La funzione amministrativa nella riflessione giuridica: una nozione meramente descrittiva o connotativa?

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La funzione amministrativa nella riflessione giuridica: una nozione meramente descrittiva o connotativa?

DOI: 10.13130/2723-9195/2024-2-8
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Il saggio affronta il problema della definizione della funzione amministrativa a partire dal dibattito dottrinale che si è svolto in Italia. Partendo dalla definizione di Zanobini della funzione amministrativa come attività dei pubblici poteri volti alla cura in concreto di un interesse pubblico e passando per le definizioni proposte in particolare da Benvenuti e da Giannini, il saggio esamina, in particolare, le definizioni proposte da Marongiu e Scoca. Dopo la ricostruzione del dibattito dottrinale, si giunge a proporre una definizione della funzione amministrativa il cui tratto caratteristico è individuato nel suo essere un’attività dei pubblici poteri che si risolve sempre nel rispetto dei vincoli posti dalle norme e di quelli scaturenti dal caso di realtà. Nonché in un’attività caratterizzata dal raccordarsi con il passato e il proiettarsi verso il futuro: dal momento che, quanto viene deciso in relazione al caso di realtà presente, costituirà un elemento che, insieme agli altri, concorrerà necessariamente a risolvere situazioni problematiche future.


A legal analysis of the administrative functions of government
The essay begins by addressing the doctrinal controversy in Italy regarding the definition of administrative functions of government. The analysis starts with Zanobini's definition of the administrative function as an activity of public authorities aimed at the concrete care of a public interest. It then moves to address the definitions put forth by Marongiu and Scoca, to those put forth by Benvenuti and Giannini. After reconstruction of the debate, the author develops a definition with the key feature that the administrative function is an activity carried out by public authorities that is always resolved in accordance with the limitations imposed by the laws and those resulting from real-world situations. Additionally, it is an activity that is defined by a connection to the past and an eye towards the resolution of difficult circumstances in the future.
Summary: 1. Il de profundis della nozione di funzione amministrativa.- 2. Prima del de profundis di Giannini: il dibattito sulla funzione amministrativa.- 3. Dopo M.S. Giannini: la funzione amministrativa secondo G. Marongiu.- 4. L’apporto alla ricostruzione della nozione di funzione amministrativa nello studio di F.G. Scoca sull’attività amministrativa e gli ulteriori apporti che emergono dalla dottrina successiva.- 5. Spunti per l’individuazione dell’elemento connotativo della funzione amministrativa.

1. Il de profundis della nozione di funzione amministrativa

Nel 1970 M.S. Giannini affermava che «la locuzione funzione amministrativa è un’espressione verbale, con cui si vogliono indicare l’insieme delle attività svolte dall’insieme degli apparati amministrativi dello Stato e degli altri enti pubblici e comunque delle altre figure soggettive del settore pubblico. Sotto tale profilo, non è improprio e neppure scorretto utilizzarla, a patto però di non porsi il problema di una sua definizione, perché questa non c’è»[1]. Dunque, secondo tale autore, funzione amministrativa è termine descrittivo e non connotativo e in quanto tale non ha e non può assurgere alla dignità di concetto dogmatico e men che mai teorico, se per tali si intendono quei concetti che, definendo i tratti qualificanti di un fenomeno, consentono di distinguere ciò che rientra da ciò che non rientra nell’ambito del fenomeno stesso[2].

L’illustre autore, però, non espungeva del tutto il ricorso al concetto di funzione per spiegare a livello dogmatico ed anche teorico l’agire delle pubbliche amministrazioni. Se infatti non aveva senso porsi il problema di definire cosa fosse la funzione amministrativa, lo stesso non negava che l’attività amministrativa potesse essere funzione, se a questo concetto si attribuisce però il significato di attività globalmente rilevante nella quale, per usare nuovamente le sue parole, «non solo gli atti, ma anche l’intero ordine dei moventi e delle cause degli atti, i non atti sempre con l’intero ordine dei motivi e delle cause, i meri comportamenti, i risultati» acquistano rilevanza[3]. Precisava però che attività rilevante nella sua globalità non significa attività rilevante nella sua interezza, ben potendo il diritto positivo ritagliare una parte della complessiva attività e renderla funzione, con la precisazione che, nel parlare di funzione amministrativa, occorreva grande cautela «perché a parte l’attività che è di regola funzione, ossia quella di carattere autoritativo, tutte le volte in cui tale carattere difetta occorre desumere dalle norme positive se vi è funzione in ordine all’intera attività o in ordine a una sua parte ovvero se la funzione manca del tutto»[4].

Dal pensiero di Giannini emergono, dunque, i seguenti punti fermi: i) la funzione è concetto che può essere utilmente utilizzato in relazione all’attività amministrativa solo nel significato di attività globalmente rilevante; ii) l’attività autoritativa della pubblica amministrazione è sicuramente funzione; iii) per l’attività, che fuoriesce da questo perimetro, si può parlare di funzione solo se si rinviene un fondamento di diritto positivo solido, che non può che essere ricercato nella disciplina delle singole fattispecie.

Il punto dirimente, però, è che la funzione, intesa in questo senso, ossia come attività funzionalizzata, è concetto utilizzabile con riferimento a qualsiasi attività, anche privata, ben potendo essere quest’ultima elevata dalla fattispecie normativa ad attività globalmente rilevante, con la conseguenza che, in effetti, messa la questione in questi termini, non aveva senso porsi il problema della definizione della funzione amministrativa, dal momento che l’essere un’attività funzione ovvero funzionalizzata non individua un tratto qualificante proprio ed esclusivo dell’agire amministrativo.

2. Prima del de profundis di Giannini: il dibattito sulla funzione amministrativa

La posizione dell’insigne studioso sembrava chiudere un lungo dibattito dottrinale, che aveva impegnato la dottrina italiana, sulla scia di quella tedesca, sin dal formarsi dello Stato nazionale, un dibattito cui presero parte alcuni tra i più insigni giuristi operanti tanto in Germania quanto in Italia[5].

L’interesse dei giuristi per la nozione di funzione nasce, infatti, in pratica coincidenza con la formazione dello Stato moderno, allorquando i poteri in esso presenti vengono ripartiti, per effetto della sua progressiva configurazione come Stato di diritto, in capo a più organi o complessi di organi. Ciò determina, fermo restando il postulato (indiscusso e indiscutibile all’epoca) della necessaria riconduzione alla persona dello Stato di ogni potere esercitato, la necessità di individuare i tratti differenziali delle diverse funzioni attraverso le quali lo Stato nell’esercizio del potere (sovrano) vuole ed agisce, al fine di potere determinare la disciplina giuridica propria di ogni funzione[6].

