Riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti “Golden Powers”

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4/2021

Riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti “Golden Powers”

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Il contributo ha ad oggetto le modalità dell’esercizio dei poteri di “golden powers” da parte del governo e il relativo sindacato giurisdizionale. Più in particolare tale sindacato giurisdizionale deve tenere in considerazione da un lato, la tutela degli interessi nazionali e, dall’altro, l’osservanza del principio di legalità: quest’ultimo con particolare riguardo all’individuazione dei presupposti su cui si fonda l’esercizio di tali poteri. I parametri posti a fondamento del sindacato giurisdizionale devono essere individuati nel principio di proporzionalità e nel rispetto delle garanzie procedimentali.


Considerations on the Judicial Review of “Golden powers”
The article deals with the administrative procedures for the exercise of "golden powers" by the government and the related judicial review. More specifically, such judicial review must take into account, on the one hand, the protection of national interests and, on the other, the observance of the principle of legality: the latter with particular regard to the identification of the conditions on which the exercise of such powers is based. The parameters on which judicial review is based are the principle of proportionality and respect for procedural guarantees.

1. Oggetto e metodo di indagine

Il presente contributo intende affrontare il complesso tema del sindacato giurisdizionale sui “poteri speciali”, focalizzando l’attenzione sui seguenti aspetti: poteri speciali come oggetto di altissima discrezionalità (molto) politica (e poco) amministrativa; vincoli e limiti derivanti al diritto dell’Unione europea al loro esercizio; sindacato sui presupposti; incrocio – sul versante della proporzionalità ed estrema ratio – tra il profilo statico strutturale settore/attivo e quello dinamico funzionale della criticità/minaccia.

Si svilupperà una tesi ricostruttiva imperniata sui seguenti passaggi.

Il primo è la non perfetta coerenza metodologica di un travaso acritico (alla materia in esame) del tipico sindacato sull’esercizio della discrezionalità amministrativa. Discrezionalità la cui ponderazione comparativa, in questo caso, riguarda scelte strategiche e delicati equilibri geopolitici anche (e soprattutto) internazionali, legati all’evoluzione della natura delle minacce alla sicurezza e all’ordine pubblico emerse nel contesto globale[1].

Secondo passaggio: occorre esaminare con la lente dell’effettività il (tipo di) sindacato giurisdizionale che può essere concretamente esercitato, soprattutto in periodo di post pandemia. L’oggetto di tale sindacato è una discrezionalità amplissima, espressa al massimo livello istituzionale, in ambiti complessi e delicati. Soprattutto, sul piano della scelta valutativa (esercitata dalla Presidenza del Consiglio), non è agevole per il giudice entrare nei concreti parametri di esercizio del potere speciale inerenti a concetti quali “minaccia di un grave pregiudizio per interessi pubblici”; anche considerato che, tanto a livello organizzativo quanto su quello funzionale, l’esercizio del Golden Power si innesta nell’attività e nei servizi di intelligence dello Stato a tutela e salvaguardia dell’assetto democratico[2].

Terzo passaggio: la natura di prestazione imposta dell’atto di esercizio dei poteri speciali, con conseguente applicabilità del regime dell’art. 23 della Costituzione. Il che apre la strada al sindacato giurisdizionale non (tanto) sulla scelta valutativa in quanto tale, ma (soprattutto) sull’esistenza dei presupposti per tale scelta.

Il quarto passaggio è rappresentato dalla necessaria combinazione tra l’ottica verticale settore/attivo e quella della criticità/minaccia. Il livello di criticità, come si illustrerà, è legato soprattutto al grado di incidenza di nuove tecnologie e fattori produttivi critici: piattaforme abilitanti dell’internet delle cose; intelligenza artificiale e perimetro della sicurezza cibernetica.

Questa combinazione porta al quinto passaggio: il sindacato giudiziale di proporzionalità, condotto secondo i ben noti parametri elaborati dal giudice europeo. Ma tali parametri sono destinati a innestarsi, e svolgersi, in un substrato complesso e peculiare, in cui ha un peso rilevante (sovente) il dimensionamento dei diversi livelli di rischio (rimarcato dalle Istituzioni UE).

Il sesto passaggio è l’essenziale sindacato sulla legittimità del regolamento di individuazione concreta dell’attivo, vera e propria cartina di tornasole – come si dimostrerà – della tenuta dello Stato di diritto rispetto all’esercizio di poteri speciali.

L’ultimo passaggio è il rilievo assolutamente pregnante e rilevante delle garanzie procedimentali. Si tratta di un essenziale baluardo, soprattutto – e con riguardo ai poteri speciali nei settori ad alta intensità tecnologica – sul fronte di quella che la letteratura scientifica di settore qualifica in termini di «problematica della spiegazione della black box»[3].

Comune denominatore della trattazione è il tentativo di dare una risposta a una serie di interrogativi che la riflessione scientifica e gli operatori del settore si pongono in questa materia[4]. Vale a dire, quali siano (se vi siano) le chance concrete – in un’aula di giudizio – di contrapporre alla (forte) discrezionalità politica in materia di poteri speciali la violazione di regole giuridiche.

In particolare, emergono due interrogativi: quali regole e principi giuridici applicare ai poteri speciali; se si possa – ragionevolmente e fondatamente – contestarne la violazione dinanzi al giudice amministrativo.

Sono domande importanti. Come ammoniva Carnelutti, per quanto alti possano essere i voli che spiccano, l’interprete e l’operatore giuridico devono fare i conti con un dato di fondo: il diritto ha sostanza (ed esiste) se è possibile farlo valere in concreto[5]. E il luogo tipico in cui farlo valere è soprattutto il processo[6]. Il che è fondamentale in materia di poteri speciali, posto che – a differenza che in altri ordinamenti – tali poteri sono (almeno teoricamente) giustiziabili dinanzi al giudice amministrativo, nell’ambito di una giurisdizione esclusiva in cui (com’è noto) il giudice conosce del rapporto, oltre che dell’atto.

2. Il nodo problematico: un terreno di altissima discrezionalità (geo)politica

Per iniziare l’analisi, si fornisce una possibile chiave di lettura sul piano dell’approccio. La chiave di lettura muove dalla distinzione tra «potenza» e «potere»[7]. Si tratta di una distinzione già tracciata da Max Weber nell’opera incompiuta Economia e società[8], con un’accezione (parzialmente) diversa da quella che oggi si intende assumere. Il sociologo considerava la potenza (Macht) come una relazione sociale in cui il soggetto più forte riesce a far valere la propria volontà. Il potere (Herrschaft), invece, si riferisce a una relazione sociale in cui il soggetto debole accetta le decisioni altrui perché le riconosce valide e quindi legittime.

Ai fini della nostra indagine, è maggiormente attinente l’etimologia delle due parole. La “potenza” è ricollegabile all’aggettivo latino potis, pote, che significa “potente”, “capace”, ma anche “possibile”[9]. Si ricondurrà tale accezione (possibile, potenziale) all’atto legislativo di designazione di un “settore speciale”.

Il termine “potere” è maggiormente ricollegabile al verbo potior, che significa “impadronirsi”: l’azione di essere padrone e dominare. A sua volta, potis è un termine di origine indoeuropea che rinvia al sanscrito patish (“signore”, “padrone” e “sposo”), al quale rinviano anche i termini greci posis (“sposo”) e despotes (“signore”, “padrone”), che in sanscrito corrisponde a dasa – patish (“signore dei nemici”, “signore dei sudditi”)[10]. A questa seconda accezione, (impadronirsi d’imperio di specifici segmenti e atti di iniziativa economico privata) saranno ricondotti: l’atto (regolamentare) di individuazione degli attivi e, soprattutto, l’atto (provvedimentale) di esercizio del potere speciale.

Si inizia da quest’ultimo (l’atto di esercizio). Il potere speciale (se esercitato) è un vincolo prescrittivo teso a garantire allo Stato potestà, rispetto a società (anche) private, che esulano dalla normale disciplina privatistica societaria: controllo sui cambiamenti di proprietà e/o diritto di veto all’adozione di alcune decisioni strategiche, prescrizioni alle operazioni straordinarie ecc.

Si parla, quindi, di altissima amministrazione[11]. Quelli di alta amministrazione sono atti di raccordo tra la funzione di governo e la funzione amministrativa, rappresentando il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo amministrativo[12]. In questo caso, l’ambito è innervato da una componente politica amplissima, perché riguarda un terreno di confine con la tutela di essenziali interessi statali. Lo si evince dal soggetto chiamato a operare (Presidenza del Consiglio), dal ruolo istituzionale e dagli interessi in gioco: la minaccia alla sicurezza nazionale o un grave pregiudizio alla collettività[13].

Di qui una prima considerazione: non è agevole duplicare in sede giurisdizionale la stima, da parte della Presidenza del Consiglio, di rischi inerenti, per esempio, all’interruzione di una rete di comunicazione elettronica o a un malfunzionamento delle reti, impianti e sistemi strategici. Del resto, sovente solo la Presidenza del Consiglio ha (e ha il diritto di avere) in mano i dati che servono per una esatta percezione di quale sia la portata di una minaccia. Possono rilevare: dati acquisiti dai servizi di informazione; informazioni classificate; dati non conoscibili[14]. Insomma, sul merito della concreta decisione di esercizio del potere speciale e, soprattutto, sul quomodo, l’altissima discrezionalità politica e la rilevanza degli interessi in gioco lascia poche speranze a un sindacato sostanziale da parte del giudice. Quantomeno nella componente valutativo/prescrittiva. Di come si possa tutelare adeguatamente l’interesse nazionale, per esempio, a fronte di casi che espongono al pericolo di attacchi cibernetici da parte di altri Stati o di pericolose organizzazioni criminali in occasione di importanti competizioni elettorali o di perdita di autosufficienza tecnologica in ambiti vitali[15].

Per coglierne la portata, è utile richiamare un caso concreto di esercizio dei poteri speciali.

Nel 2021 il Governo italiano impedisce la vendita di un’azienda italiana, attiva nello sviluppo di reattori epitassiali utilizzati per la produzione di semiconduttori, a un gruppo asiatico. Ragione del veto: rilevanza strategica dei semiconduttori (impiegati in smartphone, pc, tablet, laptop, industria della difesa, automobili). Rilevanza accresciuta dall’evento pandemico. Con l’avvento della pandemia, i principali clienti delle aziende di chip hanno ridotto scorte e produzione, annullando ordini per un mercato previsto in calo. Ma alla fine 2020 la domanda delle case automobilistiche è tornata a crescere, sommandosi a quella delle aziende che producono elettronica. Risultato: mancano le scorte[16].

Nel frattempo, con il D.P.C.M. n. 179 del 2020, è stata stilata una lunghissima lista di nuovi attivi strategici, potenzialmente oggetto di poteri speciali. Vi rientrano infrastrutture elettorali e finanziarie, tecnologie di avanguardia, settore della salute, alimentare. Soprattutto, vi entra l’universo “in divenire” dell’intelligenza artificiale.

A fronte di tale complessità, la riflessione scientifica può offrire senz’altro un contributo tecnico, cercando di estrarre dalla scottante materia dei poteri speciali un tema squisitamente giuridico[17]. Anzi, non un tema giuridico, ma – per molti versi – il tema giuridico: il Golden power è solo affare (geo) politico – come avviene in tanti ordinamenti, quale quello statunitense[18] – o vi è spazio (anche) per l’applicazione di regole e principi giuridici? Esistono disposizioni normative, anche di principio, declinabili in questa materia?

La risposta positiva è spontanea. Immediata. Altrettanto immediata è la risposta al secondo ordine di domande. Ammettendo che vi siano regole e principi applicabili a tale materia, chi ne controlla la concreta applicazione? Il giudice, ovviamente. Non a caso, l’art. 133, comma 1, lettera z-quinquies, del codice del processo amministrativo considera i poteri speciali materia di giurisdizione esclusiva.

Ma sotto l’elegante enumerazione di una materia in giurisdizione esclusiva, vi è vera (ovverosia concreta) “giustiziabilità”?

Non sembra agevole chiamare il giudice amministrativo a verificare se, per esempio, la carenza di chip e la dipendenza dall’estremo oriente possano determinare una minaccia all’interesse nazionale e se, conseguentemente, abbia fatto bene la Presidenza del Consiglio a esercitare il potere speciale di veto (alla cessione del pacchetto azionario) per fronteggiare questa situazione.

Dalle parole ai fatti.

Riprendendo l’esempio di prima, si ipotizzi un contenzioso giurisdizionale in cui al giudice vengano prospettate (anche) le seguenti ragioni poste alla base del veto: gli Stati Uniti ospitano i più grandi venditori mondiali di microchip al mondo, tra i primi nella progettazione di dispositivi e di software (fabless), ma non nella fabbricazione materiale, non disponendo di fonderie. Gli effetti della mancanza di chip si stanno rivelando in tutta la loro gravità, in particolare sul settore dell’automotive (settore tra i più colpiti dalla pandemia). A fronte di questa situazione, alcuni Stati europei stanno esercitando poteri speciali, al fine di arginare il pericolo dell’egemonia asiatica sui semiconduttori. Sono poteri speciali esercitati a fronte di una minaccia seria e concreta.

Non vi è il pericolo che il giudice amministrativo sia “frastornato” da tali dati?

Si intende dare una lettura realista. Le chance che un giudice possa entrare nelle maglie di tali valutazioni non sembrano alte. Probabilmente è giusto così, posto che ognuno deve fare il proprio mestiere. Forse non sembra del tutto scandaloso prefigurare una relativa riserva di (altissima) amministrazione rispetto alla giurisdizione (solo) sul versante delle valutazioni inerenti allo stretto quomodo del potere speciale. Per esempio, in ordine alle “prescrizioni” imposte (ovviamente nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità e nel rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea che si illustreranno) al titolare dell’attivo strategico.

Difficile che il giudice amministrativo possa doppiare valutazioni inerenti, per esempio, a come affrontare e ridurre – tramite stringenti prescrizioni imposte con atto di esercizio del potere speciale – il livello di minaccia di un grave pregiudizio per gli interessi pubblici derivanti dalle pericolosissime forme di attacchi cibernetici ai satelliti. Attacchi sovente pilotati da Stati nella prospettiva di vere e proprie azioni di guerra, che, purtroppo, sono in atto da diversi anni e vanno incrementandosi in termini di capacità lesiva (atti di GPS spoofing, di Jamming, di Eavesdropping, di Hijacking e di accecamento dei satelliti ecc.).

Ma prima ed al di là della comunicazione politica che di regola accompagna l’esercizio dei poteri speciali, si muove un’azione pubblica sotterranea, poco visibile. Un agere retto da regole giuridiche ordinamentali e – come tale – concretamente giustiziabile. Si tratta di un diritto umile, “mite”[19], lontano dai riflettori.

Cosa sarebbe questo – prendendo in prestito una formulazione di Friedrich Carl von Savigny – “diritto invisibile”[20], addirittura idoneo a imbrigliare l’altisonante Golden Power?

Prima ancora di individuare ed approfondire la natura giuridica, e le fonti, di questo “diritto invisibile”, ci si limita a rilevare che esso presuppone la necessità di analizzare con l’ausilio di adeguati occhiali forgiati dalla tecnica giuridica di settore (la delicatezza geopolitica di ambiti quali il perimetro della sicurezza cibernetica, gli algoritmi di intelligenza artificiale, il 5G ecc.) quel fiume giuridico sotterraneo che alimenta l’impetuosa cascata dell’atto di esercizio del Golden Power.

