizzativo più razionale. È una strada che in questa sede si è rinunciato a percorrere, ma che resta essenziale per operare una semplificazione verace.

Periodicamente, un simile progetto si riaffaccia nelle intenzioni dei diversi Governi, come dimostrato dalla recente approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, di un ambizioso «Disegno di legge recante deleghe per le semplificazioni, i riassetti normativi e le codificazioni di settore»[29], il cui testo enunciava, tra gli altri «l’obiettivo di ridurre, per i procedimenti autorizzatori, il numero delle amministrazioni intervenienti, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, ed accorpando le funzioni per settori omogenei».

Non se ne è fatto nulla, a quel che mi risulta, e nondimeno la questione è all’ordine del giorno, sia perché ripresa nel PNRR[30], sia perché la legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2021 (AS2469, approvata dal Consiglio dei Ministri il 5.11.2021 ed ora in discussione al Senato), all’articolo 23 contiene una delega al Governo per un intervento che «dovrà semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni coinvolte, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, e individuando discipline e tempi uniformi per tipologie di procedimenti»[31].

Allo stesso modo, nel PNRR, nell’ambito di un più complessivo intervento a sostegno della capacità amministrativa, questa volta finalmente supportata da un investimento e non dalla pretesa di una riforma a costo zero, sono indicate come necessarie «La mappatura dei procedimenti e delle attività e dei relativi regimi vigenti» e «L’individuazione del catalogo dei nuovi regimi, l’eliminazione delle autorizzazioni non giustificate da motivi imperativi di interesse generale»[32].

È questa la strada maestra, e consiste nella eliminazione del superfluo e nel miglioramento dell’essenziale attraverso un recupero della capacità amministrativa[33].

Mentre le soluzioni fin qui adottate, e riproposte anche con riferimento agli investimenti nelle ZES, presentano dei rischi connessi all’applicazione pressoché incondizionata del paradigma della celerità, con la connessa rinuncia al dialogo informale, come dimostra la disposta equivalenza tra una determinazione “difettosa” e la mancanza di ogni determinazione.

La eccessiva compressione delle questioni complesse, anche quando giustificata dalla priorità che si vuole dare all’iniziativa economica, se può valere a bypassare qualche passaggio amministrativo, non può però valere a rendere tutto semplice. Le tensioni non risolte nel procedimento riemergono in forma di successivi ripensamenti ovvero di contenzioso. E così, nella logica decisionista e di celerità che si va affermando, si può comprendere anche la posizione – in realtà difficilmente conciliabile con i principi costituzionali in tema di pienezza della tutela giurisdizionale – di chi punta a ridimensionare la capacità del giudice amministrativo di intervenire per recuperare nel processo ciò che si è perso nel procedimento.

Il percorso da seguire è, invece, quello di accrescere la capacità anche tecnica delle amministrazioni, in discontinuità con quanto si è verificato nei tempi più recenti. Le cause della crisi, divenuta quasi tratto strutturale dell’amministrazione, vanno infatti ascritte anche alla drastica riduzione[34] o, secondo alcuni, alla totale scomparsa[35] di corpi tecnici all’interno dell’organico degli apparati[36], tendenza registrata nell’ultimo secolo e da collegare in misura significativa alle istanze di contenimento della spesa pubblica[37].

In questo senso, il PNRR ritiene necessario creare strutturalmente capacità amministrativa attraverso percorsi di selezione delle migliori competenze e qualificazione delle persone, attraverso una rivisitazione del pubblico concorso[38] ed una valorizzazione del merito. È questo l’unico modo attraverso il quale sarà possibile imporre un cambio di passo, soprattutto culturale, alle numerose riforme ancora una volta previste al fine di semplificare l’attività delle amministrazioni pubbliche[39], e che dovrebbero consentire di ritrovare il “coraggio di decidere” dei funzionari pubblici: ammoniva Bismark che «Con cattive leggi e buoni funzionari si può pur sempre governare, ma con cattivi funzionari le buone leggi non servono a niente»”.