Non deve meravigliare, allora, come anche la dottrina italiana, sulla scia di quella tedesca, abbia a lungo riflettuto sulla questione. Il tratto distintivo delle diverse funzioni veniva ricercato ora nella natura dell’atto che ne costituiva espressione nel mondo giuridico (la legge, il provvedimento, la sentenza), ora nelle caratteristiche della volontà che in esso si esprimeva (volontà generale nel caso della funzione legislativa, volontà particolare nel caso della funzione amministrativa in quanto attuazione della volontà generale al caso concreto, volontà di nuovo particolare per la funzione giurisdizionale in quanto qualificativa dei comportamenti concreti alla luce della volontà generale) ora infine nello scopo cui tendeva ciascuna funzione.

Si deve a G. Zanobini il punto di massima determinazione degli esiti del dibattito sulla funzione amministrativa, la quale era da individuare, secondo il citato autore, in un’attività pratica dello Stato volta a curare in modo immediato e diretto gli interessi pubblici[7].

Come è evidente, la definizione di Zanobini faceva leva sul nesso inscindibile tra attività e scopo, l’una e l’altro collegati dal riferimento alla praticità ossia ad un fenomeno che produce risultati concreti nella realtà materiale.

Seppure il riferimento allo scopo avrebbe consentito, come è stato giustamente osservato, l’applicazione del concetto di funzione a tutte le attività della pubblica amministrazione, a prescindere dalla natura autoritativa o meno delle stesse[8], non fu questa la strada percorsa, bensì quella di operare una differenziazione tra la funzione pubblica e il servizio pubblico, sicché la funzione amministrativa rimaneva pur sempre ricostruita come esercizio di potere e, dunque, in modo tale da non catturare per intero l’attività amministrativa.

A prescindere da questo rilievo, la tesi che riconduceva il tratto qualificante della funzione amministrativa al suo essere un’attività rivolta a perseguire uno scopo pratico dello Stato, nel senso prima chiarito, si esponeva anche ad un’altra obiezione, che non riguardava l’incapacità di coprire tutta l’attività posta in essere dalle pubbliche amministrazioni, ma la sua incapacità di distinguere realmente tale funzione dalle altre ed in particolare da quella legislativa. Fu infatti facile obiettare a tale tesi come anche la funzione legislativa possa, se così la legge dispone, curare interessi che presentano il carattere della immediatezza e della concretezza.

A tacere d’altro è la stessa Costituzione a contenere nella parte delle disposizioni transitorie norme di questo tipo. Si pensi, ad esempio alla disposizione III, ai sensi della quale «per la prima composizione del Senato della Repubblica sono nominati senatori, con Decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell’Assemblea costituente che posseggono i requisiti di legge …». Si pensi alla disposizione XIII ai sensi della quale «i membri e i discendenti di Casa Savoia non sono eletti e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive». L’elenco potrebbe continuare a lungo. Dunque, per rifiutare la tesi di Zanobini, non serviva neanche scomodare la spinosa e controversa questione dell’ammissibilità delle leggi provvedimento, essendo sufficiente richiamare le norme contenute nella Costituzione. A meno che non si volesse sostenere la tesi, alquanto ardita in verità, che l’Assemblea costituente, nell’introdurre tali norme, avesse svolto una funzione amministrativa.

Nel corso del novecento è stata avanzata anche un’altra ricostruzione della funzione amministrativa, dovuta come è noto a F. Benvenuti[9], che individuava il tratto qualificante della funzione nel suo essere un momento di connessione tra il potere attribuito dalla norma e l’atto in cui detto potere si esprime concretamente ovvero nel suo essere un momento «di trasmissione dell’energia giuridica contenuta in potenza nella norma e attualizzata nell’atto» per il tramite del procedimento, luogo nel quale si manifesta in modo sensibile la funzione stessa[10]. In questo modo la funzione amministrativa trovava nel procedimento amministrativo la forma necessaria del suo esercizio, così come quella legislativa trovava tale forma nel procedimento legislativo e quella giurisdizionale nel processo, ciascuno con le proprie caratteristiche derivabili dalla rispettiva disciplina giuridica.

La tesi in questione, che fu poi sviluppata da F. Bassi in uno studio monografico del 1969[11], ha due importanti pregi: i) quello di offrire una ricostruzione della funzione amministrativa basata su elementi strutturali, che riguardano il modo in cui si svolge, e dunque su elementi intrinsecamente giuridici senza la necessità di fare ricorso alla considerazione di fattori estrinseci quali il tipo di finalità perseguita, concreta anziché generale; ii) quello di dare una definizione di funzione amministrativa, che attinge il livello dogmatico-teorico, posto che di tale nozione si individuano i tratti qualificanti da cui si fanno discendere conseguenze sul piano dell’agire concreto (la necessità che ogni potere amministrativo sia concretizzato per il tramite del procedimento anche a prescindere dall’esistenza di una disciplina generale sul procedimento stesso, come è accaduto per tanto tempo nel nostro sistema giuridico).

Una tale ricostruzione della funzione amministrativa presentava però anche lo stesso limite che si è visto con riguardo alla definizione di Zanobini: l’incapacità di coprire tutte le manifestazioni dell’attività amministrativa, atteso che ciò che le pubbliche amministrazioni fanno non si esaurisce di certo nell’esercizio del potere, essendo anzi le attività, che non presentano tale carattere, addirittura quantitativamente maggiori e più rilevanti soprattutto in uno Stato democratico sociale, qual è indubitabilmente il nostro dopo l’entrata in vigore della Costituzione[12].

Sembrerebbe quindi avere ragione Giannini a sostenere l’impossibilità e l’inutilità di una ricerca sulla definizione della funzione amministrativa. Nessuno dei punti di vista da cui il tema viene affrontato si mostra utile alla bisogna: non il criterio facente leva sul tipo di atto o, per meglio dire, sul suo contenuto volto a dettare la regola del caso concreto, dal momento che, per un verso, anche l’atto legislativo può assumere questo contenuto e, per altro verso, anche l’atto amministrativo può avere un contenuto generale. Non il criterio teleologico che riposa sull’immediatezza della cura dell’interesse, perché nuovamente questa caratteristica non è prerogativa esclusiva della pubblica amministrazione, ma anche, se così il legislatore vuole, della legge.

D’altro canto, quando la funzione viene adoperata nel senso di attività globalmente rilevante in quanto finalizzata ad uno scopo, neanche questa attività, per ammissione dello stesso Giannini, è circoscrivibile alla sola attività amministrativa, ben potendo riguardare, se dalla fattispecie astratta emerge il collegamento con lo scopo, anche l’attività posta in essere dai privati, con la conseguenza che affermare che l’attività amministrativa è funzione, in quanto funzionalizzata, nulla dice di peculiare sui caratteri propri ed esclusivi della funzione amministrativa.

