<i>Public Administration facing the challenges of digitalisation</i> (2022)

L’utilizzo di algoritmi e di sistemi di intelligenza artificiale nell’ambito dell’azione amministrativa ha messo a dura prova le garanzie del giusto procedimento amministrativo. In assenza di una disciplina legislativa in materia a livello nazionale, i giudici amministrativi hanno elaborato i c.d. principi di legalità algoritmica, mutuandoli perlopiù dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR), allo scopo di tutelare le situazioni giuridiche dei cittadini coinvolti nel procedimento amministrativo. Nello specifico, le pronunce impongono alle pubbliche amministrazioni il rispetto dei principi di conoscibilità dell’algoritmo, di non esclusività della decisione algoritmica e di non discriminazione algoritmica. Dopo una breve ricognizione del contenuto di questi principi, il presente contributo mira ad analizzare il rapporto tra essi e l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, al fine di verificare se siano stati intesi dalla giurisprudenza come delle regole procedurali rinforzate, idonee dunque ad evitare la dequotazione dei vizi di procedura degli atti amministrativi vincolati ai sensi del citato articolo 21-octies. E, in particolare, se tale rafforzamento procedurale possa attuarsi in ottica compensativa di un eventuale deficit di legalità sostanziale, dovuto all’esercizio di poteri amministrativi impliciti in relazione all’utilizzo degli algoritmi, oppure se debba discendere da un diverso percorso ermeneutico.


Algorithmic legality in administrative action and procedural violations’ regime
The use of algorithms and A.I. systems in administrative action has strongly challenged the requirements of administrative due process. Due to the absence of national statutory rules on administration by algorithm, administrative courts have established a set of principles (the so-called “principles of algorithmic legality”) in order to protect the legal position of citizens involved in administrative procedures, borrowing them mostly from the EU General Data Protection Regulation (GDPR). Case law specifically requires public bodies to comply with: a) the citizen’s right to access to meaningful information concerning the automated decision-making; b) the citizen’s right not to be subject to a decision based solely on automated processing; c) the prohibition of algorithmic bias. After a brief overview of the content of these principles, this paper aims to analyse the relation between them and Article 21-octies, par. 2 of Law No. 241/1990. This paper questions whether they have been understood by the courts as reinforced procedural rules to avoid the “weakening” effect, provided by Article 21-octies with regards to procedural impropriety of non-discretionary decisions. In particular, this paper questions whether the strengthening of the procedural rules could be aimed at counterbalancing the lack of substantive legality, due to the exercise of implied powers by the public bodies in using algorithms, or whether it should be based on a different legal reasoning.

1. Amministrazione digitale e procedimento amministrativo algoritmico

Negli ultimi anni, le pubbliche amministrazioni hanno sperimentato un utilizzo sempre più diffuso e massiccio delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione (ICT), tanto sul versante della gestione organizzativa degli enti pubblici, quanto su quello dell’attività amministrativa vera e propria. La progressiva digitalizzazione della P.A. viene costantemente incentivata, quale strumento per garantire la miglior efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, oltre che per migliorare qualitativamente e quantitativamente l’andamento complessivo delle amministrazioni e semplificare il loro rapporto con i cittadini[1].

L’impatto delle ICT sulla pubblica amministrazione si rivela con particolare evidenza quando incide sulle modalità di svolgimento dell’azione amministrativa e di spendita del potere pubblico, ossia sulla sequenza procedimentale di formazione della decisione amministrativa. Il procedimento amministrativo, quale forma sensibile di estrinsecazione della funzione amministrativa[2], costituisce il vero nucleo del sistema positivo che disciplina l’azione delle pubbliche amministrazioni come fenomeno di rilevanza giuridica[3], garantendo la riconducibilità dell’esercizio del potere pubblico entro un canone predeterminato di razionalità procedurale e la partecipazione degli interessati al processo di formazione della decisione pubblica, e fungendo altresì da strumento di controllo del rispetto della legalità amministrativa e della sua successiva giustiziabilità.

I mutamenti imposti dall’avvento delle tecnologie digitali sulle modalità di svolgimento del procedimento amministrativo rivestono dunque una peculiare importanza[4] e pongono il cruciale problema di contemperare l’efficientamento dell’azione amministrativa digitalizzata con il rispetto delle garanzie di legalità procedurale stabilite dalla legge n. 241/1990 e, a livello sovranazionale, dal principio di buona amministrazione sancito dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)[5].

All’interno dell’ampio fenomeno dell’amministrazione digitale, inteso come genus, la species caratterizzata dai profili più innovativi e problematici per la disciplina del procedimento amministrativo è rappresentata indubbiamente dall’amministrazione algoritmica[6]. Quest’ultima prevede l’utilizzo di tecnologie digitali non soltanto al fine di redigere, conservare e trasmettere gli atti e i documenti amministrativi (c.d. atti in forma elettronica), ma anche per determinarne il contenuto decisorio (c.d. atti ad elaborazione elettronica)[7]. A tal fine, si ricorre ai più recenti ritrovati dell’Internet of Things, ossia alla «produzione massiva di vastissime quantità di dati (i cosiddetti “big data”), generati dalla diffusione capillare di dispositivi di uso comune»[8], e alla loro successiva elaborazione automatizzata mediante modelli e sistemi computazionali fondati su software algoritmici.

Il procedimento amministrativo algoritmico sfocia pertanto in una decisione automatizzata, il cui contenuto è determinato sulla base dell’elaborazione dei dati rilevanti affidata interamente allo strumento informatico[9]. Una decisione amministrativa originata dal mero calcolo algoritmico ha l’indubbio pregio di velocizzare le procedure decisionali vincolate di carattere seriale o standardizzate, fondate su operazioni di mera verifica ed elaborazione di ingenti quantità di dati analitici secondo uno schema logico-sillogistico, e in ciò ben si presta a soddisfare le esigenze di efficienza, imparzialità, parità di trattamento, buon andamento, semplificazione, certezza e prevedibilità ex ante dell’azione amministrativa.

Lo stesso Consiglio di Stato, nel riconoscere in via generale la piena ammissibilità dell’utilizzo di procedure decisionali algoritmiche da parte della P.A., ha evidenziato come quest’ultima «debba poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. rivoluzione digitale», che rispondono appieno ai «canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale»[10]. D’altronde, su questo profilo gioca un ruolo non secondario anche l’impatto psicologico (o il pregiudizio) che accompagna un’innovazione di tal genere: la tecnica algoritmica trasforma infatti le valutazioni umane, spesso parziali e opinabili, in «una sequenza finita di passaggi logici finalizzati a scelte obiettive e razionali», che assumono così «un’aura di neutralità, frutto di asettici calcoli razionali basati su dati»[11], ingenerando ex parte civium un’inconscia impressione di maggiore scientificità e, conseguentemente, di maggiore affidabilità e autorevolezza[12].

L’adozione di decisioni amministrative automatizzate può peraltro ricorrere a diverse tipologie di sistemi algoritmici: vi sono gli algoritmi c.d. deterministici, costruiti secondo una logica rigidamente causale, per cui «ad un certo dato in entrata può corrispondere solo uno specifico, successivo passaggio nella sequenza, sicché uno solo è il risultato al quale, passaggio dopo passaggio, la macchina può pervenire»; viceversa, negli algoritmi c.d. non deterministici «è presente almeno un’istruzione che ammette diversi possibili passaggi successivi che si svolgono eventualmente secondo logiche probabilistiche»[13].

Vi è poi una peculiare categoria di algoritmi ad apprendimento automatico, basati su sistemi di machine learning, per cui «l’algoritmo fornisce un modello di apprendimento da applicare ai dati cui l’elaboratore ha accesso per pervenire ad una soluzione attraverso l’analisi di esperienze pregresse relative a situazioni simili»[14]: in questo modo il sistema algoritmico auto-apprende, sulla base della computazione dei dati e attraverso l’esperienza, i criteri con i quali valutare e risolvere i casi successivi, migliorando le proprie prestazioni in modo “adattivo” mano a mano che gli “esempi” da cui apprendere aumentano. In quest’ottica, per i casi di algoritmi fondati sul machine learning si può parlare più propriamente di utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale (AI) da parte delle pubbliche amministrazioni[15].

Da un lato, come si è detto, il ricorso agli algoritmi può innegabilmente rappresentare un fattore di miglioramento decisivo per l’azione amministrativa, sia in termini quantitativi che qualitativi. Dall’altro, i mutamenti determinati dall’applicazione di questi strumenti sono di portata tale, da richiedere un considerevole adeguamento delle regole che governano il procedimento amministrativo “tradizionale” e i connessi diritti partecipativi degli interessati, senza peraltro snaturarne la funzione difensiva (volta ad offrire garanzie e tutele anticipate alle situazioni giuridiche soggettive dei privati già nel momento “fisiologico” dello svolgimento del procedimento amministrativo) e collaborativa (mirante a consentire il coinvolgimento degli interessati nella determinazione del contenuto delle decisioni amministrative, anche nell’ottica della miglior conoscenza dei fatti e degli interessi rilevanti da parte dell’amministrazione procedente)[16]. Quest’ultimo profilo è altresì intimamente connesso alla funzione legittimante sottesa alle regole procedimentali: a fronte della perdurante crisi della legittimazione delle autorità pubbliche fondata unicamente sul circuito della democrazia rappresentativa ed elettorale, il procedimento amministrativo fornisce all’esercizio del potere autoritativo una legittimazione incardinata sulla partecipazione attiva degli interessati al concreto svolgimento della funzione pubblica (c.d. democrazia partecipativa)[17].

Questo complesso di funzioni, espletate dal procedimento amministrativo nella sua configurazione tradizionale, contribuisce a rendere le decisioni amministrative non solo eque e razionali, in quanto assunte sulla base di una «forma» e di una «griglia di regole e principi» procedurali già predefiniti[18], ma anche, in una certa misura, accettate e condivise dai loro destinatari[19], poiché a questi ultimi è consentito far valere in contraddittorio le proprie posizioni giuridiche e partecipare attivamente, su un piano tendenzialmente paritario con l’amministrazione, alla formazione della decisione amministrativa che li riguarda, contribuendo allo stesso tempo alla legittimazione democratica dell’esercizio in concreto del potere pubblico[20].

L’automazione dei processi decisionali non può dunque pregiudicare il ruolo fondamentale svolto dagli istituti di partecipazione procedimentale, nella loro declinazione garantista e collaborativa[21]. Peraltro, le problematicità connesse all’attuazione della transizione digitale sono aggravate dall’assenza di una disciplina legislativa ad hoc che disciplini in modo dettagliato l’utilizzo degli algoritmi nell’ambito dei procedimenti della P.A., onde è spettato in via principale alla giurisprudenza amministrativa elaborare una serie di principi generali in tema di decisioni automatizzate[22]. L’applicazione di questi principi solleva inoltre dei delicati problemi di coordinamento con la normativa vigente, con particolare riferimento all’istituto dei vizi non invalidanti del provvedimento (art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990).

In quest’ottica, l’obiettivo del presente contributo è di esporre il contenuto dei principi giurisprudenziali relativi al procedimento amministrativo algoritmico, per poi interrogarsi sulla loro capacità di, eventualmente, resistere alla dequotazione derivante dall’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, nelle ipotesi di inosservanza del loro contenuto precettivo.

La disamina consentirà quindi di saggiare la “tenuta” delle regole pretorie in tema di legalità algoritmica, e le connesse esigenze di garanzia dei diritti procedimentali degli interessati, di fronte all’applicazione degli istituti di semplificazione che, sorti nell’alveo del procedimento amministrativo “tradizionale”, sono diretti a sacrificare le garanzie partecipative dei privati qualora esse risultino superflue ai fini della determinazione del contenuto delle decisioni amministrative. Sul punto, sorge infatti la questione se lo svolgimento di attività amministrative automatizzate possa effettivamente consentire un analogo sacrificio, oppure se le suddette regole procedimentali debbano ricevere un adeguato rafforzamento, in considerazione delle peculiarità derivanti dall’utilizzo di strumenti algoritmici.

In tale prospettiva, l’indagine interseca necessariamente anche il tema relativo alle tecniche di rafforzamento delle garanzie procedimentali, ossia le modalità e i percorsi interpretativi attraverso i quali si può arrivare a sottrarre talune regole sull’esercizio dell’attività amministrativa – in specie, quella automatizzata – alla dequotazione dei vizi formali e procedurali. In particolare, ci si chiederà se l’eventuale non-dequotabilità dei principi di legalità algoritmica derivi da un’applicazione della teoria del rafforzamento della legalità procedimentale per deficit di legalità sostanziale, oppure se sia possibile dotarli di una valenza sostanziale attraverso un diverso approccio ermeneutico.

2. Il contributo della giurisprudenza amministrativa e i principi di legalità algoritmica

Come si è anticipato, il vuoto normativo in tema di decisioni automatizzate ha reso necessario l’intervento suppletivo del giudice amministrativo, il quale, a partire da numerose controversie insorte negli ultimi anni in tale ambito, ha progressivamente individuato alcune regole fondamentali per l’utilizzo degli algoritmi da parte delle pubbliche amministrazioni.

Un filone particolarmente ricco di casi relativi alle decisioni algoritmiche è senza dubbio quello afferente al personale scolastico[23]. A seguito dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015, n. 107 (c.d. “buona scuola”), il Ministero dell’Istruzione ha impiegato un software algoritmico nella procedura di assegnazione delle sedi di servizio agli insegnanti neoassunti e in quella relativa alle richieste di mobilità. In questi casi l’algoritmo provvedeva a stilare automaticamente le graduatorie incrociando i dati relativi ai risultati dei concorsi, alle disponibilità delle sedi di servizio e alle norme di legge applicabili. L’inedito utilizzo di tale modalità ha originato un ampio numero di ricorsi giurisdizionali nei confronti dei provvedimenti decisori prodotti automaticamente dall’algoritmo: le pronunce scaturite da tale vasto contenzioso compongono oggi «in vero e proprio corpus giurisprudenziale sull’impiego di algoritmi decisionali da parte della pubblica amministrazione»[24].

Nelle sue pronunce più recenti, la giurisprudenza amministrativa – in particolare quella del Consiglio di Stato – è giunta ad enucleare un catalogo di principi di carattere generale ai quali dovrebbe uniformarsi l’attività amministrativa algoritmica, e segnatamente: il principio di conoscibilità dell’algoritmo, il principio di non esclusività della decisione algoritmica e il principio di non discriminazione algoritmica[25]. Questi principi costituiscono, nell’ottica dei giudici di Palazzo Spada, i tre pilastri della c.d. legalità algoritmica, fungendo da condizioni di legittimità per le decisioni automatizzate adottate dalla pubblica amministrazione.

Peraltro, la prospettiva adottata dal Consiglio di Stato trova un esplicito sostegno normativo a livello eurounitario nel recente Regolamento 2016/679/UE sulla protezione dei dati personali (GDPR), il quale, in presenza di un processo decisionale automatizzato, riconosce all’interessato il diritto di informazione e accesso in relazione a detto procedimento[26], il diritto di non essere sottoposto ad una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato[27] e, infine, la garanzia del carattere non discriminatorio delle procedure matematiche o statistiche utilizzate dal titolare del trattamento dei dati[28].

Prima di esaminare sinteticamente il contenuto dei principi appena menzionati, è opportuno evidenziare come la giurisprudenza, dopo un’iniziale incertezza, abbia finito per l’ammettere in via teorica l’impiego degli algoritmi non solo nell’ambito dell’attività amministrativa vincolata, ma anche di quella discrezionale[29].

2.1. Il principio di conoscibilità dell’algoritmo

Il principio di conoscibilità dell’algoritmo riconosce innanzitutto al cittadino il diritto ad avere piena consapevolezza dell’esistenza di eventuali processi decisionali automatizzati e a conoscere le informazioni e le istruzioni relative al funzionamento dell’algoritmo, ai moduli e ai criteri applicati, nonché ad accedere allo stesso linguaggio informatico sorgente (c.d. codice sorgente)[30].

Ma tale principio non si risolve nella mera accessibilità e ostensibilità dei documenti, dati e informazioni connessi al funzionamento dell’algoritmo[31], bensì viene inteso nell’ottica di una trasparenza rinforzata e, quindi, associato al principio di comprensibilità[32]. Ciò implica la traducibilità della regola algoritmica dal linguaggio informatico a quello giuridico, assicurando l’intellegibilità del funzionamento del software e la piena decifrabilità della logica sottostante anche da parte cittadino comune[33]. Come precisato dal Consiglio di Stato, la formula tecnica che rappresenta l’algoritmo deve pertanto essere «corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile»[34].