Cosa che si cercherà di fare nel prosieguo.

3. Oggetto e finalità dei poteri speciali

Il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 (convertito con modifiche dalla legge 11 maggio 2012, n. 56) ha fissato una nuova disciplina sui poteri speciali che, riguardando anche le imprese private, ha trasformato la Golden share in Golden Power[21].

I poteri speciali esistono per tutelare essenziali interessi pubblici messi (astrattamente) in gioco dal settore e dall’asset strategico, ma concretamente suscettibili di pregiudizio in presenza di un’operazione rilevante.

Si ipotizzi un’importante competizione elettorale (elezioni politiche, elezioni del Presidente della Repubblica, referendum abrogativi ecc.), al cui esito possano essere interessati Stati stranieri, speculatori finanziari o organizzazioni criminali. Si immagini ora (ma oggi non occorrono grandi sforzi di immaginazione) che durante il delicato periodo pre-elettorale, questi soggetti interessati organizzino un mirato e massiccio attacco cibernetico e di information disorder (deep fake, trolling, ecc.) [22]. Un attacco per effetto del quale: (prima) siano penetrati importanti datacenter; (poi), tramite intelligenza artificiale, anche mediante i dati trafugati, siano studiate tecniche manipolative di massa; (infine), siano veicolate in modo massiccio e pervasivo informazioni false e fortemente pericolose in termini di capacità manipolativa del consenso elettorale, perché elaborate tramite algoritmi di persuasione che fanno leva su debolezze e bias cognitivi della collettività. Se ben condotto (manipolazioni di questo tipo sono rivolte soprattutto alla categoria degli “indecisi”, sovente decisivi nel far pendere l’ago della bilancia), l’attacco ha come effetto un danno enorme alle fondamenta stessa dello stato democratico: il corretto svolgersi della dialettica rappresentativa nella sua fase genetica (le elezioni).

L’attacco in questione usa determinate tecnologie, infrastrutture e fattori produttivi. Alcune di queste tecniche, infrastrutture e tecnologie assurgono (potenzialmente) al rango di asset strategici nell’interesse nazionale. Si tratta, precisamente, della c.d. terza generazione degli attivi strategici.

La prima macro-categoria (c.d. prima generazione) è costituita dagli asset strategici inerenti al sistema di difesa e sicurezza nazionale[23]. Tale sistema tocca il nucleo della sicurezza e della sovranità nazionale. Anche i più convinti liberisti non riescono a trovare fondati argomenti per contestare la delicatezza dell’attività svolta da imprese che si occupano di sistemi di propulsione aerospaziali e navali militari, scudi spaziali, parti di armamenti ecc.

In tale ambito, l’esercizio di tali poteri è agganciato alla minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. L’articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 21 del 2012 prevede che chiunque acquisisca una partecipazione in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale sia tenuto a notificarlo alla Presidenza del Consiglio dei ministri[24].

La seconda macro-categoria di asset strategici riguarda i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni[25].

L’art. 2 del Decreto Golden Power disciplina l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo con riferimento alle reti, agli impianti, ai beni e ai rapporti di rilevanza strategica. I relativi presupposti applicativi sono meno incisivi rispetto a quelli previsti per i settori della difesa e della sicurezza nazionale, in considerazione del fatto che le relative aree di operatività strategica sono maggiormente armonizzate a livello europeo (consentendo agli Stati membri l’attivazione di prerogative pubbliche di minore intensità)[26].

Segnatamente, in tali ambiti (energia trasporti e comunicazioni):

a) l’esercizio dei poteri speciali si basa sulla sussistenza di una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti;

b) l’articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 21 del 2012 prevede che debbano essere notificati alla Presidenza del Consiglio dei ministri le delibere, gli atti e le operazioni posti in essere da società che detengono attivi strategici in tali settori[27];

c) l’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 21 del 2012 prevede che sia notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri anche l’acquisto da parte di un soggetto esterno all’Unione europea di partecipazioni in società che detengono attivi strategici in tali settori, di rilevanza tale da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente nella società;

d) i relativi poteri speciali consistono nell’esercizio, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un potere di veto alle delibere, agli atti e alle operazioni che modificano la titolarità, il controllo, la disponibilità degli asset o la loro destinazione e alle delibere di fusione, scissione, scioglimento, trasferimento all’estero della sede sociale, mutamento dell’oggetto sociale ecc.;

e) il veto può essere opposto solo in presenza di una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti[28];

f) i poteri speciali possono assumere la veste di un potere eccezionale di opposizione all’acquisto di partecipazioni azionarie da parte dei soggetti indicati, che può essere esercitato solo in casi eccezionali di rischio per la tutela degli interessi essenziali dello Stato, relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, non eliminabili mediante l’imposizione di altre condizioni;

g) sussiste una graduazione, in virtù della quale il potere di veto può essere attivato solo in presenza di situazioni eccezionali e quello di opposizione solo nei casi di fallimento della misura impositiva (lo strumento meno restrittivo di salvaguardia delle esigenze di interesse generale rappresenta la regola, le misure più invasive, quali il potere di veto e quello di opposizione, sono eccezioni attivabili solo nei casi di accertata inidoneità del potere impositivo o di particolare rischio);

h) i poteri speciali devono essere attivati entro 45 giorni dalla notifica delle delibere o degli atti da adottare o dalla notifica dell’acquisizione delle partecipazioni azionarie (nei casi di violazione della relativa normativa e di inottemperanza alle decisioni governative sono previste sanzioni pecuniarie e specifiche ipotesi di nullità).

La terza macro-categoria abbraccia i settori individuati ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2019/452[29], che ha istituito un controllo sugli investimenti esteri in settori strategici molto ampi[30].

Sul piano applicativo, in sede di esercizio dei poteri speciali è frequente il ricorso, da parte della Presidenza del Consiglio, alle c.d. prescrizioni[31]. L’operazione è autorizzata, ma l’impresa interessata è tenuta a osservare una serie di prescrizioni finalizzate a garantire il conseguimento dell’interesse pubblico[32]. Tali prescrizioni, sovente, si sostanziano in specifici obblighi di facere che possono incidere non poco nella sfera di azione (ed economica) della società[33]. In genere, l’impresa assoggettata a prescrizioni deve dimostrarne l’adempimento predisponendo e inviando una relazione di ottemperanza (descrittiva delle misure adottate).

In sintesi: in presenza di una serie di situazioni che intercettano interessi essenziali dello Stato, la Presidenza del Consiglio può esercitare il potere speciale nei confronti delle imprese che detengono, o che aspirino a detenere, un attivo strategico[34].

Quali sono queste situazioni?

Si tratta di operazioni economiche (straordinarie) definite in gergo “operazioni rilevanti”. Operazioni che – non a caso – il titolare (o l’aspirante tale) dell’asset strategico deve notificare alla Presidenza entro termini perentori, affinché la stessa valuti se e come esercitare il potere speciale. Il titolare dell’attivo strategico (o chi aspira ad acquisirlo), quindi, deve conoscere bene tali situazioni (di qui la necessità di un’attenta compliance aziendale Golden power), perché deve capire se e quando ottemperare all’obbligo di notifica. Se non notifica un’operazione che avrebbe dovuto essere notificata, “subisce” l’imposizione del potere speciale ed è passibile di sanzioni afflittive e misure ripristinatorie.

Le operazioni rilevanti (che devono essere notificate alla Presidenza) sono approssimativamente riassumibili in due categorie:

a) atti latu sensu dismissivi, ossia atti posti in essere dal titolare dell’asset, che abbiano un effetto dismissivo (chi ha l’asset sostanzialmente ne perde il controllo e/o la disponibilità e/o ne modifica la destinazione);

b) atti acquisitivi, vale a dire atti che abbiano come effetto il cambiamento del titolare dell’asset, ovverosia acquisto (in via di principio da parte di soggetti extra UE) del controllo del titolare dell’attivo (per esempio un soggetto extra UE assume il controllo di una società titolare dell’asset)[35].

In dettaglio:

a) nel primo caso (atti dismissivi) si è in presenza del compimento di atti e operazioni da parte della società suscettibili di modificare il “controllo” degli attivi; il titolare rimane lo stesso ma perde l’attivo strategico (o ne subisce una sensibile diminuzione nella disponibilità); il relativo obbligo di notifica gravante sulla società investe il piano gestorio, vale a dire le modificazioni nella struttura dell’impresa[36];

b) nel secondo caso (atti acquisitivi), tipicamente un soggetto extra-UE intende assumere il controllo della società titolare degli attivi strategici “ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”; il titolare cambia[37] e il relativo obbligo di notifica grava sul socio extra-UE che intenda acquisire il controllo sulla società.

Esistono, insomma, asset strategici per l’interesse nazionale, perché investono direttamente temi quali la sicurezza o le reti di approvvigionamento energetiche o le tecnologie critiche. Poiché il passaggio di mano di tali asset potrebbe rappresentare una minaccia, la Presidenza è dotata di una gigantesca lente di ingrandimento sulle c.d. operazioni rilevanti, quali – ad esempio – le c.d. operazioni dismissive. Si pensi all’indicazione esemplificativa contenuta nel comma 2 dell’art. 2 del decreto golden power che include tra le “operazioni” astrattamente rilevanti «le delibere … aventi ad oggetto la fusione o la scissione, il trasferimento all’estero della sede sociale, il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento …»[38].

Una particolare fenomenologia di operazione rilevante attiene all’esercizio dei poteri speciali (nel settore della sicurezza nazionale) inerenti alle reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G (che inerisce alla sicurezza nazionale)[39]. In questo caso l’operazione rilevante consiste: i) nella conclusione di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisizione di beni o servizi relativi alla progettazione, realizzazione, manutenzione o gestione delle reti relative ai servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G; ii) oppure nell’acquisto, a qualsiasi titolo, di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali a tale realizzazione o gestione, quando posti in essere con soggetti extra UE[40]. Sul piano operativo, l’acquisto di prodotti e di servizi relativi alla tecnologia 5G (forniti da soggetti extra UE) è sottoposto al c.d. screening tecnologico. Si tratta di una verifica della sussistenza di “fattori di vulnerabilità che potrebbero compromettere l’integrità e la sicurezza delle reti e dei dati che vi transitano”, compresi quelli individuati sulla base dei principi e delle linee guida elaborate a livello internazionale e dell’Unione europea.

Le complicazioni non sono finite.

Esistono un regime ordinario e un regime transitorio:

a) quello ordinario è previsto dal d.l. n. 21 del 2012, vale a dire dalla normativa ordinaria in materia di poteri speciali;

b) quello transitorio è stato introdotto dall’art. 15 del d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, emanato per far fronte alla situazione emergenziale Covid 19.

Allo stato, il termine del “regime temporaneo” per l’esercizio dei poteri speciali (Golden Power) è stato prorogato al 31 dicembre 2021.

4. La natura dei poteri speciali: si intravedono tracce del “diritto invisibile”

Come illustrato, vi sono interessi pubblici “forti”. Anche interessi di nuova fattura. Si pensi alla materia del 5G (che inerisce alla sicurezza nazionale). Questa tecnologia rappresenta oggi la piattaforma abilitante dell’internet delle cose[41]. Ma l’internet delle cose incrementa notevolmente quello che è stato definito un nuovo dominio suscettibile di attacco: il dominio cibernetico. Con l’aumentare dei dispositivi connessi, con la progressiva centralizzazione di database, con la moltiplicazione delle transazioni digitali, con la migrazione di tante funzioni verso il cloud [42], si prospetta un mondo notevolmente insicuro. Insicuro perché la sicurezza del mondo materiale dipende sempre più da quella immateriale. Di qui la necessità di un’azione pubblica mirata alla sicurezza cibernetica nell’ambito della quale si inscrive lo strumento del potere speciale, non a caso sistematicamente e funzionalmente coordinato, a livello normativo, con la disciplina sul perimetro nazionale della sicurezza cibernetica[43].

Un altro inevitabile punto di incontro tra poteri speciali e nuove tecnologie è rappresentato dall’immenso ambito (intersettoriale) dell’intelligenza artificiale. Ambito che, da un lato, sarà a breve oggetto di regolazione da parte delle istituzioni dell’Unione europea[44] e, dall’altro, è stato inserito nell’elenco dei settori strategici.

Quale è la natura giuridica dei poteri speciali?

È una domanda essenziale (anche) ai fini della loro giustiziabilità. Come rilevato, si tratta di atti di alta (anzi altissima) amministrazione[45].

I profili di difficile perscrutabilità sono destinati ad ampliarsi per effetto dello straordinario impatto che avrà l’intelligenza artificiale quale tecnologia e input strategico della civiltà del futuro e, a questo punto, anche del presente. Basti solo pensare alle piattaforme di intelligenza artificiale tramite le quali sono sviluppate le soluzioni verticali della smart Agriculture o delle smart City, oppure alle piattaforme di Early Warning System nella valutazione del rischio clinico e, più in generale, alle tecnologie abilitanti dell’Internet of Medical Things (IoMT).

Di qui una prima conseguenza applicativa. Non è agevole duplicare in sede giurisdizionale la stima, da parte della Presidenza, di rischi inerenti, per esempio, all’interruzione di una rete di comunicazione elettronica, a un malfunzionamento delle reti, impianti e sistemi strategici o a un sistema di intelligenza artificiale che, tramite una rete di sensori con robot mobili, è in grado di salvare vite umane nel caso di catastrofi naturali[46]. Del resto, spesso, solo la Presidenza del Consiglio ha in mano i dati che servono per avere una esatta percezione di quale sia la portata di una minaccia[47]. Insomma, sul merito della concreta decisione di esercizio del potere speciale e, soprattutto, sul quomodo, l’altissima discrezionalità politica e la rilevanza geopolitica degli interessi in gioco lascia poche speranze a un sindacato sostanziale da parte del giudice, quantomeno nella componente valutativa[48]..

All’interno di quella che può così apparire una “black box”, immune da ogni sindacato[49], abitano tuttavia essenziali regole giuridiche. Regole giuridiche che, investendo le fondamenta stesse dei poteri speciali, possono e devono essere sindacate dal giudice naturale dell’agere pubblico. Ecco la (prima) breccia che consente al giudice di accendere una luce nel fisiologico cono d’ombra della valutazione politico discrezionale: oltre ad atti di altissima amministrazione (gli atti di esercizio dei) poteri speciali hanno anche natura di provvedimenti di ordine.

Ne deriva una nuova prospettiva. Quando sono esercitati (con veti, opposizioni o prescrizioni), i poteri speciali assumono la natura di prestazioni imposte. Prestazioni che, come tali, ricadono nel regime dell’art. 23 della Costituzione. Il che apre la strada a un particolare tipo di sindacato giurisdizionale. Non (tanto) sulla scelta valutativa in quanto tale; ma sull’esistenza dei presupposti per tale scelta. Nel sancire una riserva di legge, infatti, l’art. 23 della Costituzione richiede che: i) la legge determini in modo preciso i presupposti della “imposizione” per atto amministrativo; ii) l’atto amministrativo di imposizione espliciti puntualmente quali fatti integrano i presupposti previsti dalla legge per l’imposizione.

Sin dagli anni ’50, la Corte costituzionale ha precisato cosa la legge deve necessariamente indicare quando attribuisce un potere impositivo. Il dictum della Corte costituzionale è perentorio: la legge deve necessariamente disciplinare gli elementi essenziali che identificano la prestazione imposta e cioè: i) il fatto al verificarsi del quale la prestazione è dovuta (c.d. fatto-presupposto); ii) il soggetto cui tale fatto è ricollegabile e che è tenuto ad effettuare la prestazione (soggetto passivo); iii) la determinazione quantitativa della prestazione richiesta[50].

