Note critiche sulla disciplina in materia di sanzioni amministrative intese a contrastare la diffusione della pandemia da Covid-19

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4/2022

Note critiche sulla disciplina in materia di sanzioni amministrative intese a contrastare la diffusione della pandemia da Covid-19

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L’articolo analizza, in chiave critica, la disciplina in materia di sanzioni amministrative introdotta, a partire dal D.L. n. 19/2020, con l’intento di sanzionare le condotte potenzialmente idonee a incrementare la diffusione del Covid-19.


Critical notes on the regulation of administrative penalties to prevent the dissemination of Covid-19
This article critically analyzes the regulation of administrative penalties, starting with Decree Law No. 19/2020, that have the intention of sanctioning conduct that has the potential to increase the spread of Covid-19.

1. Introduzione

Come chiunque ha potuto constatare, quella ipertrofia normativa che costituisce tradizionalmente una nota dolente del nostro ordinamento è esponenzialmente aumentata durante l’emergenza pandemica.

Specie durante il periodo di massima diffusione del virus si è infatti assistito a una produzione normativa alluvionale, a una vera e propria «nomorrea del legislatore»[1], che non ha lasciato indenne, per quanto qui rileva, neppure la disciplina delle sanzioni amministrative introdotte al fine di punire le condotte ritenute tali da poter determinare un aumento dei contagi.

Tale disciplina, com’è noto, si rinviene essenzialmente nel Decreto Legge n. 6 del 2020 e (soprattutto) nel successivo Decreto Legge n. 19 del 2020, cui espressamente rinviano i Decreti Legge in materia di prevenzione della diffusione dei contagi via via emanati, tra i quali, in primis, il Decreto Legge n. 33 del 2020 e, da ultimo, il Decreto Legge n. 24 del 2022[2].

Di detta disciplina si passa partitamente a trattare individuandone taluni aspetti critici. Il tutto, però, non prima di aver anticipato che si tratta di criticità, già evidenziate da chi scrive in occasione di un convegno tenutosi nel dicembre 2020[3], che continuano, pur nell’attuale fase “calante” della pandemia, a essere di strettissima attualità. E ciò non solo perché la disciplina in parola risulta ancora oggi vigente, ma anche perché sono ancora sub judice le impugnazioni delle sanzioni amministrative applicate nel passato.

2. Il Decreto Legge n. 6 del 2020 e l’originaria marginalità riservata alle sanzioni amministrative nel contrasto alle condotte idonee a favorire la diffusione dei contagi

Com’è noto, il legislatore nella fase più “critica” della pandemia ha deciso di attribuire rilevanza penale alla violazione delle misure di contenimento della diffusione del virus di volta in volta introdotte. L’art. 3 del già citato D.L. n. 6/2020, operando un rinvio «quoad poenam» all’art. 650 del c.p.[4], prevedeva, infatti, che dette violazioni integrassero illeciti penali puniti «con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino 206 euro».

A fianco di tale reato il medesimo art. 3 del citato D.L. n. 6/2020 stabiliva poi l’applicazione, ai «gestori di pubblici esercizi o di attività commerciali», di una sanzione amministrativa di natura interdittiva[5] consistente nella «chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni», disponendo al riguardo che la «violazione è accertata ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689».

Questa ultima, giova precisarlo, era ab origine l’unica sanzione amministrativa prevista dal legislatore.

Come si è anticipato, infatti, salvo quest’ultima residuale ipotesi, in prima battuta si era incautamente pensato di affidare al solo diritto penale la repressione delle condotte poste in essere in violazione delle previsioni volte a evitare la diffusione del virus.

Tale originaria scelta è risultata però infelice per varie ragioni. Anzitutto perché la stessa era idonea a ingolfare ulteriormente le (sempre affollate) aule dei giudici penali, in secondo luogo perché volta a criminalizzare, facendo così di “tutta l’erba un fascio”, una serie eterogenea di condotte e, infine, perché, in fin dei conti, di scarsa (per non dire scarsissima) efficacia deterrente[6].

Sotto tale ultimo profilo occorre, infatti, evidenziare che il reato di cui all’art. 650 c.p., cui rinviava come detto «quaod poenam» il citato art. 6 del D.L. n. 6/2020, è estinguibile per oblazione ex art. 162-bis c.p. Esso può essere, dunque, estinto pagando una somma pari ad appena centotre euro[7].

