Lo spazio della pubblica amministrazione. Vecchi territori e nuove frontiere. Un’introduzione

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1/2024

Lo spazio della pubblica amministrazione. Vecchi territori e nuove frontiere. Un’introduzione

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Lo scritto si occupa dei mobili confini tra autonomia privata, legge, amministrazione e giurisdizione e prende sommariamente in esame i fenomeni dell’amministrazione per legge, della semplificazione e della sostituzione dell’amministrazione ad opera del giudice amministrativo, con un approccio laico che, senza considerare la separazione dei poteri alla stregua di un dogma intangibile, mira a ricercare le coordinate concettuali entro le quali possano ritenersi accettabili, in termini di misura e di misurabilità, gli sconfinamenti degli altri poteri nello spazio “naturalmente” amministrativo.


The ‘space’ of public administration. Old territories and new borders. An introduction
The paper deals with the mobile boundaries between private autonomy, law, administration and jurisdiction and briefly examines the phenomena of administration by law, simplification and replacement of administration by the administrative judge. Using a lay approach, the paper seeks to find the conceptual coordinates that, without treating the separation of powers as an intangible dogma, can be used to quantify and evaluate the extent to which other authorities have encroached upon the ‘naturally’ assigned domain of public administration.
Summary: 1. Il tema e i suoi confini.- 2. Lo spazio amministrativo si riduce?- 2.1. Confini invalicabili e confini attraversabili.- 2.2. La direzione degli sconfinamenti.- 2.3. La soddisfazione dei bisogni e le diverse capacità amministrative.- 2.4. L’amministrazione e l’“altro da sé”.- 3. L’amministrazione per legge.- 3.1. L’amministrazione per legge e il giusto procedimento.- 3.2. Le recenti evoluzioni della giurisprudenza costituzionale.- 4. La semplificazione.- 4.1. La semplificazione come tecnica di riduzione dello spazio amministrativo.- 4.2. Esigenze pratiche e coerenza sistemica nelle politiche di semplificazione.- 4.3. Effetto liberalizzante e ruolo residuo delle amministrazioni.- 4.4. Semplificazione e riduzione delle funzioni.- 4.5. Che cosa ci si attende dalle pubbliche amministrazioni.- 5. Il giudice sostituto dell’amministrazione. Grande contenzioso economico e liti bagatellari.

1. Il tema e i suoi confini[1]

Non è un programma da poco definire lo spazio della pubblica amministrazione, muovendo, come recita il sottotitolo, dai vecchi territori per guardare poi alle nuove frontiere. Ma è un tentativo necessario in questa fase ormai lunga di incerta transizione e trasformazione dell’ordinamento, che ricorda «una singolare rappresentazione teatrale dove ognuno degli attori recita le battuta dell’altro»[2].

Una prima delimitazione di una così vasta area tematica, che finisce con il coincidere con tutti i compiti delle amministrazioni pubbliche, può derivare dalla focalizzazione su quegli spazi amministrativi che subiscono l’esondazione di altri poteri (il legislatore, il giudice, i privati), ma senza al contempo tralasciare quelli che l’amministrazione contende ai titolari “tradizionali”: è il caso, quest’ultimo, di quella che si potrebbe chiamare amministrazione senza legge o, per adottare una formula meno forte, priva di un’esplicita attribuzione legislativa e che si manifesta nei c.d. poteri impliciti delle Autorità amministrative indipendenti. Viene in rilievo pure quella già definita come amministrazione senza giudice, formula con cui ci si intende riferire a quei casi in cui, per ragioni diverse, l’amministrazione si vede riconoscere la capacità di determinare il definitivo assetto degli interessi, con l’esclusione della possibilità di intervento del giudice[3]: dunque, in questo caso, lo spazio amministrativo non si amplia, e però l’azione dell’amministrazione assume una qualità ulteriore, speciale, che preclude al potere giurisdizionale di controllarne l’operato.

Va da sé che un tema del genere, per quanto ci si possa impegnare a delimitarlo, presenta comunque una dimensione totalizzante, e travolge i residui steccati tra le discipline: quando si parla di limiti e rapporti tra poteri un riferimento obbligato è costituito dagli elementi essenziali intorno ai quali si sviluppa la riflessione propria del costituzionalismo, nelle diverse forme che se ne sono nel tempo affermate, ossia la limitazione dei poteri pubblici e l’affermazione di sfere garantite di autonomia[4].

Per poter parlare di confini è, dunque, necessario sconfinare, anche oltre il diritto. Si tratta nondimeno di temi che interrogano specificatamente il giurista, e in particolare chi si occupa del potere amministrativo, con domande che finiscono per coinvolgere la stessa natura della disciplina, che avrebbe ben poche possibilità di arginare gli sconfinamenti di cui siamo chiamati a discutere, quando percepiti come indebiti alla luce di quello che il nomos tramandato suggerisce, se si trattasse di una semplice infrastruttura[5] o se fosse destinata a subire, perché inautonoma, l’assenza dei grandi sistemi filosofici, che hanno ceduto il passo a «quadri concettuali frammentati, che elevano il disordine a chiave interpretativa del mondo e conseguentemente anche della dimensione giuridica»[6].

Secondo il quadro concettuale cui si ritiene di fare riferimento «il diritto non si autointerpreta come registratore di un ordine dato e preesistente, bensì come costruttore di un ordine che, senza la regolazione giuridica (e dunque senza l’applicazione del principio di consequenzialità deontica), non si darebbe»[7].

2. Lo spazio amministrativo si riduce?

Se dunque l’obiettivo è ri-costruire un ordine messo in discussione da fenomeni percepiti come esorbitanti anche in una visione dinamica dell’ordinamento, occorre preliminarmente volgere lo sguardo al dato fattuale, con l’obiettivo di cogliere la portata dell’occupazione degli spazi “naturalmente” amministrativi ad opera del legislatore e del giudice, ma anche dei privati: risultano, questi ultimi, infatti, essere promotori o comunque destinatari degli interventi legislativi che sottraggono spazio all’amministrazione. Operata questa preliminare verifica, vi è ancora un ulteriore dato fattuale da osservare, quello cioè che attiene alle conseguenze concrete che la mobilità dei confini – che separano legislazione, amministrazione, giurisdizione e autonomia privata – produce.

Si tratta in verità di fenomeni già per più aspetti fatti oggetto di analisi, specie nella letteratura degli ultimi anni, anche attraverso un puntuale esame del dato quantitativo delle c.d. leggi provvedimento; e le letture critiche di alcuni casi giudiziari ben noti, che hanno visto il giudice sostituirsi all’amministrazione[8].

Le relazioni riprenderanno quelle analisi e proveranno ad andare oltre.

Per introdurre il dibattito può essere utile qualche osservazione di ordine generale: una, preliminare, sull’idea di frontiera, o confine; la seconda, sulla direzione, se una direzione c’è, delle trasformazioni in corso, ovvero sul carattere non unidirezionale di questi cambiamenti; la terza sulle differenze, anzitutto in punto di capacità, tra le diverse tipologie di amministrazione; la quarta, sul ricorso ai privati per assolvere a compiti di interesse collettivo.

2.1. Confini invalicabili e confini attraversabili

È stato scritto che: «i confini sono delle semplici linee. Ma quelle linee hanno una doppia e contraddittoria capacità. Da una parte rimandano infatti all’idea della loro invalicabilità […]. Dall’altro, tuttavia, esse rimandano all’idea del loro attraversamento»[9].

La considerazione ha valore generale, ed appare di problematica conciliazione con l’idea di diritto come costruzione di un ordine volto a produrre certezza. Nondimeno, se si guarda alla divisione dei poteri non come a un dogma, al quale l’ordinamento debba, con una sorta di automatismo, essere integralmente improntato per esigenze di coerenza teorica[10], ma come ad un criterio organizzativo logico e storicizzato, incentrato sulla ripartizione delle funzioni, che contano più dei soggetti chiamati a svolgerle[11], nonché sulla specializzazione, sulla responsabilità, e sul diverso regime degli atti, l’idea dell’attraversamento (misurato e misurabile) può essere accostata, almeno come ipotesi di lavoro, senza eccessivo scandalo a quella della invalicabilità, anche quando si ragiona dei rapporti dell’amministrazione con gli altri poteri.