In materia di poteri speciali, tali presupposti sono due: strategicità dell’asset e rilevanza dell’operazione. Perché possa applicarsi la normativa sul Golden Power devono sussistere – cumulativamente – due presupposti:

a) la società (che dispone o che è deve essere acquisita) deve gestire un attivo strategico, vale a dire uno dei beni rientranti in una delle categorie individuate dalla norma regolamentare (elemento oggettivo);

b) devono essere posti in essere quegli atti – tassativamente indicati dalla legge – al cui ricorrere è riconnesso l’esercizio del potere speciale (elemento funzionale).

Quanto ai presupposti oggettivi, occorre distinguere tra settore e attivo strategico:

a) i settori strategici sono comparti economici molto ampi (energia, telecomunicazioni, trasporti, difesa ecc.);

b) gli asset sono singole categorie di beni e rapporti giuridici che si collocano all’interno del settore e che, proprio per la loro specifica strategicità, possono essere oggetto di poteri speciali.

Rispendendo la distinzione tracciata, i settori esprimono solo potenzialità astratta di intervento. Gli attivi, invece, sono specifici beni e rapporti giuridici identificati – con regolamento – all’interno del settore. Un settore comprende potenzialmente in sé tantissimi asset; solo alcuni asset – quelli individuati (a monte) con regolamento governativo – sono strategici. Rispetto a quegli specifici asset (e non rispetto al settore), la Presidenza può esercitare il potere speciale: atto concreto di “signoreggiamento” che, alla stregua del Leviatano di Hobbes, sottrae fette rilevanti della libertà di impresa, togliendo ossigeno alle libertà sancite dagli art. 41 e 42 Cost.

La differenza si colloca anche al livello delle fonti:

a) i settori sono individuati con normativa primaria (atti legislativi o atti UE);

b) gli attivi sono identificati (su delega legislativa) con atto di normazione secondaria (regolamento);

c) il potere speciale è esercitato, con atto provvedimentale, dalla Presidenza (solo) su quegli attivi (pre) identificati (ex ante) in via regolamentare.

Veniamo al secondo presupposto: l’operazione rilevante. In presenza di un atto o di una operazione idonea a modificare il regime giuridico degli attivi strategici sorge l’obbligo della società di procedere alla notifica alla Presidenza del Consiglio “entro dieci giorni e comunque prima che vi sia data attuazione”. Prima che vi sia data attuazione perché si intende prevenire il rischio che l’atto produca (o, addirittura, esaurisca) i suoi effetti e renda “inutile” l’eventuale adozione, da parte della Presidenza, di prescrizioni e condizioni volte a tutelare gli interessi pubblici.

Quanto all’operazione rilevante, vengono in considerazione diverse tipologie di operazioni societarie aventi effetto dismissivo o acquisitivo.

Rimane fermo un punto: poiché sono il presupposto per l’imposizione, e cioè il presupposto per l’esercizio del potere speciale (potere impositivo), l’identificazione dell’asset e delle operazioni rilevanti è assoggettata a riserva di legge. E allora la palla passa alla (rilevanza, soprattutto in giudizio, della) Legge fondamentale. Il tema si sposta dal contenuto dell’atto di esercizio del potere speciale a ciò che ne sta a monte: la regola della “predeterminazione del presupposto impositivo”, sancita dall’art. 23 Cost.

Quando è chiamato a sindacare la correttezza del potere speciale, il giudice amministrativo (se opportunamente investito) effettua un attento sindacato sull’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere speciale. Di qui, si ribadisce, una precisa sfera di sindacabilità giurisdizionale: il sindacato sui presupposti. Nel sindacato sui presupposti ciò che si censura: i) non è (tanto) la scelta discrezionale – a valle – della Presidenza del Consiglio sulla tipologia di misura da adottare o sul suo oggetto; ma (soprattutto) ii) a monte, se l’operazione in questione rientri tra quelle rispetto alle quali la legge consente l’esercizio del potere speciale. Non tanto il quomodo quanto l’an del potere speciale.

Il giudice è chiamato, soprattutto, a verificare la corretta applicazione – alla fattispecie dedotta in giudizio – dell’art. 23 della Costituzione: se esistessero i presupposti della prestazione imposta (tramite esercizio del potere speciale).

E l’an (i presupposti) riguarda l’inquadramento della fattispecie concreta in quella prevista dalla norma: se l’impresa detiene un attivo e se si è in presenza di un’operazione rilevante. Elementi che, come tali, devono essere non valutati ma “fotografati”. Così come Giannini affermava che «[…] una sostanza o è tossica o non lo è; può accadere che possa essere più o meno tossica, ma non può accadere che sia opportuno o inopportuno considerarla tossica», allo stesso modo il presupposto o esiste o non esiste; e non può essere opportuno considerarlo artificiosamente avvenuto ed esistente[51].

Lo ha affermato a chiare lettere il Tar Lazio in una sentenza (ormai definitiva) di annullamento di un atto di esercizio di poteri speciali da parte della Presidenza del Consiglio[52].

5. Il sindacato sul rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea

Vi è un secondo terreno in cui può dispiegarsi il sindacato giurisdizionale: il rispetto, da parte del Governo, dei vincoli e principi di diritto UE[53]. La previsione di poteri speciali innesca il tema della loro compatibilità con la libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento all’interno dello spazio dell’Unione (ex artt. 63 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Si premette che:

a) uno dei principi chiave del sistema europeo è la regola in base alla quale gli Stati membri non possono, direttamente o indirettamente, ostacolare limitare o restringere la libertà di movimento delle persone, delle imprese, dei beni, dei servizi e dei capitali[54];

b) come precisa la direttiva 88/361/CE, le operazioni di acquisto da parte dei non residenti di azioni e obbligazioni in imprese nazionali, nonché il pieno esercizio del diritto di voto connesso a tali partecipazioni, rientrano a pieno titolo nel principio della libera circolazione dei capitali tutelato dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea[55];

c) le operazioni di acquisto di investitori di un altro Stato membro di partecipazioni in società nazionali vanno assunte nello spettro di azione del diritto di stabilimento, sancito dall’art. 49 del trattato[56].

Quanto alla libera circolazione, in base all’allegato I della direttiva 88/361/CE, rientrano nel concetto di “movimento di capitali” due diverse tipologie di operazioni finanziarie:

a) la prima è rappresentata da quello che, in termini finanziari, viene definito “investimento di portafoglio”; si tratta dell’acquisto, da parte di non residenti, di titoli in imprese nazionali, effettuato non per influire nella gestione dell’impresa, ma semplicemente a fini speculativi[57];

b) la seconda tipologia d’operazione riconducibile ai movimenti di capitali è la c.d. “partecipazione ad investimento diretto”; con questa espressione si intende l’investimento realizzato per partecipare alla gestione della società[58].

Quanto alla libertà di stabilimento:

a) l’art. 49 del Trattato TFUE implica che «I cittadini di altri Stati membri dell’UE devono … avere il diritto di acquistare partecipazioni di controllo, di esercitare integralmente i diritti di voto ad esse connessi e di gestire le imprese nazionali alle stesse condizioni stabilite da un determinato Stato membro per i propri cittadini»[59];

b) il divieto imposto agli investitori di un altro Stato membro di acquisire più di un determinato numero di azioni con diritto di voto delle società nazionali o l’obbligo di chiedere l’autorizzazione per l’acquisto delle azioni oltre una certa soglia costituisce una restrizione alle operazioni d’investimento[60].

Il giudice europeo è orientato nel ritenere che il principio del “trattamento nazionale” vieti non soltanto le discriminazioni a carattere diretto ed esplicito[61], bensì, in generale, tutte quelle misure che potrebbero condurre a questo risultato[62].

Secondo la Corte di Giustizia:

a) tutte queste misure: i) non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata del libero movimento dei capitali; ii) devono essere proporzionate rispetto alla finalità da raggiungere e, in ogni caso, non possono essere fondate da considerazioni di ordine economico[63];

b) i provvedimenti nazionali potenzialmente restrittivi dell’esercizio delle libertà sancite dal trattato, per essere legittimi, devono soddisfare quattro condizioni: i) non devono determinare discriminazioni in sede applicativa; ii) devono essere giustificati da motivi imperiosi d’interesse pubblico; iii) devono essere idonei a garantire lo scopo perseguito; iv) non devono andare oltre quanto è necessario per il conseguimento del medesimo[64].

Questi principi trovano applicazione con riferimento ai poteri speciali. Introducendo ampie deroghe alle regole e agli istituti del diritto societario sulla contendibilità e sulla gestione delle società per azioni tali poteri incidono sulla libertà di circolazione dei capitali e su quella di stabilimento e sono suscettibili di avere una valenza discriminatoria, poiché introducono limiti alla partecipazione azionaria di investitori stranieri. Per questo, sovente la Corte di giustizia ha dichiarato incompatibile con il diritto europeo la normativa nazionale.

Per tali ragioni, i poteri speciali sono considerati incompatibili non solo quando hanno l’effetto di impedire, ma anche quando rendono meno interessante l’investimento. Non è necessario dimostrare che la normativa abbia avuto in concreto l’effetto di limitare la libertà di circolazione e/o di stabilimento, essendo sufficiente che tale effetto sia solo potenziale[65]. L’esercizio di un potere speciale non proporzionale potrebbe scoraggiare gli investimenti europei nel capitale di società operanti in settori strategici. Soprattutto laddove non siano chiari i criteri per tale esercizio. In questo caso, l’investitore europeo:

a) non riuscirebbe a individuare ex ante con sufficiente margine di sicurezza quali società siano soggette al regime italiano dei poteri speciali;

b) sarebbe disincentivato ad acquisire partecipazioni di controllo, o comunque rilevanti, nel capitale di società titolari di quegli attivi, perché correrebbe il significativo rischio di una perdita di valore del suo investimento qualora, dopo aver legittimamente esercitato il proprio diritto di controllo in sede assembleare e aver eletto un nuovo consiglio di amministrazione, vedesse la società controllata subire l’imposizione da parte del Governo di misure/condizioni e prescrizioni non previste e assai invasive[66].

Sino allo scoppio della pandemia, tale approccio del diritto UE rappresentava un solido argine ai poteri speciali attivati dagli Stati membri. La pandemia ha cambiato la prospettiva. Ha reso i vari Stati deboli e vulnerabili rispetto a possibili attacchi esteri alle fondamenta delle istituzioni democratiche[67].

È ben noto che – in relazione all’evento pandemico e alla fase post pandemica – è sorto un acceso dibattito (anche) scientifico sulla “tenuta” delle istituzioni democratiche e sui delicati equilibri tra tali istituzioni[68] (si pensi al ben noto tema del sostanziale svuotamento del ruolo delle assemblee parlamentari, a tutto vantaggio dell’esecutivo[69]), messi a dura prova da tali eventi[70].

Una cartina al tornasole dell’ulteriore rafforzamento del ruolo dell’esecutivo – sia nei confronti del Parlamento sia, e addirittura, nei confronti della società civile – è la legislazione speciale e transitoria che ha attribuito al Governo un potere, per così dire, ancora più speciale. Nelle more di emanazione del primo decreto di individuazione di alcuni asset (decreto poi emanato), la possibilità per il Governo di imporre il potere speciale sull’intero perimetro dei settori individuati dall’articolo 4, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2019/452 (cfr. art. 15 del d.l. n. 23 del 2020). Potere speciale commisurato all’ampio settore, quindi, e non solo all’asset.

Il Regolamento (UE) 2019/452 ha istituito un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’UE. In base a tale regolamento, l’Italia – come gli altri Stati membri che dispongono di un meccanismo di screening degli investimenti nei settori strategici – cooperano nel vagliare gli investimenti esteri diretti, oggetto di vaglio a livello nazionale, suscettibili di incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico in più Stati membri.

In questo quadro, a dimostrazione di quanto rilevante sia stato l’evento pandemico anche nel mondo istituzionale, la Commissione europea ha mutato il proprio approccio.

Segnatamente:

a) con la comunicazione (2020) 112 final del 13 marzo 2020 (al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla BCE, alla Banca europea per gli investimenti e all’Eurogruppo), ha affermato che «Gli Stati membri devono essere vigili e utilizzare tutti gli strumenti disponibili a livello nazionale e unionale per evitare che l’attuale crisi determini una perdita di risorse e tecnologie critiche»;

b) con una seconda comunicazione (del 26 marzo 2020), ha invitato gli Stati membri ad avvalersi con degli strumenti di controllo degli investimenti diretti esteri, al fine di evitare, nel contesto della pandemia, acquisizioni predatorie di aziende che operano in settori strategici («A tal fine la Commissione europea invita gli Stati membri ad avvalersi appieno, sin da ora, dei meccanismi di controllo degli IED per tenere conto di tutti i rischi per le infrastrutture sanitarie critiche, per l’approvvigionamento di fattori produttivi critici e per altri settori critici, come previsto nel quadro giuridico dell’UE»).

In questo contesto, a livello nazionale sono stati estesi gli obblighi di notifica Golden Power anche ai soggetti appartenenti all’Unione europea che detengono beni e rapporti di cui all’articolo 4 del Regolamento (UE) 2019/452, nonché beni e rapporti individuati nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 179 del 2020, previsto dall’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge n. 21 del 2012 (tuttavia, a differenza agli investimenti extra-UE, quanto alle operazioni rilevanti, tale normativa riguarda solo le acquisizioni di controllo)[71].

Nella sostanza, in via transitoria e per fronteggiare l’emergenza Covid 19, è stata temporaneamente attribuita alla Presidenza la potestà di esercitare il potere speciale non (solo) all’interno dell’asset definito, ma anche all’esterno di esso e all’interno del (di gran lunga più ampio) “settore” tracciato dal regolamento UE[72].

6. Il sindacato giurisdizionale sull’atto (regolamentare) di individuazione dell’attivo

Come accennato, sovente l’attenzione è concentrata sull’atto di esercizio dei poteri speciali. Ma, ancora una volta, esiste il “diritto invisibile”, che sta fuori dai riflettori. In questo caso, il diritto invisibile agisce a monte del potere speciale e riguarda la fissazione di uno dei due presupposti: l’atto di individuazione dell’attivo.

Riprendendo l’immagine del “diritto mite”, rappresentata a conclusione del precedente par. 2, tra la legge (decreto Golden Power) e l’atto di esercizio del potere speciale (provvedimento di alta amministrazione con cui si esercita il potere speciale) è interposta una normativa secondaria: il regolamento di individuazione degli attivi[73]. La normativa primaria sui poteri speciali, quindi, prevede una sua declinazione tramite atti di normazione secondaria e, più precisamente, regolamenti governativi di tipo integrativo attuativo[74]. Tale interposizione riguarda il presupposto oggettivo: la legge identifica il settore speciale e – all’interno del settore – attribuisce alla norma regolamentare il compito di individuare categorie specifiche di asset.

Solo a valle (dell’esercizio del potere regolamentare), la Presidenza del Consiglio può esercitare il potere speciale in relazione a quegli asset (individuati con regolamento). Il novero delle operazioni rilevanti, invece, in via di principio è indicato dalla normativa primaria. In via di principio, in quanto alcuni regolamenti aggiungono elementi in ordine all’operazione rilevante, secondo il modello istituzionale della riserva di legge relativa[75].