3. Dopo M.S. Giannini: la funzione amministrativa secondo G. Marongiu

Sulle base delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, non deve meravigliare come, dopo la presa di posizione di Giannini, il tema della funzione amministrativa e dei suoi tratti qualificanti entri in un cono d’ombra, nel senso che non si rinvengono studi specificatamente dedicati al tema nella prospettiva di comprendere le caratteristiche proprie di tale funzione, se si eccettua la voce enciclopedica di G. Marongiu del 1988[13] (e quella coeva di Benvenuti, che esamina però il concetto di funzione sul piano della teoria generale)[14].

Il contributo di Marongiu apporta, però, novità rilevanti per il progresso degli studi sulla funzione amministrativa. Esso, in primo luogo, si muove in una prospettiva dichiaratamente normativista-kelseniana (sulla scia dell’insegnamento di Benvenuti), che consente di impostare il problema della funzione in un modo che risulta depurato da ogni riferimento al profilo contenutistico della stessa[15]. In questa prospettiva la funzione amministrativa, come ogni altra funzione pubblica, costituisce attuazione dell’ordinamento generale nella logica della produzione e applicazione del diritto ed in quanto tale essa è attività di funzionari, che si converte in attività imputata allo Stato o ad altro ente pubblico sulla base di sistemi di norme disciplinanti i modi specifici attraverso cui si realizza tale imputazione[16].

Ricondotte le funzioni pubbliche dentro questo schema, il tratto distintivo della funzione amministrativa rispetto alle altre viene allora individuato nella circostanza che, per un verso, «l’amministrazione, negli ordinamenti contemporanei che si reggono sul principio di legalità, non può essere nella sua essenza se non un’attività doverosa, che in tanto si legittima in quanto tende alla realizzazione dell’ordinamento per cui è funzione» e, per altro verso, nel fatto che «gli apparati amministrativi, seppure si pongono come apparati serventi rispetto al potere legale e agli ordinamenti impersonali che ne sono espressione, sono, per loro verso, dotati di un proprio potere, il quale tuttavia, si legittima solo in base al suo esercizio razionale, o in termini di rispetto dello scopo, o in termini di razionalità rispetto al valore, o ad ambedue insieme»[17].

In definitiva la funzione amministrativa, secondo Marongiu, è in senso weberiano un agire legale razionale. Non si tratta però di una meccanica trasposizione di tale schema nell’ambito della scienza giuridica, perché esso si arricchisce di un elemento nuovo. Se per Weber, infatti, la razionalità dell’agire amministrativo era garantita dalla sua legalità ossia dall’azione del funzionario pubblico conforme alla norma, nella funzione amministrativa la razionalità non è garantita solo da questo aspetto, ma, come detto, dalla razionalità strumentale che costituisce un surplus rispetto al mero rispetto della legge e su cui si fonda uno dei fattori legittimanti l’amministrazione, come poc’anzi detto.

Ma cosa garantisce che la razionalità nella seconda accezione sia effettivamente messa in opera?

Secondo l’autore tale garanzia è assicurata in primo luogo dall’ufficio, da intendere però non (solo) come elemento statico dell’organizzazione pubblica, una sua unità elementare risolvibile sul piano giuridico nella competenza, ma come elemento dinamico, da cui si origina l’agire doveroso del titolare in vista del perseguimento dello scopo, che si converte proprio per il tramite dell’ufficio in agire amministrativo. La centralità dell’ufficio e della complessiva organizzazione, in cui l’ufficio è inserito, costituiscono il primo presupposto per l’esercizio razionale della funzione atteso che, come dice lo stesso autore, la razionalità «non si affida … alla disciplina dei comportamenti singoli, ma invece all’organizzazione di tali comportamenti, all’ordinamento cioè delle relazioni possibili tra strutture agenti e processi operativi da una parte e obiettivi da raggiungere e compiti da perseguire dall’altra»[18].

In secondo luogo, la razionalità è assicurata dal fatto che, nell’agire del funzionario titolare dell’ufficio, viene speso un sapere specialistico che conferisce ad esso una connotazione tendenzialmente oggettiva e dunque razionale.

In terzo luogo, la razionalità è garantita dalla circostanza che il funzionario non può prescindere dai fatti di realtà, su cui l’agire è destinato a produrre effetti, nel senso che «l’essenza stessa dell’amministrazione è nel suo aderire ai fatti come si presentano nel caso concreto e nell’attribuire ad essi il valore giuridico che è implicito nel sistema di interessi fissato in via ordinamentale»[19].

Tutto ciò fa dire all’autore, al termine del suo lavoro, che sul terreno indicato «sembra si possa recuperare un qualche carattere unitario della funzione amministrativa: oltre l’estrema varietà delle manifestazioni dell’azione e la pluralità dei regimi di disciplina e organizzazione, vi è un momento in cui l’amministrazione è sempre uguale a sé stessa e in cui è riconoscibile, appunto, come funzione di un ordinamento costituzionalmente determinato e qualificato»[20]. Ed è in questo momento che si «dispiegano i principi che reggono l’amministrazione di un ordinamento democratico come il nostro: i principi di buon andamento, imparzialità, eguaglianza, continuità, autonomia, azionabilità e forse altri ancora»[21].

La ricostruzione, che si è esaminata, è importante non solo per gli approdi cui giunge, ma anche per le premesse concettuali (innovative nell’ambito della scienza giuridica) che la sorreggono.

La prima di queste assunzioni è che l’amministrazione pubblica è sempre un agire che consiste in un processo di trasformazione della realtà volto a realizzare effetti sul piano materiale e dunque un agire che, muovendosi tra i due poli della norma e del fatto, è destinato a produrre una decisione che deve essere, oltre che conforme alla norma, anche razionale nel senso prima detto[22]. Per usare le parole dell’autore, tale agire si colloca tra la scelta «intesa dinamicamente come processo che porta alla decisione attraverso tutte le sue fasi» e «l’organizzazione delle diverse variabili di struttura e di processo, che assicurano il massimo di razionalità possibile nell’adozione della scelta stessa», sicché, se si mettono insieme queste due variabili, «si può constatare facilmente che il tratto intermedio tra il potere e l’atto, o se si vuole, allargando l’orizzonte, tra la posizione dello scopo e il perseguimento del risultato, è nell’amministrazione l’agire stesso, il quale acquista il suo specifico senso di azione sociale, proprio dal suo porsi come mezzo giuridicamente necessario e sufficiente per portare lo scopo (astratto) alla sua realizzazione (concreta)»[23].

Come è evidente, si tratta di una proposta ricostruttiva che offre una nozione di funzione amministrativa in grado di valere per tutte le attività della pubblica amministrazione a prescindere dalla loro connotazione giuridica in termini di esercizio del potere o meno. Spostare il punto di osservazione sull’agire dei funzionari, infatti, libera questo agire dall’ipoteca del potere autoritativo senza far perdere nulla in termini di doverosità ed oggettività dell’azione, la quale è garantita, per il primo profilo, dall’ufficio e dal dovere ad esso immanente e, per il secondo profilo, dal sapere specialistico speso dal titolare dell’ufficio orientato alla cura dell’interesse pubblico e vincolato dalla necessaria adesione ai fatti di realtà sulla base del valore giuridico che gli stessi hanno nella trama dei valori ordinamentali[24].