Forse anche per tali ragioni, con il successivo D.L. n. 19/2020 si è deciso dunque di correggere il tiro. Con detto Decreto Legge, infatti, si è superata l’originaria impostazione panpenalistica, aumentando lo spazio delle sanzioni amministrative e, di converso, riducendo quello riservato alle sanzioni penali.

3. Il Decreto Legge n. 19 del 2020 e le “nuove” sanzioni amministrative previste in caso violazione delle previsioni volte a impedire la diffusione del covid-19

L’originaria impostazione, volta – lo si ripete – a fronteggiare la diffusione del covid-19 privilegiando la repressione penale rispetto a quella amministrativa, è stata, come detto, presto abbandonata.

Con l’art. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 19/2020 si è infatti stabilito che, «salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento» è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria.

Con tale medesima norma si è, altresì, precisato che in taluni casi (si tratta delle violazioni degli obblighi di sospensione di eventi culturali, sportivi, ludici ecc. ecc.) alla sanzione pecuniaria si somma una sanzione accessoria, assimilabile alla sanzione interdittiva di cui si è detto prima, consistente nella chiusura «dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni».

Sempre con il citato art. 4, sconfessando apertis verbis quanto previsto dal “vecchio” Decreto Legge n. 6/2020, si è infine chiarito che in ogni caso «non si applicano le sanzioni contravvenzionali» previste dal richiamato art. 650 c.p.

Tale impostazione è stata successivamente confermata anche dai successivi Decreti Legge n. 33/2020 e n. 24/2022, che, come si è già anticipato, richiamano espressamente quanto previsto dal D.L. n. 19/2020.

Ebbene, anche il “nuovo” assetto, che ha indubbiamente il merito di aver posto al centro le sanzioni amministrative in luogo di quelle penali[8], risulta comunque problematico sotto diversi e molteplici profili, di cui si passa a trattare.

3.1 Le “nuove” sanzioni pecuniarie

Occorre, anzitutto, soffermarsi sulle sanzioni pecuniarie introdotte dal D.L n. 19/2020.

Al riguardo è opportuno preliminarmente evidenziare che la cornice edittale, che è oggi ricompresa tra quattrocento e mille euro, era originariamente compresa tra quattrocento e tremila euro. Il massimo edittale è stato infatti abbattuto in sede di conversione in legge del citato Decreto Legge n. 19/2020.

Di tale mitigazione – e qui un primo aspetto problematico sul quale pare opportuno soffermarsi – si deve, a parere di chi scrive[9], necessariamente tenere conto anche con riferimento a tutte le condotte illecite consumatesi nello “iato” temporale compreso tra il 25 marzo 2020 (data di entrata in vigore del D.L. n. 19/2020) e il 23 maggio 2020 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 35/2020).

Vero è infatti, com’è risaputo, che nella legge n. 689/1981 non si rinviene alcuna norma dal contenuto analogo all’art. 2, comma 4, c.p., che, come noto, impone la retroattività della legge più favorevole sopravvenuta.

Vero è pure che non vi è nella legge di conversione del Decreto Legge n. 19/2020 alcuna previsione che imponga l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole da essa introdotta.

Ma vero è parimenti che non si rinviene in tale legge alcuna disposizione che vieti l’applicazione retroattiva della sopravvenuta (e più favorevole) cornice edittale. Il che dovrebbe, in via interpretativa, consentire l’automatica applicazione di quest’ultima anche alle violazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge di conversione.

A tale approdo si giunge muovendo dal principio scolpito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 63/2019, con la quale si è finalmente (meglio tardi che mai) stabilito che, «laddove (…) la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per applicare»[10] la sanzione «in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento»[11].

Con tale storica (e da lungo tempo attesa) sentenza si è, infatti, ritenuto che il principio della retroattività in mitius sia da «ritenersi applicabile anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura “punitiva”»[12], trovando esso fondamento, sia nel diritto sovranazionale (e segnatamente nell’art. 7 della CEDU, così come innovativamente interpretato dalla Corte di Strasburgo a far tempo dalla celebre sentenza della Scoppola del 2009[13]), sia e (prima ancora) nell’art. 3 Cost., che, a sua volta, «impone in linea di massima di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti»[14].