Di qui l’immediato riflesso sul piano del possibile sindacato giurisdizionale. Il giudice può essere chiamato a sindacare:

a) non – o non solo – (a valle) quali siano i parametri e i limiti all’azione dello Stato rispetto agli atti di soggetti titolari di attivi strategici (vale a dire di beni che già sono indiscutibilmente attivi strategici);

b) ma (prima e a monte) l’atto regolamentare del Governo di individuazione degli attivi strategici.

Ci si sofferma sugli attivi. La prima tentazione è quella di considerare attivi solo i “beni materiali” in senso stretto (infrastrutture, apparati ecc.). Sarebbe un errore. Anche – e soprattutto – nei settori strategici, contano fattori (anche) diversi dai tradizionali beni materiali (intesi come cose).

Gli attivi, infatti, possono essere beni materiali o immateriali. Possono essere anche rapporti giuridici. Come si evince dal d.p.r. 18 dicembre 2020 n. 179, oltre che infrastrutture (essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione), possono essere attivi: tecnologie, beni e rapporti definiti in termini di «fattori produttivi critici» o attività economiche. Ma possono essere anche informazioni. Si tratta delle informazioni essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione.

Possono essere rapporti giuridici a carattere non reale e (anche) privi del valore della patrimonialità, intesi come ricerca pura[76]. Per esempio, poiché possono essere attivi strategici le tecnologie derivanti dagli studi e applicazioni della meccanica quantistica o ai processi a elevato impatto computazionale (cfr. d.p.r. n. 179 del 2020), soprattutto alla luce di quello che sta succedendo sul fronte degli attacchi cibernetici, possono essere esercitati i poteri speciali anche sui nascenti rapporti giuridici di ricerca e sviluppo in materia di “comunicazione quantistica” (vale a dire su quella tecnologia che prefigura l’uso dei “quanti” per proteggere i dati, consentendo di creare reti a prova delle pericolosissime organizzazioni criminali di pirati informatici).

Il che apre la strada a un’avvincente – e feconda – elaborazione giuridica che dai “beni privati di interesse pubblico” (e, più precisamente, “beni di rilevanza pubblica”)[77] porta ai “rapporti giuridici privati di interesse pubblico” di nuova generazione, nell’ambito dei rapporti tra ricerca scientifica e mondo produttivo[78].

Riprendendo l’esempio di prima, sulla base degli studi del moto e delle interazioni di sistemi fisici e microscopici, si stanno istituendo strutture di ricerca e incubatori finalizzati a mettere a punto la “comunicazione quantistica”[79]. Vale a dire soluzioni dirette a soddisfare quel – rilevante – bisogno di sicurezza cibernetica delle organizzazioni (pubbliche e private). Di qui la rilevanza dei rapporti giuridici – anche e soprattutto – di ricerca e sviluppo condotti in tali ambiti.

Ma se dal nostro Paese vi fosse (come purtroppo in parte già avvenuto) un progressivo trasferimento all’estero di metodiche, sistemi di ricerca e tecnologie critiche, l’effetto sarebbe un progressivo impoverimento. Prendendo in prestito un termine informatico, i servizi di intelligence parlano di “esfiltrazione” del sapere scientifico strategico[80], per effetto della quale, seguendo l’esempio di prima, lo Stato italiano potrebbe non essere più in grado di gestire efficacemente il neo istituito scudo cibernetico pubblico – privato (perimetro nazionale della sicurezza cibernetica) con l’adeguata “scienza ed esperienza”. Per esempio, le imprese italiane “perimetrate” non sarebbero in grado di identificare adeguatamente i c.d. “sottoinsiemi” ICT/OT critici o effettuare l’obbligatoria analisi del rischio su tali asset. Oppure, in prospettiva, il Centro di valutazione e certificazione nazionale (CVCN) sarebbe privato di essenziali risorse per effettuare lo screening tecnologico previsto dalla normativa di settore ecc.

Di qui l’interesse a che il delicato patrimonio, scientifico e organizzativo in ambiti delicatissimi non sia “espiantato”[81].

Rilevanti le conseguenze sul piano giuridico di tale architettura.

Mentre l’atto di esercizio del potere speciale è un atto a carattere ablatorio (prestazione imposta), l’atto (a monte) di individuazione degli attivi strategici assume il carattere di atto a “valenza conformativa”, ovverosia di imposizione (rectius ricognizione) di quei “sacrifici” che conformano i diritti dei privati (poiché ne definiscono dall’esterno le modalità di utilizzo). Una valenza conformativa non solo di beni in senso stretto, ma più in generale di rapporti giuridici. Pertanto, l’atto normativo (il regolamento) di individuazione di una categoria di beni e rapporti come attivi strategici incide in modo significativo: i) nello statuto giuridico dei beni e rapporti che ne sono coinvolti; ii) nel diritto di iniziativa economica privata dei soggetti titolari di tali beni e rapporti; iii) nelle libertà riconosciute dal diritto UE.

La natura di atto a carattere conformativo dell’attivo strategico chiama in causa la (corposa) riflessione dottrinale e giurisprudenziale in tale materia:

a) tutti i diritti vanno conformati (limitati da vincoli pubblici e privati) e la relativa cornice pubblicistica è rappresentata dai c.d. poteri conformativi (le distanze tra costruzioni sono limiti conformativi all’esercizio del diritto di proprietà degli immobili posti nella cinta urbana; i tetti all’emissione elettromagnetica sono limiti conformativi all’uso delle antenne radio base o degli elettrodotti);

b) sono conformativi i vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obbiettivo su categorie di beni (vincoli derivanti da limiti posti dalla pianificazione urbanistica; vincoli ambientali-paesistici; limiti posti nei regolamenti urbanistici e nelle relative norme tecniche e riguardanti altezza, cubatura, superficie coperta, distanze, zone di rispetto e indici di fabbricabilità);

c) in presenza di un diritto costituzionalmente rilevante (in specie diritto di proprietà su beni che potrebbero essere considerati attivi strategici), si ha conformazione in tutti i casi in cui l’atto regolatorio non incida in quello che la scienza costituzionalistica definisce come “contenuto minimo” o “contenuto essenziale del diritto” costituzionalmente rilevante, ovverosia il nucleo intangibile che non può essere scalfito neanche da norme conformative (diritto a edificare in zone classificate come edificabili; i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; il diritto a ricevere le prestazioni indispensabili nel caso di sciopero dei servizi pubblici essenziali; il diritto a ristrutturare l’immobile senza modificarne volumetria, superficie e sagome ecc.);

d) quando si intacca il nucleo, il diritto è sottratto, sostanzialmente, al suo titolare e tale sottrazione è espressione di una funzione pubblica diversa dalla conformazione, consistente nella funzione ablatoria[82].

L’atto di individuazione degli attivi strategici, quindi, identifica (anzi, conforma) una serie di beni e rapporti privati per assoggettarli al particolare regime giuridico dei poteri speciali, operando con un meccanismo assimilabile alle obbligazioni propter rem. Chi è titolare o dispone di quella categoria di quei beni, rapporti o informazioni (o chi aspiri a divenirlo) è assoggettato al regime dei poteri speciali.

È utile ritornare alla natura giuridica del decreto di individuazione dell’attivo: regolamento integrativo attuativo, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988[83]. Tale dato è rilevante, posto che tali regolamenti hanno natura normativa, ma sono pur sempre sottordinati rispetto alla legge di cui costituiscono attuazione. Il che implica – in base al principio dell’interpretazione conforme e dell’effetto utile – che il regolamento deve essere interpretato e applicato conformemente alla finalità sostanziale della norma primaria che applica[84].

7. Perché è soprattutto sul regolamento di individuazione concreta dell’attivo che si gioca la partita della rule of law sui poteri speciali. Le dubbia tenuta sugli attivi (nel settore) delle comunicazioni elettroniche.

Il settore è il genus; gli attivi sono species e il potere speciale è esercitabile (solo) all’interno delle species.

Analizzando l’atto (regolamentare) di individuazione degli attivi, in alcuni dei settori interessati dal decreto, il regolamento governativo è strutturato nel modo seguente:

a) atto di individuazione degli attivi di rilevanza strategica, e quindi di identificazione di categorie di beni qualificate come strategiche;

b) atto di inclusione di specifici asset nella categoria prima identificata, vale a dire di identificazione di specifici beni che devono necessariamente far parte degli attivi.

È soprattutto al riguardo che vengono in rilievo i principi di diritto UE sopra illustrati. Per risultare compatibili con il diritto UE, i poteri speciali devono essere congegnati secondo logiche simili a quelle dell’impresa che opera nel mercato. Le misure di politica economica adottate dallo Stato, infatti, devono sempre tendere verso equilibri volti a favorire le libertà fondamentali che ammettono limitazioni solo se giustificate da precise e concrete esigenze d’interesse generale. Gli special rights, quindi, possono operare solo in presenza di specifiche finalità di interesse pubblico (ordine pubblico, sanità, sicurezza) e solo là dove si tratti di minacce reali e gravi a tali interessi.

Secondo il giudice europeo il principio del “trattamento nazionale” vieta non solo le discriminazioni a carattere diretto ed esplicito, ma anche, in generale, tutte quelle misure che potrebbero condurre a questo risultato. Queste misure: i) non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata del libero movimento dei capitali; ii) devono essere proporzionate rispetto alla finalità da raggiungere e, in ogni caso, non possono essere fondate da considerazioni di ordine economico.

Il che apre la strada a una valutazione giudiziale di proporzionalità. L’organo giudiziale (se investito) può e deve valutare la non eccessiva invasività dell’atto di individuazione: che la misura (regolamento di individuazione dell’attivo), effettivamente, non sia assolutamente sostituibile con misure meno penetranti ma adeguate a perseguire gli interessi pubblici.

In specie, quindi, la proporzionalità riguarda il regolamento che consente di passare dal settore all’attivo. Questo è uno degli snodi fondamentali: il settore è solo un ambito “teorico”. La vera partita si gioca nell’identificazione – con regolamento governativo – dell’attivo. Questo passaggio – attuato in via regolamentare – è coerente se il percorso che va dal settore all’attivo è di tipo (fortemente) selettivo e oggettivo. Non tutte le infrastrutture inerenti al settore possono diventare attivi strategici, ma soltanto alcune: quelle dotate di un intrinseco e indiscusso carattere di strategicità.

Diversamente, si viola la regola ordinamentale della proporzionalità[85].

Utile un esempio. Molti attivi strategici rientrano nei servizi di pubblica utilità. Ma sarebbe un intervento non proporzionale considerare strategico l’intero servizio nel quale essi rientrano. Vi sarebbe una violazione della proporzionalità se si sovrapponesse il concetto di rilevanza strategica per l’interesse nazionale con quello di pubblica utilità o di interesse pubblico (o generale) o, anche, di servizio pubblico essenziale o di interesse economico generale. I relativi statuti proprietari e connessi obblighi conformativi, si ribadisce, sono diversi[86]. Una cosa è la pubblica utilità e una cosa ben diversa è la strategicità per l’interesse nazionale. La seconda (strategicità) è una sottospecie della prima, in quanto particolarmente connotata dal concetto – si noti – non di semplice utilità, ma di “strategicità” per interessi essenziali del Paese, il cui venir meno potrebbe tradursi in seria minaccia di pregiudizio grave per tali interessi. Solo alcune delle opere di pubblica utilità sono anche strategiche[87].

Per tale ragione, si ribadisce, risultano anacronistiche e superficiali le critiche, cui spesso si assiste, a proposito della decisione – con atto di natura legislativa – di assoggettare a Golden Power determinati settori economici. In potenza, quasi tutti i comparti economici potrebbero assumere – ragionevolmente – valenza strategica. Quello che invece rileva in termini di forte limitazione al diritto di impresa è l’atto regolamentare di individuazione di specifici attivi.

Per esempio, è indiscussa la rilevanza della strategicità del comparto sanitario[88]. Ma una cosa è parlare di biobanche “postgenomiche” (o “population biobank”) – ovverosia le raccolte di materiali biologici su scala di popolazione, allo scopo di fornire materiali biologici o dati da esse ricavati per futuri progetti di ricerca che contengono campioni biologici correlati a informazioni genealogiche (e che ricevono e forniscono i materiali in modo organizzato[89]) – e ben altra cosa è l’attività di una ASL o una normale struttura sanitaria, non certo strategiche.

Tirando le fila: si dibatte sul grande tema di principio (se, per esempio, sia giusto che l’immagazzinamento dei dati o le nuove tecnologie siano potenzialmente assoggettati a poteri speciali) o sulla singola valutazione del Governo sul concreto esercizio del potere (l’intervento nei contratti relativi a una rete 5G di cui vendor sia una società extra UE), ma non si analizza in modo adeguato il momento istituzionale centrale (e a monte): il passaggio dal settore all’attivo. Mentre ci si impegna in una futile batracomiomachia inerente alla scelta di assoggettare a Golden Power un settore, passano inosservati cruciali snodi istituzionali in cui – in concreto – si misura la tenuta dello Stato di diritto (soprattutto sul versante della legalità rispetto al diritto UE): l’atto governativo di individuazione concreta dell’attivo, ovverosia quel momento delicatissimo in cui si misura l’effettiva tenuta della proporzionalità di derivazione europea.

Individuazione specifica che: deve avvenire (altrimenti le imprese rimangono di fronte all’incertezza di considerare strategico l’intero settore); deve essere chiara e univoca (non vi devono essere dubbi su quale attivo sia strategico); deve essere fortemente selettiva e proporzionata (identificando quali beni da cui effettivamente dipende la sicurezza nazionale). Queste regole sono essenziali perché i principi di proporzionalità e di necessità imposti dal diritto europeo – e declinati dalla Corte di Giustizia – in materia di poteri speciali si applicano non solo (per così dire a valle) in sede di esercizio del potere speciale da parte della Presidenza. Si applicano anche e soprattutto (a monte) nell’individuazione degli asset strategici.

A dire il vero, quasi sempre il Governo si è attenuto a tali canoni. Si pensi al settore energetico, in cui sono attivi strategici, per esempio, le reti energetiche di interesse nazionale e i relativi rapporti convenzionali, la rete di trasporto nazionale del gas e relativi stazioni di compressione e centri di dispacciamento; le infrastrutture di approvvigionamento di energia elettrica e di gas da altri Stati, compresi gli impianti di rigassificazione di GNL onshore e offshore, la rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica e relativi impianti di controllo e dispacciamento.

In questi ambiti si evince come il regolatore abbia voluto fare propri – ed applicare in modo molto preciso – i criteri di proporzionalità, necessità e adeguatezza enunciati dalla Corte di Giustizia[90]. Il che si è tradotto in un approccio “chirurgico” che opera su due fronti:

a) è stato operato un “taglio verticale”, posto che non tutte le attività di filiera sono state considerate strategiche, ma solo alcune (solo trasporto o trasmissione dell’energia elettrica e gas);

b) è stato operato un “taglio orizzontale”, in quanto delle attività che residuano (dal taglio verticale) è stata effettuata un’ulteriore cesura, considerando solo parti dei beni e delle attività (non tutto il trasporto del gas o la trasmissione di energia elettrica ma solo quello con reti nazionali; non tutto l’approvvigionamento del gas, ma solo le reti di approvvigionamento dall’estero; non tutti i porti o aeroporti, ma solo quelli di interesse nazionale)[91].