Del resto, è il caso di ricordare che l’obiettivo originario della separazione dei poteri è chiaramente ravvisabile nel contenimento del potere esecutivo[12], mentre, quanto ai rapporti tra amministrazione e giurisdizione il principio non si ricava con nettezza dalla nostra Costituzione[13].

Ma resta fermo che è con il diritto positivo più che con la dogmatica astratta che occorre anzitutto confrontarsi, e con la Costituzione in primo luogo.

E se spazi vi sono, e mi pare che ve ne siano, perché organi chiamati a svolgere prevalentemente una funzione[14] possano anche, entro certi limiti, occuparsi d’altro, residua quantomeno un problema di misura e di misurabilità, che rimanda al valore della certezza del diritto che, come ci ricorda da ultimo Luciani[15], deve costituire la prospettiva privilegiata di soluzione dei problemi: se non c’è certezza nessun sistema sociale può funzionare correttamente.

Non si può “navigare nell’ignoto”, ed è invece questa l’impressione che si ricava dall’esame dei numerosi attraversamenti di confini che caratterizzano l’attuale fase istituzionale.

2.2. La direzione degli sconfinamenti

La sensazione che manchi un disegno e che ci si limiti a reagire agli accadimenti con decisioni pensate solo in termini di efficacia, anche comunicativa (basta che funzioni e che il messaggio arrivi), si ricava anche dalla difficoltà – venendo ad una seconda osservazione preliminare – di individuare la effettiva direzione degli sconfinamenti rilevati.

In effetti, se da un lato si registra la sottrazione di spazi amministrativi, dall’altro, si osserva pure che l’azione amministrativa non si può, neppure all’attualità, considerare in ritrazione. Anzi, pur in presenza di invasioni di campo, semplificazioni, poteri esauribili, by-pass di ogni tipo, viene percepita l’espansione dei compiti di intermediazione amministrativa: «oggi l’azione amministrativa è in espansione, perché sempre più è richiesta l’intermediazione amministrativa negli svariati campi della società», ed in particolare nel campo economico e dei diritti sociali[16].

Il modo di rapportarsi dei poteri pubblici nei confronti dell’economia è contrassegnato, come è ben noto, da perenni oscillazioni, in dipendenza dell’affermarsi di diverse visioni e, più ancora, in conseguenza delle crisi economico-finanziarie e dalle scelte adottate per fronteggiarle.

Il diritto europeo, che aveva in una prima fase ridotto lo spazio per l’intervento pubblico e per l’amministrazione nazionale in economia, ha poi rilanciato – sia pure con caratteristiche e obbiettivi diversi rispetto al passato – anche le funzioni di incentivazione e programmazione, oltre a quelle pro-concorrenziali e di regolazione, che parevano aver soppiantato le altre forme di interventismo[17].

Del resto, finché lo Stato di diritto avrà una connotazione anche sociale, ed è questa l’opzione ribadita anche in sede europea, potrà cambiare il modo di essere delle amministrazioni pubbliche, come è accaduto nel campo dei servizi pubblici, ma le amministrazioni dovranno pur sempre svolgere un ruolo essenziale per la realizzazione del programma costituzionale, che poco le nomina ma molto le presuppone[18].

2.3. La soddisfazione dei bisogni e le diverse capacità amministrative

La percezione del bisogno in termini sociali ed istituzionali, e la conseguente attribuzione di funzioni amministrative per farvi fronte, non equivale però, all’evidenza, alla sua concreta soddisfazione.

Qui si apre una pagina diversa, ancora una volta fattuale, che riguarda l’amministrazione come problema, il suo funzionamento, le sue carenze in punto di celerità, efficienza ed efficacia. È ben noto che l’amministrazione pubblica è percepita come un ostacolo allo sviluppo economico, ma è anche il caso di notare – ancora un profilo di rilievo preliminare – che non tutte le amministrazioni sono uguali.

Non è possibile provare qui ad indicare la varietà delle performance delle diverse amministrazioni pubbliche, se non per tipologie, giacché un dato che emerge con sufficiente nitore dall’osservazione della realtà è che l’efficienza e l’efficacia sono in linea di massima proporzionali rispetto al livello degli affari trattati, in corrispondenza, del resto, con la qualità delle amministrazioni chiamate ad occuparsene.

I “rami alti”, e specialmente le autorità indipendenti, si dimostrano generalmente in grado di svolgere adeguatamente i delicati compiti assegnati loro dalla legge, ed arrivano anche ad occupare spazi non esplicitamente ad essi devoluti. Esiste dunque anche un’amministrazione capace ed autorevole chiamata a regolare l’autonomia dei privati e che si spinge fino ad autoattribuirsi, con l’avallo del giudice, poteri non nominati esplicitamente ma ritenuti necessari allo svolgimento efficace della missione affidatale dalla legge[19].

Tuttavia, all’esterno delle ormai numerose aree presidiate dalle autorità indipendenti, si registra, allo stesso tempo, anche nell’amministrazione centrale un altro fenomeno che finisce per incidere sull’estensione dello spazio amministrativo: la esternalizzazione di molti compiti, specialmente tecnici, un tempo svolti direttamente[20].

Anche i “rami alti” delle amministrazioni tradizionali, del resto, per non assumersi il peso di certe decisioni, chiedono aiuto alla politica, ed il Governo utilizza frequentemente, per risolvere lo specifico problema amministrativo, lo strumento del decreto-legge.

I “rami bassi” vengono invece, questa volta per effetto di regole dettate in via generale, normalmente scavalcati, talvolta con tecniche accettabili in linea di principio, perché non coinvolgono profili discrezionali, altre volte con strumenti che forzano la logica della funzione e sottraggono con soluzioni drastiche spazi essenziali alla pubblica amministrazione che non ha agito tempestivamente.

Se, nel primo caso, i regimi amministrativi si contraggono per garantire la fruizione effettiva delle libertà economiche, e dunque si tratta di una coerente rimozione del potere, nel secondo non si dispone in partenza alcuna sottrazione di potere, ma se ne produce la consumazione (almeno nella sua connotazione originaria, mentre residuano i poteri di secondo grado) quando il titolare sia rimasto inerte.

Con una semplificazione che richiede per certo analisi più accurate, si può dire che “in alto” lo spazio che dovrebbe essere dell’amministrazione si estende, ma viene anche di sovente invaso ovvero esternalizzato specialmente nella sua essenziale componente tecnica, mentre “in basso” senz’altro si restringe o comunque si modifica in minus.

2.4. L’amministrazione e l’“altro da sé”

L’accenno al tema delle esternalizzazioni rimanda al rapporto tra l’amministrazione e l’“altro da sé”, una relazione che si innerva nelle maglie di una azione pubblica inceppata e non segue soltanto le traiettorie disegnate dalle appena rievocate logiche semplificatrici.

Mi riferisco in particolare al vasto tema – al centro di un confronto molto sentito e non immune da eccessi ideologici – relativo al largo e talvolta disinvolto ricorso delle amministrazioni pubbliche a competenze esterne per lo svolgimento di attività variamente connotate: attività strumentali, servizi pubblici, servizi alla p.a. (come nel caso della c.d. assistenza tecnica).

È una questione che intreccia ancora il tema della capacità amministrativa, avvertito nel tempo presente come crescente difficoltà di dare risposta ai bisogni della collettività e che chiama in causa più profili di ordine organizzativo, anzitutto il nodo della qualificazione e dell’adeguatezza delle competenze proprie dei ruoli burocratici rispetto ai compiti da svolgere[21] e, con esso, quello dell’efficacia delle procedure concorsuali e della disponibilità delle risorse della conoscenza[22].

Ma è una questione che non rileva solo sul piano organizzativo.

La vicenda del PNRR e la polemica divampata a proposito della decisione di coinvolgere una società multinazionale di consulenza strategica nella predisposizione del piano, collega esemplarmente il problema della capacità dell’amministrazione (o incapacità, se così si intende leggerla per le ragioni su richiamate) di programmare e di progettare a quello dei rapporti tra pubblico e ciò che pubblico non è.