4. L’apporto alla ricostruzione della nozione di funzione amministrativa nello studio di F.G. Scoca sull’attività amministrativa e gli ulteriori apporti che emergono dalla dottrina successiva

Sebbene, come detto, a partire dagli anni novanta del secolo scorso si diradino i lavori aventi ad oggetto la ricostruzione della nozione di funzione amministrativa, vi è quanto meno uno studio che, pur non dedicato all’analisi della funzione amministrativa, può ben essere qualificato come un contributo sulla ricostruzione di tale nozione.

Il riferimento è alla voce enciclopedica sull’attività amministrativa di F.G. Scoca del 1996[25]. L’obiettivo del lavoro è quello di verificare se tale attività sia ricostruibile come una unitaria fattispecie oggetto di una specifica qualificazione normativa e in caso di risposta affermativa di individuare quale sia lo statuto giuridico di tale attività. Il collegamento tra l’attività amministrativa e la fattispecie, spostando il focus dall’atto al processo decisionale delle pubbliche amministrazioni[26], determina che la riflessione sull’attività sia necessariamente anche una riflessione sulla funzione amministrativa, dal momento che tale nozione ambisce a cogliere l’agire amministrativo colto nel suo insieme e non con riferimento ai singoli atti.

Secondo Scoca l’evoluzione del diritto positivo consente di sostenere fondatamente come «si va decisamente verso uno statuto unitario, applicabile all’attività amministrativa come tale, e solo in quanto amministrativa, quale che sia il regime giuridico degli atti nei quali essa rifluisce (provvedimenti, accordi, convenzioni, contratti)»[27]. Ne consegue che «comunque l’attività posta in essere dall’amministrazione per la cura di interessi pubblici (ossia tutta l’attività che essa può porre in essere) è comunque attività amministrativa in senso proprio, soggetta a tutti … i principi che reggono l’attività amministrativa; e ciò tanto se gli atti che alla fine vengono adottati siano retti dal diritto pubblico (provvedimenti) tanto se siano retti dal diritto privato (contratti, accordi)»[28].

La conclusione del ragionamento è che «lo statuto giuridico dell’attività amministrativa torna ad essere unitario (non più suddiviso in statuto pubblicistico e statuto privatistico): l’amministrazione agisce sempre secondo valutazioni discrezionali anziché libere, ed è tenuta sempre a dare applicazione ai principi, costituzionali e non, che risultano effettivamente vigenti; adeguandosi ad una doppia necessità: perseguire l’interesse pubblico e rispettare (o tenere conto delle) situazioni soggettive del privato»[29].

Tale statuto vale anche per quelle attività che sono fuori dal perimetro dell’attività autoritativa, trovando lo stesso applicazione, ad esempio, anche ai servizi pubblici, «in particolare ai servizi consistenti in attività di erogazione di prestazioni (personali o reali)»[30]. Pure questa attività, quanto meno ove si tratti di attività di amministrazioni pubbliche, deve, secondo la ricostruzione di Scoca, rispondere ai principi costituzionali e di derivazione costituzionale.

Come è agevole comprendere, la ricostruzione presenta alcuni rilevanti pregi: i) è in grado di applicarsi all’attività amministrativa in quanto tale a prescindere dalla natura giuridica di detta attività e dalla disciplina cui soggiacciono gli atti in cui essa trova espressione; ii) si delineano gli elementi che sono oggetto di qualificazione giuridica e che dunque trovano ingresso nella fattispecie giuridica disciplinante l’attività amministrativa tout court, individuati nella discrezionalità, nella cura dell’interesse pubblico, nella diretta attuazione dei principi costituzionali e nel doppio vincolo rappresentato dalla necessità, per un verso, di perseguire l’interesse pubblico e, per altro verso, di rispettare le situazioni giuridiche dei privati.

Anche lo studio di Scoca si muove in una prospettiva rigorosamente normativista, giungendo, non a caso, a conclusioni non poi così distanti da quelle cui giunge Marongiu, la cui analisi pure si muove nella stessa prospettiva. Quando infatti Scoca afferma che l’attività amministrativa si muove astretta tra un doppio vincolo (la cura dell’interesse pubblico, per un verso, e il rispetto delle situazioni giuridiche private, per altro verso), ebbene, posto che la cura di tale interesse passa necessariamente per la sua progressiva concretizzazione sulla base dei fatti di realtà, la sintonia con l’affermazione che tratto caratteristico della funzione amministrativa sia quella di aderire ai fatti, come sostenuto da Marongiu, è evidente. Parimenti il rispetto delle situazioni giuridiche soggettive dei privati, su cui insiste Scoca, è nuovamente in sintonia con la tesi di Marongiu che la legittimazione della pubblica amministrazione passi sia dal rispetto del principio di legalità sia dal rispetto del principio dell’agire razionale, atteso che non vi può essere tutela delle suddette situazioni giuridiche soggettive sulla base del solo rispetto del principio di legalità formale se, a questo pur irrinunciabile profilo, non si accompagni il rispetto di una dimensione sostanziale dell’agire amministrativo.

A conclusione del discorso, si deve ricordare come, nel ventennio trascorso dopo l’inizio del secolo, non manchino ulteriori contributi che, pur focalizzando l’attenzione su temi diversi, ancorché contermini, non possono eludere il tema della funzione amministrativa, offrendo significativi elementi di riflessione proprio nella prospettiva di una chiarificazione del concetto, sicché, per completezza d’indagine, conviene, pur senza entrare in una analisi dettagliata di tali contributi, indicare alcune linee di tendenza che emergono dal dibattito.

In primo luogo, la dottrina, nel misurarsi con la funzione amministrativa, accentua la centralità che in relazione ad essa assume la persona con tutto il corredo di diritti, interessi, bisogni ed aspettative, che non soltanto la pubblica amministrazione o, per meglio dire, i suoi funzionari devono considerare nello svolgimento dell’attività, ma anche garantire, nella misura massima possibile, sul piano del risultato che si realizza nella realtà materiale. E così, la rilevanza della persona colta nell’effettività reale della sua esistenza (e non quale soggetto giuridico astratto destinatario degli effetti giuridici prodotti dall’azione amministrativa), la conseguente estensione di tale rilevanza ad ogni momento dell’agire amministrativo (a prescindere cioè che esso si sostanzi nell’esercizio del potere o in una mera attività di prestazioni) e, infine, la centralità che assume rispetto all’agire amministrativo il funzionario pubblico e non la persona giuridica pubblica di cui egli è per l’appunto funzionario, sono tutti elementi che sembrano tendenzialmente propri ed esclusivi della funzione amministrativa e non delle altre funzioni pubbliche[31].