Si ribadisce: per essere legittimo l’approccio deve essere di tipo (fortemente) selettivo e oggettivo, provvedendo a un’individuazione non per categorie generali, ma per tipologie specifiche[92].

Ma a volte anche il legislatore, come Omero nel noto verso oraziano[93], è letargico e disattento. E questo grande sonno – a discapito della chiarezza e certezza giuridica – è avvenuto nel settore delle comunicazioni elettroniche[94].

L’art. 3 del d.p.r. 23 dicembre 2020 n. 180, infatti, in materia di comunicazioni:

a) identifica tre categorie di asset: i) reti dedicate; ii) rete di accesso pubblica agli utenti finali in connessione con le reti metropolitane, i router di servizio e le reti a lunga distanza; iii) impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultra larga e nei relativi rapporti convenzionali;

b) include gli elementi dedicati per la connettività, sicurezza, controllo e gestione di reti di accesso di telecomunicazione in postazione fissa.

Aprendo uno spesso cono d’ombra, tale norma: i) non è chiara, in quanto difetta di contenuti certi, di una strutturazione nitida e di uno sviluppo coerente; ii) non è affatto precisa, in quanto si presta a equivoci in sede interpretativa; iii) non è uniforme linguisticamente, in quanto non permette di riconoscere senza equivoci quando ci si riferisce a uno stesso oggetto[95].

Salvo che per il riferimento al servizio universale, ciascuna delle formulazioni contenute nell’art. 3 si presta a una duplice interpretazione: una estensiva e una restrittiva. Accedendo a un’interpretazione estensiva, considerando tutte le categorie di asset ivi previste e nella massima estensione del significato di ciascuna categoria, avremmo che quasi l’intero settore delle comunicazioni e tutte le reti ivi previste sono asset strategici. Nella sostanza, e salvo qualche eccezione, vi sarebbero escluse solo le reti aziendali.

È agevole dimostrare tale soglia di opinabilità. Il comma 2 (che identifica gli attivi “inclusi”) fa rientrare negli attivi strategici «gli elementi dedicati … per la connettività (fonia, dati e video), la sicurezza, il controllo e la gestione relativi a reti di accesso di telecomunicazioni in postazione fissa». Non è chiaro cosa significhi “elementi dedicati”. In telecomunicazioni esistono le c.d. linee dedicate (o circuiti diretti numerici), che consistono in collegamenti punto-punto o punto-multipunto. A livello normativo, esiste il concetto di “risorsa correlata”, ovverosia «i servizi correlati, le infrastrutture fisiche e le altre risorse o elementi correlati ad una rete di comunicazione elettronica o ad un servizio di comunicazione elettronica che permettono o supportano la fornitura di servizi attraverso tale rete o servizio, ovvero sono potenzialmente in grado di farlo, ivi compresi tra l’altro gli edifici o gli accessi agli edifici, il cablaggio degli edifici, le antenne, le torri e le altre strutture di supporto, le guaine, i piloni, i pozzetti e gli armadi di distribuzione» (cfr. art. 1, comma 1, lett. ee), del d.lgs. n. 259 del 2003). Il richiamo, indiretto, alle reti in postazione fissa, poi, fa sorgere il dubbio che nella nozione di attivo strategico possano rientrare tutte le reti in postazione fissa. Il che non è scontato, anche alla luce del quadro regolatorio specifico di settore. Una interpretazione estensiva potrebbe aprire a una serie di perplessità anche e soprattutto sul piano della disparità di trattamento con gli attivi nell’energia e nei trasporti. Non si comprenderebbe, infatti, perché mai: i) non sia attivo strategico un porto minore; ii) ma lo sarebbe un piccolo apparato che serve una rete di accesso di comunicazioni.

Il problema fondamentale è che:

a) mentre, con riferimento alle reti energetiche e di trasporto ciascuna delle categorie di asset è individuabile tramite atti normativi (la rete di trasporto nazionale è identificata con atto amministrativo, lo stesso la rete di trasmissione, lo stesso le infrastrutture di approvvigionamento di energia di gas e da stati esteri, lo stesso gli aeroporti di interesse nazionale ecc.);

b) quanto ai concetti di reti dedicate, rete di accesso pubblica agli utenti finali in connessione con le reti metropolitane ecc., l’identificazione dei relativi asset si presta a un’interpretazione di taglio restrittivo o di taglio estensivo.

Il che – ovviamente – genera incertezze, anche considerato che le comunicazioni elettroniche sono un settore liberalizzato e aperto alla concorrenza, prima intensamente regolato, poi via via deregolato e assoggettato a una soft regulation[96] (il settore delle telecomunicazioni rappresenta il paradigma del mercato globalizzato, caratterizzato dalla presenza di attori multinazionali[97]).

Di qui il fondamentale ruolo del giudice amministrativo, che fisiologicamente sarà chiamato a contestualizzare alla materia dei poteri speciali una fondamentale regola di derivazione europea: i provvedimenti nazionali potenzialmente restrittivi dell’esercizio delle libertà sancite dal trattato per essere legittimi devono soddisfare quattro condizioni: i) non devono determinare discriminazioni in sede applicativa; ii) devono essere giustificati da motivi imperiosi d’interesse pubblico; iii) devono essere idonei a garantire lo scopo perseguito; iv) non devono andare oltre quanto è necessario per il conseguimento del medesimo[98].

Questi principi, si ribadisce, trovano piena applicazione con riferimento ai poteri speciali.

Introducendo ampie deroghe alle regole e agli istituti del diritto societario sulla contendibilità e sulla gestione delle società per azioni, infatti, tali poteri incidono sulla libertà di circolazione dei capitali e su quella di stabilimento e sono suscettibili di avere una valenza discriminatoria, perché introducono limiti alla partecipazione azionaria di investitori stranieri. Per tale ragione, sovente la Corte di giustizia ha dichiarato incompatibile con il diritto europeo la normativa nazionale. Secondo la giurisprudenza europea: i) i poteri speciali sono considerati incompatibili non solo quando hanno l’effetto di impedire, ma anche quando rendono meno interessante l’investimento; ii) non è necessario dimostrare che la normativa abbia avuto in concreto l’effetto di limitare la libertà di circolazione e/o di stabilimento, essendo sufficiente che tale effetto sia solo potenziale.

Ovviamente, data la valenza pregnante del diritto UE, è ragionevole prefigurare il ricorso, nell’ambito dei giudizi amministrativi, al rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia.

Ritorniamo al ruolo del giudice amministrativo. In sede di impugnativa dell’atto di esercizio del potere speciale, l’organo giurisdizionale adito potrebbe rilevare l’illegittimità della norma – a monte – regolamentare[99]. Il che innesca l’interessante dialettica giudiziale della doppia impugnativa. È ben nota la differenza tra volizioni-azioni (autonomamente impugnabili) e volizioni preliminari (non autonomamente impugnabili). Il regolamento è una volizione preliminare e, come tale, non è autonomamente impugnabile. Solo eccezionalmente, assume la natura di volizione-azione (autonomamente impugnabile). Di norma, quindi, la censura dell’illegittimità della norma regolamentare di individuazione dell’attivo potrebbe essere avanzata unitamente all’impugnazione dell’atto di esercizio del potere speciale.

Ma vi potrebbe essere spazio anche per la disapplicazione dell’atto regolamentare da parte del giudice amministrativo, anche considerato che in tale ambito: i) si è in giurisdizione esclusiva; ii) la controversia riguarda il diritto soggettivo a non essere sottoposti a prescrizioni non previste per legge[100]. L’istituto della disapplicazione trova ormai pacifico ingresso nel giudizio amministrativo. Poiché il regolamento è un atto normativo, in virtù del principio ordinamentale della gerarchia delle fonti, il giudice può – e deve – sempre verificare se la norma secondaria sia conforme alla norma primaria[101]. Laddove accerti una difformità, il giudice amministrativo disapplica la norma secondaria con riferimento al caso concreto dedotto in giudizio[102].

Piuttosto, data anche la rilevanza della materia, sul piano processuale si potrebbe porre il tema della ricorrenza – in materia di poteri speciali – di uno dei casi di c.d. “disapplicazione obbligatoria” da parte del giudice amministrativo. Il punto è interessante. Per non allargare eccessivamente la breccia al termine decadenziale di impugnativa, tendenzialmente la giurisprudenza considera la disapplicazione un potere giudiziale (c.d. disapplicazione facoltativa). In alcuni casi, tuttavia, la disapplicazione diventa una strada obbligata per il giudice: strumento obbligato mediante il quale il giudice conosce dei regolamenti alla stregua di quanto accade per la contrarietà a norme UE immediatamente applicabili. 

Non sarebbe illogico, soprattutto alla luce della forte connotazione europea, far rientrare la disapplicazione del regolamento (illegittimo) di individuazione dell’attivo nell’alveo della c.d. disapplicazione obbligatoria.

8. Un possibile vizio di legittimità: l’esercizio del potere intra settore ma extra attivo

Come accennato, in materia di poteri speciali, esiste una triplice logica a imbuto: individuazione del settore speciale con norma primaria; identificazione degli attivi con regolamento; esercizio del potere speciale da parte della Presidenza.

Si consideri quest’ultimo profilo: il potere come “dasa – patish” (“signore dei sudditi”), ossia il potere speciale visto nel suo dinamico e concreto esercizio prescrittivo. Un esercizio che – se non sapientemente utilizzato e calibrato – sottraendo ossigeno alle libertà fondamentali, potrebbe rischiare di asfissiare il sistema democratico.

Ancora una volta, non si prende in considerazione il profilo della concreta valutazione o delle prescrizioni imposte dalla Presidenza. In questo caso siamo dentro la cucina dell’altissima discrezionalità politica amministrativa. E dobbiamo lasciare cucinare la pietanza al nostro chef stellato (Presidenza del Consiglio).

Ma il giudice amministrativo può verificare se lo chef utilizzi gli ingredienti giusti. Di qui un altro tema – istituzionale e ordinamentale – lontano dai riflettori. Potrebbe la Presidenza esercitare un potere speciale all’interno di un settore, ma fuori dall’attivo? Potrebbe la Presidenza del Consiglio non limitarsi a individuare come strategici beni e rapporti compresi nelle categorie tipizzate dalla norma regolamentare (ovverosia a considerare strategici alcuni beni proprio in quanto rientranti in quelli individuati nel regolamento)? Potrebbe considerare strategici anche beni diversi da quelli rientranti nelle categorie scolpite dalla norma regolamentare, considerando l’elencazione ivi prevista (dalla norma regolamentare) non tassativa, ma esemplificativa?

La risposta (a tutti questi interrogativi) è assolutamente no. Ancora una volta il principio di legalità, configurato nella disciplina normativa della materia, pone limiti invalicabili al “potior”.

Oltre a non potere andare fuori settore, la Presidenza non può andare neanche fuori attivo. La Presidenza può esercitare il proprio potere speciale – solo ed esclusivamente – all’interno delle categorie individuate dai rispettivi regolamenti. Non all’esterno di tali categorie. Andare all’esterno vorrebbe dire segnare – prendendo in prestito il titolo il famoso lavoro di Merusi – un nuovo sentiero interrotto della legalità (in materia di poteri speciali)[103].

Lo ha affermato a chiare lettere il Tar Lazio nella citata sentenza 8742 del 2020: «deve […] escludersi che l’esercizio dei poteri possa riguardare operazioni diverse da quelle previste dalla legge ovvero asset non individuati tra quelli “strategici […]».

Anche per garantire l’uguaglianza, per legge, l’individuazione degli attivi strategici deve avvenire (solo) con atto regolamentare. Vale a dire con atto normativo generale e astratto e non con atto provvedimentale (atto applicativo). Il che significa che le categorie individuate dall’atto regolamentare sono chiuse: l’esercizio del potere di individuazione è demandato alla volizione preliminare (il regolamento), non alla volizione azione (l’atto applicativo).

Non potrebbe, quindi, la Presidenza del Consiglio individuare – con atto provvedimentale – categorie diverse e ulteriori rispetto a quelle indicate tassativamente dall’atto regolamentare. Non potrebbe anche perché, per specifica prescrizione legislativa, l’atto regolamentare deve essere emanato con le forme istituzionali del regolamento ex art. 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 (proposta del Presidente del Consiglio e dei ministri competenti, preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, parere del Consiglio di Stato, pareri delle competenti commissioni permanenti delle Camere, deliberazione del Consiglio dei ministri); l’atto provvedimentale applicativo no (quantomeno con quelle forme).

Diversamente, avremmo che alcune categorie di asset (quelle oggetto della volizione preliminare) sarebbero individuate con le forme e garanzie dei regolamenti; altre categorie di asset (quelle oggetto dell’atto provvedimentale di esercizio del potere speciale) senza tali forme e garanzie. Tale assunto è stato affermato dalla sentenza del Tar Lazio n. 8742 del 2020: «non è … consentita una estensione in via provvedimentale, caso per caso, del novero delle attività̀ strategiche, all’infuori di quelle indicate, nei relativi settori, dalla disciplina regolamentare».

9. Penultima questione: è consentito al giudice amministrativo usare la bilancia della proporzionalità (specie) nei settori strategici di nuova generazione?

Vi è un altro ambito in cui è possibile che il giudice amministrativo possa giocare un ruolo rilevante. Si tratta, a dire il vero, di un ruolo delicato: usare la bilancia della giustizia per riscontrare – e misurare – il “livello critico” del potenziale asset o, meglio, la correttezza della valutazione della Presidenza in ordine alla “criticità” nei settori strategici di nuovo conio.

Occorre chiarire il punto.

Gli ultimi decenni hanno consegnato un quadro in cui l’economia e la sicurezza sociale sono imperniati su infrastrutture e tecnologie digitali di nuova generazione, da cui dipendono praticamente i principali processi produttivi: del futuro e in buona parte del presente. Ci si riferisce, per esempio, alle nuove tecnologie applicate nell’automazione industriale e funzionali alla produzione di macchine automatiche, macchine utensili a controllo numerico, sistemi ciberfisici di fabbrica, alla robotica collaborativa, alla tecnologia Machine To Machine Communication (M2M), all’apprendimento automatico computerizzato (Machine Learning), alla manifattura additiva.

Di qui la scelta del legislatore – europeo e italiano – di considerare tutti questi settori come strategici e potenzialmente oggetto di settori speciali. Ma, come rilevato, tutto si gioca nel processo che porta dal (generico) settore allo (specifico) attivo.

In tali ambiti, la tecnica di “messa a fuoco” dell’attivo è particolare. Con il regolamento n. 179 del 2020, di individuazione dei nuovi attivi, si identificano tanti attivi. Si pensi, solo per esemplificare, agli smart contract, all’intelligenza artificiale o ai sistemi di navigazione satellitare per la tracciatura dei campi, dei mari e dei bacini idrici e per la realizzazione di mappe di produzione e di prescrizione[104].

Ma per diventare strategiche, le relative tecnologie devono divenire “critiche”.

E qui sta il nodo. In “potenza”, nella identificazione governativa dell’asset, potrebbero essere comprese tutte le tecnologie innovative: dalle nanotecnologie alle tecnologie di prototipazione rapida; dall’intelligenza artificiale alla realtà virtuale e aumentata; dalla robotica ai semiconduttori e ai microprocessori; dai sistemi computazionali, alla microelettronica, alla sensoristica e agli attuatori.

