La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo

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3/2021

La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo

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L’articolo ripercorre l’evoluzione della legislazione italiana relativa alle concessioni demaniali marittime: dal regime transitorio delle proroghe ex lege delle concessioni in essere, adottato sin dagli anni ’90 dal nostro legislatore, sino all’ultimo provvedimento di proroga, valevole sino al 2033, e tenendo conto anche delle prese di posizione in materia della Commissione europea. Si analizza poi la natura e le molteplici funzioni svolte delle concessioni demaniali marittime per usi turistico-ricreativi e, sulla scorta di tale indagine, si indica quali dovrebbero essere gli obiettivi ed i contenuti della emananda riforma organica del settore, finalizzata ad adeguare l’ordinamento interno alla disciplina europea della concorrenza. In particolare, si sottolinea la necessità che la predetta riforma preveda, oltre all’obbligo, per l’amministrazione pubblica, di assegnare le concessioni mediante gara, anche il diritto all’indennizzo dei gestori uscenti e si individuano, altresì, gli effetti pregiudizievoli che tale misura riparatoria dovrebbe ristorare per essere davvero equa, satisfattiva e conforme ai principi di derivazione eurounitaria. Si segnala, inoltre, l’esigenza di procedere ad una integrale revisione dei criteri per la determinazione dei canoni concessori, introducendo il principio di corrispettività, al fine di garantire un sistema effettivamente concorrenziale, efficiente ed economicamente sostenibile per lo Stato.


The national regulation of marine State property concessions in the light of European law
The article traces the evolution of Italian legislation regarding marine state property concessions: from the transitional regime of the extensions ex lege of existing concessions, adopted by the Italian legislator in the Nineties, up to the last extension of such concessions to 2033, and taking into account the European Commission’s position. The nature and multiple functions of the concessions for tourist-recreational uses are analyzed. On the basis of that analysis, the objectives and contents of necessary reform of the field are outlined, with the aim of adapting domestic law to EU competition rules. In addition to the obligation to award concessions by tender, the article highlights the need for reform to include the right to compensation of outgoing operators in such a way as to be truly equitable, satisfactory and in accordance with principles of EU law. It should also be noted that the criteria for determining license fees must be revised by introducing the principle of remuneration in order to ensure a genuinely competitive system, one which is efficient and economically sustainable for the State.

1. L’evoluzione della legislazione italiana relativa alle concessioni demaniali marittime, con finalità turistico-ricreative: il regime transitorio delle proroghe ex lege delle concessioni in essere e le prese di posizione su tale sistema assunte dalla Commissione europea, dalla giurisprudenza comunitaria e dalla giurisprudenza interna, costituzionale, civile ed amministrativa

Sin dal 1990 la normativa italiana ha chiaramente manifestato la tendenza a privilegiare la stabilità dei rapporti concessori aventi ad oggetto il diritto di sfruttamento, per finalità turistico-ricreative, del demanio marittimo e lacuale [1]. L’art. 1, comma 2, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, stabiliva, infatti, che i predetti rapporti pubblicistici avevano una durata di 6 anni e che i relativi provvedimenti costitutivi erano rinnovabili automaticamente per la stessa durata a semplice richiesta dell’interessato, salvo il potere di revoca, per ragioni di pubblico interesse, riservato all’ente concedente dall’art. 42 del Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327). Tale potere di autotutela, tuttavia, è stato esercitato molto raramente dall’amministrazione concedente.

Inoltre, era riconosciuto dall’art. 37, comma 2, cod. nav., il c.d. diritto di insistenza: in base a tale istituto, nel caso in cui fossero proposte più istanze per l’assegnazione della concessione demaniale, doveva essere preferito, tra i contendenti, il soggetto già titolare del provvedimento ampliativo da rinnovare [2].

Il suindicato sistema non concorrenziale di scelta dei gestori dei beni demaniali marittimi e lacuali è stato oggetto di censure da parte della giurisprudenza interna [3], anche di rango costituzionale: in particolare la Consulta è stata investita, in più occasioni [4], della questione relativa alla conformità costituzionale di norme regionali, che prevedevano proroghe o rinnovi automatici in favore degli incumbents ed ha rilevato l’illegittimità delle norme sottoposte al suo scrutinio, per violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, in taluni casi, anche per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 2, lett. a) ed e), Cost.. Il Giudice delle leggi ha avuto modo di osservare al riguardo che «il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni viola l’art. 117, comma 1, Cost., per contrasto con i vincoli determinati dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, determinando altresì una disparità di trattamento tra operatori economici, in violazione dell’art. 117, comma 2, lett, e), dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti…….Il rinnovo o la proroga automatica della concessione, al contempo, impedisce l’ingresso di altri potenziali operatori economici nel mercato, ponendo barriere all’ingresso, tali da alterare la concorrenza» [5].