Come è evidente siamo ben oltre l’amministrazione obbiettivizzata o democraticizzata, che pure costituiscono fondamentali conquiste, cui la dottrina amministrativistica era pervenuta a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, perché in questa prospettiva l’amministrazione pubblica è certamente questo, ma anche altro, ossia un’organizzazione di funzionari colti nel loro essere persone la cui azione ha come necessario termine di riferimento altre persone. Sicché è proprio in questo intreccio relazionale che si coglie uno dei tratti caratterizzanti della funzione amministrativa, perché, se è vero che esso trova il proprio fondamento e la primigenia rilevanza nella norma, è altrettanto vero che esso non si esaurisce sul piano normativo, investendo profili ulteriori quali la necessaria previsione degli effetti dell’azione sul piano della realtà materiale filtrata attraverso la rilevanza della persona e dei suoi interessi.

In secondo luogo la dottrina, nello studiare la progressiva complessità che caratterizza l’agire amministrativo, che non si lascia ricomprendere né attraverso il collegamento tra procedimenti né attraverso gli strumenti che concentrano tale collegamento in un unico momento decisionale (come ad esempio la conferenza di servizi), pone l’accento sulla necessaria razionalità che deve accompagnare l’esercizio della funzione, sia essa razionalità organizzativa e funzionale sia essa razionalità strumentale rispetto alla decisione.

Tanto che alla complessità si guardi dal punto di vista dell’operazione amministrativa, intesa come fattispecie unitaria del tutto peculiare che si sostanzia in «un nuovo modo in cui l’attività amministrativa è presa in considerazione (e disciplinata) dal diritto positivo»[32], quanto che alla predetta complessità si guardi a partire dal dovere del funzionario pubblico di massimizzare l’interesse pubblico nei contesti decisionali pluristrutturati[33], sembra che non si possa fare a meno di riconoscere alla razionalità una posizione privilegiata rispetto all’esercizio della funzione amministrativa[34].

Infine, deve essere ricordato come in un ampio ed esaustivo studio monografico, dedicato a cogliere le novità dell’esercizio del potere nella crisi della sua unilateralità, il carattere distintivo della funzione amministrativa, rispetto alle altre funzioni, venga cercato nella sua continuità rivolta alla cura dell’interesse pubblico. Secondo l’autore dello studio, infatti, «mentre nell’attività amministrativa la continuità dell’esercizio è costante sia nel suo profilo astratto che in quello concreto, nelle funzioni legislative e giurisdizionali costante è solo la continuità astratta, a differenza invece di quella concreta che è solo eventuale, giacché rimessa all’altrui sollecitazione»[35]. Come è evidente, in questa proposta definitoria la coppia concettuale astratto/concreto non viene utilizzata, come avviene tradizionalmente, per spiegare il momento del passaggio dal potere attribuito al potere esercitato, bensì ripensata in modo originale per individuare un fluire dell’agire amministrativo che non ammette soluzioni di continuità, sicché tale agire è sempre all’opera a prescindere da qualsiasi sollecitazione esterna allo stesso, con la conseguenza che il proprium della funzione amministrativa in questo suo carattere indefettibile.

5. Spunti per l’individuazione dell’elemento connotativo della funzione amministrativa

Dall’esame delle posizioni dottrinali svolto nei paragrafi precedenti emerge innanzitutto come dal punto di vista del metodo vi siano perlomeno tre possibili approcci allo studio della funzione amministrativa.

Vi è un primo approccio, adottato in particolare da Scoca, che si può definire dogmatico, perché muove dai dati di diritto positivo e su di essi ricostruisce la nozione di attività amministrativa nonché, per le ragioni prima illustrate, di funzione amministrativa. Vi è un secondo approccio di tipo metadogmatico, qual è quello adottato prevalentemente da Marongiu, che, al pari di quanto sostenuto da Giannini a proposito della discrezionalità amministrativa[36], assume la funzione amministrativa come un concetto presupposto dalle norme dettate in tema di organizzazione ed azione amministrativa, sicché la definizione di tale funzione non va cercata sulla base del diritto positivo (o comunque non solo su questa base), ma anche sul terreno della complessiva posizione della pubblica amministrazione nel sistema giuridico. Vi è infine un terzo approccio, che si può definire eclettico, in quanto miscela in modo convincente gli altri due (ed è quello che caratterizza i lavori di Spasiano, D’Orsogna, Dettori e Giardino, che non a caso si confrontano tanto con lo studio di Scoca quanto con quello di Marongiu) pervenendo ad una sintesi non priva di accenti di originalità.

Dai suddetti contributi dottrinali emergono però anche indicazioni sulla “sostanza” della funzione amministrativa veicolate attraverso alcuni concetti chiave dai quali non sembra si possa prescindere allorquando si affronta il tema, quali in particolari quelli di razionalità organizzativa e decisionale, continuità dell’agire amministrativo, suo rapportarsi con il fatto, centralità della persona.

Se però si guarda alla riflessione dottrinale nel suo complesso, sembra emergere una costante in tema di studi sulla funzione amministrativa rappresentata dal necessario collegamento di tale fenomeno con il fine. Insomma, pur nel variare delle posizioni dottrinali, la tensione finalistica, che accompagna il concetto di funzione, il suo essere cioè una deputatio ad finem, non vengono mai messe in dubbio. Nel caso di Zanobini, anzi, il riferimento al fine ossia alla cura dell’interesse pubblico, diventa, attraverso la sua caratterizzazione in termini di concretezza, immediatezza e praticità, il punto archimedeo su cui si fa leva per tratteggiare l’elemento distintivo della funzione amministrativa rispetto alle altre funzioni pubbliche.

In presenza di questo dato sembra allora corretto tornare a riflettere sulla funzione amministrativa a partire dall’unico elemento che sembra certo ossia la sua finalizzazione ad uno scopo e dunque alla cura dell’interesse pubblico, non per riproporre la tesi zanobiniana, quanto per vedere se, ragionando sull’interesse pubblico e sulle sue caratteristiche, possano discenderne indicazioni utili per una più convincente definizione della funzione stessa.

Naturalmente si è perfettamente consapevoli che quello dell’interesse pubblico costituisce un terreno, per così dire, minato per lo studioso di diritto amministrativo. Se, infatti, dal riferimento ad esso nessuna ricostruzione di qualunque aspetto del diritto amministrativo può prescindere, nondimeno la sua definizione è quantomai sfuggente, se non del tutto impossibile. Individuare, a partire dai dati di diritto positivo, i tratti caratteristici in presenza dei quali si può affermare che un certo interesse sia da considerare pubblico è operazione che, sebbene tentata dalla dottrina, non ha mai sortito risultati convincenti, se non a prezzo di attestarsi su posizioni che dal punto di vista definitorio nulla definiscono, quale ad esempio quella che fa discendere la presenza di un interesse pubblico dalla natura (pubblica) del soggetto deputato alla sua cura.