Il catalogo è ampio. Il che, teoricamente, porterebbe qualunque impresa, incubatore, start up che dispone di tali tecnologie a essere assoggettata a regime Golden Power. Si pensi alle università private che utilizzano «tecnologie basate su registri distribuiti» (blockchain) per gestire i rapporti con gli studenti. O a un’impresa che disponga di sistemi tecnologici per l’analisi di grandi volumi di dati al fine di estrarre informazioni (BigData & Analytics) [105]. Avremmo la distopia di una Presidenza che controlla tutto e tutti. Da uno sparuto gruppo di ingegneri, fisici o chimici che mettono a punto tecnologie di Fintech alle comunicazioni, alla sensoristica ecc.

Ancora una volta, riecheggia il monito che deriva dal diritto UE e che si pone quale argine ad un controllo pubblico totalizzante.

L’approccio seguito dalla Corte di Giustizia nella valutazione dei c.d. ‘‘special rights’’ è sempre stato rigoroso e fondato su di un’attenta e approfondita analisi del carattere determinato e preciso dei criteri di esercizio di tali poteri, condotta alla luce del principio di proporzionalità. I poteri speciali hanno, per la Corte di giustizia, natura di provvedimenti statali. Al di là della loro veste formale, si tratta di decisioni che, sotto il profilo soggettivo, presentano derivazione statale, e, sotto quello oggettivo, sono funzionalizzate al perseguimento di finalità d’interesse generale. Il nodo critico è sempre stato rappresentato dal c.d. eccesso: i) dall’eccessiva generalità e vaghezza dei presupposti e contenuti: ii) dall’eccessiva discrezionalità del governo in merito alla loro attivazione. L’eccessiva discrezionalità riconosciuta alle autorità pubbliche è stata considerata tale da attribuire ai poteri speciali un carattere non proporzionato, poiché rendeva probabile il rischio che le deroghe alle libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento fossero attivate anche quando non necessario al perseguimento delle esigenze di interesse generale e in assenza di un controllo preventivo della Commissione.

Scontata, quindi, la necessità di meccanismi di selezione; anche e soprattutto nell’ambito delle norme di individuazione degli attivi del nuovo millennio.

Nella illustrata prospettiva selettiva adottata dal d.p.r. n. 179 del 2020, sembra potersi ritenere che il carattere strategico di un attivo sia identificabile tramite un meccanismo (concettualmente) divisibile in due fasi:

a) una descrittiva in cui si identificano tecnologie, infrastrutture, fattori produttivi e informazioni di ampio spettro (settore);

b) una valutativa, che porta tali tecnologie a diventare critiche (attivo).

Pertanto, non tutte le tecnologie, fattori produttivi o infrastrutture ivi – tipologicamente – indicate siano asset strategico. Perché lo diventino, devono essere “critiche”, ovverosia devono arrivare a un livello di rilevanza (leggasi criticità) tali da diventare strategiche. In altri termini, all’atto di decidere se vi siano i presupposti per l’esercizio del potere speciale, la Presidenza del Consiglio dovrebbe verificare: i) (anzitutto) se vi siano attività che rientrano in una delle tecnologie o tipologia di informazioni (pre) identificate; (poi) quale sia la rilevanza e il peso di tali attività sulla base di una serie di parametri.

Che vi sia l’esigenza di “pesare” la criticità di una tecnologia si evince da quella parte del decreto n. 179 del 2020, in cui vi sono alcune norme preposte a fissare presunzioni ex ante di criticità:

a) in materia energetica, per esempio, le tecnologie critiche, incluse le piattaforme, di gestione dei mercati all’ingrosso del gas naturale e dell’energia elettrica o le attività economiche di rilevanza strategica svolte nel settore energetico, esercitate da imprese che realizzano un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e aventi un numero medio annuale di dipendenti non inferiore a duecentocinquanta unità;

b) in materia di dati, il trattamento, l’archiviazione, l’accesso o il controllo di dati riferibili almeno a 300.000 persone fisiche o enti.

La necessità di un approccio valutativo sembra potersi evincere anche da una clausola normativa di sussidiarietà: inapplicabilità di alcune norme sui poteri speciali in ragione dell’esistenza di una specifica regolamentazione di settore, anche di carattere convenzionale, connessa a uno specifico rapporto concessorio, idonea a garantire in modo adeguato la sicurezza del funzionamento delle reti e degli impianti e la continuità degli approvvigionamenti (e in generale dell’ordine pubblico)[106].

Per esempio, con riferimento all’immenso e delicato settore dell’intelligenza artificiale, il necessario scrutinio di criticità di asset strategici può essere effettuato alla luce dei criteri di rilevanza risk based contenuto nell’emanando framework europeo sull’intelligenza artificiale.

Pertanto, sembra plausibile ritenere che, fuori dai casi della definizione ex ante (e fuori dalle esclusioni), spetti all’interprete (Presidenza del Consiglio e giudice chiamato a sindacare la legittimità dell’operato della prima) effettuare tale giudizio di rilevanza.

Si pensi a un caso in cui, ritenendo di disporre di tecnologie priva di rilevanza “critica”, un soggetto non notifichi l’operazione alla Presidenza la quale, di diverso avviso, intervenga esercitando il potere speciale (sanzionando, inoltre, per mancata notifica). Il soggetto che subisce il potere speciale potrebbe impugnare l’atto di esercizio del potere speciale, censurando l’inesistenza del carattere della criticità: la tecnologia è riconducibile nominalmente a quelle previste dal decreto, ma non raggiunge una soglia minima di criticità. In questo caso è tecnologia (o infrastruttura o fattore produttivo) strategica in potenza, ma non è critica in concreto.

Un’interpretazione di questo tipo aprirebbe la strada a un controllo giurisdizionale di rilevanza della tecnologia: il controllo giurisdizionale sulla “criticità”. Niente di nuovo sotto il sole: solo un modo diverso di identificare il sindacato di proporzionalità.

10. L’ultimo tassello del sindacato giurisdizionale: il “diritto mite” gioca un ruolo decisivo nella spiegazione della “black box” del potere speciale

Si ritorna al “diritto modesto”, lontano dai riflettori delle altisonanti valutazioni. Istruttoria corretta; motivazione scritta e precisa; trasparenza e coerenza del processo decisionale.

Il diritto modesto può fornire una chiave di lettura all’accesso dibattito, emerso nella letteratura scientifica (anche) internazionale sulla c.d. “spiegazione della black box”. L’espressione black box indica i casi in cui si fa uso di algoritmi e metodi computazionali di cui non si conoscono bene i meccanismi di funzionamento (ad esempio l’algoritmo del news feed di Facebook) e in cui i flussi di informazione sono gestiti in modo proprietario e spesso opaco.

Ma si parla anche di “società black box in termini di tessuto socio economico retto da tecnologie sempre più complesse, comprensibili a una cerchia ristretta di persone. La black box porta con sé il tema della spiegazione della logica che la presiede, soprattutto laddove tale logica sia alla base dell’esercizio dei poteri pubblici. Se ne è già occupato il Consiglio di Stato, con due importanti decisioni in materia di algoritmi di intelligenza artificiale[107].

Anche a proposito dei poteri speciali si pone oggi il tema della spiegazione di quella sorta di black box che ne sta alla base: l’istruttoria. Sovente, tale istruttoria è complessa. Si consideri, per esempio, che il Gruppo di coordinamento interministeriale in materia di poteri speciali può chiedere a pubbliche amministrazioni, enti pubblici o privati, imprese o altri soggetti terzi che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti, nonché stipulare convenzioni o protocolli di intesa con istituti o enti di ricerca. Inoltre, in materia di 5G, lo scrutinio deve essere effettuato in coerenza con gli indirizzi elaborati a livello internazionale e dell’Unione europea, con particolare riferimento al c.d. Toolbox, elaborato dal NIS Cooperation Group5.

Il necessario contrappeso a tale complessità è la trasparenza. Si consideri la (rilevanza della) motivazione dell’esercizio del potere speciale. L’atto deve essere pienamente motivato per tre ragioni: i) per i suoi marcati effetti “impositivi” ricadenti nell’impero dell’art. 23 della Costituzione; ii) perché deve render conto pienamente della ricorrenza dei presupposti per l’esercizio del potere speciale; iii) perché incide sulle c.d. libertà di movimento (libera circolazione dei capitali e libertà di stabilimento).

Non basta una motivazione semplice. È necessaria una motivazione rafforzata, per esempio, in ordine all’operazione rilevante, poiché (relativamente alle operazioni dismissive) la legge descrive (e richiede) un preciso rapporto causa effetto: i) qualunque atto o operazione (causa); ii) che determini (nesso di causalità); iii) modifiche della disponibilità degli attivi (effetto). Pertanto, perché sia motivato, è necessario che l’atto di esercizio dei poteri speciali spieghi – anche succintamente – le ragioni della sussistenza del fatto; dell’evento; del nesso di causalità (tra l’atto e la modifica della disponibilità degli asset).

Solo dando puntualmente atto di questi elementi si garantisce la piena giustiziabilità degli atti in materia di poteri speciali. Giustiziabilità che non si consegue laddove non sia possibile comprendere a fondo le ragioni del provvedimento impositivo. Non meno rilevante è una corretta istruttoria, in cui sia chiaro chi e come sia intervenuto a fornire apporti istruttori essenziali per la decisione.

Insomma, per quanto alta e complessa sia la materia dei poteri speciali, per quanto suggestive siano le pulsioni pancommercialistiche della normativa Golden Power, per quanto rilevante sia la posizione dell’organo chiamato a esercitarli, la chiave di volta dei poteri speciali è la massima valorizzazione del modesto “diritto amministrativo”, dei suoi principi, delle sue procedure, dei suoi valori. E del suo “giudice naturale”.

Sembra risuonare a gran voce il monito di Popper, a proposito della massima trasparenza, quale condizione essenziale della (possibilità di) piena “falsificabilità” dell’esercizio dei poteri pubblici, nell’ambito di una “società aperta”[108]. Ecco comparire il protagonista, non certo giovane (e forse non particolarmente attraente): il diritto amministrativo per così dire “classico”. Quale essenziale contrappeso democratico al “potere black box”, il diritto amministrativo – con quelli che a volte potrebbero apparire eccessivi formalismi – consente di recuperare nel procedimento amministrativo, e nelle sue garanzie, ciò che si potrebbe perdere sul piano sostanziale[109], nell’esercizio di un potere speciale ed ampiamente discrezionale: è il diritto amministrativo della istruttoria procedimentale, della motivazione del provvedimento finale, del sindacato sui presupposti (di fatto e di diritto), della trasparenza e correttezza procedimentale (se, per esempio, chi ha firmato un parere istruttorio, in seno al procedimento Golden Power, avesse o meno i poteri per farlo). Così bene utilizzati, sono gli stessi principi generali del diritto amministrativo, insieme alla normativa di riferimento della materia, a costituire il migliore alleato della “rule of law”, intesa qui come disciplina legislativa di attribuzione del potere amministrativo, e delle sue modalità – ancorché latamente discrezionali – di esercizio (art. 97, commi 2 e 3, Cost.).

Lo ha così icasticamente affermato il giudice amministrativo: «l’istruttoria volta a verificare la sussistenza dei due presupposti – quello funzionale del compimento di una operazione rilevante e quello oggettivo della presenza di attivi di rilevanza strategica – per l’esercizio dei poteri speciali deve essere svolta in materia rigorosa. Ciò in quanto l’esercizio di tali poteri, ponendo delle limitazioni ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali, deve trovare la sua giustificazione nel perseguimento del fine legislativo di consentire l’intervento statale qualora l’operazione societaria possa compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale, avuto riguardo all’incidenza su beni considerati di rilevanza strategica»[110].

Sarà dunque un caso accidentale il fatto che, nell’unico caso di annullamento con sentenza definitiva di un provvedimento “Golden Power”, la motivazione giurisdizionale sia stata individuata nell’esperimento di una non corretta istruttoria procedimentale?

  1. Per una prospettiva ampia di analisi, I. Castellucci, Geodiritto. Il diritto come dimensione della geopolitica e del conflitto, in Gnosis, Rivista italiana di intelligence, 2/2020, 22 e segg.

  2. Lucide e fondamentali considerazioni in tal senso, che aprono un quadro e una metodologia di analisi moderna e appropriata alla realtà attuale (e, soprattutto, agli ambiti oggetto dei poteri speciali) si rinvengono nel volume di M. Caligiuri, Intelligence e diritto – Il potere invisibile delle democrazie, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020.

  3. F. Gianotti D. Pedreschi, Explainable AI. Aprire la scatola nera per una intelligenza artificiale umana, in Gnosis Rivista italiana di intelligence, n. 2, 2019.

  4. F. Bassan, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato nell’economia, in Studi sull’integrazione economica, 2014, p. 78.

  5. F. Carnelutti, Controversie sul metodo, in Discorsi intorno al diritto, II, Padova 1953, p. 108.

  6. Centrale nel sistema processuale nazionale e sovranazionale, il principio di effettività ha come destinatari il legislatore e il giudice. Il primo lo deve declinare nell’approntare gli strumenti di tutela azionabili dal soggetto cha abbia subito la lesione di una posizione giuridica soggettiva riconosciutagli dall’ordinamento. Il secondo deve fornire al soggetto la tutela più ampia e satisfattoria delle proprie ragioni. Nel sistema processuale amministrativo, il principio di effettività è enunciato dall’art 1 del codice del processo amministrativo, che affida alla giurisdizione amministrativa l’obiettivo di assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo, nel quadro del fondamento costituzionale sancito dall’art 24 Cost. e, con riferimento agli atti delle amministrazioni, dall’art. 113 Cost., che ammette sempre la tutela giurisdizionale avverso gli stessi atti ed esclude che la stessa possa essere sottoposta a limiti. Quanto al diritto europeo e al diritto internazionale, il principio trova riconoscimento esplicito nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e nell’art 13 della CEDU, che sancisce il diritto ad un ricorso effettivo a favore di ogni persona i cui diritti e libertà fondamentali riconosciuti dalla Convenzione stessa siano stati violati. Sul punto, S. Valaguzza I. Martella, L’effettività della tutela nell’esperienza giurisprudenziale, Diritto processuale amministrativo, 2018, 2/783

  7. Per una ricostruzione ampia, J. Gil, Potere, in Enciclopedia Einaudi, 1977-81, vol. X, 996; M. Stoppino, Potere, in Dizionario di Politica, 1976, ed. 1983, p. 864.

  8. K. E. M. Weber, Economia e società, (ed italiana), Donzelli, Roma, 2019 (a cura di M. Palma).

  9. E. Massimilla, Il potere legittimo e i suoi tipi, in I palazzi del potere, C. D’Orta – V. Tenore, Anicia Roma, 2015, p. 23.

  10. E. Massimilla, Il potere legittimo e i suoi tipi, cit., p.23.

  11. A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, in Rivista delle società, 2019, pp. 733 e segg.

  12. P. Barile, Atti di governo e atto politico, in Enc. Dir., IV, 220. Come rileva M.S. Giannini, “L’amministrare ai livelli decisionali più elevati si compone di scelte fortemente condizionate da elementi politici”, M. S. Giannini, Il pubblico potere, 1986, p. 138.

  13. Un’apprezzabile ricostruzione, anche in chiave di visione geopolitica, del nuovo volto dei poteri speciali e dell’assetto che vanno assumendo nel nuovo contesto, e del pertinente fronte evolutivo socioeconomico è contenuta nel pregevole lavoro di A. Saravalle e C. Stagnaro, Contro il sovranismo economico, Rizzoli, Milano, 2020. Si veda anche V. Donativi, Golden PowersProfili di diritto societario, Giappichelli, Torino, 2019.