Il modello chiuso e anticoncorrenziale, delineato dall’art. 37 cod. nav., è stato criticato anche dall’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato: quest’ultima, infatti, nella segnalazione AS481 del 20 ottobre 2008, ha sottolineato l’inconciliabilità con l’acquis comunitario di norme – come quella da ultimo citata – che pongono in una posizione di favore il titolare della concessione.

La disciplina nazionale relativa al diritto allo sfruttamento, per fini economici, delle spiagge ha comportato, altresì, l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (procedura di infrazione 2008/4908): nella lettera di messa in mora, datata 29 gennaio 2009, la Commissione europea ha espresso dubbi in merito alla compatibilità del predetto regime con il principio di libertà di stabilimento, poiché la preferenza accordata dalla normativa interna al concessionario uscente rende, se non impossibile, certamente oltremodo difficile per le imprese provenienti da altri Stati membri concorrere per l’assegnazione del bene demaniale.

A seguito dell’avvio della procedura di infrazione il legislatore italiano ha abrogato – con l’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25 – la norma del codice della navigazione che prevedeva il c.d. diritto di insistenza. Contestualmente, però, è stata disposta, in via transitoria, la proroga ex lege di tutte le concessioni demaniali marittime, per uso turistico-ricreativo, esistenti, in attesa di una riforma organica – i cui principi ispiratori e tempi di entrata in vigore non sono, peraltro, mai stati compiutamente definiti [6] – che provvedesse a conformare la regolamentazione del settore alle norme europee in materia di concorrenza.

Tali correttivi sono stati ritenuti inadeguati e sostanzialmente elusivi [7] dei precetti eurounitari e sono stati pertanto nuovamente contestati dalla Commissione europea: in particolare, quest’ultima ha inviato, nel maggio 2010, una nuova lettera di messa in mora, integrativa di quella precedente, datata 29 gennaio 2009, nella quale è denunciata la contrarietà all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE [8] e all’art. 49 TFUE delle modifiche apportate alla disciplina nazionale sottoposta a procedura di infrazione[9].

Dopo quest’ulteriore intervento delle Istituzioni comunitarie, il legislatore nazionale ha disposto l’abrogazione – con l’art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (legge comunitaria 2010) – dell’art. 1, comma 2, del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (sostitutivo del testo originario dell’art. 37 cod. nav.), ed ha conferito – con la stessa norma – al Governo la delega ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo, avente ad oggetto la revisione ed il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime. In conseguenza di tali provvedimenti legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa nel febbraio 2012.

La preannunciata riforma del settore non è stata, tuttavia, approvata né prima né dopo il termine del 17 aprile 2013; in compenso la durata della proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali in essere, originariamente fissata sino al 31 dicembre 2012, è stata, con successivi interventi normativi, estesa, dapprima, sino al 31 dicembre 2015 e, poi, sino al 31 dicembre 2020 (in forza dell’art. 34, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221).

Alcuni giuridici amministrativi [10], chiamati a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto europeo del predetto regime di proroghe legali, reiterate e di lunga durata, hanno ritenuto di sottoporre, in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, la questione alla Corte di Giustizia Ue: quest’ultima – con la decisione 14 luglio 2016 (relativa alle cause riunite C-458/2014 e C-67/15) [11] – ha giudicato non conforme alle norme ed ai principi sovranazionali in materia di concorrenza la pratica, invalsa nell’ordinamento italiano, di differire ex lege la scadenza delle concessioni demaniali marittime e lacuali, per attività turistico-ricreative.

Tale convincimento si fonda, innanzitutto, sulla considerazione che i provvedimenti ampliativi prorogati non sono ascrivibili al genus delle concessioni di servizi, regolate dalla direttiva 2014/123/UE: nella decisione della giurisprudenza sovranazionale sopra richiamata è stato sottolineato in particolare che le attività imprenditoriali private svolte su beni demaniali marittimi hanno ad oggetto non tanto una prestazione di servizi determinata dall’ente concedente – come nel caso delle concessioni di servizi, le quali sono, per l’appunto, caratterizzate dal fatto di produrre l’effetto di trasferire il diritto di gestire un servizio pubblico dall’autorità concedente al concessionario – quanto piuttosto il riconoscimento del diritto ad esercitare un’attività economica su un bene di proprietà pubblica. Per tali ragioni, le concessioni, di cui si discute, sono più correttamente qualificabili – ad avviso del Giudice di Lussemburgo – come autorizzazioni, ai sensi della direttiva 2006/123/CE, in quanto costituiscono atti formali che gli interessati «devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di potere esercitare la loro attività economica»[12]. Più precisamente, gli atti ampliativi, di cui si discute, sono ricondotti dalla Corte di Giustizia nella specifica categoria delle autorizzazioni disciplinate dall’art. 12 della direttiva europea da ultimo richiamata, dato che anch’essi hanno la funzione di consentire l’accesso e l’uso, a fini economici, di risorse naturali scarse. Si fa notare, infatti, che il litorale – e ancor più la fascia di arenile – rappresenta un’area, per definizione, circoscritta e suscettibile di sfruttamento da parte di un numero contingentato di operatori economici [13].