  1. Così, cfr. F. Fracchia, L’amministrazione come ostacolo, in Dir. econ., 2013, pp. 357 ss.
  2. In tema, cfr. S. Tuccillo, Potere di riesame, amministrazione semplificata e “paura di amministrare”, in Nuove aut., 2020, pp. 725 ss.
  3. Sul punto, cfr. d.l. 76/2020 (c.d. semplificazioni) che, con l’obiettivo di rendere più semplice la vita agli amministratori, ha riformato gli istituti dell’abuso d’ufficio e della responsabilità erariale.
  4. Cfr. S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica?, in Riv. Trim. dir. pubbl., 2019, pp. 1 ss.
  5. Per una disamina dei profili problematici incidenti sul sistema amministrativo che emergono dall’amministrare per legge, sia consentito il rinvio a F. Liguori, Il problema amministrativo in trent’anni di fermento normativo: dalla legge sul procedimento del 1990 al decreto semplificazioni del 2020. Una introduzione, in F. Liguori (a cura di), Il problema amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, pp. 11 ss.
  6. Come conferma la discutibile pronuncia di Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321, sull’esaurimento della discrezionalità amministrativa ad opera del giudice amministrativo che, in grado di appello, condannò il MIUR al rilascio dell’abilitazione scientifica nazionale.
  7. Ma si veda, sul punto, G. Napolitano, Il diritto amministrativo dalla pandemia alla resilienza, in Giorn. Dir. amm., 2021, p. 145, il quale afferma come «sarebbe, però, un grave errore pensare di poter superare ogni difficoltà mettendo sotto accusa il diritto amministrativo in quanto tale, provando a liberarsene il più possibile sulla base di una sua rappresentazione ideologica o stereotipata».
  8. Sul punto, cfr. C. Acocella, Contributo allo studio dell’effettività dei diritti sociali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022.
  9. In ciò consiste l’essenza della semplificazione, secondo C.R. Sunstein, Semplice: l’arte del governo nel terzo millennio, Feltrinelli, Milano, 2014.
  10. A differenza di quello che sembra emergere da un editoriale di V. Visco, Il culto del diritto amministrativo frena la ricostruzione della Pa, nel Sole 24 Ore, 6 febbraio 2021.
  11. Non sembra un caso, infatti, che nelle pagine introduttive del PNRR si ritenga che la riforma della pubblica amministrazione, che insieme alla riforma della giustizia rientra tra gli obiettivi trasversali da raggiungere, sia funzionale al miglioramento proprio della capacità amministrativa.
  12. In tema, cfr. G. Napolitano, I pubblici poteri di fronte alla pandemia, in Giorn. Dir. amm., 2020, pp. 145 ss.
  13. G. Napolitano, Le riforme amministrative in Europa all’inizio del ventunesimo secolo, in Riv. Trim. dir. pubbl., 2015, p. 617, sottolinea che mentre per le riforme amministrative l’europeizzazione del diritto amministrativo lascia ancora margini decisionali agli ordinamenti nazionali, il perseguimento delle riforme fiscali ed economiche sono molto più vincolate a piani e programmi adottati a livello sovranazionale.
  14. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle riforme in materia di accesso – l’introduzione del modello anglosassone del Freedom of information act, introdotto in Italia ‘a costo-zero’, mentre in America costato circa 500 milioni all’anno – nonché le diverse previsioni in tema di digitalizzazione e informatizzazione dell’attività amministrativa, senza considerare che la semplificazione da realizzare attraverso i percorsi di digitalizzazione per essere effettiva ed efficace richiede tempi adeguati di implementazione, una spesa pubblica idonea agli obiettivi fissati e una visione organica, che sembra essere finalmente confluita nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
  15. In tema, tra i tanti, G. Napolitano, Il diritto amministrativo dalla pandemia, cit., p. 145.