In difetto, si sostanzierebbe una violazione dell’obbligo di motivazione e giustificazione delle decisioni amministrative, perché l’incomprensibilità dell’algoritmo impedirebbe strutturalmente al suo destinatario di ricostruire l’iter logico sulla base del quale l’atto amministrativo è stato emanato «per mezzo di procedure automatizzate quanto al relativo contenuto dispositivo»[35], ostacolando al contempo il sindacato giurisdizionale sulla «logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo»[36]. Perciò, in quanto strettamente connesso all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi[37], il principio di conoscibilità e trasparenza dell’algoritmo viene caricato dalla giurisprudenza di una valenza sostanziale[38], che non può essere surrogata dalla «rigida e meccanica applicazione di tutte le minute regole procedimentali della legge n. 241 del 1990 (quali ad es. la comunicazione di avvio del procedimento […] o il responsabile del procedimento)»[39], sicché la totale impossibilità di comprendere le modalità di funzionamento dell’algoritmo «costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura»[40].

La garanzia di trasparenza e di conoscibilità della decisione automatizzata ha dunque un oggetto ben più ampio del mero linguaggio informatico che ne determina il funzionamento: come specificato dai giudici amministrativi, essa deve riguardare in modo complessivo ogni aspetto dell’algoritmo, dagli autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti[41].

Ciò solleva il problema del conflitto con la tutela dei diritti di proprietà intellettuale vantati dal soggetto (pubblico o privato) che, su incarico della P.A., ha elaborato il software algoritmico[42]. Sul punto, il Consiglio di Stato ha precisato che il soggetto ideatore dell’algoritmo si pone nella posizione di controinteressato rispetto all’eventuale istanza di accesso al codice sorgente, in quanto titolare di un «diritto alla riservatezza sui prodotti segreti frutto della propria attività creativa»[43], e deve pertanto essere notiziato della richiesta di ostensione. Al contempo, però, il diritto di autore e la riservatezza non possono precludere ex se la garanzia di accesso e di conoscibilità del codice sorgente da parte degli interessati, poiché le imprese produttrici, ponendo al servizio del potere autoritativo gli strumenti informatici, «all’evidenza ne accettano le relative conseguenze in termini di necessaria trasparenza»[44].

Nell’attribuire un rilievo centrale al principio di conoscibilità dell’algoritmo, la giurisprudenza assume come riferimento normativo a livello europeo gli artt. 13, comma 2, lett. f), e 14, comma 2, lett. g), del GDPR, i quali, con identica formulazione per i casi di raccolta dei dati presso l’interessato o presso terzi, impongono al titolare del trattamento l’obbligo di fornire indicazioni circa «l’esistenza di un processo decisionale automatizzato», nonché di procurare «informazioni significative sulla logica utilizzata». L’espressa menzione della «logica utilizzata» e della significatività delle informazioni da fornire è chiaramente volta a definire il principio di conoscibilità nei termini di una piena comprensibilità del linguaggio informatico, fondato sull’effettiva qualità esplicativa dei dati trasmessi, al di là della loro mera accessibilità. Il medesimo contenuto è inoltre declinato, nel successivo art. 15, comma 1, lett. h), del GDPR, anche in termini di diritto all’ottenimento delle suddette informazioni, liberamente azionabile da parte dell’interessato[45].

È perciò evidente come il principio di conoscibilità si ponga «al cuore del giusto procedimento algoritmico»[46], in quanto diretto a porre rimedio al carattere di strutturale opacità dell’algoritmo[47], che sovente ne rende indecifrabili i meccanismi operativi da parte dei destinatari, nonché, talvolta, degli stessi funzionari chiamati a maneggiarlo. A tale scopo, la garanzia della conoscibilità algoritmica realizza una notevole evoluzione della configurazione classica della trasparenza amministrativa intesa come «astratta conoscibilità» dei dati e delle informazioni detenuti dalla P.A.[48], adeguandola in funzione delle nuove sfide poste dalla digitalizzazione dell’attività pubblica, che collocano al vertice le esigenze connesse alla chiarezza e alla piena comprensione logica della decisione algoritmica[49].

2.2. Il principio di non esclusività della decisione algoritmica

Il principio di non esclusività della decisione algoritmica postula che «deve comunque esistere nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica»[50], con ciò escludendosi in linea generale l’ammissibilità di processi decisionali interamente automatizzati. Secondo il Consiglio di Stato, ciò si pone «a garanzia dell’imputabilità della scelta al titolare del potere autoritativo, individuato in base al principio di legalità, nonché della verifica circa la conseguente individuazione del soggetto responsabile, sia nell’interesse della stessa P.A. che dei soggetti coinvolti ed incisi dall’azione amministrativa affidata all’algoritmo»[51]. In altre parole, l’automazione delle decisioni della P.A. non può tradursi in una completa deresponsabilizzazione degli organi titolari del potere amministrativo, ai quali deve essere sempre riconducibile e imputabile la spendita del potere medesimo. A tale scopo, il principio di non esclusività richiede necessariamente che nel procedimento amministrativo sia riscontrabile un seppur minimo intervento umano, secondo il modello di interazione tra uomo e macchina definito come human in the loop[52].

Il riferimento al diritto eurounitario si appunta, in questo caso, sull’art. 22, comma 1, del GDPR, che sancisce il diritto dell’interessato di «non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona». Tuttavia, tale norma prevede un’ampia gamma di eccezioni, in virtù delle quali si finisce per ammettere in molti casi lo svolgimento di procedure decisionali interamente automatizzate, pur con le debite garanzie[53].

Con riferimento al principio di non esclusività algoritmica, peraltro, si segnala un orientamento giurisprudenziale – sorto nell’ambito delle pronunce emesse dai giudici di primo grado – decisamente restrittivo in ordine al grado di estensione e di pervasività delle operazioni algoritmiche rispetto a quelle umane. Tale impostazione evidenzia come le «procedure informatiche […] non possano mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere e che pertanto, al fine di assicurare l’osservanza degli istituti di partecipazione, di interlocuzione procedimentale, di acquisizione degli apporti collaborativi del privato e degli interessi coinvolti nel procedimento, deve seguitare ad essere il dominus del procedimento stesso, all’uopo dominando le stesse procedure informatiche predisposte in funzione servente e alle quali va dunque riservato tutt’oggi un ruolo strumentale e meramente ausiliario in seno al procedimento amministrativo e giammai dominante o surrogatorio dell’attività dell’uomo»[54]. In quest’ottica, l’attribuzione di un ruolo prettamente servente e ancillare alle procedure automatizzate discenderebbe direttamente dai «valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo»[55], sicché l’atto amministrativo in cui vi sia una sostituzione completa della decisione umana da parte di un algoritmo sarebbe «in radice illegittimo perché incostituzionale, ancor prima che illegittimo ovvero in contrasto con i principi della legge sul procedimento amministrativo oppure del Codice dell’amministrazione digitale»[56].

Il predetto orientamento, la cui perentoria formulazione ha invero generato delle perplessità in dottrina[57], non ha trovato pieno recepimento in seno al Consiglio di Stato[58], il quale, anche per influsso della normativa dell’Unione europea, ha dimostrato una maggiore apertura nei confronti dell’utilizzo degli strumenti algoritmici da parte della P.A., limitandosi a vietare – come si è visto – che i procedimenti amministrativi si svolgano con modalità interamente ed esclusivamente automatizzate, ma nulla specificando sul grado di predominanza di queste ultime rispetto al contributo umano. Sicché quest’ultimo, benché imprescindibile, può ben «consistere anche (soltanto) in una fase successiva di validazione e controllo» della decisione automatizzata già perfezionatasi[59].

Vi è peraltro il rischio, in questi casi, che l’intervento umano si risolva de facto in una mera formalità, ossia in un recepimento passivo e acritico delle valutazioni operate dall’algoritmo, in ragione della «travolgente forza pratica»[60] di tale strumento. Come è stato evidenziato, «una volta introdotto un sistema automatico di decisione all’interno di un processo decisionale umano, il sistema automatico tende, nel tempo, a catturare la decisione stessa […] eminentemente per ragioni di convenienza pratica»[61], poiché da un lato si rende estremante difficile, per i soggetti lesi, dimostrare in giudizio l’avvenuta violazione del principio di non esclusività della decisione algoritmica[62] e, dall’altro, per la P.A. è certamente più agevole conformarsi in toto alle risultanze della procedura algoritmica, assolvendo così all’onere motivazionale della decisione amministrativa attraverso un semplice rimando agli esiti scientifico-matematici – ritenuti ipso facto maggiormente affidabili e inattaccabili – delle operazioni automatizzate[63].

2.3. Il principio di non discriminazione algoritmica

Il terzo e ultimo pilastro della legalità algoritmica è costituito dal principio di non discriminazione, in virtù del quale «la legittimità dell’azione pubblica non è garantita dalla sola presenza di un algoritmo conoscibile e comprensibile, oggetto di controllo e validazione da parte di un funzionario, ma occorre che lo stesso non assuma carattere intrinsecamente discriminatorio»[64]. Si fa riferimento alle ipotesi in cui l’algoritmo sia «costruito e addestrato su un set di dati che già in partenza è discriminatorio»[65], sicché le decisioni amministrative basate sull’utilizzo di tale strumento risultano illegittime per violazione del principio costituzionale di eguaglianza. In altre, parole, è la stessa qualità dei dati di input utilizzati – ad esempio, perché statisticamente sbilanciati sulla base di fattori etnici, razziali, religiosi, sessuali, politici, sanitari, etc. – ad inficiare l’esito dell’elaborazione automatizzata, che sfocerà in una determinazione geneticamente parziale, distorta e discriminatoria.

Il principio in parola è fondato in primis sul considerando 71 del GDPR, il quale sottolinea l’opportunità che, nell’ambito di procedimenti automatizzati, il titolare del trattamento «metta in atto misure tecniche e organizzative adeguate al fine di garantire, in particolare, che siano rettificati i fattori che comportano inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori e al fine di garantire la sicurezza dei dati personali secondo una modalità che […] impedisca, tra l’altro, effetti discriminatori nei confronti di persone fisiche sulla base della razza o dell’origine etnica, delle opinioni politiche, della religione o delle convinzioni personali, dell’appartenenza sindacale, dello status genetico, dello stato di salute o dell’orientamento sessuale, ovvero un trattamento che comporti misure aventi tali effetti». Tale garanzia rappresenta evidentemente una declinazione specifica del principio generale di eguaglianza e non discriminazione, sancito a livello costituzionale (art. 3) e sovranazionale (art. 9 TUE, artt. 20 ss. CDFUE, art. 14 CEDU), ma giustifica una menzione separata proprio in ragione della difficoltà di individuare il fattore discriminatorio all’interno di un procedimento robotizzato e, pertanto, teoricamente impersonale e imparziale per definizione. In questi casi, infatti, l’effetto discriminatorio non deriva tanto dall’operazione di elaborazione automatica in sé, quanto dal carattere biased del bacino di dati da cui attinge l’algoritmo[66].

Come evidenziato dalla dottrina[67], l’attuazione del principio di non discriminazione algoritmica richiede dunque, da un lato, la verifica della correttezza, dell’affidabilità e della qualità dei dati di input, al fine di evitare che gli eventuali profili di errore influenzino il risultato decisionale e producano un effetto discriminatorio; dall’altro, coinvolge la responsabilità organizzativa e preventiva delle amministrazioni nella fase iniziale di configurazione dei procedimenti automatizzati e delle regole algoritmiche da utilizzare, in modo da assicurarne un utilizzo ragionevole, proporzionato e pienamente imparziale.

3. La legalità algoritmica alla prova della dequotazione dei vizi di forma e di procedimento

A conclusione della breve panoramica sulla disciplina del procedimento amministrativo automatizzato, è opportuno svolgere alcune riflessioni in merito al rapporto fra i principi di legalità algoritmica, così come individuati e applicati dalla giurisprudenza amministrativa, e l’istituto dei c.d. vizi non invalidanti ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241/1990[68] il quale, com’è noto, determina una dequotazione dei vizi formali e procedurali del provvedimento qualora, per la natura vincolata di quest’ultimo, «sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»[69].

I principi di legalità algoritmica costituiscono a tutti gli effetti delle regole di diritto pretorio – frutto di un’azione «davvero creativa» del formante giurisprudenziale[70] – che mirano al rafforzamento di talune garanzie procedimentali, previste in via generale dalla l. n. 241/1990 e da altre fonti normative, con specifico riferimento ai procedimenti amministrativi algoritmici. Lo scopo è evidentemente quello di offrire una maggiore protezione ai destinatari dell’azione amministrativa automatizzata, poiché si ritiene che le regole procedimentali ordinarie possano lasciare dei vuoti di tutela nelle situazioni giuridiche dei cittadini, a causa dell’innovatività dello strumento algoritmico e della delicatezza delle questioni giuridiche che esso solleva.

Tali principi avrebbero dunque l’effetto di integrare le garanzie sancite dalla legge sul procedimento amministrativo e di corroborarle, in particolare, nel segno di una maggiore trasparenza e comprensibilità dello strumento informatico utilizzato, nonché della necessarietà dell’intervento umano a margine della procedura digitale. Perciò, al di là della configurazione esteriore in termini di principi generali, in alcune ipotesi essi sembrerebbero disvelare, in realtà, delle specifiche regole di legalità procedimentale, rispetto alle quali il rischio di un’effettiva applicazione dell’istituto dei vizi non invalidanti appare tutt’altro che remoto. Assieme ad altre regole – queste ultime perlopiù positivizzate all’interno di fonti legislative[71] –, i principi del procedimento algoritmico instaurerebbero infatti, in capo ai destinatari dell’azione amministrativa, «una nuova generazione di pretese procedimentali, dopo quelle riconosciute all’interno della l. 241/1990»[72], rispetto alle quali, peraltro, le “nuove” prerogative sembrerebbero rivelare una sorta di omogeneità e continuità di fondo, quantomeno sotto il profilo funzionale[73]. In disparte la questione vertente sulla natura giuridica delle pretese collegate allo svolgimento di un’attività amministrativa digitalizzata[74], da ciò discenderebbe che le garanzie procedimentali raggruppate nel paradigma della legalità algoritmica siano invariabilmente esposte, così come quelle del procedimento amministrativo tradizionale, alla dequotazione dei vizi originati dalla loro inosservanza, e che dunque la lesione delle pretese procedimentali digitali possa essere assistita da un mero rimedio risarcitorio (ove configurabile), e non comporti necessariamente l’annullamento della decisione finale.

Ciò posto, è necessario interrogarsi sulla forza giuridica delle suddette garanzie e sulle modalità con le quali esse si rapportano all’art. 21-octies, comma 2, nelle ipotesi di attività amministrativa algoritmica di natura vincolata. In particolare, si vuole affrontare la questione se, in tale ambito, si realizzi un’ipotesi di applicazione della teoria giurisprudenziale della legalità procedimentale rafforzata[75], o comunque di una fattispecie analoga, In caso di risposta affermativa, si dovrebbe concludere nel senso dell’inapplicabilità dell’istituto dei vizi non invalidanti, trattandosi di garanzie procedimentali per l’appunto rafforzate, e dunque non suscettibili di essere dequotate ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2. Di conseguenza, l’inosservanza dei principi di legalità algoritmica da parte della pubblica amministrazione, ancorché il contenuto dispositivo del provvedimento «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», determinerebbe comunque l’annullabilità dell’atto finale.

3.1. La dimensione multilivello e il problema dell’effettività del diritto eurounitario

Preliminarmente, la disamina sull’effettiva applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2, ai principi di legalità algoritmica deve prendere le mosse dalla relazione fra i suddetti principi e gli effetti della normativa eurounitaria dalla quale essi sono mutuati, ossia il GDPR. Qualora il procedimento algoritmico implichi il trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e, al contempo, rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea[76], esso sarebbe pienamente soggetto alle già citate disposizioni del GDPR e pertanto, in queste ipotesi, l’applicazione dei principi “domestici” di legalità algoritmica parrebbe celare, in realtà, un’applicazione diretta delle norme europee, collocate in posizione di primazia rispetto ad una norma interna quale l’art. 21-octies, comma 2[77]. Ciononostante, non sembrerebbe derivarne in modo automatico l’obbligo, per il giudice amministrativo nazionale, di disapplicare tale disposizione e di ritenere, di conseguenza, pienamente invalidi e annullabili gli atti amministrativi violativi dei principi di legalità algoritmica desunti dalla normativa eurounitaria[78]. Poiché infatti, secondo l’opinione largamente prevalente in giurisprudenza, l’art. 21-octies, comma 2, costituisce una norma di natura processuale e non sostanziale[79], assumerebbe rilievo il principio di autonomia procedurale degli Stati membri, il quale rimette agli ordinamenti nazionali la fissazione delle modalità (e dei limiti) di tutela giudiziale delle situazioni giuridiche sorte sulla base del diritto unionale, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività[80]. In altre parole, l’illegittimità del provvedimento vincolato per contrasto con i principi di legalità algoritmica direttamente stabiliti dalla normativa europea potrebbe comunque essere dequotata – e l’atto stesso non essere annullato dal giudice amministrativo – in virtù di una norma processuale interna qual è l’art. 21-octies, comma 2, qualora ciò non pregiudichi del tutto l’effettività delle norme europee e, dunque, l’esercizio da parte dei privati dei diritti che derivano da queste ultime.