E la questione, come detto, non è solo di organizzazione, ma investe la natura delle funzioni, la consistenza e le qualità delle attività (in termini di loro dismissibilità o meno) rispetto alle quali si renda opportuno, sempre che sia ammissibile, un coinvolgimento del privato, ormai sistematicamente praticato.

Coinvolgimento del privato che è talvolta perfino prescritto, come negli svolgimenti che il codice del terzo settore valorizza e che, dunque, in un tale contesto, non pare sempre decifrabile in una logica esclusivamente bipolare e in definiva antagonista[23], o comunque caratterizzata da una dinamica di alternatività escludente tra i due termini della relazione[24].

Da un sommario sguardo alla relazione con “ciò che pubblico non è” si può dunque evidenziare che l’amministrazione cede spazi all’autonomia privata, ma anche che si tratta di una relazione non sempre riconducibile al consueto schema oppositivo e neppure esauribile nella individuazione di una netta linea di confine tra mondi diversi[25].

3. L’amministrazione per legge

3.1. L’amministrazione per legge e il giusto procedimento

L’amministrazione per legge è certamente un fenomeno di sottrazione di spazio amministrativo ed è ormai diventata una prassi assai diffusa: circa la metà delle leggi presentano contenuti provvedimentali.

Questa tendenza a provvedere legiferando mira evidentemente ad aggirare le difficoltà attuative delle scelte politiche ed a raggiungere il più rapidamente possibile l’obiettivo, comunicandolo inoltre con immediatezza all’opinione pubblica[26]. Del resto, il livello politico ha sempre avuto, su determinati affari, la tentazione di appropriarsi del livello amministrativo senza rispettarne modalità di esercizio e garanzie[27]. Oggi, peraltro, spesso la legge finisce per assumere una funzione di riconoscimento postumo di regole che derivano esclusivamente da attori privati capaci di imporsi sui poteri pubblici[28] e ciò avvalora la sensazione che l’alterazione del sistema delle fonti sia frequentemente la conseguenza di operazioni di potere e che la fragilità, anche culturale, del decisore politico giochi un ruolo non secondario[29]. La stessa burocrazia, d’altro canto, è spesso poco propensa ad assumersi la responsabilità di scelte discrezionali destinate a toccare interessi forti, con tutto ciò che ne conseguirebbe sul piano delle responsabilità.

Quasi sempre si tratta di decreti-legge, qualificati peraltro “provvedimenti” dalla Costituzione e che la legge richiede siano motivati.

La prassi dei provvedimenti amministrativi adottati in forma di decreti-legge dice molto anche della crisi del Parlamento, compresso dalla posizione sempre più trainante del Governo, divenuto una sorta di comitato direttivo del Parlamento[30].

Quali che siano di volta in volta i motivi effettivi delle singole leggi che amministrano (alcuni possono ricorrere anche contemporaneamente, altri sono di difficile conciliazione l’uno con l’altro), si può ritenere che l’obiettivo comune sia quello di risolvere rapidamente un problema che sta a cuore alla maggioranza di governo senza passare attraverso la faticosa e lenta intermediazione burocratica.

L’amministrazione per legge, nelle sue varie espressioni, è dunque il fenomeno che più risalta di riduzione dello spazio amministrativo e la cui tenuta sul piano dei principi ha bisogno di puntuali verifiche. Un conto, infatti, è la discrezionalità dell’amministrazione tenuta al rispetto dell’imparzialità e del giusto procedimento che ne è espressione, un altro il potere del legislatore connotato da una vera libertà nella determinazione del fine.

Sul piano della tutela giurisdizionale, poi, è evidente la disparità di trattamento subita dai soggetti coinvolti rispetto a quelli interessati da un provvedimento amministrativo, se è vero che, in oggi, ogni provvedimento che abbia la forma della legge può essere censurato solo sotto il profilo della costituzionalità con le forme, i limiti e i tempi propri di un giudizio di legittimità costituzionale. La giurisprudenza costituzionale, con l’avallo della dottrina[31], sul presupposto che la sovranità delle assemblee rappresentative possa assorbire anche il potere amministrativo, ritiene ammissibili le leggi provvedimento; e tuttavia, almeno in linea di principio, ha temperato questa affermazione proclamando la sottoposizione da parte della Corte stessa ad uno stretto scrutinio di ragionevolezza, che però ha praticato, in concreto, in termini deboli e disomogenei.

3.2. Le recenti evoluzioni della giurisprudenza costituzionale

Da qualche anno, la Corte ha assunto, prima con riguardo a leggi regionali e poi anche a leggi statali[32], una posizione più rigorosa, ma non omogenea quanto agli esiti[33], affermando che una legge provvedimento non può avvantaggiarsi dell’ampio margine di discrezionalità politica riservato al legislatore per eludere le garanzie di un giusto procedimento, assurto finalmente a principio costituzionale.

Si potrebbe, come pure si è fatto, ricavare da questo indirizzo anche l’affermazione di una riserva di procedimento, peraltro non facilmente distinguibile dalla – sempre negata – riserva di amministrazione. In una tale visione sarebbe illegittimo lo strumento legislativo utilizzato con funzione di amministrazione: il procedimento è, infatti, considerato tipico e non surrogabile e si ritiene che la sua sede sia solo quella amministrativa[34].

Si tratta di una ricostruzione di sicuro interesse e che merita di essere attentamente considerata, ma intanto non sembra questa la strada da ultimo seguita dal giudice costituzionale, il quale continua a rifiutare l’idea della inammissibilità tout court delle leggi-provvedimento, ma va ora egli stesso alla ricerca delle garanzie normalmente apprestate in sede amministrativa nello svolgimento della funzione legislativa a contenuto provvedimentale: motivazione, istruttoria, rispetto dei principi che limitano la discrezionalità. La Corte si è così attribuita il potere-dovere di operare un sindacato sulla decisione in forma legislativa con il metro proprio del giudizio amministrativo. Al sindacato sull’adeguatezza della motivazione e sulla completezza dell’istruttoria, cui la motivazione si riconnette, corrisponde ora una visione non più formalistica dello scrutinio di ragionevolezza, che arriva ad abbracciare le più incisive declinazioni del principio di proporzionalità, come accaduto di recente nel noto caso del finanziamento straordinario concesso con provvedimento legislativo al teatro Eliseo, ritenuto illegittimo sia per carenza della motivazione che per la sua incongruità e sproporzione per eccesso. Lo sviluppo è di certo rilevante[35], ma la trasmutazione del giudice costituzionale in giudice amministrativo pone nuovi interrogativi, se non altro perché ancora un altro attore, per quanto assai autorevole, prende a recitare una parte che non è la sua, senza peraltro poter assicurare una tutela di pari intensità, posto che il cittadino non può ricorrere direttamente alla Corte costituzionale e la tutela cautelare nel giudizio costituzionale è limitata ai giudizi in via principale[36]. È lecito, dunque, chiedersi se questa trasformazione del giudice costituzionale in giudice amministrativo possa essere la strada giusta per ricondurre il fenomeno entro limiti accettabili o se non si tratti di un altro fattore di confusione.

L’idea sempre ritornante e sempre rifiutata di una riserva di amministrazione potrebbe trovare nuova linfa prendendo sul serio l’art. 118 Cost. come modificato dalla riforma del titolo V del 2001: una lettura che avrebbe forse meritato maggiore ascolto, se è vero che l’articolo, per come oggi riformulato, lascia «intendere che la titolarità dell’esercizio di una funzione amministrativa spetti sempre ai livelli amministrativi di livello territoriale (da quello comunale sino a quello statale) non contemplando affatto casi di “amministrazione per legge”»[37].

Riemerge comunque il tema di fondo della discussione sull’ammissibilità delle leggi provvedimento e, cioè, se debba prevalere la forma legislativa ovvero la sostanza amministrativa. Fin qui, anche se gli sviluppi ultimi nel salvare la forma cercano di attingere alla sostanza, è prevalsa la qualificazione formale con il conseguente regime di sindacabilità esclusivamente in sede costituzionale. Sarebbe però anche il caso di vagliare laicamente le tesi, all’apparenza eversive, da taluno avanzate e che puntano decisamente sul dato sostanziale, con argomentazioni tratte anche dalla giurisprudenza europea[38].