Si tratta di una difficoltà che peraltro non affligge solo la scienza giuridica. Il tema è stato infatti affrontato con grande impegno da filosofi, politologi, sociologi, senza che nessuna di queste discipline sia pervenuta ad una efficacia connotazione dei caratteri dell’interesse pubblico.

Tuttavia, pur nella ricordata difficoltà, la scienza giuridica è pervenuta a risultati estremamente interessanti con riferimento alla concreta individuazione dell’interesse pubblico da parte della pubblica amministrazione che lo ha in cura. In estrema sintesi è posizione comune quella che vede nell’interesse pubblico fissato dalla legge niente più che un riferimento generale, una sorta di indicazione di massima, che funge da momento iniziale per la sua progressiva specificazione in relazione al caso di realtà che impegna la pubblica amministrazione[37]. Ebbene, se sul punto vi sono importanti contributi che hanno indagato questo aspetto a partire dalla nozione di situazione problematica che viene progressivamente chiarita dalla pubblica amministrazione[38], minore attenzione, se si eccettua un contributo scientifico dei primi anni settanta del secolo scorso, è stata dedicata al fatto che all’origine del processo di specificazione dell’interesse pubblico concreto quasi mai si colloca una situazione di realtà assolutamente inedita, che non possa per qualche aspetto essere ricondotta ad una precedente situazione già risolta e nel contempo costituire parametro in futuro per la soluzione di altre situazioni di realtà che si presentano dinanzi alla pubblica amministrazione[39].

Se si ragiona in questi termini, è allora evidente come la generica definizione dell’interesse pubblico a livello legislativo si configuri come il “filtro” affinché un problema di realtà possa essere riconosciuto come tale e dunque trovare ingresso nell’ambito della pubblica amministrazione divenendo successivamente oggetto di trattamento specifico. Tale trattamento, che condurrà alla scelta e alla decisione, è però il frutto della combinazione di elementi che provengano sia dal dato normativo, che regola la fattispecie, sia, per le ragioni poc’anzi dette, dalla esperienza passata sia infine dalla valutazione diretta della specifica situazione di realtà, che conduce a quella che può definirsi la “costruzione giuridica del caso”, necessariamente comprensiva sia degli elementi fattuali, empiricamente verificabili, sia della ricognizione degli interessi in esso presenti e della loro traduzione in termini di rilevanza e valore giuridico.

Ebbene è in questo primigenio momento di “filtro” e nel combinarsi dei predetti elementi che può forse essere individuato il proprium della funzione amministrativa rispetto alle altre funzioni, perché tanto l’uno quanto gli altri non sono presenti contemporaneamente né in quella legislativa né in quella giurisdizionale. Sicché ha forse ragione quella dottrina, prima richiamata che, nell’individuare il tratto qualificante della funzione amministrativa, lo rinviene nella continuità[40]. Il suo esercizio infatti si risolve sempre nel rispetto dei vincoli posti dalle norme e di quelli scaturenti dal caso di realtà nonchè nel raccordarsi con il passato e nel proiettarsi verso il futuro, dal momento che quanto viene deciso in relazione alla situazione problematica del presente costituirà un elemento che, insieme agli altri, concorrerà necessariamente a risolvere situazioni problematiche future.