Ad ogni modo, il problema della primazia del diritto dell’Unione in relazione all’applicabilità dell’istituto dei vizi non invalidanti ai principi di legalità algoritmica non sembrerebbe porsi nelle ipotesi procedimenti amministrativi automatizzati che non contemplino il trattamento di dati personali[81], o che esplichino un’attività non rientrante nell’ambito di applicazione del diritto eurounitario. Sul punto, si potrebbe tuttavia obiettare che le norme del GDPR, poste a fondamento delle regole di legalità algoritmica, costituiscano altrettanti principi generali dell’ordinamento europeo, i quali troverebbero in tal modo applicazione anche nei procedimenti interni non direttamente soggetti al GDPR e al diritto unionale (c.d. effetto di spill over[82]), in virtù del rinvio contenuto nell’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990, con la conseguente necessità di interrogarsi nuovamente circa il rapporto tra effettività del diritto europeo e applicabilità in ogni caso dell’art. 21-octies, comma 2, in virtù del principio di autonomia procedurale degli Stati membri. Ebbene, se ciò può forse valere per il principio di conoscibilità/trasparenza[83] e per quello di non discriminazione algoritmica[84], se intesi nella loro accezione più ampia, sembrerebbe invece più difficile sostenere questa ricostruzione con riferimento al principio di non esclusività della decisione algoritmica.

L’art. 22 del GDPR, da cui tale regola è mutuata, appare infatti come una disposizione precettiva di tenore specifico, peraltro accompagnata, come si è visto, da ampie previsioni derogatorie[85]: così, ad esempio, un’esplicita previsione normativa da parte dell’Unione o di uno Stato membro può autorizzare le amministrazioni ad effettuare procedure interamente automatizzate e prive di intervento umano, alla (generica) condizione di disporre contestualmente delle «misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato»[86]. Inoltre, il successivo art. 23 del GDPR consente al diritto dell’Unione o di uno Stato membro di limitare, mediante misure legislative, la portata di numerosi obblighi e diritti derivanti dalle disposizioni dello stesso Regolamento, ivi compreso l’art. 22, qualora «tale limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica», al fine di salvaguardare una serie assai vasta di interessi di portata generale[87]. Come attentamente osservato dalla dottrina, tale è l’ampiezza di queste eccezioni che «viene da chiedersi quando, in realtà, si possa applicare la regola»[88]. Per contro, i «principi dell’ordinamento comunitario» cui deve conformarsi l’attività amministrativa nazionale ai sensi dell’art 1, comma 1, della l. n. 241/1990 sono di portata ben più ampia: tradizionalmente, infatti, vengono ricondotti a tale novero – oltre ai principi costitutivi e istituzionali che sorreggono l’Unione[89] – i principi generali dell’azione amministrativa quali la legalità, l’imparzialità, la proporzionalità, la ragionevolezza, la precauzione, la buona amministrazione e il giusto procedimento, la giustiziabilità degli atti amministrativi, la trasparenza, la tutela del legittimo affidamento, etc.[90].

3.2. La legalità algoritmica fra regole sostanziali e procedurali

Ritornando dunque alla questione principale, vertente sull’applicabilità dell’istituto dei vizi non invalidanti alle ipotesi di inosservanza dei principi di legalità algoritmica, appare opportuno operare una distinzione e tentare di formulare una soluzione differenziata. Per quanto concerne il principio di conoscibilità e quello di non discriminazione, entrambi sembrerebbero connotati da una valenza sostanzialistica, l’uno per essere strettamente collegato all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi e alla sua piena conoscibilità[91], l’altro per essere una declinazione diretta del principio costituzionale di eguaglianza[92]. In altri termini, questi principi esprimerebbero altrettante garanzie di legalità in senso “forte” e non cedevole, relative al contenuto sostanziale della decisione amministrativa – alla decifrabilità e rintracciabilità dell’iter logico-argomentativo posto alla sua base, nonché al suo carattere non discriminatorio –, più che ad aspetti strettamente procedimentali. Dunque, la violazione di uno dei suddetti principi non sarebbe suscettibile di integrare un mero vizio di forma o di procedimento, né potrebbe essere, di conseguenza, dequotata in virtù dell’istituto dei vizi non invalidanti.

In merito al terzo pilastro, ossia al principio di non esclusività della decisione algoritmica, la questione sembra porsi, almeno in parte, in termini diversi. Tralasciando le prime sentenze di primo grado di orientamento più restrittivo, le quali, come si è visto, ricollegano tale principio a garanzie di tenore costituzionale (con evidente impossibilità di applicare l’istituto di cui all’art. 21-octies, comma 2), le pronunce successive dei giudici amministrativi sembrano considerare la non esclusività algoritmica come una regola di carattere puramente procedimentale, sebbene certamente più specifica e stringente di quelle contenute nella legge generale sul procedimento amministrativo.

In particolare, la non esclusività della decisione algoritmica potrebbe essere letta come una declinazione specifica delle regole procedimentali in materia di individuazione e di compiti del responsabile del procedimento, nonché di partecipazione degli interessati. Rispetto alla normale operatività di queste norme, l’interpretazione giurisprudenziale si limiterebbe ad aggiungere un’ulteriore previsione secondo la quale, in presenza di procedimenti algoritmici, il responsabile del procedimento ha il dovere di garantire l’intervento di un funzionario umano nell’iter di formazione della decisione amministrativa. Trattandosi, in altri termini, di una particolare interpretazione ed applicazione di alcune specifiche regole procedurali contenute nella l. n. 241/1990, la non esclusività della decisione algoritmica sembrerebbe astrattamente assoggettata, alla pari di queste ultime, al regime dei vizi non invalidanti[93].

3.3. Non esclusività della decisione automatizzata e rafforzamento della legalità procedimentale: l’uso di algoritmi come potere implicito?

Ciò premesso, al fine di valutare se il principio di non esclusività della decisione algoritmica possa essere inteso (e applicato) come regola di legalità procedimentale rafforzata, dotata di una forza giuridica idonea a resistere alla dequotazione ex art. 21-octies nelle ipotesi di sua violazione, è necessario verificare se sussista il presupposto giuridico, in presenza del quale la giurisprudenza amministrativa è solita attuare il rafforzamento delle garanzie procedimentali: il deficit di legalità sostanziale, che ricorre tipicamente nelle ipotesi di poteri amministrativi impliciti[94]. L’inosservanza del principio di legalità in senso sostanziale in ordine all’attribuzione e all’esercizio di un potere verrebbe infatti compensata, secondo la giurisprudenza amministrativa, mediante il rafforzamento delle garanzie procedimentali e degli strumenti partecipativi riconosciuti ai soggetti interessati, la cui violazione non soggiacerebbe dunque all’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2. Sicché, in difetto di legalità sostanziale, quella procedimentale verrebbe a tutti gli effetti ri-quotata, e la relativa inosservanza darebbe luogo ad un vizio di illegittimità pienamente invalidante per l’atto finale[95].

La questione ruota quindi intorno al seguente interrogativo: l’utilizzo (in tutto o in parte) di strumenti algoritmici costituisce un potere implicito, privo cioè di una base legale che ne fondi l’attribuzione e ne regoli in modo circostanziato l’esercizio da parte della P.A.?

Ebbene, nel caso di attività amministrativa algoritmica non sembrerebbe riscontrarsi un vero e proprio caso di deficit di legalità sostanziale: ad avviso della giurisprudenza, l’utilizzo di strumenti automatizzati nell’ambito del procedimento amministrativo non costituirebbe infatti un potere autonomo (implicito), ma un mero «modulo organizzativo» di carattere procedurale ed istruttorio[96], e dunque collocato in una dimensione strettamente accessoria e funzionale rispetto all’esercizio del potere amministrativo attribuito dalla norma primaria. Come particolare tipologia procedimentale, esso costituirebbe il «modus operandi della scelta autoritativa, da svolgersi sulla scorta delle legislazione attributiva del potere e delle finalità dalla stessa attribuite all’organo pubblico, titolare del potere»[97]. Anche secondo la condivisibile ricostruzione di parte della dottrina, il ricorso agli algoritmi sarebbe espressione della potestà auto-organizzatoria interna (oppure del potere di auto-limite) della P.A., la quale, nell’esercizio del potere attribuito dalla legge, impiega come modulo organizzativo-procedurale il software algoritmico[98].

La sussistenza di una copertura legislativa andrebbe dunque verificata, nell’ottica del rispetto del principio di legalità sostanziale, non tanto in relazione alla scelta di utilizzare (in tutto o in parte) procedure algoritmiche, quanto in relazione al potere autoritativo che viene esercitato attraverso il procedimento in questione. La legittimazione della P.A. all’utilizzo di algoritmi come moduli operativi non richiederebbe, pertanto, un’apposita previsione normativa, ma discenderebbe dalla stessa norma attributiva del potere “principale”, in combinato disposto con la generale potestà di auto-organizzazione (o di auto-limite) dell’amministrazione e con le disposizioni di rango primario che ammettono in via generale, pur con estrema vaghezza, l’impiego di algoritmi e altre tecnologie digitali come strumento organizzativo-procedimentale.

Si fa riferimento, in particolare, al canone di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990, all’art. 3-bis della medesima legge[99], nonché agli artt. 12, comma 1, e 41, comma 1, del d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale, CAD)[100], i quali, nel loro complesso, potrebbero fungere da base legale “minima” per lo svolgimento di procedimenti amministrativi algoritmici[101]. Senza tralasciare, peraltro, la copertura a livello costituzionale implicitamente fornita dal principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.)[102], il quale, secondo la giurisprudenza, potrebbe addirittura rendere doveroso, in alcuni casi, affidare l’attività amministrativa a procedure interamente automatizzate, in assenza dell’intervento umano[103].

Poiché la scelta di impiegare procedure automatizzate non sarebbe configurabile come un potere implicito dotato di valenza autonoma, ma come un mero modus operandi, peraltro fornito di una base legale, non sussisterebbero i presupposti per un eventuale recupero della legalità sostanziale per via procedimentale, mediante l’attribuzione di una maggior forza giuridica al principio di non esclusività algoritmica. In sostanza, l’elaborazione giurisprudenziale di tale principio non sembrerebbe svelare, allo stato attuale, un’ulteriore fattispecie di applicazione della tecnica di rafforzamento della legalità procedimentale, solitamente impiegata in relazione ai poteri impliciti.

3.4. Una diversa via per il rafforzamento del principio di non esclusività: le garanzie (sostanziali) del responsabile del procedimento e della partecipazione

Al fine di raggiungere il risultato auspicato in questa sede – ossia affermare la capacità del principio di non esclusività di “resistere” alla dequotazione ex art. 21-octies, comma 2 –, è dunque necessario utilizzare un diverso percorso interpretativo. Anziché considerarlo come una regola procedimentale rafforzata (presupponendo a monte un potere implicito nell’utilizzo degli algoritmi, con deficit di legalità sostanziale), si dovrebbe ricollegare il suddetto principio a disposizioni che esprimono delle garanzie sostanziali per i cittadini, al pari di quanto può avvenire, secondo la ricostruzione qui presentata, con riferimento agli altri due pilastri della legalità algoritmica.

Sul punto, potrebbe risultare utile il richiamo alle norme relative all’individuazione e ai compiti del responsabile del procedimento (artt. 4 ss. della l. n. 241/1990), interpretandole come implicanti il necessario intervento materiale di un funzionario persona fisica, al di là della sua mera designazione formale (c.d. principio antropomorfico)[104]. Anche se alle disposizioni in parola è stata più volte riconosciuta una valenza meramente procedurale e dunque “debole”[105], è pur vero che la loro dequotazione ha sinora riguardato le ipotesi di omessa nomina e individuazione del responsabile, cui «supplisce il criterio legale d’imputazione del ruolo al dirigente preposto all’unità organizzativa competente»[106], dando perciò come presupposta l’esistenza, in ogni caso, di un funzionario umano cui sia imputabile l’attività amministrativa.

Nell’ipotetico contesto di un’attività amministrativa esclusivamente algoritmica, invece, sarebbe riscontrabile la nomina formale di un funzionario umano, ma questi non interverrebbe materialmente nell’iter procedimentale. Tuttavia, in tale eventualità, le disposizioni della l. n. 241/1990 in tema di responsabile del procedimento, interpretate in chiave antropomorfica, potrebbero effettivamente esprimere una valenza garantistica di tenore sostanziale e, di conseguenza, resistente alla dequotazione ex art. 21-octies, comma 2, evitando così una piena pretermissione del contributo umano nella dinamica procedimentale. In effetti, come è stato osservato, «pure in presenza di un procedimento affidato interamente agli algoritmi […] la sorte della decisione amministrativa è rimessa, o è comunque riconducibile, alla libertà/discrezionalità/responsabilità del decisore umano», il quale sarebbe in ogni caso legittimato – ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e), della l. n. 241/1990 – a discostarsi motivatamente dalle risultanze dell’istruttoria svolta in forma automatizzata[107].

D’altronde, in talune pronunce sembrerebbe ammettersi che l’inosservanza delle norme sull’individuazione e la comunicazione del responsabile del procedimento possa comunque assumere un rilievo sostanziale, laddove ne sia derivato un concreto pregiudizio per la partecipazione del privato al procedimento[108]. Il ruolo del funzionario come garante della partecipazione procedimentale e dell’interlocuzione tra amministrazione e cittadini[109] farebbe quindi emergere la stretta interconnessione tra le norme sul responsabile del procedimento e quelle che disciplinano l’intervento degli interessati e il contraddittorio con l’autorità procedente (artt. 7 ss. della l. n. 241/1990).

Sicché potrebbe risultare ancor più pregnante, ai fini della sostanzializzazione del principio di non esclusività algoritmica, il riferimento alle disposizioni sulla partecipazione procedimentale, ritenendo che tali garanzie debbano essere interpretate nel senso di esigere il necessario svolgimento, anche solo in minima parte, di un’interlocuzione “umana” tra il cittadino e il funzionario persona fisica[110].

È certamente vero che nemmeno l’inosservanza di queste norme – benché costituiscano la vera e propria chiave di volta della procedural fairness, anche a livello sovranazionale[111] – dà luogo ad annullabilità del provvedimento finale quando il contributo dei privati appare superfluo e inidoneo ad incidere sul contenuto decisorio del provvedimento, in presenza di attività amministrativa interamente vincolata[112]. Nondimeno, parte della giurisprudenza distingue, nell’ambito dei provvedimenti vincolati, «tra i casi in cui i fatti che ne costituiscono il presupposto e la loro valutazione siano pacifici ed incontestati da parte del privato, casi nei quali appare superfluo ogni spazio di intervento da parte del cittadino inciso, e i casi in cui, invece, tali presupposti siano contestati e la partecipazione del privato appaia proficua, essendovi circostanze che, qualora fossero state rappresentate dall’interessato, avrebbero potuto indurre l’autorità a chiudere il procedimento in senso favorevole all’interessato stesso»[113]. Di più, in presenza di «situazioni peculiari e giuridicamente complesse», il Consiglio di Stato ha precisato che la «natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative […] anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa»[114].

Nelle ipotesi di fatti complessi o ad accertamento complesso[115], dunque, sembrerebbe potersi aprire uno spiraglio per una concezione sostanzialistica della partecipazione procedimentale, suscettibile di paralizzare l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, poiché l’apporto dell’interessato sarebbe effettivamente in grado di influire concretamente sul contenuto della decisione amministrativa, benché vincolata. In questo modo, l’ancoraggio tra garanzie partecipative e principio di non esclusività algoritmica potrebbe conferire anche a quest’ultimo una connotazione sostanziale, che sorregga la pretesa del privato di interloquire con un funzionario “umano” quantomeno nella fase di accertamento dei presupposti di fatto e di diritto necessari per l’adozione del provvedimento automatizzato[116].