Ora, tornando alla nuova e più mite cornice edittale introdotta in sede di conversione in legge del D.L. n. 19/2020, pare potersi ritenere che, data l’assenza di una specifica disposizione che vieti l’applicazione retroattiva della stessa, non vi sia alcun impedimento all’applicazione di quest’ultima anche alle condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore.

Non può, del resto, rinvenirsi un impedimento a tale applicazione retroattiva né nell’art. 11 delle Preleggi (per cui la legge – lo si sa – dispone solo per il futuro), né nell’art. 1 della l. n. 689/1981 (che vieta, come noto, l’applicazione delle norme sanzionatorie amministrative al di fuori dei fatti e dei tempi in esse considerate).

Il che, come si è già in altra sede osservato[15], si evince dalla già citata sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019[16]. Con tale pronuncia infatti si sono implicitamente rigettate due eccezioni di inammissibilità della questione di costituzionalità della specifica norma sottoposta al vaglio della Consulta formulate dall’Avvocatura dello Stato e imbastite proprio su tali previsioni, non oggetto di espressa rimessione da parte del Giudice a quo e ritenute dalla medesima Avvocatura dello Stato di per sé preclusive dell’applicazione del principio della retroattività in mitius in materia di sanzioni amministrative.

Ebbene, il fatto che la Consulta non abbia accolto detta eccezione di inammissibilità sta chiaramente a significare, lo ribadiamo anche in questa sede, che la stessa abbia ritenuto che il citato art. 11 delle Preleggi e il richiamato art. 1 della l. n. 689/1981 precludano in generale la sola retroattività in malam partem, ma non anche quella in bonam partem.

Ciò detto, sempre con riferimento alle sanzioni pecuniarie di cui si discorre si deve sottolineare che l’art. 4 del D.L. n. 19/2020 stabilisce, per un verso, con una previsione di cui francamente non è dato comprendere la ratio, che la sanzione viene aumentata di un terzo nel caso in cui la violazione contestata venga posta in essere «mediante l’utilizzo di un veicolo» e, per altro verso, che è sempre possibile il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 202 del Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992).

Ne deriva, dunque, che se il trasgressore paga entro cinque giorni dalla contestazione è ammesso a pagare un importo pari al trenta per certo del minimo edittale (duecentottanta euro) e il minimo edittale (quattrocento euro), là dove provveda al pagamento comunque entro sessanta giorni dalla contestazione.

Si tratta, giova segnalarlo, di disciplina non applicabile alle misure accessorie di cui ci accingiamo a trattare.

3.2 Le “nuove” sanzioni accessorie

In linea di continuità con la previgente disciplina, il D.L. n. 19/2020 ha, come detto, stabilito la possibilità di irrogare, ma questa volta in aggiunta alle “nuove” sanzioni pecuniarie e non quindi come sanzione “indipendente”, una sanzione interdittiva consistente, segnatamente, nella chiusura da cinque a trenta giorni dell’esercizio o dell’attività nella quale si è verificata la violazione.

Detta sanzione interdittiva, dunque, opera nell’attuale contesto normativo quale sanzione accessoria a quella pecuniaria di cui si è detto in precedenza.

L’art. 4 del D.L. n. 19/2020 ha previsto, al riguardo, il potere dell’agente accertatore di disporre, in via cautelare, l’immediata chiusura dell’esercizio o dell’attività per una «durata non superiore a 5 giorni», che verranno poi scomputati dalla sanzione interdittiva definitivamente irrogata.

Va da sé, a parere di chi scrive, che là dove, a valle del procedimento, non venga poi irrogata alcuna sanzione, ben potrà il soggetto che ha subito l’applicazione della misura cautelare in questione agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla chiusura affrettatamente disposta.

3.3 Sulla disciplina applicabile in caso di recidiva

Vi è un aspetto problematico che accomuna entrambe le sanzioni (pecuniarie e accessorie) di cui si è detto.

Ci si riferisce alla disciplina di cui all’art. 4, comma 5, del D.L. n. 19/2020. Il quale prevede che, «in caso di reiterata violazione della disposizione di cui al comma 1», la sanzione amministrativa pecuniaria è «raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima».

Ora, con riferimento a tale disciplina è opportuno in primo luogo interrogarsi su cosa s’intenda per «reiterata violazione della disposizione di cui al comma 1». Il comma 1, infatti, a sua volta rinvia ad una serie eterogenea di violazioni fisate, a loro volta, da una moltitudine di fonti.