  16. Non va neppure sottovalutato come Il PNRR (nella Componente 1 della Missione 1), in considerazione del blocco delle assunzioni che per ragioni di contenimento della spesa pubblica ha come noto caratterizzato l’ultimo decennio, guardi al turnover del personale amministrativo non solo come occasione di ringiovanimento delle amministrazioni stesse, ma altresì come viatico per favorire nella compagine amministrativa l’ingresso delle c.d. professioni del futuro, per semplificare oggetti dotati di competenze di natura informatica, digitale e relative dei big data. In questo senso, è certamente apprezzabile la duplice scelta di introdurre percorsi di reclutamento più celeri, affiancati da una formazione ad hoc, per giovani dotati di elevate qualifiche – come, ad esempio, quella di dottori di ricerca – e, al tempo stesso, di investire proprio su tali percorsi per la formazione, stanziando ingenti risorse per l’erogazione di borse di dottorato nei settori delle new Technologies e Green, temi centrali per il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel PNRR. Sul punto, cfr. C. Acocella, A. Di Martino, Il rinnovamento delle competenze nell’amministrazione nel solco della transizione digitale: questioni vecchie e nuove urgenze imposte dalla necessità di investire per la ripresa e la resilienza, in Riv. Dig. Pol., in corso di pubblicazione.
  17. La misura è stata introdotta dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77.
  18. È emblematico il titolo di un editoriale de Il Mattino del 20 gennaio 2020, Zes, che pasticcio! Nate per semplificare, servono 32 autorizzazioni.
  19. F. Merusi, La semplificazione: problema legislativo o amministrativo?, in Nuove aut., 2008, pp. 335 ss.
  20. Sulle diverse accezioni della semplificazione amministrativa, cfr. M. Renna, Semplificazione e ambiente, in Riv. Giur. Edil., 2008, pp. 37 ss., nonché, se si vuole, F. Liguori, Tutela dell’ambiente e misure di semplificazione, in Riv. Giur. Edil., 2020, pp. 3 ss.
  21. Sull’autorizzazione unica come modello di semplificazione, cfr. M. Clarich, Riforme amministrative e sviluppo economico, in Riv. Trim. dir. pubbl., 2020, pp. 159 ss., il quale – richiamando il caso dell’autorizzazione unica per la costruzione e gestione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387), sostiene che «i procedimenti autorizzativi per la realizzazione di iniziative imprenditoriali, oggi di competenza in parallelo di una pluralità di amministrazioni, dovrebbero essere accorpati in un regime di autorizzazione unica con un solo interlocutore amministrativo». In tema, si può vedere anche, M. Calabrò, Semplificazione procedimentale ed esigenze di tutela dell’ambiente: l’autorizzazione integrata ambientale, in Riv. Giur. Urb., 2012, pp. 201 ss.
  22. Rendendo così complicato inquadrare la conferenza di servizi come strumento per “ricucire sul piano operativo il frazionamento delle competenze”. In questi termini, cfr. F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, p. 259.
  23. Il passo indietro operato dalla riforma Madia nella concezione ‘pluralista’ della conferenza di servizi è ampiamente sottolineato da L. Torchia, Introduzione, in L. Torchia (a cura di), I nodi della pubblica amministrazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, p. 24, la quale, in ragione soprattutto della natura perentoria (e non più ordinatoria) dei termini dell’istituto ha affermato che la conferenza rischia di trasformarsi «da strumento di coordinamento in strumento di decisione». Le tensioni tra finalità di coordinamento e di semplificazione sottese alla conferenza di servizi sono, inoltre, ben approfondite da E. Scotti, La nuova disciplina della conferenza di servizi tra semplificazione e pluralismo, in Federalismi.it, 16/2016, p. 5.