  1. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Giuffrè, Milano, 1970, p. 443
  2. I concetti o, se si preferisce i termini concettuali, si risolvono in definizioni che individuano le qualità di un oggetto e che ne consentono l’esatta distinzione rispetto ad altri oggetti (ho il concetto di X se per il suo tramite sono in grado di distinguere X da ciò che è non X). Nell’ambito del diritto sono, a parere di chi scrive, concetti teorici sia quelli che derivano da definizioni convenzionali (tali sono molti dei concetti utilizzati nella teoria generale del diritto) sia quelli che vengono elaborati partendo dal diritto positivo e dunque dalle norme, la cui analisi sistematica consente di pervenire alla definizione del concetto, che non è convenzionale (o non è solo tale), ma deriva da dati empiricamente osservabili, quali sono le norme (rectius gli enunciati linguistici) in cui le prescrizioni sono espresse. Da questo punto di vista anche il livello dell’analisi sistematica o, per usare un termine molto adoperato dai giuristi, dogmatica può pervenire alla costruzione di un concetto connotativo e non meramente descrittivo. Questo spiega perché nel testo si parla sia di livello dogmatico sia di livello teorico al quale la nozione di funzione, secondo Giannini, non può assurgere.
  3. M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo, III, 1. L’attività amministrativa, Giuffrè, Milano, 1967, p. 6. La questione della funzione è trattata dall’autore in tutta la sua produzione manualistica e, dunque, non soltanto nell’opera del 1970 o in quella citata in questa nota, ma anche in volumi precedenti, di cui si può vedere in particolare M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo. Dispense Anno Accademico 1964-65, I. Premesse sociologiche e storiche II. Teoria dell’organizzazione, dove il tema della funzione amministrativa viene analizzato in modo particolarmente approfondito, dando ampio conto del dibattito dottrinale svoltosi sul punto (cfr. in particolare p. 73-87).
  4. M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo …, cit., p. 13.
  5. Sul dibattito svoltosi nella dottrina tedesca ed italiana cfr. l’efficacissima sintesi di F. Benvenuti, Funzione (teoria generale), in Enc. Giur., Vol. XIV, Treccani, Roma, 1988, ora in, F. Benvenuti, Scritti giuridici, Vol. V, Milano, Vita e Pensiero, 2005, p. 4081 ss. (le successive citazioni faranno riferimento al volume citato da ultimo) Per una ricostruzione analitica delle diverse posizioni dottrinali resta ancora oggi valido il contributo monografico di A. Carnevale Venchi, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato I, Cedam, Padova, 1969.
  6. Non è un caso che il dibattito sulle funzioni pubbliche e sulla loro tripartizione sia strettamente collegato al dibattito sui poteri e sulla loro separazione.
  7. Cfr. G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. I, Giuffrè, Milano, 1950, secondo cui la definizione riportata nel testo «…contiene gli elementi che valgono a differenziare l’amministrazione dalle altre funzioni dello Stato. Se anche esse, al pari dell’amministrazione, costituiscono altrettanti mezzi per il conseguimento dei fini pubblici, l’amministrazione presenta due elementi specifici e particolari, che la distinguono da qualunque altra attività dello Stato: l’immediatezza e la praticità». L’autore specifica poi che «Lo Stato provvede al conseguimento dei suoi fini per mezzo di una serie di attività, che costituiscono le sue funzioni. Alcune di queste provvedono i fini cui si riferiscono in modo mediato e indiretto, altri in modo immediato. L’azione può dirsi mediata quando lo Stato, in ordine agli interessi di cui si tratta, si limita a regolare la condotta dei vari consociati, vietando certe azioni che possono costituire, per tali interessi, un danno o un pericolo (leggi penali, di polizia e altre); oppure, permettendo espressamente alcune attività, riconoscendo alcuni diritti e facoltà, stabilendo le condizioni per l’acquisto e la conservazione di questi ultimi (leggi civili). La funzione con cui lo Stato pone queste varie norme di condotta, dicesi legislazione; quella con la quale assicura l’osservanza delle norme stesse, costituisce la giurisdizione. L’azione immediata consiste, invece, in un’attività svolta dagli stessi organi dello Stato per curare i fini a cui si rivolge: essa costituisce la pubblica amministrazione in senso oggettivo» (pp. 9-11).
  8. Nel senso indicato nel testo G. Marongiu, Funzione amministrativa, in Enc. Giur., Vol. XIV, Treccani, Roma, 1988, ora in G. Marongiu, La democrazia come problema. I Diritto, amministrazione ed economia, Tomo 2, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 301-326 (le successive citazioni faranno riferimento alla raccolta di scritti da ultimo citata).
  9. F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1952, p. 118 ss., ora, F. Benvenuti, Scritti giuridici, Vol. II, cit. p. 1117- 1140.
  10. Così F. Benvenuti, Funzione (teoria generale), cit., p. 4086. Già nel saggio del 1952, citato nella nota precedente, quest’ordine di idee era compiutamente espresso. Cfr. in particolare p. 1119-1120 dove si dice che «questo concretarsi del potere in atto non è mai così istantaneo» perché «solo se il potere si trasformasse istantaneamente nell’atto la sua trasformazione non assumerebbe mai una propria reale individualità. Ma quando manca una tale istantaneità tra il potere e l’atto, vi è qualcosa che, mentre si concreta, non è più potere ma non è ancora atto” sicché, sotto il profilo obiettivo, dunque la funzione è un momento della concretizzazione del potere in atto: momento di cui è appena da sottolineare qui la sostanziale unitarietà».
  11. F. Bassi, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato, Giuffrè, Milano, 1969.
  12. Sul punto è sufficiente ricordare che la nostra Costituzione contenga un grande processo di trasformazione sociale che è affidato in modo non episodico né marginale all’azione della pubblica amministrazione. In tale compito la pubblica amministrazione viene in rilievo non tanto o non soltanto come potere, ma anche e soprattutto come soggetto che mette a disposizione beni e servizi a tutela dell’effettivo godimento dei diritti sociali attraverso prestazioni, che devono ricondursi più dentro uno schema di diritti e obblighi, sia pure mediato dalla interposizione legislativa, che non considerate momento di esercizio del potere.
  13. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 301ss.
  14. F. Benvenuti, Funzione (teoria generale), cit., p. 4086 ss.
  15. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., il quale, dopo avere ricordato lo schema kelseniano in base al quale l’ordinamento giuridico è un sistema di norme generali e individuali, connesse fra loro in base al principio che il diritto regola la propria creazione, osserva come non soltanto «la dottrina pura delegittima ogni residua distinzione tra norma e provvedimento sul piano della distinzione materiale tra creazione ed applicazione del diritto, ma, ciò facendo, essa pone su basi nuove la stessa teoria delle funzioni pubbliche perché la sostanziale coincidenza tra le funzioni statali e le funzioni del diritto consente in realtà di dare al problema dell’agire dello Stato una soluzione che muta radicalmente il concetto stesso di funzione. Se nell’impostazione classica si poteva parlare di funzioni dello Stato quasi <<realisticamente>>, come se esso fosse un soggetto (reale) che vuole ed agisce esso stesso, ora appare chiaramente che il problema delle funzioni statali è solo un problema di <<ascrizione>>, il problema cioè di sapere <<se a quali condizioni una funzione assolta da un certo individuo può essere ascritta allo Stato>>. La risposta a questo problema è del tutto formale. Non più la funzione, come voleva Jellinek, quale rapporto tra attività e fini dello Stato, ma la funzione quale rapporto tra attività e unità dell’ordinamento posta dalla norma fondamentale regolatrice del processo di produzione e applicazione del diritto» (p. 312).
  16. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., in particolare pp. 315, dove si dice che «non solo viene meno ogni requisito oggettivo dell’attività come criterio d’individuazione della funzione pubblica, ma emerge anche in tutta evidenza la dimensione essenzialmente organizzativa dell’attività pubblica come attività di funzionari, svolta secondo norme, in attuazione di un dovere d’ufficio, sulla base di un principio di divisione del lavoro».
  17. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 317.
  18. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 319.
  19. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 318.
  20. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 321.
  21. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 322.
  22. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit. dove si dice che «Ciò che conta … è il richiamo all’amministrazione come fare come dimensione produttiva e trasformativa, assoggettata, appunto, a regole … che danno <<misura>> al fare stesso e lo rendono idoneo al compito che gli viene assegnato in via ordinamentale» (p.318).
  23. Cfr. G. Marongiu, Funzione amministrativa, cit., p. 320.