  14. In argomento, P. G. Monateri, Geopolitica del diritto e cultura strategica globale, in Gnosis, Rivista italiana di intelligence, 2/2020.

  15. Sul punto, M. Ortolani, Intelligence economica e conflitto geoeconomico. L’interesse nazionale in un contesto di conflitti ibridi tra potenze globali, Infoware, guerre commerciali e finanziarie, sanzioni; goWare, 2020. Sui rapporti tra diritto, economia e innovazione tecnologica N. Irti E. Severino, Le domande del giurista e le risposte del filosofo (un dialogo su diritto e tecnica), in Contratto e impr., 2000, p. 665.

  16. In materia, A. Aresu, Le potenze del capitalismo politico: Stati Uniti e Cina, Milano 2020.

  17. In materia, A. Alì, L’utilizzo dei diritti per il conseguimento di obiettivi politico strategici, in Gnosis, Rivista italiana di intelligence, 2/2020.

  18. Per un’analisi dell’esperienza statunitense del CFIUS e della natura degli executive orders, Saravalle – Stagnaro, cit, p. 73.

  19. Amplius, G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992.

  20. Sul “diritto invisibile”, si rinvia al contributo scientifico di M. Bretone, Il diritto invisibile. Concetti e nel “sistema” di Savigny”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1/2004, p. 20.

  21. Per una comparazione dei diversi ordinamenti in ordine ai poteri speciali, G. Scharchillo, Privatizzazioni e settori strategici, L’equilibrio tra interessi statali e investimenti stranieri nel diritto comparato, Giappichelli, Torino, 2018.

  22. È ovvio il riferimento al caso controverso Cambridge Analitica. Per un’analisi del caso, V. M. Donofrio, L’ombra di un “Cambridge Analytica bis” sulle presidenziali USA 2020: la moderna essenza di democrazia nella morsa di vecchi fantasmi e futuri inquietanti scenari, in Federalismi.it, n. 29/2020, p. 61.

  23. F. E. Santonastaso, Impresa, società e poteri pubblici, Una perenne “voglia di Stato”?, Sapienza University Press, Roma, 2018, p. 275.

  24. Se l’acquisizione ha ad oggetto azioni di una società ammessa alla negoziazione nei mercati regolamentati, la notifica deve essere effettuata qualora l’acquirente venga a detenere, a seguito dell’acquisizione, partecipazioni superiori a determinate soglie fissate dalla legge.

  25. P. Rescigno, Mercato europeo e diritto dell’energia, in Quaderni della Rassegna giuridica dell’energia elettrica¸ Milano, 1990, p. 51.

  26. In argomento, A. Dentamaro, Dai servizi di pubblica utilità alle attività strategiche: “poteri speciali” ex artt. 1 e 2 d.l. n. 21/2012 nella circolazione delle partecipazioni azionarie, in RDS 2014, 344-361; C. San Mauro, I golden powers tra legislazione e applicazione concreta, http://www.sipotra.it/wp-content/uploads/2017/ 11/I-golden-powers-tra-legislazione-e-applicazione-concreta.pdf.

  27. A. Aresu, M. Negro, La geopolitica della protezione. Investimenti e sicurezza nazionale: Gli Stati Uniti, l’Italia e l’UE, Fondazione per lo studio sui mercati pubblici, 2020.

  28. Dal 2012 al 31 dicembre 2020, su circa 800 operazioni sottoposte al vaglio del Golden power, il potere di veto è stato esercitato solo in tre casi.

  29. Il decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105 ha ulteriormente ampliato il perimetro delineato dall’articolo 2, inserendo al comma 1-ter il possibile pregiudizio alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti anche ai beni e ai rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nei settori individuati dall’articolo 4, paragrafo 1, del Regolamento (UE) n. 2019/452.

  30. Si tratta di “infrastrutture critiche, siano esse fisiche o virtuali, tra cui l’energia, i trasporti, l’acqua, la salute, le comunicazioni, i media, il trattamento o l archiviazione di dati, le infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali o finanziarie, e le strutture sensibili, nonché gli investimenti in terreni e immobili fondamentali per l’utilizzo di tali infrastrutture; tecnologie critiche e prodotti a duplice uso, tra cui l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, la cibersicurezza, le tecnologie aerospaziali, di difesa, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, nonché le nanotecnologie e le biotecnologie; sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare; accesso a informazioni sensibili, compresi i dati personali, o capacità di controllare tali informazioni; libertà e pluralismo dei media”. Sul punto, S. Gliubich, “Il Regolamento europeo per lo screening degli investimenti diretti esteri. Opportunità od occasione mancata per i ‘poteri speciali’ dell’Unione Europea?” in Golden Power, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), dicembre 2019.

  31. Durante l’anno 2020, nei 24 casi in cui i poteri speciali sono stati esercitati, 23 hanno visto l’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni, mentre in un caso è stato posto il veto all’operazione.

  32. Per esempio, tipicamente, a un’impresa che gestisce servizi a rete si impone di garantire la continuità del servizio e la funzionalità operativa della rete tramite appositi piani di manutenzione e sviluppo; piani che devono essere adeguati ad assicurarne l’integrità e l’affidabilità e/o assicurare l’elaborazione di programmi industriali e l’impiego di investimenti che devono essere adeguati a garantire lo sviluppo e la sicurezza delle reti.

  33. In un momento di emergenza sulla sicurezza cibernetica, vi possono essere prescrizioni specifiche inerenti all’analisi del rischio cibersecurity relativamente a componenti ICT, alla predisposizione di una procedura sugli incidenti (con obblighi di notifica tempestiva e rafforzamento dei presidi di front-line per la gestione degli alert e degli eventi) e all’individuazione di personale preposto e incaricato a gestire il rischio e, in generale, alla tutela della sicurezza fisica e logica della rete su tutto il territorio nazionale e/o il rafforzamento dell’operatività tramite strumenti e strutture organizzative aziendali.

  34. P. Di Palma, National case study: Italian law on strategic asset; Golden Power, in Rass. Avvocatura dello Stato, 2014, 62

  35. L’art. 2, comma 5, del decreto golden power presuppone l’«acquisizione» del controllo nell’accezione fatta propria dagli artt. 2359 c.c. e 93 del testo unico della finanza. Tipicamente tale operazione si realizza tramite negozio traslativo della partecipazione.

  36. La nozione di «controllo» degli attivi strategici evocata dal secondo comma dell’art. 2 è diversa dalla nozione di «controllo» della società evocata dal quinto comma dello stesso art. 2. Nel secondo caso assume rilievo ai fini dell’obbligo di notifica del socio extra-UE l’acquisizione del controllo in forza di un numero di azioni (e di voti) idoneo ad attribuire al socio un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria della società. Nel caso dell’obbligo di notifica gravante sulla società ai sensi del secondo comma dell’art. 2 rileva non il controllo formale dell’assemblea in forza dei voti disponibili, ma il controllo materiale/concreto degli asset strategici da parte del consiglio di amministrazione.

  37. Ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 21 del 2012 “qualsiasi delibera, atto o operazione adottato da una società che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi dell’art. 1 o 1-ter, che abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione” è soggetto a un obbligo di notifica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cura della società stessa, “entro dieci giorni e comunque prima che vi sia data attuazione”. La legge intende prevenire il rischio che l’atto esaurisca i suoi effetti e renda “inutile” l’eventuale adozione da parte del Governo, ai sensi del quarto comma dello stesso art. 2, di prescrizioni e condizioni volte a tutelare gli interessi pubblici sottesi alla disciplina in esame.

  38. Si tratta di operazioni capaci di limitare o alterare le possibilità di utilizzo/accesso/controllo degli attivi strategici da parte della società. O perché se ne modifica la titolarità o il controllo, come nel caso della fusione o della scissione; o perché se ne modifica la destinazione, come nel caso di cambiamento dell’oggetto sociale; o perché se ne modifica la disponibilità, come nel caso di scioglimento della società (ipotesi nella quale i beni del patrimonio sociale non sono più disponibili per l’esercizio lucrativo dell’impresa, ma devono essere vincolati al soddisfacimento dei creditori sociali).

  39. Nel 2020, tutte le 18 notifiche relative alla tecnologia 5G sono state oggetto di esercizio dei poteri con condizioni e prescrizioni e in un caso è stato posto il veto da parte della Presidenza.

  40. Sui criteri di valutazione dei rischi si veda Secure 5G deployment in the EU: Implementing the EU toolbox – Communication from the Commission, 29 gennaio 2020, https://ec.europa.eu/digital-singlemarket/en/news/secure-5g-deployment-eu-implementing-eu-toolboxcommunication-commission

  41. Per un’analisi complessiva dell’IOT, J. Rifkin, The Zero Marginal Cost Society, trad. it. La società a costo marginale zero, Milano, 2014, p. 36.

  42.  Il cloud computing è un modello che abilita in rete l’accesso pratico e su richiesta a un pool condiviso di risorse computazionali configurabili (reti, server, applicazioni) che possono essere erogate rapidamente con il minimo sforzo di gestione e con un’interazione limitata con il fornitore; cfr. Agenzia per l’Italia digitale – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, allegato alla determinazione commissariale n. 95/2014 del 26 giugno 2014, punto 1.4.

  43. Tale disciplina è sancita dal d.l. 21 settembre 2019, n. 105, convertito (con modifiche) in legge 18 novembre 2019 n. 133 e dalla relativa normativa secondaria di attuazione.

  44. Ci si riferisce all’importante proposta presentata dalla Commissione europea il 21 aprile del 2021 di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione.

  45. A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, in Rivista delle società, 2019, 733 e segg.

  46. Sulla valenza strategica delle infrastrutture digitali, E. Carloni, Tendenze recenti e nuovi principi della digitalizzazione pubblica, in Giornale dir. amm., 2/2015, 153.

  47. In argomento, F. Vanorio, Huawei-Usa. Come la competizione nel 5G e 6G avrà ripercussioni su difesa, intelligence e sicurezza globali, Startmag.it, 3 maggio 2019.

  48. Sulla possibile incidenza del tema dei poteri speciali nel solco dell’attuale questione – emergenziale – geopolitica della tutela ambientale, si rinvia all’attenta ricostruzione di M. Ascione, La questione ambientale su scala internazionale, p. 698, in Trattato di Medicina dell’ambiente, a cura di A. Ferrara, Roma, 2021.

  49. Si rinvia, sul punto, a C. Mosca, Segreto. Trasparenza, in Gnosis, Rivista italiana di intelligence, 4/2019.

  50. La riserva di legge è assoluta sul presupposto e sui soggetti; relativa quanto al profilo della determinazione quantitativa della prestazione. Solo a queste condizioni la base legislativa è idonea ad impedire che l’intervento di un atto di integrazione secondaria trasmodi in arbitrio.

  51. M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1939.

  52. T.A.R. Lazio (sezione I), sentenza del 24 luglio 2020 n. 8742.

  53. G. Rolla, Le forme di governo nei moderni ordinamenti policentrici, Milano, 1991, pag. VI-324; S. Cassese, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatali, in Foro italiano, 1996, parte V, pp. 8-14.

  54. G. Guarino, Il governo del mondo globale, Firenze, 2000, p. 183.

  55. Direttiva 1988/361/CE del Consiglio dell’8 luglio 1988, relativa alla libera circolazione dei capitali nell’UE, p. 5.

  56. Corte di Giustizia, sentenza 12 aprile 1994, C-1/93, Hallburton, in Racc., 1994, I – 1137. Sul punto, Commissione europea, Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari, 97/C 220/06.

  57. Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari (97/C/220/06).

  58. Allegato I della direttiva 88/361/C.

  59. Comunicazione della Commissione, cit., p.3.

  60. Comunicazione della Commissione, cit. p.3.

  61. Corte di Giustizia, sentenza 13 luglio 1993, C-330/91, Commerzbank, in Racc., 1993, I/2239.

  62. Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 1998, C-147/86, Fronustiria, in Racc., 1998, 1637.

  63. Corte di Giustizia, sentenza del 14 maggio 1993, C-17/92, Federation de distribuIdores cinematograficos; sentenza del 13 luglio 1993, C-330/91, Commerzbank, in Racc., 1993, I/2239.

  64. Corte di Giustizia, sentenza del 15 dicembre 1995, C-415/93, Bosman, in Racc., 1995, I/4921.

  65. In argomento, L. Ardizzone – M. Vitali, I poteri speciali dello Stato nei settori di pubblica utilità, in Giur. Comm. 2013.

  66. Che tali vincoli sussistano si evince dal preambolo del d.l. n. 21 del 2012: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di modificare la disciplina normativa in materia di poteri speciali … oggetto della procedura di infrazione n. 2009/2225 … in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”. Nella prospettiva del legislatore, quindi, la nuova disciplina sul Golden Power costituiva (anche) uno strumento per porre rimedio alle contestazioni eurounitarie (avanzate con riferimento alla previgente disciplina italiana sui poteri speciali), emanando una disciplina coerente con la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento.

  67. Sul punto, P. Trancu, Lo Stato in crisi. Pandemia, caos e domande per il futuro, F. Angeli, Milano, 2021.

  68. Per un’analisi del rapporto tra crisi economiche e diritto pubblico, F. Merusi, La crisi e il diritto amministrativo, in Dir. econ., 2012, p. 483 e Variazioni su crisi economica e regolazione, in Dir. econ., 2010, p. 623.

  69. G. Brunelli, Sistema delle fonti e ruolo del Parlamento dopo (i primi) dieci mesi di emergenza sanitaria, in www.sistema delle fonti.it, anno XV, p. 1 e segg.

  70. Sulla inadeguatezza, ma al contempo sulla necessità e valorizzazione, del ruolo delle istituzioni e del “processo istituente come prassi innovativa” (anche) alla luce dell’esperienza della pandemia, particolarmente avveduta e profonda è l’analisi contenuta nel testo di R. Esposito, Istituzione, Bologna, 2021, p. 13 e segg.

  71. L’obbligo di notifica è stato esteso sia con riferimento agli attivi strategici, includendo tutti quelli connessi ai fattori critici del Regolamento UE, compresi quelli relativi ai settori finanziario, creditizio e assicurativo, sia con riferimento alle operazioni di acquisto di partecipazioni, includendo quelle che abbiano per effetto l’assunzione del controllo da parte di qualunque soggetto estero, anche appartenente all’UE, e quelle che attribuiscano una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10, 15, 20, 25 e 50 per cento da parte di soggetti esteri non appartenenti all’Unione europea, a prescindere dall’assunzione del controllo societario.

  72. In argomento, G. Napolitano, Il Regolamento sul controllo degli investimenti esteri: alla ricerca di una sovranità europea nell’arena economica globale, in Diritto della regolazione dei mercati, fasc. 1/2019.

  73. L’articolo 2 dispone che “Con uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 … sono individuati le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”.

  74. Per esempio: il d.p.r. del 19 febbraio 2014, n. 35 recante il “Regolamento per l’individuazione delle procedure per l’attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, a norma dell’articolo 1, comma 8, del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21”; il d.p.r. del 25 marzo 2014, n. 86 recante il “Regolamento per l’individuazione delle procedure per l’attivazione dei poteri speciali nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, a norma dell’articolo 2, comma 9, del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21”; il d.p.r. del 6 giugno 2014, n. 108 recante il “Regolamento per l’individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, a norma dell’articolo 1, comma 1, del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21”; il d.p.r. del 25 marzo 2014, n. 85 recante il “Regolamento per l’individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, a norma dell’articolo 2, comma 1, del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21”.