La partecipazione, insomma, assumerebbe sempre di più le sembianze di un meta-principio di garanzia del giusto procedimento automatizzato, in grado di porsi a fondamento della valenza sostanzialistica del principio di non esclusività algoritmica, sottraendolo così all’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, anche in virtù del suo collegamento con il principio europeo di buona amministrazione[117]. Per di più, l’attuazione delle garanzie partecipative potrebbe allo stesso tempo legittimare democraticamente le decisioni amministrative automatizzate, in quanto basate sul consenso degli amministrati che si esplica tramite l’apporto collaborativo e l’interlocuzione con un funzionario umano (perlomeno in una delle fasi dell’iter procedimentale)[118].

In sintesi, la triangolazione fra partecipazione procedimentale, necessario intervento del responsabile umano e divieto di procedimenti interamente automatizzati incardinerebbe uno strumento di garanzia sostanziale – e non dequotabile – per i destinatari dell’azione amministrativa, che peraltro confliggerebbe con l’ipotesi di attuare il contraddittorio solamente nella fase finale del procedimento, ossia facendolo vertere su uno schema di decisione già preconfezionato dallo strumento algoritmico. Ciò, come è stato osservato, snaturerebbe la funzione principale dell’istituto partecipativo, ossia quella di «stabilire un regime di comunicazione dal quale possa scaturire una “bozza” di decisione»[119] fondata sulla previa acquisizione e selezione degli interessi coinvolti, a partire dall’obbligo, gravante sull’amministrazione, di valutare le memorie e i documenti prodotti dagli intervenienti, ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento[120]. Ciò evidentemente trascende la mera facoltà di disattendere lo schema di decisone algoritmica, rigettando o accogliendo le osservazioni presentate ex post dagli interessati, ma richiede che una più ampia valorizzazione delle dinamiche partecipative tanto in funzione difensiva, quanto collaborativa[121].

Resta da evidenziare, peraltro, come la sostanzializzazione dei principi di legalità algoritmica non debba necessariamente compiersi secondo percorsi interpretativi rigidamente separati gli uni dagli altri. Come ha osservato la dottrina[122], i tre principi sono caratterizzati da una stretta interdipendenza reciproca e si sostengono a vicenda, sicché risulta difficile immaginare un’applicazione isolata di ciascuno di essi: a ben vedere, infatti, «se l’intervento umano serve a rendere conoscibile la motivazione e trasparente l’iter logico della decisione automatizzata, entrambi questi elementi sono decisivi per determinare in concreto l’esistenza o meno di una ragione discriminatoria o di una violazione del principio di eguaglianza»[123]. Ciò implica che, nella verosimile ipotesi di un utilizzo “combinato” dei tre pilastri, la non esclusività algoritmica si rivelerebbe in concreto indispensabile per l’attuazione degli altri due principi e, pertanto, potrebbe trarre da essi la forza giuridica – ossia la valenza sostanziale – utile per sfuggire all’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2.

4. Conclusioni

La progressiva affermazione dell’attività amministrativa algoritmica pone gli interpreti davanti a sfide inedite.

In quest’ambito, uno dei punti fermi è certamente rappresentato dalla consapevolezza che «l’utilizzo di procedure “robotizzate” non può […] essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa”, e che pertanto l’applicazione della regola algoritmica «deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 l. n. 241/90), di ragionevolezza, di proporzionalità, etc.»[124].

In altre parole, l’impiego degli algoritmi da parte della P.A. deve in ogni caso collocarsi nell’alveo del giusto procedimento amministrativo[125], incentrato innanzitutto sulla piena tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti coinvolti, e declinarlo nella forma del giusto procedimento tecnologico (technological due process)[126]. A fronte della digitalizzazione dell’attività amministrativa, l’individuazione e l’applicazione dei principi di legalità algoritmica sono dunque funzionali a preservare e ad adeguare le norme procedimentali che attuano le garanzie classiche dello Stato di diritto, affiancando alla rule of law una nuova rule of technology[127] parametrata sullo statuto costituzionale della pubblica amministrazione[128].

Come si è visto, il coordinamento con le norme sul procedimento amministrativo è particolarmente delicato con riferimento a quelle disposizioni – in specie, l’art. 21-octies, comma 2 – che realizzano una dequotazione delle garanzie procedurali e partecipative, laddove i principi di legalità algoritmica tendono invece a rafforzarle, in considerazione delle criticità sollevate dall’impiego degli strumenti di automatizzazione delle decisioni amministrative. Come è stato osservato in dottrina, se da un lato non è possibile prescindere dall’applicazione dei consolidati istituti procedimentali e partecipativi anche nello scenario dell’amministrazione digitalizzata, dall’altro la presenza di norme esplicite di segno contrario può comunque metterne in dubbio la doverosa applicazione[129]. Da qui l’esigenza che la legge generale sull’azione amministrativa venga applicata alla «in una dimensione addirittura “rinforzata”, e secondo schemi di ragionamento ancor più rigorosi di quelli usualmente noti alla dottrina ed alla giurisprudenza nostre», al fine di preservare la vigenza di «istituti chiave, quali la comunicazione partecipativa, la responsabilità istruttoria del funzionario-essere umano, la motivazione intesa come discorso giustificativo e non solo come esplicazione di formule matematiche e – ove ritenuto ammissibile – di accessibilità al codice sorgente»[130]. L’applicazione delle regole di legalità algoritmica assume perciò una valenza cruciale, poiché proprio in esse l’irrobustimento delle garanzie procedimentali trova una sua prima, provvisoria sistematizzazione.

Tale rafforzamento, peraltro, non si realizzerebbe secondo la logica del recupero in via procedimentale del deficit di legalità sostanziale, in analogia con quanto avviene solitamente in relazione ai c.d. poteri impliciti, ma dovrebbe fondarsi sull’attribuzione di una valenza sostanziale, e non meramente formale-procedurale, alle regole della legalità algoritmica. Ciò potrebbe avvenire, come si è detto, tramite il collegamento diretto con norme e principi che realizzano una tutela sostanziale delle situazioni giuridiche soggettive, e che possono avere una matrice interna (come, nel caso del principio di non esclusività algoritmica, le disposizioni sulla partecipazione procedimentale e quelle, strettamente connesse, sul responsabile del procedimento), oppure possono riferirsi ai «principi generali dell’ordinamento comunitario» che compongono il canone della buona amministrazione (come nel caso della trasparenza-conoscibilità algoritmica e del divieto di discriminazione).

In ogni caso, l’attribuzione di un’autonoma valenza sostanziale sembra essere la chiave per rafforzare le garanzie connesse ai principi di legalità algoritmica e per assicurarne la “tenuta” di fronte alla dequotazione dei vizi procedimentali di cui all’art. 21-octies, comma 2[131]. E ciò non solamente nell’ottica della «libertà garantita» dei moderni[132], cioè del diritto di difesa della propria sfera giuridica nei confronti dei poteri pubblici, ma anche in funzione della realizzazione del modello democratico.

Se la demarchia, ossia la democrazia attuata tramite la partecipazione (tendenzialmente) paritaria del «nuovo cittadino» all’esercizio delle funzioni amministrative, ha rappresentato il paradigma per l’attuazione della «libertà attiva» dei post-moderni[133], un’analoga prospettiva dovrebbe essere assicurata anche al cittadino “digitale”, posto di fronte all’amministrazione algoritmica. Sotto questo aspetto, è necessario che l’incalzante paradigma dello sviluppo tecnologico non si traduca in un’involuzione dei rapporti procedimentali verso una direttrice autoritaria e asimmetrica, con meno garanzie e meno diritti per i soggetti coinvolti dall’azione amministrativa[134]; l’implementazione e il rafforzamento dei principi di legalità algoritmica rispondono precisamente a questa esigenza.

Tuttavia, l’effettività di tali regole non può essere sorretta esclusivamente dalle tecniche di rafforzamento messe in atto dall’interpretazione giurisprudenziale. Per quanto sia apprezzabile lo sforzo dei giudici amministrativi orientato ad erigere degli ulteriori e specifici presidi garantistici a tutela dei destinatari dell’attività amministrativa automatizzata, è certamente auspicabile l’introduzione di una disciplina legislativa ad hoc che recepisca e stabilizzi a livello nazionale i principi di legalità algoritmica, anche al di fuori del perimetro di applicazione del Regolamento europeo sui dati personali, escludendo espressamente – in deroga all’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2 – l’irrilevanza dei vizi dell’atto amministrativo derivanti dalla violazione dei principi stessi.

In conclusione, la portata radicalmente innovativa dell’utilizzo degli algoritmi nel procedimento amministrativo e la connessa difficoltà di applicare le norme esistenti, spesso inadeguate al nuovo contesto, richiedono un tempestivo intervento del decisore politico, la cui provvisoria supplenza da parte delle regole di matrice pretoria non sembra pienamente sostenibile nel medio e lungo periodo[135].