In base al suesposto percorso argomentativo il massimo Organo della giurisdizione comunitaria è giunto ad affermare l’illegittimità della disciplina transitoria delle concessioni demaniali marittime, adottata dal legislatore italiano: il Giudice sovranazionale ha osservato, in particolare, che la proroga legale degli affidamenti relativi ai beni demaniali, effettuata senza gara, equivale, nella sostanza, al rinnovo automatico delle stesse, il quale è espressamente vietato dal paragrafo 2 del menzionato art. 12 della direttiva Bolkestein.

Nella decisione 14 luglio 2016, la Corte di Giustizia ha, inoltre, ravvisato il contrasto della normativa nazionale in esame con l’art. 49 TFUE: al riguardo è stato preliminarmente posto in rilievo che il diritto di stabilimento su un’area demaniale marittima, funzionale allo sfruttamento economico della stessa area per scopi turistico-ricreativi, «presenta un evidente interesse transfrontaliero»[14]; da tali premesse s’è inferito che l’assegnazione diretta di un simile diritto, senza l’espletamento di una procedura selettiva, ad una impresa con sede nello stesso Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una indiscutibile disparità di trattamento, vietata dal menzionato art. 49 TFUE, a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero avere interesse alla medesima assegnazione [15] .

2. Segue: l’ultima proroga disposta sino al 2033 dalla normativa nazionale e gli orientamenti espressi dalla Commissione europea, dalla Corte di giustizia Ue, dalla giurisprudenza nazionale e dall’Autorità antitrust riguardo alla compatibilità di tale misura con il diritto europeo.

L’ultima proroga legale delle concessioni demaniali vigenti è stata stabilita dall’art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019): con tale norma è stato disposto il prolungamento ex lege dei rapporti concessori in essere alla data di entrata in vigore della legge di bilancio (31 dicembre 2018) di ulteriori 15 anni, ovvero sino al 31 dicembre 2033. Inoltre, l’art. 182, comma 2, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77 (c.d. Decreto Rilancio), ha previsto, in conformità a quanto statuito dal citato art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge n. 145/2018, che «gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto….. e gli enti concedenti procedono alla ricognizione delle relative attività, ferma restando l’efficacia dei titoli già rilasciati».

Il suindicato regime provvisorio ha avuto sostanzialmente l’effetto – dietro lo schermo giustificatore della transitorietà – di protrarre ancora per un tempo lunghissimo la durata delle concessioni demaniali esistenti (tra l’altro, senza oneri aggiuntivi per gli operatori assegnatari e adeguamenti dei canoni) ed appare, quindi, l’ennesimo espediente, posto in essere dal legislatore italiano, per eludere i precetti sovranazionali. Per tali ragioni, la nuova misura dilatoria, introdotta dalla legge n. 145/2018, è stata oggetto di serrate critiche e censure da parte della giurisprudenza interna [16], la quale si è mostrata compatta e pressoché unanime nel giudicare l’ulteriore proroga, contenuta nella legge di bilancio 2019, incompatibile con la normativa europea in materia di concorrenza [17]. Vi è, infatti, la generale consapevolezza dei giudici nazionali che non è più differibile l’adeguamento della disciplina interna relativa alle concessioni di arenili per scopi turistico-ricreativi ai principi di imparzialità, trasparenza e par condicio imposti dall’ordinamento unionale [18]. Si sottolinea al riguardo che è ormai pacifica l’applicabilità di siffatti principi, di derivazione comunitaria, anche alle materie diverse dagli appalti pubblici ed a quelle non aventi rilevanza transfrontaliera (purché inerenti ad attività suscettibili di apprezzamento in termini economici) [19]. Si pone in rilievo, inoltre – in piena aderenza con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia UE – che il provvedimento ampliativo, di cui si discetta, ha tutti i requisiti, ontologici e funzionali, per essere considerato un’autorizzazione, ai sensi dell’art. 12 della direttiva n. 123/2006 [20]; a questo proposito, si fa notare che la concessione demaniale marittima:

a) è preordinata a consentire un’attività economica, rappresentata dalla gestione di uno stabilimento balneare;

b) riguarda una risorsa naturale in quanto conferisce il diritto di sfruttamento di un tratto di costa marittima;

c) la risorsa naturale oggetto di concessione si contraddistingue per la sua scarsità, essendo gli arenili in numero limitato e la loro concessione in uso a carattere escludente (atteso che l’assegnazione del bene ad un operatore preclude a tutti gli altri concorrenti di usufruire dello stesso bene, per analoghe iniziative imprenditoriali) [21].