Ebbene, il riferimento al comma 1 nella sua interezza, che è stato introdotto in sede di conversione in legge (originariamente il D.L. parlava “sic et simpliciter” di violazione della «medesima disposizione»[17]), porta a ritenere che si abbia recidiva, con conseguente applicazione della disciplina di cui si discorre, nei casi in cui ad una violazione di una qualsiasi delle regole in questione da cui sia scattata la sanzione ne segua un’altra anche di diverso tipo.

In altri termini, l’aggravamento sanzionatorio in caso di recidiva dovrebbe conseguire dalla violazione di qualsivoglia previsione avente quale scopo ultimo quello di scongiurare la diffusione del covid-19.

Il che trova conferma nell’art. 8-bis della L. n. 689/1981[18], che pare essere applicabile alle sanzioni in parola in virtù di quanto previsto dall’art. 12 della l. n. 689/1981. Norma, quest’ultima, in base alla quale le disposizioni della legge n. 689/1981 si applicano, «salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro».

In base al citato art. 8-bis si ha, infatti, reiterazione della violazione ogni qualvolta venga posta in essere «un’altra violazione della stessa indole» e per «violazioni della stessa indole», come chiarito sempre da tale norma, «si considerano (…) le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni».

Sempre con riferimento alla disciplina sulla recidiva, si deve sottolineare che essa non dovrebbe operare, viceversa, «nel caso di pagamento in misura ridotta» di cui si è detto in precedenza.

Tutto ciò è espressamente previsto dal già citato art. 8-bis, per il quale la reiterazione «non opera in caso di pagamento in misura ridotta». E se ciò vale con riferimento alla sanzione pecuniaria non può che valere anche con riferimento a quella accessoria, posto che, come noto, “accessorium sequitur” principale.

Vi è poi un terzo aspetto problematico della disciplina che prevede l’inasprimento delle sanzioni in caso di recidiva e che riguarda, in questo caso, le sole sanzioni accessorie, che, come detto, vengono in tali evenienze «[sempre] applicat(e) nella misura massima».

Così disponendo, si è introdotta una sanzione fissa che, com’è stato puntualmente denunciato da attenta dottrina[19], appare di dubbia legittimità costituzionale. La Consulta, infatti, ha a più riprese evidenziato, si veda da ultimo la sentenza n. 222/2018, che «ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo “indiziata” di illegittimità»[20].

La pena fissa risulta, infatti, incompatibile col principio di proporzionalità e con quello di uguaglianza. Princìpi, questi ultimi, che impongono, sempre e comunque, di rapportare il quantum della sanzione alla condotta che con essa si va concretamente a punire.

4. Quanto al problematico passaggio dalla “vecchia” alla “nuova” disciplina

Compiendo un passo indietro, si deve porre in evidenza che per disciplinare il passaggio dalla “vecchia” disciplina (in cui, come detto, le sanzioni penali avevano un ruolo centrale) a quella “nuova” (in cui, come si è parimenti detto, tale ruolo centrale è stato opportunamente attribuito alle sanzioni amministrative) è stata introdotta una norma ad hoc. Ci si riferisce al comma 8 dell’art. 4 del D.L. n. 19/2020, per il quale le “nuove” sanzioni amministrative sostituiscono quelle penali previste dal D.L n. 6/2020, «applicandosi anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore [del più volte citato D.L. n. 19/2020]».

Con detta norma è stata dunque prevista un’applicazione retroattiva delle “nuove” sanzioni amministrative alle condotte poste in essere nella vigenza della disciplina che considerava le stesse, viceversa, penalmente rilevanti.

Nel prevedere detta applicazione retroattiva la norma in parola stabilisce, in particolare, che in tale evenienza «le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà». Il che significa che la sanzione pecuniaria applicabile è pari a duecento euro.

Tale precisazione è stata introdotta, con tutta evidenza, con il chiaro ed inequivoco intento di evitare che la “nuova” disciplina possa essere ritenuta incostituzionale per violazione dell’art. 25 Cost. e, più precisamente, del principio, ricavabile da detta previsione, che vieta l’applicazione retroattiva in “malam partem”[21].

Infatti, se non si fosse previsto detto abbattimento della sanzione applicabile, la “nuova” sanzione amministrativa sarebbe risultata certamente (ed in ogni caso) più grave di quella penale di cui all’art. 650 c.p., che, come visto, prevede o l’arresto fino a tre mesi o una ammenda fino duecentosei euro.