  1. In generale sulla digitalizzazione della P.A. si vedano ex multis: A. Masucci, L’atto amministrativo informatico. Primi lineamenti di una ricostruzione, Jovene, Napoli, 1993; F. Merloni (a cura di), Introduzione all’e-government. Pubbliche amministrazioni e società dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2005; G. Duni, L’amministrazione digitale. Il diritto amministrativo nella evoluzione telematica, Giuffrè, Milano, 2008; E. D’Orlando, Profili costituzionali dell’amministrazione digitale, in Dir. inform., 2, 2011, pp. 213 ss.; F. Costantino, Autonomia dell’amministrazione e innovazione digitale, Jovene, Napoli, 2012; Id., L’uso della telematica nella Pubblica Amministrazione, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 242 ss.; S. Civitarese Matteucci, L. Torchia (a cura di), La tecnificazione, in L. Ferrara, D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana. Studi, Vol. IV, Firenze University Press, Firenze, 2016; F. Cardarelli, L’uso della telematica, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 509 ss.; G. Pesce, Digital First. Amministrazione digitale: genesi, sviluppi, prospettive, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018; F. Martines, La digitalizzazione della pubblica amministrazione, in Medialaws, 2, 2018, pp. 146 ss.; P. Otranto, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in Federalismi.it, 2, 2018; J.B. Auby, Il diritto amministrativo di fronte alle sfide digitali, in Ist. fed., 3, 2019, pp. 619 ss.; M.G. Losano, La lunga marcia dell’informatica nelle istituzioni italiane, in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, Giappichelli, Torino, 2020, pp. XXIII ss.; M. Simoncini, Lo «Stato digitale». L’agire provvedimentale dell’amministrazione e le sfide dell’innovazione tecnologica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2021, pp. 529 ss.; E.N. Fragale, La cittadinanza amministrativa al tempo della digitalizzazione, in Dir. amm., 2, 2022, pp. 471 ss.; B. Marchetti, Amministrazione digitale, in Enc. dir., Tematici, Vol. III, Funzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 75 ss.; A. Pajno, F. Donati, A. Perrucci (a cura di), Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Vol. II, Amministrazione, responsabilità, giurisdizione, Il Mulino, Bologna, 2022.
  2. Secondo la celebre definizione di F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 1952, pp. 118 ss.
  3. R. Ferrara, Introduzione al diritto amministrativo. Le pubbliche amministrazioni nell’era della globalizzazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 102.
  4. Nel senso che il procedimento sia il vero «luogo di elezione» per l’analisi dell’impatto della digitalizzazione sul diritto amministrativo, con particolare riferimento all’individuazione delle «regole che devono essere necessariamente rispettate, affinché il sistema di garanzie su cui si fonda lo “Stato di diritto” (e, nel nostro caso, “di diritto amministrativo”) resti intatto», si veda D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 3-4, 2020, p. 515.
  5. Sul punto vedasi più diffusamente D.U. Galetta, Digitalizzazione e diritto ad una buona amministrazione (Il procedimento amministrativo, fra diritto UE e tecnologie ICT), in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, cit., pp. 85 ss., nonché – per i profili connessi all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con riferimento alla digitalizzazione della P.A. – Ead., Transizione digitale e diritto ad una buona amministrazione: fra prospettive aperte per le Pubbliche Amministrazioni dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e problemi ancora da affrontare, in Federalismi.it, 7, 2022.In generale sul principio di buona amministrazione nel contesto europeo e sulle sue ricadute a livello nazionale, cfr. R. Bifulco, Art. 41. Diritto ad una buona amministrazione, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 290 ss.; A. Zito, Il «diritto ad una buona amministrazione» nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’ordinamento interno, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2, 2002, pp. 425 ss.; D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 3-4, 2005, pp. 819 ss.; F. Trimarchi Banfi, Il diritto ad una buona amministrazione, in M.P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte generale, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 49 ss.; A. Serio, Il principio di buona amministrazione procedurale. Contributo allo studio del buon andamento nel contesto europeo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2008; D.U. Galetta, Diritto ad una buona amministrazione e ruolo del nostro giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in Dir. amm., 3, 2010, pp. 601 ss.; M. Trimarchi, L’art. 41 della Carta Europea dei diritti fondamentali e la disciplina dell’attività amministrativa in Italia, in Dir. amm., 3, 2011, pp. 537 ss.; A. Giuffrida, Il “diritto” ad una buona amministrazione pubblica e profili sulla sua giustiziabilità, Giappichelli, Torino, 2012; D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione fra diritto Ue e diritto nazionale e le novità dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in S. Civitarese Matteucci, F. Guarriello, P. Puoti (a cura di), Diritti fondamentali e politiche dell’Unione europea dopo Lisbona, Maggioli, Rimini, 2013, pp. 71 ss.; C. Celone, Il diritto alla buona amministrazione tra ordinamento europeo ed italiano, in Dir. econ., 3, 2016, pp. 669 ss.; Id., Il “nuovo” rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione alla luce dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in F. Astone, M. Caldarera, F. Manganaro, F. Saitta, N. Saitta, A. Tigano (a cura di), Studi in onore di Antonio Romano Tassone, Vol. I, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, pp. 525 ss.; P. Piva, Art. 41. Diritto ad una buona amministrazione, in R. Mastroianni, O. Pollicino, F. Pappalardo, S. Allegrezza, O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 756 ss.; E.N. Fragale, Il diritto (europeo) alla buona amministrazione ed il problema dell’autonomia delle pretese partecipative, in Riv. it. dir. pubbl. com., 5, 2018, 5, pp. 825 ss.; D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti amministrativi oggi (anche alla luce delle discussioni sull’ambito di applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti UE), in Riv. it. dir. pubbl. com., 2, 2019, pp. 165 ss.; P. Provenzano, Il procedimento amministrativo e il diritto ad una buona amministrazione, in D.U. Galetta (a cura di), Diritto amministrativo nell’Unione europea. Argomenti (e materiali), Giappichelli, Torino, 2020, pp. 107 ss.
  6. Sulla distinzione tra amministrazione digitale e amministrazione algoritmica cfr. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, cit., p. 5.
  7. Ibidem.
  8. Ibidem.
  9. Sul procedimento amministrativo algoritmico e sulle decisioni automatizzate della P.A. si vedano, senza pretesa di completezza, D. Marongiu, L’attività amministrativa automatizzata. Profili giuridici, Maggioli, Rimini, 2005; A. Masucci, Procedimento amministrativo e nuove tecnologie. Il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte, Giappichelli, Torino, 2011; L. Viola, L’intelligenza artificiale nel procedimento e nel processo amministrativo: lo stato dell’arte, in Federalismi.it, 21, 2018; Id., Attività amministrativa e intelligenza artificiale, in Cib. dir., 1-2, 2019, pp. 64 ss.; G. Avanzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intelligibilità, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019; E. Carloni, Algoritmi su carta. Politiche di digitalizzazione e trasformazione digitale delle amministrazioni, in Dir. pubbl., 2, 2019, pp. 363 ss.; M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, in Federalismi.it, 16, 2019; S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1, 2019, pp. 5 ss.; F. Costantino, Rischi e opportunità del ricorso delle amministrazioni alle predizioni dei big data, in Dir. pubbl., 1, 2019, pp. 43 ss.; G. Fasano, Le decisioni automatizzate nella pubblica amministrazione: tra esigenze di semplificazione e trasparenza algoritmica, in Medialaws, 3, 2019, pp. 234 ss.; R. Ferrara, Il giudice amministrativo e gli algoritmi. Note estemporanee a margine di un recente dibattito giurisprudenziale, in Dir. amm., 4, 2019, pp. 773 ss.; D.U. Galetta, J.G. Corvalán, Intelligenza Artificiale per una Pubblica Amministrazione 4.0? Potenzialità, rischi e sfide della rivoluzione tecnologica in atto, in Federalismi.it, 3, 2019; A. Masucci, Vantaggi e rischi dell’automatizzazione algoritmica delle decisioni amministrative, in AA.VV., Scritti in onore di Eugenio Picozza, Vol. II, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, pp. 1105 ss.; G. Resta, Governare l’innovazione tecnologica: decisioni algoritmiche, diritti digitali e principio di uguaglianza, in Pol. dir., 2, 2019, pp. 199 ss.; S. Sassi, Gli algoritmi nelle decisioni pubbliche tra trasparenza e responsabilità, in An. giur. econom., 1, 2019, pp. 109 ss.; A. Simoncini, Profili costituzionali della amministrazione algoritmica, in Riv. trim. dir. pubbl., 4, 2019, pp. 1149 ss.; G. Orsoni, E. D’Orlando, Nuove prospettive dell’amministrazione digitale: Open Data e algoritmi, in Ist. fed., 3, 2019, pp. 593 ss.; I.M. Delgado, Automazione, intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: vecchie categorie concettuali per nuovi problemi?, in Ist. fed., 3, 2019, pp. 643 ss.; F. Costantini, G. Franco, Decisione automatizzata, dati personali e pubblica amministrazione in Europa: verso un “Social credit system”?, in Ist. fed., 3, 2019, pp. 715 ss.; C. Benetazzo, Intelligenza artificiale e nuove forme di interazione tra cittadino e pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 16, 2020; E. Carloni, AI, algoritmi e pubblica amministrazione in Italia, in IDP. Revista de Internet, Derecho y Política, 1, 2020; R. Cavallo Perin, Ragionando come se la digitalizzazione fosse data, in Dir. amm., 2, 2020, pp. 305 ss.; R. Cavallo Perin, I. Alberti, Atti e procedimenti amministrativi digitali, in R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, cit., pp. 119 ss.; A. Di Martino, L’amministrazione per algoritmi ed i pericoli del cambiamento in atto, in Dir. econ., 3, 2020, pp. 599 ss.; P. Forte, Diritto amministrativo e data science. Appunti di intelligenza amministrativa artificiale (AAI), in P.A. Pers. Amm., 1, 2020, pp. 247 ss.; G. Marchianò, La legalità algoritmica nella giurisprudenza amministrativa, in Dir. econ., 3, 2020, pp. 229 ss.; A. Masucci, L’algoritmizzazione delle decisioni amministrative tra Regolamento europeo e leggi degli Stati membri, in Dir. pubbl., 3, 2020, pp. 943 ss.; N. Muciaccia, Algoritmi e procedimento decisionale: alcuni recenti arresti della giustizia amministrativa, in Federalismi.it, 10, 2020; L. Musselli, La decisione amministrativa nell’età degli algoritmi: primi spunti, in Medialaws, 1, 2020, pp. 18 ss.; C. Napoli, Algoritmi, intelligenza artificiale e formazione della volontà pubblica: la decisione amministrativa e quella giudiziaria, in Riv. AIC, 3, 2020, pp. 318 ss.; A.G. Orofino, G. Gallone, L’intelligenza artificiale al servizio delle funzioni amministrative: profili problematici e spunti di riflessione, in Giur. it., 7, 2020, pp. 1738 ss.; B. Raganelli, Decisioni pubbliche e algoritmi: modelli di dialogo nell’assunzione di decisioni amministrative, in Federalismi.it, 22, 2020; A. Sola, Inquadramento giuridico degli algoritmi nell’attività amministrativa, in Federalismi.it, 16, 2020; G. Sorrentino, Funzione amministrativa, Costituzione e algoritmi. Divagazioni minime, in AA.VV., Scritti per Franco Gaetano Scoca, Vol. V, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pp. 4795 ss.; M. Timo, Algoritmo e potere amministrativo, in Dir. econ., 1, 2020, pp. 753 ss.; S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, in Dir. soc., 2, 2020, pp. 281 ss.; S. Vernile, Verso la decisione amministrativa algoritmica?, in Medialaws, 2, 2020, pp. 136 ss.; F. Lubrano, L’algoritmo e il provvedimento automatizzato. Una illusione amministrativa, dottrinale e giurisprudenziale, in AA.VV., Scritti in onore di Bruno Cavallo, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 21 ss.; P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, in Federalismi.it, 7, 2021; N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), in Dir. amm., 4, 2021, pp. 813 ss.; L. Parona, Government by algorithm”: un contributo allo studio del ricorso all’intelligenza artificiale nell’esercizio di funzioni amministrative, in Giorn. dir. amm., 1, 2021, pp. 10 ss.; G. Pinotti, Amministrazione digitale algoritmica e garanzie procedimentali, in Labour & Law Issues, 1, 2021, pp. 79 ss.; B. Spampinato, Per un primo inquadramento teorico della decisione amministrativa algoritmica, in Amb. dir., 3, 2021; A. Masucci, L’automatizzazione delle decisioni amministrative algoritmiche fra big data e machine learning. Verso l’algocratic governance?, in Dir. e proc. amm., 2, 2022, pp. 265 ss. In chiave comparata, cfr. da ultimo M. Finck, Automated Decision-Making and Administrative Law, in P. Cane, H.C.H. Hofmann, E.C. Ip, P.L. Lindseth (a cura di), The Oxford Handbook of Comparative Administrative Law, Oxford University Press, Oxford, 2021, pp. 657 ss.
  10. Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, p.ti 5-6.
  11. M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, cit., p. 3.
  12. Come osservato da A. Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, in BioLaw Journal, 1, 2019, p. 81, la decisione automatizzata presenta un’evidente forza “pratica” che «da un lato, solleva il decisore dal burden of motivation, dal peso dell’esame e della motivazione; dall’altro, gli consente di “qualificare” la propria decisione con un crisma di “scientificità” ovvero “neutralità” che oggi circonda la valutazione algoritmica e le conferisce una peculiare – quanto infondata – “autorità”».
  13. P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, cit., p. 190.
  14. Ibidem. Sulle diverse tipologie di algoritmi cfr. G. Avanzini, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, in A. Pajno, F. Donati, A. Perrucci (a cura di), Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Vol. II, cit., pp. 79 ss.
  15. La distinzione tra algoritmi comuni e sistemi di intelligenza artificiale è stata efficacemente chiarita in un recente arresto del Consiglio di Stato, il quale ha precisato che rientrano nella prima categoria i procedimenti basati su «una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato», osservando altresì che si tratta di una nozione «ineludibilmente collegata al concetto di automazione, ossia a sistemi di azione e controllo idonei a ridurre l’intervento umano». Nel caso dell’intelligenza artificiale, invece, «l’algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole software e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”) ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elaborazioni, secondo un processo di apprendimento automatico» (Cons. St., sez. III, 25 novembre 2021, n. 7891, p.to 9.1). Sul punto si veda N. Cappellazzo, Algoritmi, automazione e macchinismi di intelligenza artificiale: la classificazione proposta dal Consiglio di Stato, in Federalismi.it, Focus Lavoro Persona Tecnologia – Paper, 23 marzo 2022. In senso critico circa la possibilità di distinguere in modo netto gli algoritmi tradizionali dai sistemi di AI, si veda N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., pp. 817 ss. Sulla definizione di intelligenza artificiale, anche alla luce della recente proposta di Regolamento della Commissione europea del 21 aprile 2021 in argomento, cfr. G. Avanzini, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, cit., pp. 76-79.
  16. S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2007, p. 14. Sulla partecipazione procedimentale la letteratura è assai vasta. Si vedano, a titolo esemplificativo, S. Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo. Una analisi della legislazione e della giurisprudenza, in Arch. giur., 1-2, 1970, pp. 25 ss.; G. Berti, Procedimento, procedura, partecipazione, in AA.VV., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Cedam, Padova, 1975, pp. 779 ss.; M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1, 1980, pp. 225 ss.; F. Ledda, Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1, 1993, pp. 133 ss.; F. Trimarchi Banfi, La legge 241/1990. Questioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in Amministrare, 1, 1993, pp. 135 ss.; A. Andreani, Funzione amministrativa, procedimento, partecipazione nella legge 241/1990. Quaranta anni dopo la prolusione di Feliciano Benvenuti, in AA.VV., Studi in onore di Feliciano Benvenuti, Vol. I, Mucchi, Modena, 1996, pp. 97 ss.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1996; G. Virga, La partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1998; S. Cognetti, “Quantità” e “qualità” della partecipazione. Tutela procedimentale e legittimazione processuale, Giuffrè, Milano, 2000; M. D’Alberti, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2000, pp. 1 ss.; F. Giglioni, S. Lariccia, Partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa, in Enc. dir., Agg. IV, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 943 ss.; A. Crosetti, F. Fracchia (a cura di), Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze, Giuffrè, Milano, 2002; M. Occhiena, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 2002; A. Scognamiglio, Il diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 2004; M. Occhiena, Partecipazione al procedimento amministrativo, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Vol. V, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 4128 ss.; U. Allegretti, Procedura, procedimento, processo. Un’ottica di democrazia partecipativa, in Dir. amm., 4, 2007, pp. 779 ss.; G. Barone, I modelli di partecipazione procedimentale, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Il procedimento amministrativo, Jovene, Napoli, 2007, pp. 121 ss.; S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella dinamica del potere amministrativo, Giappichelli, Torino, 2008; F. Satta, Contraddittorio e partecipazione nel procedimento amministrativo, in Dir amm., 2, 2010, pp. 299 ss.; S. Lieto, Il diritto di partecipazione tra autorità e libertà, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011; M.C. Romano, La partecipazione al procedimento amministrativo, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, cit., pp. 283 ss.; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. amm., 2, 2017, pp. 209 ss. Per una approfondita ricostruzione degli orientamenti dottrinali in tema di plurifunzionalità della partecipazione procedimentale, si veda A. Carbone, Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 5 ss., cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici.
  17. Sulla democrazia partecipativa in ambito amministrativo cfr. per tutti U. Allegretti, L’amministrazione dall’attuazione costituzionale alla democrazia partecipativa, Giuffrè, Milano, 2009, spec. pp. 239 ss.
  18. R. Ferrara, Introduzione al diritto amministrativo. Le pubbliche amministrazioni nell’era della globalizzazione, cit., p. 115.
  19. Cfr. F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Marsilio, Venezia, 1994, p. 94: «il consenso espresso al momento della scelta [elettorale] è un semplice affidamento», mentre «solo la partecipazione all’esercizio della funzione comporta un consenso reale».
  20. Come osserva F. Pugliese, Per «amministrare» la felicità: dalla lex al νομοσ, in AA.VV., Studi in onore di Feliciano Benvenuti, Vol. IV, cit., p. 1782, vi sono ancora evidenti «esigenze di formalismo nell’osservazione delle regole […] poiché la legalità procedurale vale di per sé come crisma di legittimità del potere amministrativo». Ciò esalta il ruolo della legge sul procedimento amministrativo, «la quale instaura un nuovo rapporto tra amministrazione e cittadino, rapporto di apertura e collaborazione in cui la partecipazione al procedimento ed il generale dovere di motivazione assumono un chiaro valore legittimante della decisione».
  21. Pone l’accento sulla valenza (anche legittimante) della partecipazione procedimentale nell’ambito dell’attività amministrativa algoritmica I. Alberti, La partecipazione procedimentale per legittimare gli algoritmi nel procedimento amministrativo, in R. Cavallo Perin (a cura di), L’amministrazione pubblica con i big data: da Torino un dibattito sull’intelligenza artificiale, Università degli Studi di Torino, Torino, 2021, pp. 285 ss.
  22. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, in Dir. amm., 2, 2020, p. 281. Sul problema della base normativa dell’attività amministrativa algoritmica cfr. più ampiamente infra, § 3.3.
  23. Si fa riferimento, in particolare, alle pronunce di T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 22 marzo 2017, n. 3769; T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 10 settembre 2018, nn. 9224-9230; Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270; di T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 27 maggio 2019, n. 6606; Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, nn. 8472-8474; Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881; T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 24 giugno 2021, n. 7589.
  24. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., p. 9.
  25. Ivi, p. 19. Sulla legalità algoritmica cfr. inoltre B. Spampinato, Per un primo inquadramento teorico della decisione amministrativa algoritmica, cit., pp. 3 ss., E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., pp. 286 ss., e G. Marchianò, La legalità algoritmica nella giurisprudenza amministrativa, cit., pp. 239 ss.
  26. Art. 13, comma 2, lett. f), art. 14, comma 2, lett. g) e art. 15, comma 1, lett. h), GDPR.
  27. Art. 22, comma 1, GDPR.
  28. Considerando n. 71 GDPR.
  29. Cfr. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, p.to 11: «Né vi sono ragioni di principio, ovvero concrete, per limitare l’utilizzo all’attività amministrativa vincolata piuttosto che discrezionale, entrambe espressione di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse. In disparte la stessa sostenibilità a monte dell’attualità di una tale distinzione, atteso che ogni attività autoritativa comporta una fase quantomeno di accertamento e di verifica della scelta ai fini attribuiti dalla legge, se il ricorso agli strumenti informatici può apparire di più semplice utilizzo in relazione alla c.d. attività vincolata, nulla vieta che i medesimi fini predetti, perseguiti con il ricorso all’algoritmo informatico, possano perseguirsi anche in relazione ad attività connotata da ambiti di discrezionalità. Piuttosto, se nel caso dell’attività vincolata ben più rilevante, sia in termini quantitativi che qualitativi, potrà essere il ricorso a strumenti di automazione della raccolta e valutazione dei dati, anche l’esercizio di attività discrezionale, in specie tecnica, può in astratto beneficiare delle efficienze e, più in generale, dei vantaggi offerti dagli strumenti stessi». Conformemente Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, p.to 8. Sulle problematiche connesse all’impiego degli algoritmi nell’attività amministrativa discrezionale, anche con riferimento al successivo sindacato giurisdizionale, si vedano N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., spec. pp. 827 ss., e L. Parona, Poteri tecnico-discrezionali e machine learning: verso nuovi paradigmi dell’azione amministrativa, in A. Pajno, F. Donati, A. Perrucci (a cura di), Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Vol. II, cit., pp. 131 ss.
  30. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 289.
  31. B. Spampinato, Per un primo inquadramento teorico della decisione amministrativa algoritmica, cit., pp. 3-4.
  32. Sulla centralità del principio di trasparenza, inteso come garanzia di conoscibilità/comprensibilità delle decisioni amministrative nell’ambito del paradigma della legalità algoritmica, cfr. G. Orsoni, E. D’Orlando, Nuove prospettive dell’amministrazione digitale: Open Data e algoritmi, cit., spec. pp. 605 ss.
  33. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 291.
  34. Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, p.to 10.
  35. T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 22 marzo 2017, n. 3769.
  36. Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270, p.to 8.4.
  37. Cfr. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, p.to 16, secondo cui la garanzia di trasparenza e conoscibilità dell’algoritmo si pone in termini «riconducibili al principio di motivazione e/o giustificazione della decisione». Sul punto D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., pp. 515-516.
  38. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 293.
  39. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, p.to 16.
  40. Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270, p.to 9.
  41. Ivi, p.to 8.3.
  42. In argomento cfr. S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, cit., pp. 303 ss.
  43. Cons. St., sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 30, p.to 2.
  44. Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, p.to 10.
  45. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 290.
  46. Ibidem.
  47. Sull’opacità dello strumento algoritmico cfr. G. Avanzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intelligibilità, cit., p. 153, nonché R. Cavallo Perin, Ragionando come se la digitalizzazione fosse data, cit., pp. 313 ss.
  48. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 291.
  49. Peraltro, è stato osservato che l’esplicabilità della decisione algoritmica «non è sempre possibile da garantire, e con essa il controllo dei dati posti alla base del modello, laddove sia lo stesso sistema a sceglierli», come avviene nelle ipotesi di machine e deep learning (G. Avanzini, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, cit., p. 88). Infatti, «il machine learning non consente, a differenza degli algoritmi model based, di ripercorrere a ritroso il procedimento che ha generato un determinato output», poiché «le applicazioni in questione non sono basate sulla logica deterministica, con la conseguenza che i risultati cui esse pervengono non sono pienamente spiegabili» (così L. Parona, Poteri tecnico-discrezionali e machine learning: verso nuovi paradigmi dell’azione amministrativa, cit., p. 145).