E sembra che questa visione sostanziale cominci a fare breccia nella giurisprudenza di merito, come si evince dalla recente ordinanza del Giudice del Lavoro di Napoli nella nota vicenda Fuortes-Lissner, dove si afferma che la norma “contra personam” dettata proprio per quel caso non può trovare applicazione perché, se così fosse, sarebbe incostituzionale[39].

Certo è che questo modo di legiferare provvedendo, mentre comporta la rinuncia all’imparzialità, non è sintomo della salute del sistema e meno che mai della forza del Parlamento, che si limita a recepire scelte dell’esecutivo e i cui atti finiscono sotto la lente del giudice costituzionale, che li esamina con strumenti più invasivi rispetto a quelli consueti, mutuandoli da quelli ormai propri della giurisdizione piena del giudice amministrativo, ma senza poter assicurare una tutela di pari intensità.

Questa tendenza ormai invalsa arreca pochi benefici e fa molte vittime: pochi benefici perché, come è stato spiegato, le leggi autoapplicative si rivelano in molti casi poco più che un’illusione[40], posto che richiedono comunque disposizioni attuative[41], ma soprattutto fa molte vittime: non solo l’amministrazione, ma anche il principio di imparzialità, la distinzione tra politica e amministrazione[42], lo stesso Parlamento, ridotto ad una funzione notarile rispetto alle scelte dell’esecutivo, i privati diversi ed, evidentemente, meno forti di quelli che hanno promosso l’incorporazione delle decisioni desiderate nelle leggi provvedimento.

4. La semplificazione

4.1. La semplificazione come tecnica di riduzione dello spazio amministrativo

Un’altra tecnica utilizzata dal legislatore e che produce l’effetto di ridurre lo spazio amministrativo eliminando o riducendo in tal modo i problemi legati all’inefficienza degli apparati burocratici è la semplificazione. Anche in questo caso, il protagonista della sottrazione è il legislatore, ma l’effetto che si produce è l’espansione dello spazio dei privati rispetto a quello dell’amministrazione pubblica: privati che sono o liberati dall’invadenza del potere amministrativo o investiti di compiti prima a quest’ultimo riservati.

Nell’amministrazione per legge, invece, il ruolo dei privati, il più delle volte decisivo nella produzione delle leggi provvedimento, è nascosto, anche se è ben chiaro che all’origine del fenomeno vi è l’azione di gruppi di pressione sovente portatori di interessi privati che richiedono la soluzione urgente di una questione per loro rilevante.

La semplificazione è, all’evidenza, un tema amplissimo e richiederebbe tutta una serie di specificazioni che in questa sede vanno necessariamente omesse. Mi limiterò a richiamare l’attenzione su tre profili di carattere generale.

Il primo riguarda la possibile convergenza tra le esigenze di aggiramento dell’ostacolo amministrativo e le acquisizioni teoriche sulle diverse tipologie di potere e sull’impossibilità di fare a meno del solo potere in senso sostanziale; il secondo attiene alla configurazione di un ruolo per la pubblica amministrazione, e dunque di uno spazio amministrativo ineliminabile anche nelle ipotesi in cui la semplificazione si spinga fino al suo punto più estremo consistente nella liberalizzazione delle attività dei privati o almeno del loro avvio; il terzo investe la mai veramente praticata ricerca di ciò che davvero è ineliminabile, ossia dello spazio amministrativo essenziale.

4.2. Esigenze pratiche e coerenza sistemica nelle politiche di semplificazione

Sul primo punto ricordo che meccanismi come quello disciplinato dall’articolo 19 della l. n. 241/1990 e che determinano il passaggio dal controllo ex ante al controllo ex post non costituiscono unicamente un rimedio alle inefficienze degli apparati amministrativi, ma presuppongono anche la consapevolezza culturale della preesistenza dei diritti rispetto al potere ed appaiono coerenti con l’idea che il potere in senso sostanziale, quello che innova l’assetto degli interessi ed il cui esercizio deve essere di necessità affidato ad un soggetto imparziale e specializzato, sia soltanto quello discrezionale. Diverso è il caso delle semplificazioni disposte per procedimenti in cui sono presenti valutazioni discrezionali, che la disciplina di quell’attività rimette coerentemente ad un’amministrazione pubblica imparziale. In queste fattispecie, lo spazio amministrativo si riduce come conseguenza (sanzione) dell’inefficienza, ma è evidente il vulnus inferto a una funzione che dovrebbe essere indefettibile. Da qui i tentativi del giudice amministrativo di limitare la portata di queste soluzioni, specie nel caso del silenzio assenso, le stranezze, cioè, di una giurisprudenza oscillante e in conflitto con espressi elementi normativi di evoluzione del contesto oltre che logici[43]. Quando lo spazio amministrativo si riduce con soluzioni di questo tenore, il giudice prova dunque a resistere. Se ne possono comprendere le preoccupazioni (tutela del territorio, ecc.), ma quando il legislatore ha scelto, ed ha per di più con chiarezza ribadito la sua scelta (l. n. 120/2020 e d.l. n. 77/2021), non c’è che da prenderne atto: la ripartizione di funzioni e compiti è questione di diritto positivo.

Del resto, il giudice, ma in verità non solo il giudice, ha molto faticato ad accettare anche l’idea dell’ammissibilità di un potere privato in grado di produrre l’effetto abilitante pure con riguardo ai procedimenti privi di contenuti discrezionali[44]. La scelta del legislatore è invece sufficientemente chiara: il c.d. potere vincolato, a petto di interessi pretensivi – ma in realtà non v’è più motivo per escludere che vadano qualificati in termini di diritto soggettivo – non è vero potere, posto che il privato è egli stesso in grado di produrre l’effetto, prerogativa prima riservata all’amministrazione; ed il potere discrezionale si consuma se non esercitato per tempo, prescindendo dalla fondatezza della pretesa. La prima acquisizione appare conforme ai principi tramandati e al disegno costituzionale ed europeo del rapporto tra autorità e libertà, la seconda è assai più problematica.

4.3. Effetto liberalizzante e ruolo residuo delle amministrazioni

L’altra considerazione che è possibile svolgere attiene al mutamento qualitativo del ruolo dell’amministrazione che è cosa ben diversa dall’eliminazione di ogni spazio amministrativo; perché un ruolo per le pubbliche amministrazioni permane anche in presenza di semplificazioni ed anche quando le stesse producano un effetto liberalizzante. In questi casi l’amministrazione non scompare, ma se ne ridisegna il ruolo, posto che l’istruttoria e la produzione dell’effetto abilitante spettano all’interessato; i compiti dell’amministrazione devono invece limitarsi alla revisione dell’operato del privato, ma evidentemente richiedono un impegno rilevante se le amministrazioni non riescono a svolgerlo e optano per un inammissibile controllo a campione, che anch’esso riduce, ma solo di fatto, lo spazio amministrativo. Lo stesso regime di mera comunicazione non comporta la totale evaporazione del soggetto pubblico quanto piuttosto l’attribuzione di un compito di ricognizione e vigilanza, che la pratica ci dice essere svolto in modo occasionale e disorganico.

Il tema è dunque, ancora e sempre, quello della capacità amministrativa, ampiamente migliorabile, per usare un eufemismo, necessaria anche per portare a compimento le politiche di liberalizzazione.

4.4. Semplificazione e riduzione delle funzioni

Sempre con riguardo alla semplificazione, non si può non fare riferimento a una linea di intervento, diversa da quelle fin qui seguite e che potrebbe portare a una riduzione ragionata dello spazio amministrativo. Questa opzione richiede una ricognizione analitica delle molte, sicuramente troppe, funzioni contemplate nei diversi procedimenti e in particolare in quelli finalizzati all’ottenimento di atti abilitativi, nella prospettiva dell’eliminazione di tutte quelle superflue ovvero della loro concentrazione secondo un disegno funzionale e organizzativo più razionale.