La Corte costituzionale, del resto, muovendo dal principio per cui «la presunzione di maggior favore del trattamento sanzionatorio amministrativo rispetto a quello penale»[22] rappresenti in realtà un falso mito, ha ritenuto necessario operare, di volta in volta, una valutazione in concreto per verificare, all’atto pratico, se il passaggio dal sistema sanzionatorio penale a quello amministrativo sia effettivamente più favorevole per il destinatario della sanzione che si va a irrogare.

Non è affatto detto, in altri termini, che la depenalizzazione rappresenti, sempre e comunque, un vantaggio per il destinatario della sanziona amministrativa che si va a sostituire a quella penale.

Tornando alla previsione che disciplina il passaggio dal “vecchio” al “nuovo” apparato sanzionatorio, si deve evidenziare che l’abbattimento, da essa previsto, del minimo edittale applicabile alle violazioni poste in essere prima dell’avvento della “nuova” disciplina risulti in realtà solo parzialmente in grado di scongiurare il rischio di incorrere in una violazione dell’art. 25 Cost.[23].

Occorre, infatti, osservare che se è vero, come si è detto, che la disciplina sanzionatoria che si va ad applicare retroattivamente è più mite di quella prevista dal massimo edittale dell’art. 650 c.p. è però anche vero che essa è addirittura dieci volte superiore al minimo edittale (venti euro) previsto per tale contravvenzione in base al combinato disposto degli artt. 650 e 26 c.p.

Sotto tale profilo non pare dunque potersi dire che il passaggio dalla “vecchia” alla “nuova” disciplina sia certamente più favorevole per il soggetto sanzionato, potendo, di contro, determinare l’applicazione di una sanzione pecuniaria ben più grave di quella che sarebbe stata in concreto applicata allo stesso in virtù della previgente disciplina.

Ma vi di più.

È necessario, infatti, ribadire che la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. può essere estinta per oblazione pagando una somma pari ad appena centotre euro e, quindi, pagando una somma pari quasi alla metà della sanzione fissa (duecento euro) applicabile, indistintamente, a tutti gli illeciti posti in essere prima dell’avvento del D.L. n. 19/2020.

Anche sotto tale profilo la disciplina in argomento sembra, dunque, tutt’altro che favorevole e, come tale, di dubbia legittimità costituzionale.

5. Gli ulteriori aspetti critici della disciplina sanzionatoria introdotta dal D.L. n. 19/2020 e poi, via via, confermata

Oltre a quelli sin qui succintamente passati in rassegna, vi sono alcuni ulteriori aspetti problematici della disciplina sanzionatoria in questione, sui quali pare opportuno soffermarsi.

Ci si riferisce, anzitutto, alla francamente poco condivisibile scelta di aver indistintamente assoggettato a un’unica cornice edittale una serie eterogenea di condotte, che, all’evidenza, risultano tra loro non assimilabili.

Il fatto, ad esempio, che la violazione dell’obbligo di mantenere una «distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro» (art. 1, co. 2, del DPCM 3 novembre 2020) sia stata assoggetta alla medesima sanzione applicabile nel (ben più grave) caso di «violazione della quarantena precauzionale» (art. 1, co. 7, del DPCM 3 novembre 2020) sembra del tutto irragionevole e, come tale, incompatibile col principio di proporzionalità. Il quale esige un’articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l’adeguamento delle pene alle effettive responsabilità personali.

Il principio di proporzionalità, che trova, come noto, fondamento costituzionale nell’art. 3 Cost., impone, in altri termini, che la sanzione comminata sia proporzionata al disvalore della condotta punita. Esso preclude, dunque, che possa prevedersi una medesima sanzione per condotte il cui disvalore risulti in tutta evidenza non assimilabile[24].

Un ulteriore aspetto critico della disciplina in parola consiste nella sua dubbia compatibilità col principio di riserva di legge di cui all’art. 25 Cost.[25].

Infatti, l’art. 2 del D.L. n. 33/2020, compiendo un passo indietro rispetto all’art. 4 del D.L. n. 19/2020, ha previsto che le sanzioni di cui si è detto si applicano, oltre che alle violazioni delle disposizioni del presente decreto, anche a quelle «dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto».