  50. Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, p.to 10.3.
  51. Ivi, p.to 11.2.
  52. Ibidem. Sul punto cfr. B. Marchetti, La garanzia dello Human in the Loop alla prova della decisione amministrativa algoritmica, in BioLaw Journal, 2, 2021, pp. 367 ss.
  53. Le eccezioni al principio di non esclusività della decisione algoritmica ex art. 22, comma 2, GDPR riguardano le ipotesi di: a) conclusione o esecuzione di un contratto tra l’interessato e un titolare del trattamento; b) autorizzazione da parte diritto dell’Unione o di uno Stato membro, purché siano previste «misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato»; c) consenso esplicito da parte dell’interessato. Ai sensi del successivo comma 3, nei casi di cui alle lett. a) e c) il titolare del trattamento è tenuto ad attuare «misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’interessato, almeno il diritto di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione» (cfr. anche il considerando 71 del GDPR). Per un’analisi approfondita si veda A. Masucci, L’algoritmizzazione delle decisioni amministrative tra Regolamento europeo e leggi degli Stati membri, cit., spec. pp. 953 ss.
  54. T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 10 settembre 2018, n. 9224, p.to 5.1.
  55. Ibidem.
  56. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., p. 29.
  57. Secondo S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., p. 31, tale posizione «nella sua assolutezza […] appare infondata, semplicemente perché non si può affermare che il principio di imparzialità, con i suoi corollari, sia incompatibile con l’affidare qualunque decisione amministrativa ad agenti di IA», peraltro in contrasto con la normativa dell’Unione europea che pure, come si è visto, consente lo svolgimento di procedure interamente automatizzate, in presenza di determinate condizioni (art. 22 GDPR). Cfr. S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, cit., p. 296.
  58. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., pp. 16 ss. Vedasi anche D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., pp. 510 ss. Tende invece a ridimensionare le effettive divergenze tra gli orientamenti espressi dai giudici di primo e di secondo grado, parlando di «un contrasto più apparente che reale», R. Ferrara, Il giudice amministrativo e gli algoritmi. Note estemporanee a margine di un recente dibattito giurisprudenziale, cit., pp. 783 ss.
  59. E. Carloni, AI, algoritmi e pubblica amministrazione in Italia, cit., p. 7.
  60. A. Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, cit., p. 81.
  61. Ibidem.
  62. Ibidem, ove l’Autore parla di una vera e propria probatio diabolica: «chi ha preso la decisione, infatti, avrà sempre la possibilità di sostenere che nella decisione si è solo avvalso dell’algoritmo, ma non è stato “sostituito” da esso, avendo autonomamente… aderito alla valutazione effettuata dall’algoritmo».
  63. Ibidem. Si tratta del c.d. anchoring effect, ossia dell’effetto di condizionamento degli strumenti automatizzati sui decisori umani, «sul presupposto di una fiducia tendenzialmente elevata nella infallibilità dei sistemi esperti» (B. Marchetti, La garanzia dello Human in the Loop alla prova della decisione amministrativa algoritmica, cit., p. 373).
  64. E. Carloni, AI, algoritmi e pubblica amministrazione in Italia, cit., p. 7.
  65. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., p. 35.
  66. Ivi, pp. 36-37.
  67. E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., pp. 298-299.
  68. Ha affrontato la questione dell’applicabilità in generale dell’art. 21-octies, comma 2, ai procedimenti algoritmici B. Spampinato, Per un primo inquadramento teorico della decisione amministrativa algoritmica, cit., spec. pp. 13 ss. Ivi l’Autore tende a negare l’applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2, ai procedimenti automatizzati, in quanto l’uso dell’algoritmo escluderebbe alla radice la possibilità di una decisione alternativa: «Il dubbio che sovviene è, in particolare, se, in relazione ad una machina che adotti o comunque contribuisca ad adottare un decisione amministrativa, ci sia spazio, ceteris paribus, per una decisione di contenuto dispositivo diverso da quello effettivamente posto in essere; il che implica, di necessità, comprendere come la discrezionalità sia esercitabile da parte di una machina (amministrativa). E qualora si propendesse per una risposta negativa, sarebbe giocoforza optare per l’inapplicabilità dell’art. 21-octies cit. alle decisioni amministrative algoritmiche, se non altro perché, diversamente opinando, sarebbe a rischio l’utilità stessa della partecipazione degli interessati alla procedura amministrativa nella quale l’amministrazione (procedente) avesse optato per l’impiego di algoritmi (più o meno complessi) a supporto della decisione amministrativa da adottare». In questa sede si adotterà una prospettiva parzialmente diversa, trattando nello specifico il rapporto tra l’istituto dei vizi non i validanti e i principi di legalità algoritmica.
  69. Il secondo periodo del medesimo comma traccia, com’è noto, una disciplina specifica per quanto riguarda il vizio di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, estesa anche alle ipotesi di attività discrezionale, che non verrà esaminata in questa sede. Sul regime dei vizi formali e procedurali del provvedimento, prima e dopo l’introduzione dell’art. 21-octies, comma 2, si vedano, senza pretesa di esaustività, D.U. Galetta, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Giuffrè, Milano, 2003; F. Luciani, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, Giappichelli, Torino, 2003; A. Police, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, in Dir. amm., 4, 2003, pp. 735 ss.; V. Cerulli Irelli, Note critiche in materia di vizi formali degli atti amministrativi, in Dir. pubbl., 1, 2004, pp. 187 ss.; V. Parisio (a cura di), Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, Giuffrè, Milano, 2004; F. Fracchia, M. Occhiena, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, L. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in Giustamm.it, 2005; D.U. Galetta, L’art. 21 octies della novellata legge sul procedimento amministrativo nelle prime applicazioni giurisprudenziali: un’interpretazione riduttiva delle garanzie procedimentali contraria alla Costituzione e al diritto comunitario, in M.A. Sandulli (a cura di), Riforma della L. 241/1990 e processo amministrativo, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 91 ss.; S. Civitarese Matteucci, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Giappichelli, Torino, 2006; D. Corletto, Vizi “formali” e poteri del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 1, 2006, pp. 33 ss.; A. Romano Tassone, Vizi formali e vizi procedurali, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Il procedimento amministrativo, cit., pp. 215 ss.; D. Sorace, Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. pubbl., 2, 2007, pp. 385 ss.; S. Civitarese Matteucci, Formalismo giuridico ed invalidità formali, in L.R. Perfetti (a cura di), Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato, Cedam, Padova, 2008, pp. 283 ss.; L. Ferrara, La partecipazione tra “illegittimità” e “illegalità”. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir. amm., 1, 2008, pp. 103 ss.; P. Provenzano, I vizi nella forma e nel procedimento amministrativo. Fra diritto interno e diritto dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 2015; G. Mannucci, Il regime dei vizi formali-sostanziali alla prova del diritto europeo, in Dir. amm., 2, 2017, pp. 259 ss.; R. Giovagnoli, I vizi formali e procedimentali, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., pp. 1141 ss.In generale sul paradigma della c.d. amministrazione di risultato, all’interno del quale si colloca la ratio dell’istituto dei vizi non invalidanti, cfr. ex multis R. Ferrara, Procedimento amministrativo, semplificazione e realizzazione del risultato: dalla “libertà dall’amministrazione” alla “libertà dell’amministrazione”?, in Dir. soc., 1, 2000, pp. 101 ss.; L. Iannotta, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in C. Pinelli (a cura di), Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamenti, Giuffrè, Milano, 2000, pp. 37 ss.; G. Corso, Amministrazione di risultati, in AA.VV., Annuario AIPDA 2002, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 127 ss.; G. Sorrentino, Diritti e partecipazione nell’amministrazione di risultato, Editoriale Scientifica, Napoli, 2003; M.R. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Giappichelli, Torino, 2003; S. Cassese, Che cosa vuol dire «amministrazione di risultati»?, in Giorn. dir. amm., 9, 2004, pp. 941 ss.; M. Immordino, A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, Giappichelli, Torino, 2004; M. Cammelli, Amministrazione di risultato, in AA.VV., Studi in onore di Giorgio Berti, Vol. I, Jovene, Napoli, 2005, pp. 556 ss.; L.R. Perfetti (a cura di), Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato, cit.; F. Lacava, Principio di legalità dell’azione amministrativa ed esigenze di risultato, Aracne, Roma, 2015.
  70. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., p. 17.
  71. Cfr. E.N. Fragale, La cittadinanza amministrativa al tempo della digitalizzazione, cit., pp. 488 ss., ove si fa riferimento ad un corpus articolato di norme (contenute soprattutto nel Codice dell’amministrazione digitale e nel d.lgs. n. 33/2013) che delineano un vero e proprio «statuto dei diritti digitali» del cittadino.
  72. Ivi, p. 501.
  73. Ivi, pp. 497-499, ove si precisa che gli interessi procedimentali collegati all’attività amministrativa digitale non sembrano presentare «alcunché di particolare rispetto alle classiche pretese procedimentali del diritto amministrativo». Tuttavia, secondo l’Autore, la regola della non esclusività della decisione algoritmica sfuggirebbe a tale rapporto di equipollenza, in ragione del carattere fondamentale e costituzionalmente rilevante – e non meramente formale-procedurale – del diritto a non essere sottoposti a trattamenti interamente automatizzati.
  74. In argomento, cfr. ancora ivi, pp. 500 ss., ove si propende per la qualificazione delle pretese procedimentali digitali come diritti soggettivi muniti di autonoma rilevanza.
  75. A mente del quale, l’eventuale deficit di legalità sostanziale con riferimento all’attribuzione di un potere amministrativo, ai limiti e alle modalità del suo esercizio, può essere compensato e “sanato” attraverso il rafforzamento delle garanzie di contraddittorio e di partecipazione al procedimento. La legalità sostanziale viene quindi “recuperata” tramite il concetto di legalità procedimentale in senso “forte”, che a sua volta si traduce nella non-dequotazione degli ipotetici vizi di procedura. Come precisato dai giudici di Palazzo Spada, l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241/1990 «ha previsto in generale una “dequotazione della legalità procedimentale”» ma, in queste ipotesi, è necessario «realizzare un rafforzamento di tale legalità per compensare la “dequotazione della legalità sostanziale”», pertanto l’attribuzione di un «fondamento costituzionale al diritto di partecipazione impone di interpretare l’art. 21-octies nel senso che esso non possa trovare applicazione» (Cons. St., sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972, p.to 4.3; analogamente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972; Cons. St., sez. VI, 24 maggio 2016, n. 2182). Anche la Corte costituzionale, con riferimento al potere di regolazione delle autorità amministrative indipendenti, ha affermato che «l’eventuale indeterminatezza dei contenuti sostanziali della legge può ritenersi in certa misura compensata dalla previsione di talune forme procedurali (sentenza n. 83 del 2015) aperte alla partecipazione di soggetti interessati e di organi tecnici» (Corte cost., sent. 7 aprile 2017, n. 69, p.to 7.2 cons. dir.). Sul rapporto tra legalità sostanziale e legalità procedimentale cfr. da ultimo G. Manfredi, Legalità procedurale, in Dir. amm., 4, 2021, pp. 749 ss., anche per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
  76. Ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), GDPR, il Regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali «effettuati per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione».
  77. È significativo osservare come lo stesso Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 881 del 2020, abbia introdotto il tema dell’individuazione dei principi di legalità algoritmica, mutuandoli dalle norme del GDPR, solo dopo aver rilevato che «in relazione ai soggetti coinvolti si pone anche un problema di gestione dei relativi dati» (p.to 10.1), instaurando così un collegamento diretto tra l’applicazione di tali principi e quella del Regolamento europeo.
  78. Sul tema della possibile disapplicazione dell’art. 21-octies, comma 2, per incompatibilità con talune garanzie procedimentali stabilite dal diritto eurounitario cfr. D.U. Galetta, L’art. 21 octies della novellata legge sul procedimento amministrativo nelle prime applicazioni giurisprudenziali: un’interpretazione riduttiva delle garanzie procedimentali contraria alla Costituzione e al diritto comunitario, cit., pp. 91 ss., ed Ead., Le garanzie procedimentali dopo la legge 15/2005: considerazioni sulla compatibilità comunitaria dell’art. 21-octies l. 241/90, anche alla luce della previsione ex art. 41 CED, in L.R. Perfetti (a cura di), Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato, cit., pp. 319 ss.
  79. Cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 17 settembre 2008, n. 4414; Cons. St., sez. V, 2 febbraio 2010, n. 4931; Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2017, n. 990; Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2017, n. 511. Sul punto cfr. per tutti R. Giovagnoli, I vizi formali e procedimentali, cit., pp. 1161 ss.
  80. Il concetto di autonomia procedurale degli Stati membri risale alla nota pronuncia della Corte giust., sentenza 16 dicembre 1976, C-33/76, Rewe-Zentralfinanz eG e Rewe-Zentral AG c. Landwirtschaftskammer für das Saarland, EU:C:1976:188. In argomento si vedano D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost? Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Giappichelli, Torino, 2009, e di recente A. Iermano, I principi di equivalenza ed effettività tra autonomia procedurale e ‘limiti’ alla tutela nazionale, in Dir. Un. eur., 3, 2019, pp. 525 ss. Sul rilievo dell’autonomia procedurale degli Stati membri in relazione all’ipotesi di conflitto tra l’art. 21-octies, comma 2, e il diritto unionale, cfr. S. Civitarese Matteucci, Obbligo di interpretazione conforme al diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 6, 2014, spec. pp. 1186-1188.
  81. Cfr. S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., p. 27.
  82. Sul quale cfr. per tutti D.U. Galetta, Il principio di proporzionalità comunitario e il suo effetto di “spill over” negli ordinamenti nazionali, in Nuove auton., 4-5, 2005, pp. 541 ss.
  83. Cfr. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, p.to 15, dove viene esplicitato il collegamento diretto tra il principio di conoscibilità dell’algoritmo, nella sua formulazione sancita dal GDPR, e quello generale di buona amministrazione ex art. 41 CDFUE, del quale esso costituisce «diretta applicazione specifica». Tra i corollari del principio europeo di buona amministrazione (art. 41, comma 2 CDFUE) rientrano, infatti, il diritto degli interessati di accedere al fascicolo che li riguarda e l’obbligo di motivazione delle decisioni, ai quali è funzionalmente connessa la garanzia – declinata in modo più specifico – della piena conoscibilità e comprensibilità dell’algoritmo utilizzato nel procedimento amministrativo. Sui contenuti del principio di buona amministrazione si veda D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti amministrativi oggi (anche alla luce delle discussioni sull’ambito di applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti UE), cit., pp. 167 ss., nonché A. Serio, Il principio di buona amministrazione procedurale. Contributo allo studio del buon andamento nel contesto europeo, cit., passim.
  84. Come si è detto supra al § 2.3, tale garanzia costituisce infatti una declinazione specifica del principio generale di eguaglianza e non discriminazione, sancito a livello europeo dagli artt. 9 TUE e 20 ss. CDFUE. Per una panoramica, cfr. G. Biagioni, I. Castangia (a cura di), Il principio di non discriminazione nel diritto dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2011.
  85. Cfr. supra, nota 53.
  86. Art. 22, comma 2, lett. b) GDPR. Con riferimento, poi, alla deroga rappresentata dal consenso esplicito dell’interessato (lett. c), la dottrina ha giustamente osservato che essa «svuota, di fatto e di diritto, la portata della norma nel rapporto con i provider privati» (così E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 295).
  87. Gli interessi elencati dallo stesso art. 23 del GDPR includono: a) la sicurezza nazionale; b) la difesa; c) la sicurezza pubblica; d) la prevenzione, l’indagine, l’accertamento e il perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica; e) altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale; f) la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari; g) le attività volte a prevenire, indagare, accertare e perseguire violazioni della deontologia delle professioni regolamentate; h) una funzione di controllo, d’ispezione o di regolamentazione connessa, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri nei casi di cui alle lettere da a), a e) e g); i) la tutela dell’interessato o dei diritti e delle libertà altrui; j) l’esecuzione delle azioni civili.
  88. A. Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, cit., p. 80. Evidenziano l’ampiezza di tali deroghe anche D.U. Galetta, J.G. Corvalán, Intelligenza Artificiale per una Pubblica Amministrazione 4.0? Potenzialità, rischi e sfide della rivoluzione tecnologica in atto, cit., pp. 16-17.
  89. Quali sono, a titolo di esempio, i principi di attribuzione delle competenze, sussidiarietà, leale cooperazione, effetto diretto e primato del diritto europeo, non discriminazione, autonomia istituzionale. In argomento, si veda G. della Cananea, Il diritto amministrativo europeo e i suoi principi fondamentali, in Id. (a cura di), Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 19 ss.
  90. Cfr. G. della Cananea, Il rinvio ai principi dell’ordinamento comunitario, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., pp. 133 ss. Sui principi generali del diritto amministrativo europeo, rilevanti anche per le amministrazioni nazionali, si vedano ex multis A. Massera, I principi generali, in M.P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte generale, Tomo I, cit., pp. 285 ss.; G. della Cananea, Il diritto amministrativo europeo e i suoi principi fondamentali, cit., pp. 29 ss.; D. de Pretis, I principi del diritto amministrativo europeo, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 41 ss.; G. della Cananea, C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 87 ss.; D.U. Galetta, Le fonti del diritto amministrativo europeo, in M.P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 2018, pp. 103 ss.
  91. Cfr. supra, § 2.1. Con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990, l’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene che la violazione dell’obbligo di motivazione non integra un mero vizio di forma o di procedura, ma è connotata da una valenza sostanzialistica e perciò pienamente invalidante, giacché la motivazione del provvedimento costituisce «il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. n. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti» (Cons. St., sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629, p.to 13.3; in termini, Cons. St., sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194, Cons. St., sez. II, 6 maggio 2020, n. 2860, e Corte cost., ord. 17 marzo 2017, n. 58). In senso contrario, tuttavia, cfr. Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2018, n. 1959 e Cons. St., sez. VI, 21 febbraio 2019, n. 1201. Sul punto, cfr. R. Giovagnoli, I vizi formali e procedimentali, cit., p. 1156.
  92. Cfr. supra, § 2.3.
  93. Sul punto, parte della dottrina ritiene sussistente il vizio della violazione di legge non solo quando il provvedimento amministrativo violi il dato letterale delle norme costituzionali, sovranazionali, primarie o secondarie, ma in generale quando determini un’inosservanza del diritto vigente nel suo complesso, ivi compresa l’opera interpretativa-creativa della giurisprudenza. Così, la violazione delle norme procedimentali – eventualmente soggetta a dequotazione ai sensi dell’art 21-octies, comma 2 – viene integrata anche quando il provvedimento pone in essere un’erronea interpretazione e applicazione della disciplina procedurale, che risulti difforme da quella offerte dalla giurisdizione: cfr. R. Cavallo Perin, Violazione di legge (atto amministrativo), in Dig. disc. pubbl., Agg. IV, UTET, Torino, 2010, p. 668.
  94. Si tratta, com’è noto, di poteri non esplicitamente conferiti dalla legge all’amministrazione, o comunque non adeguatamente precisati con riferimento ai contenuti e alle modalità di esercizio, ma funzionali al conseguimento del fine istituzionale che la disposizione di rango primario comanda di perseguire nell’esercizio di poteri espressamente conferiti. In argomento si rinvia, fra i molti contributi, a N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Giuffrè, Milano, 2001, nonché a G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 4, 2007, pp. 703 ss.La teoria dei poteri impliciti, e la conseguente necessità di controbilanciare il deficit di legalità sostanziale tramite il rafforzamento delle regole procedimentali e partecipative, è stata ampiamente utilizzata dalla giurisprudenza in relazione alla potestà normativa secondaria delle autorità amministrative indipendenti (c.d. potere di regolazione): sul punto vedasi più diffusamente M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005, pp. 155 ss.; R. Titomanlio, Potestà normativa e funzione di regolazione. La potestà regolamentare delle autorità amministrative indipendenti, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 52 ss.; F. Zammartino, Il modello molteplice. La potestà normativa delle Autorità amministrative indipendenti, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 77 ss.; F.L. Maggio, Questioni interpretative sui poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti, in Federalismi.it, 10, 2021, pp. 150 ss.
  95. Cfr. supra, nota 75.
  96. Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472, p.to 10.
  97. Ibidem.
  98. Nel senso della configurabilità di un potere di auto-organizzazione cfr. A. Usai, Le prospettive di automazione delle decisioni amministrative in un sistema di teleamministrazione, in Dir. inform., 1, 1993, p. 164, e A. Masucci, L’atto amministrativo informatico. Primi lineamenti di una ricostruzione, cit., pp. 47 ss., con la conseguenza che l’algoritmo sarebbe qualificabile, rispettivamente, come un atto interno o un atto strumentale. Nella prospettiva dell’auto-limite all’esercizio delle funzioni amministrative si colloca U. Fantigrossi, Automazione e pubblica amministrazione. Profili giuridici, Il Mulino, Bologna, 1993, pp. 55 ss., il quale riconduce l’algoritmo alla categoria dell’atto amministrativo generale. In senso analogo, di recente, M. Timo, Algoritmo e potere amministrativo, cit., pp. 790 ss. In senso contrario all’attribuzione di natura attizia all’algoritmo, e a favore della ricostruzione del programma informatico come un mero strumento tecnico di ausilio per l’autorità amministrativa, in grado di delineare una “nuova figura di pubblico funzionario”, cfr. L. Viola, L’intelligenza artificiale nel procedimento e nel processo amministrativo: lo stato dell’arte, cit., pp. 10 ss., che richiama V. Frosini, L’informatica e la pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 1983, pp. 483 ss.; A.G. Orofino, La patologia dell’atto amministrativo elettronico: sindacato giurisdizionale e strumenti di tutela, in Foro amm. C.d.S., 9, 2002, pp. 2256 ss.; F. Saitta, Le patologie dell’atto amministrativo elettronico e il sindacato del giudice amministrativo, in Riv. dir. amm. elettr., 2003, pp. 24 ss.; D. Marongiu, L’attività amministrativa automatizzata. Profili giuridici, cit., pp. 86 ss.; G. Duni, L’amministrazione digitale. Il diritto amministrativo nella evoluzione telematica, cit., pp. 74 ss.Altra dottrina (S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., p. 16 e pp. 37 ss.) qualifica la scelta di impiegare procedure automatizzate come lato sensu organizzativa, espressione di un potere di tipo derivato o secondario (assimilabile al potere esecutorio), con il quale si realizza però anche una delega di potere decisionale alla macchina, non configurabile come «un mero fatto di organizzazione burocratica». Sarebbe perciò necessaria un’autonoma base giuridica per ciascuna fattispecie procedimentale automatizzata, ancorché non necessariamente di rango primario. In particolare, «l’esigenza della specifica legalità sostanziale che si richiede all’IA applicata all’attività amministrativa, così come avviene per i singoli poteri esecutori, non può che essere riferita a ciascuna singola fattispecie di ‘potere primario’», sicché, nel quadro di una cornice di rango primario che «stabilisca una serie di regole comuni» e dia luogo a «una sorta di norma generale permissiva, […] lo specifico conferimento di potere all’IA potrebbe essere oggetto di disposizioni giuridiche non necessariamente legislative – stante il carattere derivato o secondario di tale potere – quali regolamenti o atti a contenuto generale che a loro volta si conformino ai detti principi e soddisfino l’esigenza di tipicità propria della legalità sostanziale». L’opinione è richiamata adesivamente anche da S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, cit., p. 296.