Periodicamente, un simile progetto si riaffaccia nelle intenzioni dei diversi Governi, ma fin qui non se ne è fatto nulla, a quel che mi risulta, e nondimeno la questione è all’ordine del giorno, sia perché ripresa nel PNRR[45], sia perché la legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2021 (l. n. 118/2022), all’articolo 26 contiene una delega al Governo per un intervento teso, entro due anni dall’entrata in vigore della stessa legge, a «semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni coinvolte, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, e individuando discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti»[46].

Anche nel PNRR, come accennato, nell’ambito di un più complessivo intervento a sostegno della capacità amministrativa, questa volta finalmente supportata da un investimento, è indicata come necessaria «una nuova ricognizione dei regimi amministrativi delle attività private e la loro semplificazione mediante l’eliminazione delle autorizzazioni e degli adempimenti non necessari».

Le soluzioni fin qui adottate e riproposte, ad esempio, anche con riferimento agli investimenti nelle ZES e sulle quali oggi si intenderebbe puntare per la ripresa economica nel Mezzogiorno, mantengono invece inalterato il numero delle autorizzazioni necessarie ma le comprimono all’interno di un contenitore, come la conferenza dei servizi nella sua versione più semplicistica. Questo percorso presenta dei rischi connessi all’applicazione pressoché incondizionata del paradigma della celerità, con la connessa rinuncia al dialogo informale, come dimostra anche la disposta equivalenza, nella c.d. Conferenza di servizi semplificata e asincrona, diventata la modalità ordinaria di svolgimento dei lavori, tra una determinazione “difettosa” e la mancanza di ogni determinazione[47].

Ben altra cosa è censire le funzioni e gli apparati ad essi preposti per eliminare tutto il superfluo, sia in termini sostanziali che procedurali, ricavando da questa operazione lo spazio amministrativo davvero essenziale. Ma questo è un percorso ad oggi solo programmato, per non dire immaginato, e mai fin qui concretizzato[48].

Quel che emerge da queste frammentarie osservazioni sull’amministrazione per legge e sulle semplificazioni è che il problema amministrativo non si può risolvere eliminando l’amministrazione, il suo ruolo istituzionale, la sua competenza tecnica, la sua imparzialità, compromettendo la razionalità del disegno che riserva alla politica la delineazione degli indirizzi ed alla burocrazia la loro attuazione. Attuazione che significa cura degli interessi delle persone e di tutte le persone con criteri di eguaglianza e imparzialità, all’esito di un percorso tipizzato che trova nel procedimento amministrativo multipolare la sua naturale e necessaria espressione.

4.5. Che cosa ci si attende dalle pubbliche amministrazioni

Ci si chiede cosa resti dell’amministrazione pubblica[49], quanto quel che resta debba essere semplificato o addirittura neutralizzato, ma occorre anche porsi la domanda più immediata: cosa ci si aspetta dalla pubblica amministrazione?

Che ruolo si vuole che essa assuma tra un legislatore che preferisce amministrare mentre continua a latitare sulle questioni che dovrebbe per il suo alto ruolo affrontare[50] ed i poteri privati, vecchi e nuovi, in prepotente ascesa? Che direzione si vuole imprimere al dialogo della pubblica amministrazione con la tecnica?[51] La pubblica amministrazione deve farsi da parte o deve essere parte? È coerente coi principi e con le politiche che intendono attuarle che l’amministrazione si ritiri da certi territori ovvero modifichi il modo di presidiarli, come nel caso del passaggio dal controllo ex ante al controllo ex post. Tuttavia, se si considera il nocciolo duro della funzione, ovvero l’esercizio della discrezionalità, la pubblica amministrazione non può dismettere le sue vesti di parte imparziale e deve consentirne l’interazione piena degli interessi privati, non solo di quelli più forti, con le logiche del potere. All’amministrazione, indispensabile ma in difficoltà, cerca di sostituirsi all’occorrenza sia il legislatore che il giudice. Ma amministrare senza l’amministrazione è un’illusione[52]. «Le norme costituzionali generali, di sistema (art. 3), organizzative (artt. 97 e 113) e concernenti i diritti (art. 41, etc.)» implicano «l’essenzialità del passaggio attraverso l’amministrazione, altrimenti privata del ruolo sistemico e l’inidoneità della sola legislazione al maneggio del pubblico interesse in relazione a singole, concrete fattispecie»[53].

5. Il giudice sostituto dell’amministrazione. Grande contenzioso economico e liti bagatellari

Lo spazio amministrativo è insidiato pure dalla giurisdizione, e segnatamente dalle fughe in avanti del giudice amministrativo che talvolta hanno catturato anche la quota di funzione che siamo abituati a pensare come indefettibilmente riservata all’amministrazione. Il caso più eclatante riguarda da vicino la comunità accademica ed è stato, ma non per questo motivo, molto discusso: mi riferisco, come è ovvio, all’attribuzione in via giudiziaria dell’abilitazione scientifica nazionale sul presupposto del venir meno di ogni spazio discrezionale per effetto della audacemente sostenuta rottura del rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadino[54].

Ora è chiaro che una certa dose di sostituzione è connaturata al giudizio amministrativo[55]. Una qualche forma di sostituzione si rinviene anche in un giudizio di tipo confutatorio: comincia con l’interpretazione delle norme, che l’amministrazione compie per prima e che il giudice ripercorre e corregge, quando occorre, anche con riguardo alle valutazioni tecniche cui la norma rinvia, poi prosegue e si accentua con l’effetto conformativo, che astringe l’operato dell’amministrazione successivo alla pronuncia al rispetto di limiti che possono essere anche totalizzanti, potendo talvolta sfociare anche in un vero e proprio ordine di emanare il provvedimento. Tale ultima possibilità, comunque non equiparabile ad una decisione direttamente costitutiva dell’effetto, non può verificarsi in ogni tipo di controversia, essendo espressamente esclusa con riguardo sia ai poteri non ancora esercitati (art. 34, co. 2, c.p.a.) che alla ipotesi in cui residuano scelte discrezionali (art. 34, lett. c, e art. 31, co. 3, c.p.a.), veracemente tali. Nella giurisdizione di legittimità, del resto, non può mai andarsi oltre l’emanazione di un ordine: l’effetto del provvedimento non può essere prodotto direttamente dal giudice, ma da un atto amministrativo “ordinato” dal giudice e sottoposto al regime proprio dell’attività amministrativa provvedimentale. La norma, dunque, afferma una vera e propria riserva di provvedimento nei confronti del giudice di legittimità[56].

Anche questo tema rimanda, nella percezione comune e nelle formule che il giudice usa (ma il punto è controverso[57]), alla divisione dei poteri, ma anche in questo caso nel bilanciamento dei principi si può ritenere che la sequenza legalità-giustiziabilità-effettività prevalga sulla logica della divisione dei poteri (che in fin dei conti può tradursi in una misura organizzativa incentrata sulla specializzazione del soggetto cui il compito è affidato). Ha radici culturali ben solide, del resto, l’idea che la parola del legislatore e quella del giudice non siano altro che evoluzioni e precisazioni tra loro coordinate e concorrenti della sovranità statale che esige un’attuazione progressiva e cooperativa, la compartecipazione, cioè, di ciascun soggetto (legislativo, amministrativo, giurisdizionale) al medesimo disegno di attuazione della volontà dell’ordinamento[58]. In una prospettiva di questo tipo, che la concezione euro-convenzionale della full jurisdiction[59] pare avvalorare, le esigenze di giustiziabilità possono prevalere rispetto alla totale e inesorabilmente astratta impermeabilità tra amministrazione e giurisdizione, quando uno dei soggetti che dovrebbero cooperare si rivela inidoneo o manchevole. Anche una visione di questo tipo deve, tuttavia, fare i conti anzitutto con il diritto positivo e con l’ontologica diversità tra amministrazione e giurisdizione, ed ancora con le conseguenze concrete dell’intervento sostitutivo dei giudici.