Si è al cospetto di un rinvio “in bianco” a disposizioni di rango sub-legislativo che sono chiamate a delineare le fattispecie illecite da cui consegue l’applicazione delle sanzioni amministrative. Il che pare, in tutta franchezza, essere difficilmente compatibile con il principio di stretta legalità imposto dall’art. 25 Cost. che, come stabilito dalla Corte costituzionale con la storica sentenza n. 196/2010[26], si applica anche alle sanzioni amministrative di carattere punitivo, cui indubbiamente devono essere ricondotte anche quelle in oggetto[27].

Pare infine di dubbia legittimità, come già rilevato da taluna giurisprudenza[28], la scelta di condizionare, quanto meno in parte, l’applicazione delle sanzioni di cui si è detto al sistema delle autocertificazioni, che per lunghi mesi (per fortuna ormai lontani[29]) sono state imprescindibili “compagne di viaggio” di ogni soggetto che intendeva circolare nel territorio italiano.

Tale dubbia legittimità consegue dal fatto che con le autocertificazioni, di cui il nostro legislatore tende impropriamente ad abusare, utilizzandole sovente per «“supplire” alle inefficienze dei poteri pubblici»[30], si pone chi le rende al cospetto di una brutale alternativa: o autodenunciarsi, dichiarando che non si stava compiendo una attività consentita, essendo così soggetti alle sanzioni pecuniarie de quibus; oppure dichiarare il falso, compiendo così il reato di dichiarazione mendace di cui all’art. 495 c.p.

Ebbene, tale tragica scelta pare francamente incompatibile col principio “nemo tenetur se detegere”[31], ossia, per dirla con la Corte costituzionale, con il «diritto della persona [che affonda le sue radici nell’art. 24 Cost.] a non contribuire alla propria incolpazione e a non essere costretta a rendere dichiarazioni di natura confessoria»[32].