    Accogliendo la tesi della delega di potere decisorio, P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, cit., p. 199, sottolinea d’altronde la «necessità che l’impiego dell’AI nell’adozione di decisioni amministrative sia disciplinato da un sistema normativo primario che preveda la possibilità di delega del potere decisionale alla macchina (legalità formale), ma anche i principi (e le relative regole) che devono disciplinare l’esercizio di tale “delega” (legalità sostanziale)».

    Secondo G. Pinotti, Amministrazione digitale algoritmica e garanzie procedimentali, cit., p. 82, «può parlarsi di un principio di tipicità per ciò che concerne i procedimenti completamente automatizzati, anche sulla base di quanto previsto […] dall’art. 22, Regolamento 2016/679, mentre resterebbe espressione del principio di auto organizzazione dell’Amministrazione Pubblica l’utilizzo di algoritmi nel corso di un più ampio procedimento».

    Infine, ad avviso di D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., pp. 507-508, non vi sarebbe più la necessità pratica di introdurre delle previsioni normative speciali sull’utilizzo degli algoritmi come modalità operativa, essendo già rinvenibile una fonte legislativa di carattere generale (cfr. infra, nota 101).

  99. Il quale, a seguito della modifica ad opera del D.L. n. 76/2020, conv. con la l. n. 120/2020, recita: «Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati».
  100. Ai sensi dell’art. 12, comma, 1, CAD, «Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle imprese di cui al presente Codice […]»). Ai sensi dell’art. 41, comma 1, CAD, «Le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione […]».
  101. Con riferimento alla formulazione dell’art. 3-bis l. n. 241/1990 antecedente al D.L. n. 76/2020, la dottrina era solita attribuire a tale disposizione una natura eminentemente programmatica, e non precettiva: cfr. ad es. F. Cardarelli, L’uso della telematica, cit., p. 511. Nondimeno, secondo D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., pp. 506 ss., la previsione dell’art. 41, comma 1, CAD «è idonea a fare acquistare una valenza precettiva a quell’obbligo meramente programmatico che l’art. 3-bis della legge generale sul procedimento amministrativo indubbiamente contiene», sicché «nella vigenza dell’attuale art. 41 CAD, il ricorso all’automazione del procedimento (o di segmenti di esso) non necessita più di essere previsto come “modalità operativa” in una fonte normativa specifica (potendosi fare riferimento ora all’art. 41 CAD come previsione generale)». A fortiori, la modifica dell’art. 3-bis, operata dal D.L. n. 76/2020, ha definitivamente escluso la natura meramente programmatica di tale previsione: in tal senso cfr. ancora Ead., Digitalizzazione e diritto ad una buona amministrazione (Il procedimento amministrativo, fra diritto UE e tecnologie ICT), cit., p. 93.Opinione diversa è espressa in P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, cit., p. 196, dove l’Autore qualifica tali disposizioni come «norme di carattere eminentemente programmatico […] riferite in generale all’attività amministrativa e al procedimento, ma non alla decisione o all’atto automatizzato». Similmente, ad avviso di E.N. Fragale, La cittadinanza amministrativa al tempo della digitalizzazione, cit., p. 498 (nota 130), «non pare di potersi ravvisare nelle già menzionate disposizioni [del CAD e della l. n. 241/1990] anche una sorta di autorizzazione a impiegare il paradigma procedimentale in funzione dell’individuazione del contenuto della decisione», sicché il provvedimento amministrativo «adottato in assenza di adeguata base legale di autorizzazione all’impiego di modalità interamente automatizzate dovrà considerarsi affetto da nullità, per difetto assoluto di attribuzione», in quanto lesivo di un diritto soggettivo (ivi, pp. 498-499). Secondo E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., pp. 278-281, il fatto che le procedure amministrative siano più erogate e fornite attraverso il ricorso alle ICT «favorisce la tensione verso soluzioni di completa digitalizzazione delle procedure, ma questo esito non è mai espressamente previsto, né autorizzato dal codice dell’amministrazione digitale», e benché il ricorso a strumenti digitali sia formalmente contemplato nell’art. 3-bis l. n. 241/1990, «questa regola fatica ad essere tradotta nei termini di una possibile piena digitalizzazione delle procedure (e quindi non consente di rileggere la legge 241 come idonea a regolare sia modalità “tradizionali” che modalità completamente “digitali” di azione), posto che l’art. 3-bis non è poi ripreso, né della sua influenza si trova traccia significativa nel testo dei diversi articoli e nei vari istituti della legge sul procedimento». Anche S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., pp. 10-11, solleva il dubbio se il processo di «riorganizzazione/reingegnerizzazione riferita all’aspetto informativo-organizzativo» della pubblica amministrazione, collocato all’interno di una «dimensione tutta giocata sulla configurazione di una burocrazia digitale a misura di utente» secondo il paradigma digital first, contempli e autorizzi effettivamente anche le decisioni automatizzate, «di cui non vi è menzione nel testo del CAD». Di recente, F. Risso, L’automazione nelle relazioni di diritto pubblico, in A. Pajno, F. Donati, A. Perrucci (a cura di), Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Vol. II, cit., pp. 608-609, ha evidenziato che, sebbene gli algoritmi siano «già diffusamente utilizzati a supporto dell’attività amministrativa», «il legislatore italiano […] non ne ha ancora previsto e disciplinato l’uso. Invero […] diverse disposizioni prevedono la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, ma nessuna norma generale ammette, indicandone le modalità e i limiti, l’uso di sistemi di IA (di algoritmi) nell’adozione di provvedimenti amministrativi».

    In prospettiva diversa, ad avviso di R. Cavallo Perin, Ragionando come se la digitalizzazione fosse data, cit., pp. 317 ss., la base legale e la fonte legittimante del procedimento algoritmico e dell’atto automatizzato sarebbero comunque individuabili nel «combinato disposto della disciplina nazionale sulla comunicazione di singoli atti procedimentali (artt. 7, 8, 10-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241), come disciplina generale di effettività del diritto degli interessati a ottenere un intervento umano (art. 22, § 3, Reg. Ue, n. 2016/679), salvo […] che norme speciali europee o nazionali autorizzino una decisione esclusivamente algoritmica”. Riconosce, infine, l’astratta ammissibilità di procedure amministrative interamente automatizzate, pur attribuendo natura esclusivamente programmatica alla disposizione di cui all’art. 3-bis, S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, cit., p. 297 (nota 53).

  102. Per quanto concerne le già citate norme del GDPR, esse potrebbero invero costituire una base legale per lo svolgimento di procedimenti amministrativi in tutto o in parte automatizzati (si pensi all’art. 22), ma solo nell’ambito di applicazione del diritto UE e con riferimento a provvedimenti amministrativi automatizzati che impieghino il trattamento di dati personali: sul punto, cfr. S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., p. 27. Come è stato recentemente evidenziato da D. Simeoli, L’automazione dell’azione amministrativa nel sistema delle tutele di diritto pubblico, in A. Pajno, F. Donati, A. Perrucci (a cura di), Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?, Vol. II, cit., pp. 631-632, si tratta di «una disciplina da cui possono trarsi importanti principi generali ma che illumina solo parzialmente il fenomeno di cui si discute», proprio in quanto «incentrata sul trattamento dei “dati personali” (quindi non immediatamente applicabile ai dati e alle informazioni anonimizzati o trasformati in profili di gruppo)». La settorialità della materia in cui opera il Regolamento sembra dunque inidonea a fornire una base legale per l’impiego generalizzato di procedure algoritmiche da parte dell’amministrazione nazionale. Peraltro, anche a voler argomentare diversamente, resterebbero comunque «privi di un compiuto adattamento al nuovo paradigma algoritmico, stante (tra l’altro) la mancata attuazione – interna o europea – della riserva contenuta nell’art. 22, par. 2, GDPR, quei principi amministrativistici che si sostanziano, sul piano positivo, nelle garanzie procedimentali di interlocuzione e partecipazione» (così, condivisibilmente, P.S. Maglione, La Pubblica Amministrazione “al varco” dell’Industria 4.0: decisioni automatizzate e garanzie procedimentali in una prospettiva human oriented, in Amministrazione in cammino, 2020, p. 46).
  103. In tal senso Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270, p.to 8.1, dove si afferma che i canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/90), secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), «impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale», per cui «in tali casi […] l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata». Sicché «l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica». Sul punto cfr. D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., p. 506.
  104. Come evidenziano M. Immordino, M.C. Cavallaro, N. Gullo, Il responsabile del procedimento amministrativo, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., p. 531, l’introduzione del responsabile del procedimento, ad opera della l. n. 241/1990, ha posto fine alla figura patologica dell’amministrazione “senza volto” , cioè al paradigma di spersonalizzazione burocratica e di anonimato «dietro il quale abitualmente si trincerava l’amministrazione nei rapporti con i cittadini-utenti», attuando viceversa un processo di “personificazione” che garantisce al cittadino «un interlocutore unico, diretto e immediato nei suoi rapporti con l’amministrazione». La ratio originaria contemplava dunque, indubitabilmente, la presenza attiva di un funzionario umano, come efficacemente descritto dalla dottrina coeva: B. Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, Vol. III, Cedam, Padova, 1993, p. 178, parlava infatti del conferimento di un «volto necessariamente umano» all’amministrazione, in grado di rimediare alla «sindrome kafkiana del castello praghese» che colpiva il cittadino; secondo G. Berti, La responsabilità pubblica. Costituzione e Amministrazione, Cedam, Padova, 1994, p. 305, il responsabile era «il funzionario designato a dare una sembianza fisica all’istruttoria amministrativa».L’esistenza di un principio antropomorfico pragmaticamente sottinteso alle norme sul responsabile del procedimento, che impedirebbe la piena pretermissione del funzionario umano nelle ipotesi di attività amministrativa automatizzata, è sostenuta anche da S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., p. 22, secondo cui «È degna di nota la contrapposizione tra le formule impiegate rispettivamente all’art. 4 e all’art. 5. Nel primo si parla, asetticamente, dell’unità organizzativa responsabile del procedimento, nel secondo del responsabile del procedimento […] come di un “dirigente” o altro dipendente addetto all’unità. Non a caso, i primi commentatori della legge sul procedimento sottolinearono la novità costituita dal fatto che grazie a questa disciplina sul responsabile del procedimento si dava corpo all’idea di un’interfaccia “in carne e ossa” dell’amministrazione con i cittadini». Ad avviso di E. Carloni, I principi della legalità algoritmica. Le decisioni automatizzate di fronte al giudice amministrativo, cit., p. 283, «è chiara la presenza di un funzionario “umano” e di relazioni “tra persone” sullo sfondo della legge 241 del 1990. In particolare, la figura del “responsabile del procedimento”, che nel quadro della riforma degli anni ’90 del secolo scorso era rivolta dichiaratamente a “dare un volto umano” all’amministrazione, ad evitare dinamiche di “spersonalizzazione burocratica”, e difficilmente, sia per motivi testuali che per ragioni di fondo, si presta ad essere trasposta su una dimensione di completa, o comunque sostanziale, automatizzazione». Sul punto la dottrina appare concorde: cfr. D.U. Galetta, J.G. Corvalán, Intelligenza Artificiale per una Pubblica Amministrazione 4.0? Potenzialità, rischi e sfide della rivoluzione tecnologica in atto, cit., p. 19; M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, cit., p. 18; N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., pp. 824 ss. e p. 831; S. Tranquilli, Rapporto pubblico-privato nell’adozione della decisione amministrativa “robotica”, cit., p. 296. Viene evidenziato il ruolo cruciale del responsabile (umano) nella gestione dei procedimenti algoritmici anche in D.U. Galetta, Digitalizzazione e diritto ad una buona amministrazione (Il procedimento amministrativo, fra diritto UE e tecnologie ICT), cit., pp. 88 ss., e in G. Marchianò, La legalità algoritmica nella giurisprudenza amministrativa, cit., pp. 248 ss.