Quanto al diritto positivo, l’art. 34, co. 3, c.p.a., presuppone e chiarisce che il problema del giudice è di secondo grado e può sorgere solo quando il problema amministrativo sia stato risolto.

La giurisdizione è dunque altro dall’amministrazione e non dovrebbe di norma ad essa sovrapporsi non solo e non tanto per obbedire al principio di separazione dei poteri quanto per ragioni di tenuta dell’ordinamento, come disegnato dalla Costituzione e dalle leggi generali che la attuano, cui peraltro corrisponde la “natura delle cose”, e cioè l’eccezionalità e la frammentarietà dell’intervento del giudice, la sua terzietà, salvaguardata anche dal carattere eccezionale di tale intervento. L’ordinaria competenza di amministrare spetta, invece, all’amministrazione pubblica, costituita e organizzata per svolgere questo compito, e del suo corretto adempimento sono responsabili i dipendenti e i funzionari, anche sul piano politico[60].

Del resto, anche se si potesse accettare l’idea della prevalenza della sequenza legalità-giustiziabilità-effettività sulla divisione dei poteri, e perciò ritenere ammissibili, quando strettamente necessarie a realizzare la volontà ordinamentale, gli interventi straordinari del giudice nello spazio amministrativo, resterebbe pur sempre da analizzare il modo in cui il giudice amministrativo utilizza la sua capacità sostanzialmente sostitutiva, un modo che dovrebbe essere del tutto privo di opacità e contraddistinto da particolare cautela, proprio perché si muove in un campo di cui è ordinariamente responsabile l’amministrazione. In questo caso, dunque, misura e piena intellegibilità dei percorsi seguiti non si pongono come fattori accidentali ma assumono rilievo costitutivo ai fini dell’ammissibilità dell’intervento sostitutivo che deve seguire criteri e parametri riconoscibili ed omogenei. L’osservazione della casistica restituisce invece l’immagine di un modo di intervento non uniforme e sbilanciato verso gli affari di una certa importanza, il c.d. grande contenzioso economico, come dimostra, ad esempio, la proclamazione – con argomenti che travalicano l’area della giurisdizione di merito sulle sanzioni – di un sindacato pienamente sostitutivo proprio nei confronti delle amministrazioni indipendenti, particolarmente qualificate, chiamate ad occuparsi di vicende di grande rilievo economico e sociale, all’esito di procedimenti molto articolati e partecipati.

Quando, invece, il giudice è costretto ad esprimersi su questioni ordinarie segue percorsi argomentativi notevolmente semplificati e meno impegnativi, senza curarsi di esplicitare le ragioni, i criteri e i parametri di un tale trattamento differenziato. Il giudice, in qualche caso, pur affermando la teorica praticabilità di un sindacato forte, trova poi il modo per non esercitarlo; altre volte, con un approccio che colpisce per la sua perentoria laconicità, continua ad addurre, quale unica sufficiente giustificazione del suo ritrarsi, la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni effettuate in sede di amministrazione attiva, affidandosi ad una categoria evanescente, che esso stesso non vede come un ostacolo quando si occupa degli affari più importanti[61].

Nel decidere questioni che ha percepito come rilevanti, il giudice, anzi, si è perfino spinto fino a superare audacemente anche il limite delle valutazioni a ragione o a torto ritenute discrezionali, come nel già ricordato caso della ASN, qualificata dal giudice stesso di natura discrezionale, e nondimeno fatta oggetto, in un caso ben noto, dell’ordine di rilascio, sul presupposto che il cattivo uso della discrezionalità (non la sua spendita) ne avrebbe prodotto l’esaurimento.

Se si guarda, dunque, alla giurisprudenza, ed anche se lo si fa nella maniera più pragmatica e laica, si pone pur sempre un problema di misura e di intelligibilità dei percorsi che conducono verso una direzione piuttosto che in un’altra, di prevedibilità del metodo di sindacato utilizzato, di uniformità del controllo praticato tra le questioni alte e il contenzioso solo apparentemente bagattellare. Se questa misura manca, e pare proprio che manchi, ne risultano pregiudicati valori essenziali come la certezza e l’uguaglianza.

L’applicazione concreta delle tecniche sostitutive mette dunque in pericolo valori essenziali: è segno che la questione è, in sé stessa, ben lontana dall’aver trovato un’accettabile soluzione e che c’è ancora molto lavoro da fare per individuare le coordinate di una navigazione che non sia più a vista, ma ancorata a criteri e parametri predefiniti e coerente con il diritto positivo.

Questa situazione in cui ogni attore recita la parte dell’altro e nessuna cosa sta al suo posto[62] non può non generare inquietudini e perplessità. Forse, però, se la critica vuole conseguire risultati effettivi, bisogna indagare puntigliosamente le varie manifestazione di questo fenomeno, con l’obiettivo, già lucidamente individuato, di «decrittarne a fondo le motivazioni, i movimenti inerziali, comprendendo meglio quanto e quale sia il peso che il diritto positivo può (o meglio, deve) materialmente giocare»[63].

In un’altra epoca di profonde trasformazioni dell’ordinamento, quando lo spazio amministrativo si ampliò e diversificò per avviare l’attuazione dell’ambizioso progetto delineato dalla allora giovane Costituzione, un contributo decisivo per dissodare territori nuovi e dare forma giuridica all’interventismo dei pubblici poteri venne dalla limpida opera di Vincenzo Spagnuolo Vigorita, che ci lasciati da poco più di un anno, e che voglio ricordare, anche a nome di tutti i suoi allievi, con gratitudine e rimpianto in chiusura di questa, spero non del tutto inutile, introduzione.