  1.  Così G. Forti, Introduzione. Un’attesa di luce, dalla carità, in Le regole e la vita. Del buon uso di una crisi, tra letteratura e diritto, Milano, 2020, p. 22.
  2.  Il citato D.L. n. 24/2022 all’art. 11, che tutta una serie di fattispecie ivi previste sono «sanzionat(e) ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19».
  3.  Ci si riferisce al convegno dal titolo tenutosi il 21 dicembre 2020 dal titolo La Pandemia da Covid-19: La risposta del diritto pubblico, organizzato dal CERIDAP e dal Dipartimento di Diritto Pubblico Italiano e Sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano.
  4.  Così G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in www.sistemapenale.it, 2020, p. 4, il quale osserva che «il d.l. n. 6/2020 richiama l’art. 650 c.p. solo quoad poenam, configurando pertanto un’autonoma figura di reato, che sanziona (…) l’inosservanza di provvedimenti generali e astratti» e non già la violazione di provvedimenti puntuali rivolti al destinatario della violazione.
  5.  Con riferimento a tale misura interdittiva vi sono taluni decreti cautelari dei Giudici amministrativi (ad esempio il decreto n. 933 del 23 aprile 2020 del T.A.R. Campania) che hanno negato la giurisdizione del giudice amministrativo, in favore di quello ordinario, richiamando l’art. 6 del D.Lgs. n. 150/2011. Si tratta, tuttavia, di impostazione che non pare condivisibile. Detta norma, infatti, attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le «sole controversie previste dall’art. 22 della legge 689/1981» e quindi le sole impugnazioni delle sanzioni amministrative pecuniarie, ed eventualmente di quelle interdittive ad esse accessorie. Ne deriva, a contrariis, che per le eventuali sanzioni interdittive, quale quella di cui si discorre, non accessorie ad alcuna sanzione pecuniaria sussista, ex art. 103 Cost., la giurisdizione del giudice amministrativo. E ciò quand’anche le stesse siano irrogate sulla base del procedimento di cui alla legge n. 689/1981. Su tali tematiche cfr. A. Manzione, Il riparto di giurisdizione in materia di sanzioni amministrative non pecuniarie, in www.giustiziainsieme.it.
  6.  Così G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit., p. 4, ove si evidenzia che «la tutela penale delle misure di contenimento del COVID-19 si regge oggi su un reato bagatellare» e ancora che «vi è da domandarsi se sia ragionevole fare affidamento sul vecchio art. 650 c.p. (i cui livelli sanzionatori sono obsoleti anche a prescindere dalla vicenda COVID-19) o se non sia invece più opportuno introdurre una figura di reato ad hoc, nella forma del delitto, con previsione di pene più severe».
  7.  A tal riguardo cfr. M. Pelissero, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2020, pp. 503 ss. Il quale osserva che «al fine di garantire il rispetto delle misure di contenimento, il legislatore ha utilizzato il diritto penale in chiave di pura deterrenza, debole quanto ad efficacia ed essenzialmente simbolico: un diritto penale inefficace e ineffettivo (estinguibile per oblazione ex art. 162-bis c.p. con poco più di cento euro, salvo il potere discrezionale del giudice di rigettare la richiesta in ragione della gravità della violazione».
  8.  Sul punto cfr. C. Cupelli, Il diritto penale alla prova dell’emergenza Covid-19: nuove esigenze di tutela e profili sanzionatori, in Cass. Pen., 2020, p. 2220, ove si legge che «il d.l. n. 19 del 2020 ha innovato il sistema repressivo sul piano delle scelte politico-criminali, affidandosi a vari livelli di offensività; ciò corrisponde a pieno a un’esigenza di equilibrio sanzionatorio, modellando la responsabilità penale in rapporto al diverso disvalore del fatto, e a evitare lo stravolgimento, in nome dell’emergenza, di tradizionali schemi di imputazione e consolidate categorie dogmatiche».
  9.  È di tale medesima opinione anche C. Cupelli, Il diritto penale alla prova dell’emergenza Covid-19: nuove esigenze di tutela e profili sanzionatori, cit., p. 2212.
  10.  Corte Cost., 21 marzo 2019, n. 63, in www.cortecostituzionale.it. § 6.2.
  11.  Ibidem.
  12.  Ibidem.
  13.  Sul punto cfr. C. Pinelli, Retroattività della legge penale più favorevole fra CEDU e diritto nazionale, in Giur. cost., 2011, pp. 3047 ss. e F. Viganò, Sullo statuto costituzionale della retroattività della legge penale più favorevole. Un nuovo tassello nella complicata trama dei rapporti tra Corte costituzionale e Corte EDU: riflessioni in margine alla sentenza n. 236/2011, in www.penalecontramporaneo.it, 2011. Mi sia consentito altresì di rinviare a P. Provenzano, La retroattività in mitius delle norme sulle sanzioni amministrative, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2012, pp. 879 ss. e a P. Provenzano, Sanzioni amministrative e retroattività in mitius: un timido passo in avanti, in Riv. trim. penale contemporaneo, 2016, pp. 271 ss.
  14.  Corte Cost., 21 marzo 2019, n. 63, cit.
  15.  Mi sia consentito di rinviare a P. Provenzano, Illecito amministrativo e retroattività in bonam partem: da eccezione alla regola a regola generale, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2020, pp. 52 ss.
  16.  Corte Cost., 21 marzo 2019, n. 63, cit.
  17.  Con riferimento alla versione originaria della norma in questione si veda G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistema-penale.it., p. 6, ove si pone in evidenza che l’espressione «medesima disposizione» è «espressione, infelice, [che] si presta a una duplice lettura: quella che ravvisa la reiterazione in caso di violazione dell’art. 4, co. 1 (la “disposizione” che configura l’illecito), quale che sia la misura di contenimento inosservata; quella, restrittiva e nel dubbio preferibile, che invece riferisce il concetto di “disposizione” alla misura di contenimento e, pertanto, interpreta la reiterazione come una sorta di ‘recidiva’ specifica».