  75. È il caso del dell’art. 14, comma 2, del d.p.r. n. 179 del 2020, ai sensi del quale, fermo restando l’obbligo di notifica, l’esercizio dei poteri speciali non si applica alle tipologie di atti e operazioni posti in essere all’interno di un medesimo gruppo riguardanti fusioni, scissioni, incorporazioni, cessioni, anche di quote di partecipazione, quando le relative delibere dell’assemblea non comportano trasferimento della sede sociale in un Paese non appartenente all’Unione europea, mutamento dell’oggetto sociale, scioglimento della società o modifica di clausole statutarie o costituzione o cessione di diritti reali o di utilizzo relativi a beni materiali o immateriali o assunzione di vincoli che ne condizionano l’impiego, anche in ragione della sottoposizione dell’impresa a procedure concorsuali.

  76. Si pensi a un contratto internazionale per la ricerca e sviluppo di nuove e performanti tecnologie di sicurezza cibernetica tramite soluzioni di tipo Siem (Security Information and Event Management, soluzioni di gestione eventi e informazioni di sicurezza) o Soar (Security Orchestration Automation and Response).

  77. S. Pugliatti, Strumenti teorico giuridici per la tutela dell’interesse pubblico nella proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, 116; P. Virga, Diritto amministrativo, I, Milano, 1989, p. 341.

  78. A ben vedere, la questione, che oggi si presenta con connotati innovativi, ha radici antiche. Nella sua Teologia politica, per esempio, Schmitt affermava che la condizione dell’attuazio­ne della libertà di valore, propria della scienza, è la libertà di utilizzazione dei suoi risultati in una libera produzione; C. Schmitt, Teologia politica II. La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica, Postfazione, La legittimità dell’era moderna, trad. it., Milano, 1992, p. 102.

  79. Sul piano applicativo, i fotoni sono simultaneamente combinazioni multiple di 1 e 0 (i “quantum bits”); se un pirata informativo prova a osservare questi dati, i “qbits” cambiano; questo fa sì che l’intrusione lasci tracce, accrescendo il livello di sicurezza cibernetica.

  80. In materia, D. Edelstein, Come vengono insegnate le tecnologie e l’innovazione? Le scienze umane e l’economia della conoscenza, in Ciberspazio e dir., 2013, p. 39.

  81. Sulla rilevanza del capitale umano nell’ambito di saperi specialistici innovativi, E. Rullani, La fabbrica dell’immateriale. Produrre valore con la conoscenza, Roma, 2004, p. 14; V. Zeno Zencovich, G. B. Sandicchi, L’economia della conoscenza ed i suoi riflessi giuridici, in Dir. informazione e informatica, 2002, p. 971; S. Bruno, Sfera della conoscenza e sfera dell’economia – Il carattere strategico dei fattori di complementarietà, in Queste istituzioni, 2003, fasc. 129, p. 5.

  82. Questa distinzione è stata tracciata in modo netto dalla Corte costituzionale, costituendo la base – per esempio – della nota distinzione tra vincoli a carattere conformativo e vincoli a carattere ablatorio. Negare il diritto a edificare il terreno edificabile vuol dire sostanzialmente svuotarne una sua utilità essenziale. Tale attività – ovviamente – è ammessa (nei casi previsti dalla legge), ma tale funzione non è più conformazione. È ablazione. Una sottrazione che fa scattare il diritto del titolare all’indennizzo. Lo stesso vale per il diritto – fondamentale – di iniziativa economica privata. Esiste una fondamentale distinzione tra atti in cui si esplica l’autonomia privata ed atti in cui si esprime il contenuto essenziale dell’autonomia privata. I primi sono gli atti con cui le parti disciplinano il contenuto di atti negoziali, apponendovi – per esempio – condizioni, termini ecc. Gli atti in cui si esprime il contenuto essenziale dell’autonomia privata sono le basilari espressioni dell’autoregolamento negoziale, vale a dire gli atti in cui si esprime l’an (e non semplicemente il quomodo) dell’autonomia privata. Per i contratti, per esempio, gli atti in cui si esprime il contenuto essenziale dell’autonomia privata sono primariamente identificati nella tripartizione contenuta nell’articolo 1321: costituzione, modificazione, estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale (Corte cost, 20 gennaio 1966 n. 6/66; 29 maggio 1968, n. 55 e la famosa 30 gennaio 1980, n. 5 in Giur. cost. 1980, I, 21).

  83. In materia, F. Cintioli, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale, Giappichelli, Torino, 2005, p. 37.

  84. F. Cintioli, cit. 42.

  85. Sul tema, amplius, D.U. Galetta, Il principio di proporzionalità, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 151 e ss., ove – unitamente alla più avvertita dottrina di riferimento – è richiamato il percorso che l’Autrice ha dedicato al tema, a partire dal contributo monografico Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998.

  86. Prendendo il caso delle comunicazioni elettroniche, è evidente che le piattaforme digitali costituiscono la base su cui si regge – e sempre più si reggerà – la vita economica e sociale. Nel nuovo contesto “digitale”, per far comunicare le persone, per far dialogare tra loro gli uffici pubblici, per far funzionare ospedali, reti ferroviarie, aeroporti, per consentire i depositi in formato digitale nei tribunali, per istituire e accedere ai fascicoli sanitari elettronici, per la medicina a distanza ecc. sono necessarie reti di comunicazioni elettroniche a banda larga. Tali reti, quindi, sono certamente di pubblica utilità e necessarie a soddisfare bisogni essenziali. E per tale motivo, esse sono opere ex lege di pubblica utilità (ai sensi dell’art. 90 del d. lgs. n. 259 del 2003) e ne viene incentivata la realizzazione con misure di carattere generale e speciale.

  87. In materia, S. Alvaro, M. Lamandini, A. Police, I. Tarola, La nuova via della seta e gli investimenti esteri diretti in settori ad alta intensità tecnologica, Consob, Quaderni giuridici, febbraio 2019, pp. 10-11.

  88. Si pensi alle infrastrutture e tecnologie di gestione delle biobanche. Sul punto, M. Tallacchini, Dalle biobanche ai genetic social networks – Immaginari giuridici e regolazione di materiali biologici e informazioni, in Materiali storia cultura giur., 2013, p. 157.

  89. I progetti generalizzati di raccolta di dati genetici sono delicati. Il Paese pioniere a livello mondiale di questo tipo di ricerca è stato l’Islanda, che per prima ha dato avvio ad un progetto di raccolta dei dati genetici della sua popolazione. Sulla base della legge sull’Health Sector Database del 1998, una compagnia biofarmaceutica privata ha ottenuto la licenza per la costituzione di un database centralizzato contenente dati sanitari, compresi quelli genetici e genealogici, “non personalmente identificabili” (in quanto già codificati), di potenzialmente tutti i cittadini islandesi. Tale iniziativa imprenditoriale partiva dalla convinzione che, studiando il DNA del popolo islandese, fosse possibile pervenire alla conoscenza delle basi genetiche delle malattie più comuni, in quanto i 270.000 uomini e donne, che costituiscono la popolazione islandese, sono considerati relativamente “puri” dal punto di vista genetico, poiché discendono da un solo progenitore e per migliaia di anni sono rimasti isolati dal contatto con altri popoli a causa dell’arduo posizionamento geografico.

  90. La proporzionalità “si misura” in base a tre parametri: adeguatezza o idoneità, necessità, e proporzionalità in senso stretto. L’adeguatezza o idoneità presuppone l’esistenza di un legame causale e diretto tra la misura e il conseguimento dell’interesse pubblico che dovrebbe giustificare la deroga. La necessità implica la non sostituibilità della misura anticoncorrenziale con una meno “invasiva” (che comprometta meno, cioè, l’assetto concorrenziale che si intende sacrificare). La proporzionalità in senso stretto impone che non operino deroghe eccessive rispetto ai principi generali dell’ordinamento (in questo caso, i principi in materia di concorrenza). Sulla proporzionalità come adeguatezza, Corte di Giustizia, sentenza del 14 maggio 2009, C-34/08 Disarò; Corte di Giustizia, sentenza del 10 aprile 2008, C-265/06, Commissione c/Portogallo. Sulla proporzionalità come necessità, Corte di Giustizia, sentenza del 14 luglio 1988, C-90/86, Proc. pén. c/Zoni, Sulla proporzionalità in senso stretto, Corte di Giustizia, sentenza del 19 gennaio 1999, C-348/96, Calfa; Corte di Giustizia, sentenza del 10 febbraio 2000, C-347/97, Nazli e altri; Corte di Giustizia, sentenza del 19 aprile 2004, cause riunite C-482/01 e C-493/01 Orfanopulos e altri. In dottrina, fermi restando i richiami compiuti nella precedente nota 85, sul tema della necessità e adeguatezza: S. Manacorda, Le contrôle des clauses d’ordre public. La «logique combinatoire» de l’encadrement du droit pénal, in G. Giudicelli-Delage, S. Manacorda (a cura di), Cour de Justice et justice pénale en Europe, Parigi, 2010, 57 ss.; G. Scaccia, Il controllo di proporzionalità della legge in Germania, in Materiali del Centro Studi della Corte Costituzionale, Roma, 2004, passim.

  91. Le infrastrutture escluse (rectius non espressamente incluse) non sono affatto neutre in termini di rilevanza pubblicistica. Le reti di distribuzione del gas o dell’energia elettrica, i porti o aeroporti minori, le reti ferroviarie regionali sono: i) sovente monopoli naturali; ii) infrastrutture di pubblica utilità; iii) reti strumentali all’erogazione di servizi pubblici; iv) reti soggette a tariffa da parte di Autorità di regolazione. Eppure, il legislatore ha effettuato un’attenta selezione.

  92. Non a caso, sul piano formale la norma regolamentare è strutturata nel modo seguente: i) atto di individuazione degli attivi di rilevanza strategica e, quindi, di identificazione di categorie di beni qualificate come strategiche; ii) atto di inclusione di specifici asset nella categoria prima identificata, vale a dire di identificazione di specifici beni che devono necessariamente far parte degli attivi.

  93. Orazio, Ars poetica, 358-359.

  94. Per un’analisi della materia delle comunicazioni elettroniche, G. Agliata, La convergenza tra telecomunicazioni, audiovisivo e tecnologie dell’informatica – Prime riflessioni sull’operazione Seat-Pagine gialle/Cecchi Gori Communications, in Riv. amm., 2001, p. 95; Barriere amministrative e regolazione asimmetrica nelle telecomunicazioni europee, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2006, p. 278; L. Saltari, La regolazione asimmetrica nelle comunicazioni elettroniche tra Agcm, Agcom e giudice amministrativo, in Giornale dir. amm., 2006, p. 1212.

  95. Sulle leggi quale “specchio impietoso del tempoimprecise, frammentarie, affastellate, sovrapposte, disordinate” e sul difetto di (minima) chiarezza degli atti normativi, si rinvia all’illuminante saggio di V. Italia, Il disordine delle leggi e l’interpretazione, Milano, 2010, nonché, dello stesso Autore, L’ombra e la luce nelle leggi, Milano, 2020.

  96. A. Massera, Oltre lo Stato: Italia ed Europa tra locale e globale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, p. 5

  97. P. Barile, Intervento al convegno su Telecomunicazioni, televisioni ed Internet, 21-22 gennaio 2000, sul tema Gestione delle reti di telecomunicazione e profili antitrust, in Il diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, 1999, 45.

  98. È noto che: a) qualsiasi controllo statale deve: i) essere collegato allo svolgimento di attività d’interesse economico generale da parte dell’impresa; ii) non generare l’alterazione del mercato; iii) e non esporre al rischio di discriminazioni; b) motivi di natura economica – quali l’esigenza di rafforzamento della struttura concorrenziale del mercato, di modernizzazione e rafforzamento dei mezzi di produzione o quella di non incidere sul grado di apertura del mercato – non legittimano gli Stati membri a porre ostacoli alle libertà fondamentali del Trattato, soprattutto là dove già esistano nell’ordinamento altri mezzi per la tutela di tali interessi, forniti dalle direttive comunitarie di armonizzazione e dalle disposizioni sul controllo delle concentrazioni.

  99. Come rilevato in giurisprudenza: «Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario, cui dovrebbe dare esecuzione», Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535.

  100. Come lucidamente illustrato “quando il ricorrente invoca la protezione di un interesse inciso dall’atto esecutivo di un regolamento, la soluzione della controversia non può prescindere da una cognizione sul regolamento stesso e dall’esame del nesso che lega atto normativo e atto esecutivo”; F. Cintioli, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale – disapplicazione e ragionevolezza nel processo amministrativo sui regolamenti, Giappichelli, Torino, 2007, 316.

  101. «Il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell’impugnazione congiunta del regolamento» (Cons. Stato, sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 5098); «Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con il disposto legislativo primario, del quale è intesa a dare esecuzione»; Cons. di Stato, sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2183.

  102. In particolare, sempre la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3623 ha affermato che «la disapplicazione è operazione ermeneutica che può essere compiuta anche d’ufficio dal giudice e, pertanto, non richiede apposita richiesta da parte del ricorrente… Poiché la disapplicazione attiene all’interpretazione delle norme che disciplinano il rapporto controverso, può essere disposta d’ufficio e, quindi, per la prima volta in grado d’appello».

  103. F. Merusi, I sentieri interrotti della legalità, in Quaderni costituzionali, 2006, p. 273.

  104. Vi si aggiungono, ancora, le tecnologie critiche atte a garantire profili di safety e di security dei sistemi, anche di tipo intelligente, deputati al controllo, alla gestione e all’assistenza alla movimentazione di persone e merci su terra, aria e vie d’acqua, i sistemi di logistica integrata e intermodale o le tecnologie critiche atte a consentire la geolocalizzazione, il tracciamento e la ricostruzione degli spostamenti di persone e merci, per quantificare dinamicamente la densità di popolazione a livello locale e ottimizzare le strategie mirate al monitoraggio e al contenimento di epidemie infettive.

  105. In argomento, A. Rezzani, Big data, Architetture, tecnologie e metodi per l’utilizzo di grandi basi di dati, Rimini, 2013, p. 29; R. Vespia, Come utilizzare i big data-analytics nell’amministrazione pubblica italiana, in Queste istituzioni, 2014, fasc. 163, p. 67.

  106. Cfr. art. 14, comma 1, d.p.r. n. 179 del 2020.

  107. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2019 n. 2270 e 13 dicembre 2019 n. 8472.

  108. KR. Popper, La società aperta e i suoi nemici, ed. italiana curata da D. Antiseri, Milano, 2009, con particolare riferimento al concetto di “logica del potere”, 41 e 172.

  109. Sul tema del rafforzamento delle garanzie procedimentali come contrappeso istituzionale, nello specifico settore della tutela della concorrenza, M. Clarich, Le autorità indipendenti raccontate agli economisti, in Dir. Amm., 1999, 1, 188; S. Niccolai, I poteri garanti della Costituzione e le autorità indipendenti, Pisa, 1996, 320; L. Desiderio, Giusto procedimento, indipendenza e sindacato giurisdizionale nei provvedimenti delle autorità c.d. indipendenti, in Società, 2001, 536.

  110. Tar Lazio, sez. I, 24 luglio 2020 n. 8742.

Domenico Ielo

PhD in "Organisation and Functioning of the Public Administration", Lawyer at the Higher Courts at the Bar of Milan, Adjunct Professor at the University of Milan