  1. Lo scritto riproduce, con alcune minime modifiche, il testo della relazione tenuta al Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, “Lo spazio amministrativo. Vecchi territori e nuove frontiere”, tenutosi presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nei giorni 29 e 30 settembre 2023, in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023 per i tipi dell’Editoriale Scientifica, Napoli.
  2. Sono parole di M. Cammelli, Amministrare senza amministrazione, in Il Mulino, 2016, p. 581.
  3. Su questo fenomeno, si v. P. Cerbo, G. D’Angelo, S. Spuntarelli (a cura di), Amministrare e giudicare. Trasformazione ordinamentali, Jovene Editore, Napoli, 2022.
  4. M. Fioravanti, Lezioni di storia costituzionale. Le libertà fondamentali. Le forme di governo. Le Costituzioni del Novecento, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 218 ss. Dello stesso A. si veda pure Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Laterza, Roma-Bari, 2009, II rist. 2012.
  5. Per l’idea del diritto come infrastruttura al servizio del capitale, cfr. K. Pistor, Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianze, LUISS University Press, Roma, 2021.
  6. Così M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Giuffrè, Milano, 2023, p. 7.
  7. Sono ancora parole di M. Luciani, op. cit., p. 12; N. Irti, Destino di nomos, in M. Cacciari, N. Irti (a cura di), Elogio del diritto, La nave di Teseo, Milano, 2019, p. 131, evidenzia il dinamismo insito nel lemma ordinamento.
  8. Si v. in particolare il numero 1 del 2023 della Rivista trimestrale di diritto pubblico, e i contributi ivi pubblicati di L. Casini, Il governo legislatore, di L. Saltari, I giudici amministratori, di S. Spuntarelli, Il Parlamento amministratore e di A. Moliterni, Discrezionalità amministrativa e separazione dei poteri, nonché con riguardo al rapporto tra amministrazione e giudice v. P. Cerbo, G. D’Angelo, S. Spuntarelli (a cura di), Amministrare e giudicare. Trasformazione ordinamentali, cit. Per una visione d’insieme si v. la relazione di Fracchia in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  9. M.R. Ferrarese, I confini e la voglia di attraversarli, in L. Torchia (a cura di), Attraversare i confini del diritto. Giornata di studio dedicata a Sabino Cassese, il Mulino, Bologna, 2016, p. 55.
  10. Si v. M. Luciani, op. cit., p. 87.
  11. In tema si richiama il classico studio di F. Bassi, Il principio di separazione dei poteri (Evoluzione problematica), in Riv. trim. dir. pubbl., 1965, pp. 75 ss.; cfr. inoltre G. Bognetti, La divisione dei poteri, Giuffrè, Milano, 2001. Su questo tema, da ultimo, A. Moliterni, Discrezionalità amministrativa e separazione dei poteri, cit.
  12. In tema, si v. le già citate opere di Bassi e Bognetti.
  13. Cfr. M. Mazzamuto, Il principio del divieto di pronuncia con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, in Dir. proc. amm., 2018, ove si afferma che «la separazione dei poteri non ha nulla che fare con i limiti della giustizia amministrativa» e che «la riserva di amministrazione non ha rango costituzionale». Per una visione diversa volta a contenere il l’“espansione del giudiziario”, si v. F. Saitta, Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, nonché, tra gli altri, M.A. Sandulli, “Principi e regole dell’azione amministrativa”: Riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi.it, 2017.
  14. Sul criterio della prevalenza delle funzioni, peraltro non sufficiente alla identificazione delle funzioni, cfr. F. Sorrentino, I conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1967, p. 682.
  15. Si v. M. Luciani, op. cit.
  16. Cfr. F. Patroni Griffi, Le giurisdizioni sconfinate, in Giustizia amministrativa, 2020, «si tratti, nel settore dell’economia, di un’azione di regolazione e controllo dei mercati, o d’intervento diretto nella produzione a mezzo di figure soggettive pubbliche, o di forme ibride con il privato o decisamente privatistiche; si tratti, nel settore dei diritti sociali, di servizi pubblici in senso stretto, o di forme di incentivazione, o contribuzione di servizi offerti dai privati ma ritenuti rilevanti dal pubblico».
  17. Su questi temi, si v. la relazione di M. Trimarchi in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  18. Secondo C. Esposito, La Costituzione italiana. Saggi, Cedam, Padova, 1954, p. 248, secondo il quale «chi voglia sapere come è disciplinata l’amministrazione nella nostra Costituzione, non deve leggere solo due articoli, ma l’intera Costituzione».
  19. Su queste tematiche, M. Libertini, Sugli strumenti giuridici di controllo del potere economico, in Dir. pubbl., 2021, p. 902; nonché C. Acocella, Poteri indipendenti e dimensioni della legalità. Le prospettive di sostenibilità dell’implicito nell’esperienza delle autorità amministrative indipendenti, in C. Acocella (a cura di), Autorità indipendenti. Funzioni e rapporti, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022, pp. 11 ss. Si v., inoltre, la relazione di A. Marra in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  20. G. Melis, I corpi tecnici della pubblica amministrazione centrale, in Riv. giur. mezz., 2019; L. Saltari, Che resta delle strutture tecniche nell’amministrazione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019; A. Zucaro, La crisi dei corpi tecnici della p.a. nel quadro della crisi delle politiche pubbliche, in Riv. giur. mezz., 2019, pp. 303 ss.
  21. Sulla crisi del pubblico concorso e sulle tematiche delle tecniche di reclutamento delle pubbliche amministrazioni, cfr. L. Zoppoli, Il reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, tra vincoli, parodie, buone pratiche ed emergenze, in Riv. giur. lav., Quaderno 6, 2021; nonché M. Allena, M. Trimarchi, Il principio del concorso pubblico, in Riv. trim. dir. pubbl., 2021, pp. 379 ss.
  22. Cfr. F. Merloni, Le attività conoscitive e tecniche delle amministrazioni pubbliche. Profili organizzativi, in Dir. pubbl., 2013, pp. 481 ss.
  23. Su questi temi si sofferma la relazione di B. Giliberti in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  24. Ci si riferisce in particolare alle implicazioni teoriche, riguardate anche con accenti critici (sui quali si veda F: Trimarchi Banfi, Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, in Dir. Amm., 1, 2020, pp. 3 ss.) del carattere prescrittivo del principio di sussidiarietà orizzontale e alla circostanza che esse esprimano in sostanza una polarità tra due realtà, quella dello Stato e della società, risolta nel senso di accordare giuridica preferenza alla seconda.
  25. Cfr. sul tema, la relazione di R. Spagnuolo Vigorita in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  26. Sul tema, L. Casini, Il governo legislatore, cit., p. 173.
  27. Per un’approfondita analisi del fenomeno dell’amministrazione per legge, si v. S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Giuffrè, Milano, 2007. Sabino Cassese indica l’amministrazione per legge tra i fattori odierni di crisi della pubblica amministrazione (S. Cassese, Amministrare la nazione. La crisi della burocrazia e i suoi rimedi, Mondadori, Milano, 2022, pp. 63 ss.)
  28. Per l’analisi di questo fenomeno, si v. M.R. Ferrarese, Poteri nuovi. Privati, penetranti, opachi, il Mulino, Bologna, 2022, pp. 34 ss.
  29. L.R. Perfetti, Legge-provvedimento, emergenza e giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2019, pp. 1024 ss.
  30. G. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2016, p. 253; A. Saitta, Evoluzione strutturale del Consiglio dei Ministri e le più recenti prassi. Rileggendo “Il Consiglio dei Ministri nella Costituzione Italiana” di Antonio Ruggieri, in Diritti fondamentali, 3, 2020, p. 438, nonché L. Casini, Il governo legislatore, cit.
  31. Ma in senso contrario si veda lo studio di D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1996.
  32. Corte Cost., sent. 23 giugno 2020, n. 116, in Federalismi.it, 2020. È il caso di ricordare che il giusto procedimento nasce – con la celebre pronuncia n. 13 del 1962 in Giur. cost., 1962, pp. 126 ss. con nota di V. Crisafulli, Principio di legalità e giusto procedimento – come principio generale dell’ordinamento, efficace solo nei riguardi del legislatore regionale, per poi trasformarsi, dopo l’entrata in vigore della l. n. 241/1990, in un vero e proprio principio costituzionale, valevole (in astratto, visto che a lungo la giurisprudenza sul giusto procedimento pare non avere incrociato quella sulla legge provvedimento) anche nei confronti della legislazione statale. In tema G. Manfredi, Giusto procedimento e interpretazione della Costituzione, in Giustamm, 2007, pp. 879-890.

    Una completa disamina della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di leggi provvedimento si può leggere nella relazione di S. Spuntarelli in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.