  18.  Su tale disciplina si veda S. Papa, La reiterazione delle violazioni, in A. Cagnazzo – S. Toschei – F.F. Tuccari (a cura di), La sanzione amministrativa, Milano, 2016, pp. 351 ss.
  19.  G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit., p. 8,
  20.  Corte Cost., 5 dicembre 2018, n. 22, in www.cortecostituzionale.it.
  21.  Su tale tema si rinvia a G. Portaluri, Il principio di irretroattività, in A. Cagnazzo – S. Toschei – F.F. Tuccari (a cura di), La sanzione amministrativa, cit., p. 5.
  22.  Così Corte Cost., 7 aprile 2017, n. 68, in www.cortecostituzionale.it. In tal senso si è espressa anche Corte Cost., 25 ottobre 2018, n. 223, in www.cortecostituzionale.it, nella quale si evidenzia che non può essere dato per pacifico «il generale maggior favore di un apparato sanzionatorio di natura formalmente amministrativa rispetto all’apparato sanzionatorio previsto per i reati».
  23. Si esprime in tal senso G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit., p. 8.
  24. Sul principio di proporzionalità delle sanzioni si veda F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021.
  25.  In termini cfr. F. Goisis, Senato della Repubblica, audizione informale in videoconferenza del Prof. Avv. Francesco Goisis in relazione all’esame del disegno di legge n. 1812 (d-l 33/2020 – Ulteriori misure Covid-19), in www.senato.it. Il quale osserva che «la potestà sanzionatoria amministrativa di cui ai d.l. 19 e 33 del 2020 dovrebbe essere ricondotta ad una maggiore aderenza al principio di stretta legalità di cui all’art. 25 Cost. e art. 7 CEDU (applicabili data la natura punitiva delle sanzioni). In particolare, preoccupa il concreto rilievo che linee guida e protocolli paiono acquisire nel direttamente e sostanzialmente definire la condotta richiesta». E ancora che «non è solo un problema (pur rilevante ai sensi dell’art. 25 Cost.) di formale rispetto delle fonti del diritto (riserva di legge). È anche una questione di qualità della normazione, in termini di quella chiarezza e prevedibilità che l’art. 7 CEDU pretende per i precetti sanzionatori amministrativi, in quanto pacificamente riconducibili, secondo i giudici di Strasburgo, alla materia penale».
  26.  Corte Cost., 4 giugno 2010, n. 196, in www.cortecostituzionale.it. Con riferimento a tale sentenza si veda A. Travi, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte Costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, in Giur. cost., 2010, pp. 2323 ss.
  27.  Si esprime in tal senso anche M. Pelissero, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, cit., p. 515, il quale osserva che «sebbene formalmente il principio di legalità sia salvo attraverso il rinvio della fonte legislativa a quella secondaria, a me pare che quando un pacchetto di misure incida così drasticamente sulla vita dei consociati, il gioco del rinvio formale celi “un consistente e per certi aspetti inedito accentramento dei poteri ” e una, connessa flessione della ratio di garanzia della riserva di legge richiesta per limitare libertà costituzionali fondanti il nostro ordinamento democratico . Pur nell’urgenza di provvedere e proprio in ragione della gravità e delicatezza della situazione, avrebbe dovuto essere mantenuta la centralità del Parlamento nella individuazione delle limitazioni applicabili. La svalutazione della garanzia della riserva di legge è l’effetto della combinazione di diversi elementi: la trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo ha contribuito a far sentire meno stringente la riserva di legge, dimenticando che nulla cambia se sostanzialmente la sanzione mantiene carattere punitivo».
  28.  Cfr. GUP Milano, sent. 12 marzo 2021, giud. Del Corvo, in www.sistemapenale.it. Con riferimento a tale pronuncia si veda E. Penco, Fra obbligo «di dire la verità» e diritto di difesa del singolo: dal G.u.p. di Milano una nuova pronuncia che riconosce l’insussistenza della fattispecie di cui all’art. 483 c.p. nell’ipotesi di false attestazioni in autodichiarazione Covid-19, ibidem.
  29.  Com’è stato osservato in dottrina, infatti, «emblema dell’incertezza che ha colpito gli aspetti più centrali della vita di relazione di ciascuno di noi – come il conoscere i limiti alla propria libertà di movimento, le condizioni per poter tornare presso la propria residenza o per recarsi sul luogo di lavoro – è la vicenda dei cd. moduli per le autocertificazioni, oggetto di continue e non sempre chiare modifiche nei momenti più delicati della prima fase emergenziale» (così M. D’Amico, Emergenza, Diritti, Discriminazioni, in www.gruppodipisa.it, pp. 20-21).
  30.  Così M.A. Sandulli, La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di) Princìpi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2020, p. 183.
  31.  Su tale tematica si veda A.F. Masiero, Reati di falso e autocertificazione durante l’emergenza Covid-19: tra ricerca dell’effettività e simbolismo, in Sistema Penale, 2021, in cui si dà atto dei diversi orientamenti formatisi al riguardo.
  32.  Corte Cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, in www.cortecostituzionale.it.

Paolo Provenzano

Researcher type B in Administrative Law in the University of Milan and Lawyer at the bar of Milan (qualified as Associate Professor)