    In giurisprudenza, cfr. T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 10 settembre 2018, n. 9224, p.to 5, che evidenzia il «principio ineludibile dell’interlocuzione personale intessuto nell’art. 6 della legge sul procedimento e a quello ad esso presupposto di istituzione della figura del responsabile del procedimento».

  105. Sul punto cfr. M. Immordino, M.C. Cavallaro, N. Gullo, Il responsabile del procedimento amministrativo, cit., p. 542.
  106. Cons. St., sez. III, 24 settembre 2013, n. 4694, p.to 4.2. In senso conforme Cons. St., sez. VI, 21 marzo 2016, n. 1149, e Cons. St., sez. III, 2 novembre 2020, n. 6755.
  107. Così G. Sorrentino, Funzione amministrativa, Costituzione e algoritmi. Divagazioni minime, cit., p. 4790.
  108. Cfr. M. Immordino, M.C. Cavallaro, N. Gullo, Il responsabile del procedimento amministrativo, cit., p. 542.
  109. Ivi, p. 532. Nel senso che la partecipazione procedimentale richieda un effettivo dialogo tra il privato e il responsabile, sicché, con specifico riferimento all’amministrazione algoritmica, il rischio di spersonalizzazione della decisione e di mancanza di un interlocutore umano avrebbe automaticamente l’effetto di impedire «la virtuosa partecipazione del privato al procedimento», si vedano M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, cit., p. 18.
  110. In tal senso cfr. il già citato orientamento restrittivo espresso in T.A.R. Lazio, sez. III-bis, 10 settembre 2018, n. 9224, p.to 5, che collega il principio di non esclusività algoritmica (anche) alle garanzie partecipative contenute nella legge generale sul procedimento amministrativo.
  111. La garanzia del contraddittorio rappresenta uno degli elementi costitutivi del principio europeo di buona amministrazione, scolpito nell’art. 41, comma 2, lett. a), CDFUE come «diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio». Come specificato dalla Corte di giustizia, «il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo», e implica che «i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione» (Corte giust., sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropé – Organizações de Calçado Lda c. Fazenda Pública, EU:C:2008:746, p.ti 36-37). Sul punto cfr. D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti amministrativi oggi (anche alla luce delle discussioni sull’ambito di applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti UE), cit., pp. 172 ss., e A. Serio, Il principio di buona amministrazione procedurale. Contributo allo studio del buon andamento nel contesto europeo, cit., pp. 61 ss. e 138 ss. Sul diritto alla partecipazione e al contradditorio (audi alteram partem) come componente indefettibile del paradigma del giusto procedimento (due process of law) a livello transnazionale e globale, si vedano S. Cassese, Oltre lo Stato, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 120 ss.; F. Spagnuolo, Principi e regole del giusto procedimento tra ordinamenti nazionali, diritto comunitario e World Trade Organization: verso una «global procedural fairness»?, in A. Massera (a cura di), Le tutele procedimentali. Profili di diritto comparato, Jovene, Napoli, 2007, pp. 367 ss.; G. della Cananea, Al di là dei confini statuali. Principi generali del diritto pubblico globale, Il Mulino, Bologna, 2009, spec. pp. 39 ss. e 67 ss.; Id., Due Process of Law Beyond the State. Requirements of Administrative Procedure, Oxford University Press, Oxford, 2016, pp. 35 ss.
  112. In questo senso si pone l’orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario: cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156, secondo cui le norme in materia di partecipazione procedimentale «devono essere interpretate non in senso formalistico, ma avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione», sicché l’inosservanza di taluna di esse «non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale, quando possa trovare applicazione l’art. 21-octies della stessa legge».Neppure a livello unionale, peraltro, si può parlare della partecipazione procedimentale come di un principio assoluto e inderogabile. La giurisprudenza europea, con riferimento al diritto di essere ascoltati ex art. 41, comma 2, CDFUE, limita infatti le garanzie partecipative dei privati quando il provvedimento da adottare debba «per sua stessa natura poter beneficiare di un effetto sorpresa e applicarsi con effetto immediato» (Tribunale, sentenza 12 dicembre 2006, T-228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:T:2006:384, p.to 128), o qualora sussistano ragioni di urgenza correlate alla tutela di interessi pubblici prioritari, purché la limitazione si proporzionata e accettabile (Corte giust., sentenza 15 giugno 2006, C-28/05, G. J. Dokter, Maatschap Van den Top e W. Boekhout c. Minister van Landbouw, Natuur en Voedselkwaliteit, ECLI:EU:C:2006:408, p.ti 75-76), oppure, ancora, nell’ambito di procedimenti volti all’adozione di atti amministrativi generali (Tribunale, ordinanza 19 settembre 2006, T-122/05, Robert Benkö e altri c. Commissione delle Comunità europee, ECLI:EU:T:2006:262, p.to 68). Sul punto, si veda più ampiamente l’analisi di P. Provenzano, Il procedimento amministrativo e il diritto ad una buona amministrazione, cit., p. 117. In generale, come è stato osservato in dottrina (D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti amministrativi oggi (anche alla luce delle discussioni sull’ambito di applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti UE), cit., pp. 174 ss.), i diritti di partecipazione procedimentale assumono un rilievo sostanziale, per costante giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, soprattutto nei casi di attività discrezionale, mentre possono essere ristretti e, addirittura, possono venir meno del tutto quando la partecipazione risulti ininfluente rispetto al contenuto della decisione amministrativa. In questo senso, si è affermato che la violazione delle garanzie di difesa e di contraddittorio nel procedimento «determina l’annullamento del provvedimento finale soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (Corte giust., sentenza 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV c. Staatssecretaris van Financiën, ECLI:EU:C:2014:2041, p.to 79), secondo una logica del tutto analoga a quella sottesa all’istituto dei vizi non invalidanti nell’ordinamento italiano. Si veda, in senso critico nei confronti di questo orientamento, anche M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti. Problemi e prospettive alla luce della crisi sistemica dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 70 ss. In argomento, cfr. altresì il lavoro monografico di C. Curti Gialdino, I vizi dell’atto nel giudizio davanti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2008.
  113. Cons. St., sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281, p.to 8.
  114. Cons. St., sez. III, 14 settembre 2021, n. 6288, p.to 10.6. Sul punto, cfr. il commento di A. Paiano, La partecipazione nell’attività vincolata dell’amministrazione, in Giorn. dir. amm., 1, 2022, pp. 90 ss.
  115. Sul rapporto tra “fatti complessi” e potere amministrativo vincolato e discrezionale nell’ambito dei procedimenti algoritmici, cfr. R. Ferrara, Il giudice amministrativo e gli algoritmi. Note estemporanee a margine di un recente dibattito giurisprudenziale, cit., pp. 783 ss.
  116. Come evidenzia N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., p. 831, «quanto più è indeterminata la norma da applicare o complessa la realtà sulla quale l’algoritmo deve operare, tanto più è necessario l’intervento dell’uomo: curare l’istruttoria, adottare l’eventuale soccorso procedimentale, addirittura predisporre lo schema di provvedimento».
  117. Come ha osservato D.U. Galetta, Diritto ad una buona amministrazione e ruolo del nostro giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, cit., pp. 631 ss., i diritti di partecipazione del privato al procedimento, «usciti dalla finestra dell’art. 21-octies, rientrano a pieno diritto dalla porta dell’art. 41 della Carta di Nizza», e ciò «non solo per le ipotesi di fattispecie rilevanti ai fini del diritto UE; ma anche, […] in virtù del rinvio ex art. 1 comma 1, l. n. 241/1990, per le fattispecie rilevanti ai soli fini del diritto interno», sebbene in ogni caso con le deroghe e i limiti che la stessa giurisprudenza europea pone all’operatività di tali garanzie, specie con riferimento all’attività vincolata (cfr. supra, nota 112). Sul ruolo dell’art. 41 CDFUE come possibile argine alla dequotazione dei vizi formali e procedurali ex art. 21-octies, comma 2, quantomeno nelle ipotesi di attività discrezionale, cfr. C. Celone, Il diritto alla buona amministrazione tra ordinamento europeo ed italiano, alla luce dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cit., p. 701, nonché P. Provenzano, Il procedimento amministrativo e il diritto ad una buona amministrazione, cit., p. 129.
  118. Sulla centralità della partecipazione procedimentale nello scenario dell’amministrazione algoritmica cfr. R. Cavallo Perin, I. Alberti, Atti e procedimenti amministrativi digitali, pp. 147 ss.
  119. N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., p. 819.
  120. Art. 10, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990
  121. Come è stato osservato, ciò riguarda anche i procedimenti nei quali siano coinvolte amministrazioni diverse, onde «diventa necessario assicurare die momenti di interazione tra amministrazioni e i loro organi istituzionali capaci di garantire una compartecipazione in tutte le fasi che precedono l’utilizzo del sistema [algoritmico] e che incidono fortemente sulla individuazione dei dati e la loro elaborazione» (G. Avanzini, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, cit., p. 94).
  122. A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., p. 37.
  123. Ibidem. In senso analogo anche M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, cit., pp. 18-19: «Trasparenza e conoscenza, o spiegabilità, della procedura automatizzata assicurano, a loro volta, un’adeguata partecipazione del privato alla procedura algoritmica», con la connessa facoltà di «interloquire con il responsabile», ed entrambi si collegano al «principio di responsabilità […] nella costruzione dell’algoritmo», il quale deve essere predisposto in modo tale da «evitare ogni effetto discriminatorio all’esito della decisione algoritmica».
  124. Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270, p.to 8.2.
  125. In tal senso si vedano, fra gli altri, D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., p. 511, e N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., p. 833, ove si parla di «irrinunciabilità della disciplina codificata del potere amministrativo» anche nelle ipotesi di decisioni automatizzate. Cfr. anche D. Simeoli, L’automazione dell’azione amministrativa nel sistema delle tutele di diritto pubblico, cit., pp. 638 ss.In generale sul principio del giusto procedimento amministrativo si vedano, a titolo esemplificativo, L. Buffoni, Alla ricerca del principio costituzionale del «giusto procedimento»: la «processualizzazione» del procedimento amministrativo, in A. Massera (a cura di), Le tutele procedimentali. Profili di diritto comparato, cit., pp. 189 ss.; E.M. Marenghi, Procedimenti e processualprocedimento, Cedam, Padova, 2009; G. Manfredi, Giusto procedimento e interpretazioni della Costituzione, in AA.VV., Procedura, procedimento, processo, Cedam, Padova, 2010, pp. 93 ss.; M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012; A. Zito, Il principio del giusto procedimento, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, cit., pp. 509 ss.; B. Gagliardi, Intervento nel procedimento amministrativo, giusto procedimento e tutela del contraddittorio, in Dir. amm., 2, 2017, pp. 373 ss.; G. Sala, I principi del giusto procedimento e del giusto processo nell’età della (post)codificazione, in G. Sala, G. Sciullo (a cura di), Procedimento e servizi pubblici nel diritto amministrativo in trasformazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2017, pp. 15 ss.; A. Carbone, L’art. 6 CEDU e il giusto processo e procedimento amministrativo. Differenze applicative all’interno degli Stati europei, in DPCE Online, 3, 2019, pp. 2137 ss.; L. Pedullà, La costituzionalizzazione del giusto procedimento, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019.
  126. Utilizzano questa formula M.C. Cavallaro, G. Smorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, cit., p. 17.
  127. Sui concetti di rule of technology e constitutional rule of technology, si veda A. Simoncini, Amministrazione digitale algoritmica. Il quadro costituzionale, cit., pp. 19 ss.
  128. Uno statuto alla cui definizione contribuiscono in maniera determinante le dinamiche di integrazione e di convergenza multilivello in atto nel contesto europeo, che vanno a comporre il nucleo di principi e valori dello ius publicum europaeum: cfr. E. D’Orlando, Lo statuto costituzionale della pubblica amministrazione. Contributo allo studio dei fenomeni di convergenza tra ordinamenti nello spazio giuridico europeo, Cedam, Padova, 2013.
  129. Cfr. N. Paolantonio, Il potere discrezionale della pubblica automazione. Sconcerto e stilemi. (Sul controllo giudiziario delle “decisioni algoritmiche”), cit., pp. 831 ss., ove si fa riferimento proprio alla disposizione dell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, in relazione all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
  130. Ibidem. Sulla necessità di un irrobustimento delle pretese (non solo procedimentali) collegate all’amministrazione digitale, nell’ottica dell’effettività rimediale, cfr. anche E.N. Fragale, La cittadinanza amministrativa al tempo della digitalizzazione, cit., il quale propone un rafforzamento teorico-concettuale di tali pretese, fondato sul carattere fondamentale dei beni protetti, in quanto direttamente collegati a diritti di cittadinanza amministrativa costituzionalmente tutelati.
  131. Sulla rilevanza delle regole procedurali e sui rischi di una loro indistinta dequotazione, anche nella prospettiva dell’amministrazione algoritmica, si veda D.U. Galetta, Algoritmi, procedimento amministrativo e garanzie: brevi riflessioni, anche alla luce degli ultimi arresti giurisprudenziali in materia, cit., p. 515.
  132. F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, cit., p. 61.
  133. Ivi, p. 63.
  134. Così P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, cit., p. 204.
  135. Come è stato recentemente evidenziato da G. Avanzini, Intelligenza artificiale, machine learning e istruttoria procedimentale: vantaggi, limiti ed esigenze di una specifica data governance, cit., p. 94, «appare quanto mai necessario un intervento legislativo che regoli l’automazione dei processi decisionali pubblici e le modalità del loro esercizio. La scelta di ricorrere a tali sistemi o la preferenza verso un tipo di sistema non sono decisioni neutre o attinenti alla mera sfera organizzativa delle amministrazioni, ma viceversa richiedono una legittimazione oltre che una riaffermazione del primato della legalità». Sulla necessità di una disciplina legislativa specifica in tema di procedimenti amministrativi automatizzati, si vedano anche S. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, cit., spec. pp. 34 ss., P. Otranto, Riflessioni in tema di decisione amministrativa, intelligenza artificiale e legalità, cit., spec. pp. 202 ss., nonché, da ultimo, F. Risso, L’automazione nelle relazioni di diritto pubblico, cit., pp. 608 ss., e D. Simeoli, L’automazione dell’azione amministrativa nel sistema delle tutele di diritto pubblico, cit., pp. 634 ss.

Federico Nassuato

PhD in Administrative Law at the University of Udine.