  33. Si v. la decisione sulla vicenda del Ponte Morandi, Corte Cost., sent. 27 luglio 2020, n. 168, con nota critica di Anzon, in Giur. cost., 2020, pp. 2215 ss.
  34. F. Cortese, Sulla riserva preferenziale di procedimento come strumento di garanzia, in Le Reg., 2018, pp. 759-765; G. Gargano, La riserva di procedimento amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023.
  35. Secondo A. D’Aloia, La legge provvedimento tra teoria e giurisprudenza costituzionale, in Variazioni su temi di diritto del lavoro, 2022, pp. 33-34, «una piena fungibilità della funzione legislativa e di quella amministrativa richiede necessariamente (meglio se in combinazione) l’adattamento del giudizio costituzionale, secondo linee già prefigurate nella riflessione teorica di Costantino Mortati e l’estensione al procedimento legislativo, nei casi in cui la legge assume contenuti provvedimentali e sostanzialmente amministrativi, di meccanismi di partecipazione e contraddittorio allargati ai destinatari delle scelte legislative e/o agli eventuali controinteressati».
  36. G. Arconzo, Contributo allo studio sulla funzione legislativa provvedimentale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 83.
  37. Così A. Mitrotti, ‘Riserva di Amministrazione’ versus ‘amministrazione per Legge’. Tendenze ed evoluzioni tra prassi politica, giurisprudenza ed una rilettura dogmatica, in Nomos, 3, 2020. Questa lettura del nuovo testo dell’art. 118 venne avanzata da G. Manfredi, Leggi provvedimento, forma di Stato, riserva di amministrazione (nota a Cons. St., 11 marzo 2003, n. 1321), in Foro amm-CdS, 2003, p. 1303.
  38. L.R. Perfetti, op. cit., spec. pp. 1033 ss. Per l’idea che «anche contro gli atti del Parlamento devono ritenersi vigenti le garanzie previste per gli altri atti pubblici» e che le disposizioni in contrasto con la Costituzione siano passibili di disapplicazione, cfr. R. Manfrellotti, Giustizia della funzione normativa e sindacato diffuso di legittimità, Jovene Editore, Napoli, 2008, p. 189, pp. 261 ss.
  39. È quanto si legge nell’ordinanza cautelare del tribunale del lavoro di Napoli del 12 settembre 2023. La questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 51/2023 è stata poi rimessa alla Corte costituzionale con ordinanza del 24 ottobre 2023.
  40. In questo senso, cfr. M. Cammelli, op. cit., pp. 578 ss.
  41. L. Casini, Il governo legislatore, cit., p. 173.
  42. A guardare questo scenario da una diversa prospettiva, sembrerebbero frustrate anche le ragioni ideologiche (fondate soprattutto sull’imparzialità) che hanno sostenuto la necessità della valorizzazione del principio di distinzione tra politica e amministrazione, sia perché la politica si riappropria dell’amministrazione, sia perché, di fatto, l’amministrazione, quella verticistica, fa politica, attingendo allo stesso strumento con cui la politica dovrebbe controllarla e indirizzarla (cioè, la legge).
  43. F. Cortese, L’accertamento del silenzio-assenso tra amministrazione e giurisdizione (e legislazione): note in “margine a un testo implicito”, in P. Cerbo, G. D’Angelo, S. Spuntarelli (a cura di), op. cit., p. 252.
  44. Su questi fenomeni la letteratura è vastissima, e anche chi scrive è più volte ritornato, da ultimo F. Liguori, L’azione amministrativa. Argomenti e questioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, pp. 61 ss., cui rinvio per gli essenziali riferimenti bibliografici.
  45. Il quale fa rientrare, tra le misure di contesto, anche le riforme abilitanti, «cioè, gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese. Tra questi ultimi interventi, si annoverano le misure di semplificazione e razionalizzazione della legislazione e quelle per la promozione della concorrenza».
  46. Quella della legge sulla concorrenza non costituisce una formula nuova nel nostro ordinamento: già il d.l. n. 5/2012, in termini più generali, all’articolo 12 chiedeva di adottare misure di semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative.
  47. La priorità che si vuole legittimamente dare all’iniziativa economica non dovrebbe portare alla eccessiva compressione anche delle questioni complesse. Le tensioni non risolte nel procedimento riemergono in forma di successivi ripensamenti ovvero di contenzioso. E così, nella logica decisionista e di celerità che si va affermando, trova spazio anche la posizione – invero di problematica armonizzazione con i principi costituzionali in tema di pienezza della tutela giurisdizionale – di chi punta a ridimensionare il ruolo del giudice amministrativo sempre più orientato ad intervenire per recuperare nel processo ciò che si è perso nel procedimento.
  48. Va da sé che per lo svolgimento razionale dei compiti davvero essenziali, rappresenta una priorità l’accrescimento della capacità anche tecnica delle amministrazioni, in discontinuità con quanto si è verificato nei tempi più recenti. Il PNRR ritiene pertanto necessario creare strutturalmente capacità amministrativa attraverso percorsi di selezione delle migliori competenze e qualificazione delle persone, con una rivisitazione del pubblico concorso e la valorizzazione del merito. Da segnalare il d.P.R. n. 82/2023 che ha modificato il d.P.R. 487/1994 ed ha riscritto il protocollo delle prove d’esame all’insegna di quelle che sono ritenute le migliori pratiche internazionali. Tuttavia, dopo meno di un anno è stato approvato art. 1bis, comma 1, lett c., del d.l. n. 44/2023 secondo il quale le amministrazioni possono bandire i concorsi per i profili non apicali prevedendo lo svolgimento della sola prova scritta, fino al 31 dicembre 2026. Questo, evidentemente, per tenere il passo dei progetti ma con una misura che non consente la ricerca dei migliori talenti, priorità e criterio guida del Piano stesso.
  49. Cfr. S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica? in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, pp. 1 ss.
  50. M. Cammelli, op. cit., p. 581.
  51. Su questi temi si v. la relazione di P. Forte in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  52. M. Cammelli, op. cit., p. 575.
  53. M. Luciani, op. cit., p. 145, si v., inoltre, le notazioni di G. Manfredi e di A. Mitrotti sull’art. 118 Cost. negli studi già citati.
  54. Cons. St., 25 febbraio 2019, n. 1321, in Giorn. dir. amm., 2019, pp. 499 ss., con nota di F. Caporale, nonché su Dir. proc. amm., 2019, pp. 1171 ss., con commenti di S. Vaccari, e F. Orso, e ivi, 2021, con nota di A. Giusti, Tramonto o attualità della discrezionalità tecnica? Riflessioni a margine di una recente “attenta riconsiderazione giurisprudenziale”, pp. 335 ss. Rileva notare che il percorso argomentativo messo in campo dal giudice amministrativo è tutto fondato sulla presupposizione della sussistenza di un’autentica discrezionalità amministrativa, della quale si sostiene la natura riservata, a differenza che per le mere valutazioni tecniche, discrezionalità amministrativa che tuttavia si ritiene audacemente esaurita per effetto della frattura del rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadino.
  55. Va qui ricordato l’insegnamento di E. Cannada Bartoli, Giustizia amministrativa, in Dig. Disc. Pubbl., VII, Torino, 1991, p. 554, secondo il quale l’intera attività amministrativa è sostitutiva, perché volta a «determinare quale sia la regola dell’attività altrui che viene sostituita dal giudice». Ora in tema P. Chirulli, Il mobile confine tra legittimità e merito: rileggendo Eugenio Cannada Bartoli, in Giustizia Insieme, 2023.
  56. P. Cerbo, L’azione di adempimento nel processo amministrativo e i suoi confini, in Dir. proc. amm., 2017, p. 42.
  57. Si v., in particolare, M. Mazzamuto, op. cit.
  58. Cfr. F. Cortese, L’accertamento, cit., pp. 253-255, con riferimento al pensiero di Von Bulow e di Mortati. Per una critica delle ragioni dell’effettività e un richiamo forte ai limiti della giurisdizione si v., invece, R. Villata, Processo amministrativo, pluralità delle azioni, effettività della tutela, in Dir. proc. amm., 2021, pp. 369 ss.; nell’ambito di un rigoroso quadro concettuale sul ruolo del giurista nell’epoca presente che richiama in particolare le idee espresse da N. Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, Bari, 2014 e Id., Il diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino, 2016.
  59. In tema si può v. B. Giliberti (a cura di), Il controllo di full jurisdiction sui provvedimenti amministrativi, Napoli, 2019.
  60. Su questi profili, v. M. Trimarchi, Full jurisdiction e limiti dei poteri non ancora esercitati. Brevi note, in B. Giliberti (a cura di), op. cit.; Id., “Problema dell’amministrazione” e “problema del giudice”: principio della separazione dei poteri ed effettività della tutela nel pensiero di Franco Ledda, in F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta (a cura di), Sindacato giurisdizionale e “sostituzione” della pubblica amministrazione. Atti del Convegno di Copanello, 1 -2 luglio 2011, Giuffrè, Milano, 2013, p. 179; F. Follieri, La giurisdizione di legittimità e full jurisdiction. Le potenzialità del sindacato confutatorio, in B. Giliberti (a cura di), op. cit., pp. 243 ss., nonché F. Liguori, Il sindacato di merito nel giudizio di legittimità, in B. Giliberti (a cura di), op. cit., pp. 150-151. Si veda la relazione di G. Tropea in corso di pubblicazione su Annuario AIPDA 2023.
  61. In tema cfr. F. Liguori, La funzione amministrativa. Aspetti di una trasformazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2009, p. 59, pp. 107 ss.; Id., Dalla discrezionalità tecnica insindacabile alle valutazioni tecniche sostituibili. Indagine sul sindacato giurisdizionale sugli atti delle autorità indipendenti, in Munus, 2023, cui si rinvia anche per i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
  62. È, volto al contrario, il titolo del libro di M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, cit.
  63. Sono partole di F. Cortese, op. cit., p. 256.