  24. In questi termini, G.D. Comporti, Il principio di buon andamento tra complessità della geografia amministrativa ed unicità della funzione, in Aa. Vv., Azione amministrativa e rapporto con il cittadino alla luce dei principi di imparzialità e buon andamento, Giuffrè, Milano, 2019, p. 54.
  25. F.G. Scoca, Le relazioni tra le amministrazioni pubbliche: l’effettività del coordinamento della conferenza di servizi, in M. Gola, F. Mastragostino (a cura di), Forma e riforma dell’amministrazione pubblica tra crescita economica e servizio ai cittadini. La L. n. 124/2015 e la sua attuazione, B.U.P., Bologna, 2017, p. 81.
  26. G.D. Comporti, ult. cit., p. 55.
  27. S. Cassese, L’arena pubblica, in S. Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 86-87, guarda alla conferenza come «luogo dello scambio dove, con concessioni reciproche si può raggiungere una conclusione […] non un luogo neutro, nel quale le amministrazioni pubbliche possono fare insieme ciò che esse possono fare separatamente».
  28. Come sottolineato, di recente, da F. Gambardella, Il superamento della dimensione negoziale della conferenza di servizi, in F. Liguori (a cura di), Il problema, cit., p. 81.
  29. Che si può consultare in https://infoparlamento.it/tematiche/approfondimenti/disegno-di-legge-recante-deleghe-per-le-semplificazioni-i-riassetti-normativi-e-le-codificazioni-di-settore.
  30. Il quale fa rientrare, tra le misure di contesto, anche le riforme abilitanti, «cioè gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese. Tra questi ultimi interventi, si annoverano le misure di semplificazione e razionalizzazione della legislazione e quelle per la promozione della concorrenza» (p. 47).
  31. Quella della legge sulla concorrenza non costituisce una formula nuova nel nostro ordinamento, come confermato dal d.l. n. 5/2012, il quale (in termini più generali) all’articolo 12 chiedeva di adottare misure di semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative.
  32. PNRR, p. 47
  33. Sembra utile richiamare il monito che risale ad oltre venti anni addietro di G. Falcon, La normativa sul procedimento amministrativo: semplificazione o aggravamento?, in Riv. Giur. Urb., 2000, p. 142, secondo il quale «una ‘semplificazione’ come impoverimento del procedimento o come scelta a priori dell’interesse da sacrificare può forse essere accettata in via transitoria e quasi di emergenza, come rimedio pratico al malfunzionamento dell’amministrazione. Bisogna però fare attenzione a non confondere i rimedi pratici, che possono essere accettati in una certa non felice situazione, con l’ideale del diritto amministrativo».
  34. L. Saltari, Che resta delle strutture tecniche nell’amministrazione italiana?, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, pp. 249 ss.
  35. A. Zucaro, La crisi dei Corpi Tecnici della Pa nel quadro della crisi delle politiche pubbliche, in Riv. giur. mezz., 2019, pp. 303 ss.
  36. Nonostante gli studi più recenti siano tornati a focalizzare l’attenzione sulla centralità che ricoprono le competenze tecniche nell’organizzazione amministrativa. Ex multis, di recente, A. Pajno, Legge n. 241/1990, corpi tecnici e attività consultiva, in Aa. Vv, La legge n. 241 del 1990, trent’anni dopo, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 259 ss., nonché gli ulteriori lavori pubblicati sul tema sempre nel citato Volume.
  37. G. Melis, I corpi tecnici della pubblica amministrazione centrale, in Riv. giur. mezz., 2019, pp. 291 ss.
  38. Sulla crisi del pubblico concorso, cfr. M. Allena, M. Trimarchi, Il principio del concorso pubblico, in Riv. Trim. dir. pubbl., 2021, pp. 379 ss.
  39. In questi termini, cfr. A. Police, Il potere, il coraggio e il tempo nel decidere. Corpi tecnici e loro valutazioni nel trentennale della legge sul procedimento amministrativo, in Aa. Vv., La legge n. 241, cit., p. 357.