  24. Coglie il punto con estrema lucidità S. Dettori, Il dovere d’ufficio nella teoria giuridica della funzione amministrativa, Wolters-Kluver, Milano, 2023, in particolare p. 41 ss.
  25. F.G. Scoca, Attività amministrativa, in EdD-Aggiornamenti VI, 2002, p.75 ss.
  26. Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., in particolare p. 76 il quale rimarca che «Con la legge sul procedimento amministrativo (l. 7 agosto 1990, n. 241) e con le leggi successive di riforma, l’attività dell’amministrazione pubblica è diventata essa medesima, oltre al provvedimento, oggetto di una ormai cospicua disciplina positiva, acquisendo rilevanza giuridica sempre più marcata: si pensi al cosiddetto controllo di gestione o di efficienza, al cosiddetto controllo strategico, alla responsabilità dirigenziale e alla responsabilità dell’amministrazione verso terzi, tutte “vicende” che trovano nell’attività in quanto tale la loro fattispecie. Una volta, peraltro, che l’attività è entrata nel campo visuale della speculazione teorica, conviene anche tentare di sceverare tra i principi e gli istituti finora indiscriminatamente riferiti al provvedimento, riportando all’attività quello che le è proprio e lasciando al provvedimento solo ciò che lo riguarda direttamente. Costruendo una teoria dell’attività amministrativa da collocare accanto alla teoria degli atti, e, in particolare, del provvedimento».
  27. Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., p. 95.
  28. Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., pp. 95-96.
  29. Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., p. 96.
  30. Cfr. F.G. Scoca, Attività amministrativa, cit., p. 98.
  31. La posizione di cui si dà conto nel testo si deve in particolare a M. Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Giappichelli, Torino, 2003. Secondo questo autore «… l’obiettivizzazione della funzione amministrativa chiama ineludibilmente ad interpretare un inusitato ruolo di primaria responsabilità non tanto l’ente (soggetto astratto e neanche necessario), bensì il funzionario che, in una logica non più rispondente ad un’impostazione di tipo squisitamente o comunque largamente esecutiva di un astratto dettato normativo, appare personalmente tenuto a garantire la soddisfazione materiale di quegli interessi che sono affidati alla cura del suo operato sulla base sia di atti di indirizzo, sia di rispondenza a quelle pretese (giuridicamente fondate) costituenti manifestazioni di diritti delle persona o opportunità di sviluppo economico» (p. 76).
  32. Cfr. in proposito il lavoro di D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Editoriale scientifica, Napoli, 2005. Il passo citato nel testo si trova a p. 183.
  33. Cfr. in proposito il lavoro di S. Dettori, Il dovere d’ufficio nella teoria giuridica della funzione amministrativa, cit.
  34. Nella prospettiva di D. D’Orsogna la razionalità viene in rilievo soprattutto dal punto di vista organizzativo e funzionale nel senso che se «il buon andamento esige che l’amministrazione si strumenti e si svolga in modo razionale e funzionalmente adeguato rispetto agli scopi di pubblico interesse da raggiungere e ai problemi da risolvere, il senso più pregnante dell’imperativo del buon andamento nel contesto di un amministrazione oggettivamente complessa, la unità della quale non esiste sul piano strutturale ed astratto, è da ricercare e da ricomporre nel concreto, volata per volta , sul piano del coordinamento … funzionale» (D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, cit. p. 219). Ed ancora per usare le parole dell’autore: «Lo studio dell’operazione amministrativa sembra intercettare direttamente la materia delle relazioni interstrutturali, le quali, come è noto, sono quelle che in modo più pregnante sono volte a soddisfare l’intrinseca esigenza di razionalità del sistema di <<ricomporre a livello funzionale (o forse a livello delle finalità generali dell’ordinamento) quella unitarietà dell’organizzazione complessiva che non esiste (e non si vuole che sussista) a livello strutturale>>; in modo da assicurare, in ossequio al canone di razionalità amministrativa scolpito nel principio costituzionale del buon andamento, un agire tendenzialmente coordinato dei diversi centri di cura degli interessi pubblici o, se si preferisce, la tensione verso la <<massimizzazione>> legittima dell’interesse pubblico (concreto)» (p. 264). Nella prospettiva di S. Dettori, la razionalità è collegata in modo più stretto alla decisione. L’autore infatti, nel tentativo (riuscito) di liberare la funzione amministrativa dall’ipoteca del potere e del relativo modello legale di riferimento, così da ricomprendere, per il tramite del dovere, «fattispecie comportamentali ulteriori e differenti rispetto a quelle che tradizionalmente esauriscono l’ambito di rilevanza giuridica dell’agire amministrativo» (p. 165), non può fare a meno di collocare in posizione centrale la decisione razionale, sia pure di una razionalità di tipo incrementale, volta a massimizzare l’interesse pubblico nel rispetto delle interdipendenze tra tutti gli interesse presenti nella realtà.
  35. Cfr. E. Giardino, La plurilateralità della funzione amministrativa. L’esercizio del potere amministrativo nella crisi dell’unilateralità del provvedimento, Giappichelli, Torino, 2012, p. 40.
  36. cfr. M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1939, pp. 10-11 secondo cui la discrezionalità costituisce uno di quei «concetti basilari della scienza del diritto, come quello di volontà, di interesse giuridico, di persona giuridica, ecc., che le norme giuridiche presuppongono».
  37. Tale notazione è peraltro comune anche negli studi di scienza dell’organizzazione e della decisione. La fluidità del fine, che le scelte sia umane sia delle organizzazioni intendono perseguire, ha trovato ingresso nell’ambito dei predetti studi ad opera di J. March di cui si veda in particolare il volume Decisions and Organizations, Basil Blackwell Ltd., Oxford, 1988 (trad. it. Decisioni e organizzazioni, il Mulino, Bologna, 1994). Secondo tale autore il postulato da cui muovono gli studi sulla decisione razionale, ossia la preesistenza del fine che si intende perseguire non è realistico, sicché occorre costruire una teoria che assuma come punto di partenza l’inevitabile incertezza o ambiguità del fine, dal momento che «il comportamento umano di scelta è un processo perlomeno tanto interessato alla <<scoperta>> di obiettivi quanto lo è per l’<<azione>> che a questi consegue» (p. 238 del testo italiano). L’autore propone dunque un approccio diverso «alla questione normativa di come ci si dovrebbe comportare quando le nostre premesse di valore non sono ancora … pienamente determinate. Supponiamo di ritenere l’azione come un modo per creare obiettivi apprezzabili nello stesso tempo in cui riterremo gli obiettivi un modo per giustificare l’azione» (p. 241).
  38. Il riferimento è in particolare ai numerosi contributi di F. Ledda, tra i quali cfr. F. Ledda, Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. Amm., 1993, p. 133 ss. e allo studio monografico di N. Paolantonio, Il sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Cedam, Padova, 2000, in particolare pp. 68-158.
  39. Cfr. A. Pizzorusso, Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1972, p. 57 ss., il quale, per quanto consta a chi scrive, è il primo studioso che ricostruisce la questione della identificazione dell’interesse pubblico e il successivo uso da parte degli operatori giuridici nella loro concreta attività nei termini indicati nel testo. Tale autore infatti, dopo avere premesso che il problema dell’identificazione dell’interesse pubblico è da impostare in stretto collegamento con l’atto che lo tutela, rileva come, data la continuità dell’attività giuridica, «che non ha un inizio ed una fine, ma si svolge in un presente che segue un passato e precede un futuro, l’uno e l’altro illimitati nel tempo, è evidente innanzi tutto che non è possibile che si abbia un atto il quale tenda esclusivamente all’attuazione di un interesse pubblico da esso stesso fissato con riferimento ad una situazione concreta assolutamente inedita ed al tempo stesso assolutamente irripetibile in ogni suo aspetto. Al contrario è inevitabile che il procedimento di formazione di ciascun atto giuridico sia influenzato per ciò che concerne la determinazione degli interessi da tutelare come <<pubblici>>, dall’esperienza anteriore ed altresì che le scelte compiute in relazione ad un caso concreto influenzino le attività future riguardanti la stessa materia, suggerendo che anch’ esse siano volte alla tutela dello stesso interesse ora individuato» (p. 69-70). A questa indiscutibile constatazione si accompagna però il necessario riconoscimento che «se si deve ammettere anche in questo campo la possibilità di un’evoluzione storica, deve essere possibile al singolo operatore giuridico sottrarsi almeno in parte al rigoroso determinismo che parrebbe risultare dalla continuità dell’attività giuridica mediante l’autoproduzione in caiscun singolo atto che egli compie di qualche cosa di personale, che lo faccia discostare, in misura più o meno ampia, dalle indicazioni che egli riceve dal passato» (p. 70).
  40. Cfr. E. Giardino, La plurilateralità della funzione amministrativa. L’esercizio del potere amministrativo nella crisi dell’unilateralità del provvedimento, cit., p. 40.