Le suesposte riflessioni hanno indotto, quindi, la prevalente giurisprudenza amministrativa [22] e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione [23] ad affermare la necessità di disapplicare la normativa nazionale innanzi indicata, tendente a «procrastinare il blocco sine die dei procedimenti per il rilascio delle concessioni demaniali»[24], giacché detta normativa risulta confliggente con i vincoli imposti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza e non rispettosa del primato assunto dal diritto eurounitario sul diritto interno dei singoli stati membri [25].

Confortati da tali pronunciamenti [26], molti comuni – delegati alla gestione dei beni demaniali marittimi, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (ad opera della legge cost. n. 3/2001) [27] – hanno deciso, dunque, di non dare attuazione all’art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge n. 145/2018, negando, conseguentemente, rinnovi e proroghe alle concessioni demaniali in scadenza. Non sono, tuttavia, mancate prese di posizioni giurisprudenziali contrarie alle iniziative degli enti locali ora segnalate: taluni giudici amministrativi hanno, difatti, osservato che «il potere di disapplicazione della legge nazionale in conflitto con quella euro-unionale (nella specie, in materia di concessioni demaniali), attribuito prudentemente al giudice dall’ordinamento interno e dall’ordinamento euro-unionale e supportato all’uopo dalla specifica attribuzione di poteri ad esso funzionali e prodromici, non è sic et sempliciter attribuito in via automatica e addirittura vincolante al dirigente comunale, che non dispone (e non a caso) della possibilità di ricorrere all’ausilio di tale facoltà»[28].

Molto opportunamente, la questione controversa sopra descritta, fonte di contrasti giurisprudenziali non ancora sopiti, è stata deferita, di recente, all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.[29]. Su tale questione non si è ancora pronunciato il massimo Organo della giustizia amministrativa.

Riguardo al tema in esame ha avuto modo di esprimersi anche l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato: quest’ultima – nella segnalazione avente ad oggetto «Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021», inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 – ha rilevato che «la proroga del termine di durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreativa si pone in contrasto con gli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in quanto è suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché con l’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE (c.d. direttiva Servizi)»[30].

Più esattamente, la predetta Autorità di regolazione ritiene, in conformità con gli orientamenti espressi dalla più recente giurisprudenza nazionale [31] e sovranazionale [32], che non sia ammissibile sottoporre le concessioni demaniali marittime ad un regime, seppur transitorio, di proroga reiterata, generalizzata, di lunga durata e derogatoria rispetto al principio della gara, in quanto le spiagge sono ontologicamente delle risorse naturali scarse e limitate; secondo l’AGCM, dunque, la gestione di tali beni pubblici può essere esternalizzata dall’amministrazione solo attraverso procedure selettive tra potenziali candidati, che garantiscano imparzialità, trasparenza e pubblicità, in ossequio a quanto prescritto dall’art. 12 della già menzionata direttiva servizi.

L’Antitrust ha, altresì, rimarcato che il sistema non concorrenziale di assegnazione delle concessioni demaniali marittime, con finalità turistico-ricreative, collide con l’art. 49 TFUE, giacché comporta una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento delle imprese con sede in un altro Stato membro, in relazione ad un bene che, per la sua sicura valenza economica, assume un indiscutibile interesse transfrontaliero. Nella segnalazione qui riferita, si afferma, in particolare, che «in un mercato, in cui, in ragione delle specifiche caratteristiche oggettive, esiste un’esclusiva o sono ammessi ad operare un numero limitato di soggetti, l’affidamento delle concessioni deve avvenire mediante procedure trasparenti e competitive, al fine di attenuare gli effetti distorsivi della concorrenza connessi alla posizione di privilegio attribuita al concessionario. L’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni potrà, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dal concessionario uscente».

La predetta Amministrazione indipendente ha ulteriormente posto in evidenza che il continuo differimento ex lege della scadenza delle concessioni demaniali marittime esistenti «è anche causa anche di un evidente danno per le finanze pubbliche», tenuto conto della generale possibilità, riconosciuta dall’art. 45 bis, cod. nav., di ricorrere in subiecta materia all’istituto della sub-concessione e della misura ridotta dei canoni concessori stabiliti secondo i criteri, di cui all’art. 3, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400.

In forza delle suesposte argomentazioni, il Garante della concorrenza e del mercato ha proposto, nella segnalazione al Governo qui richiamata, di abrogare l’art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge n. 145/2018, e di «adottare in tempi brevi una nuova normativa che preveda l’immediata selezione dei concessionari in base a principi di concorrenza, imparzialità, trasparenza e pubblicità»; nella medesima segnalazione ha, altresì, suggerito di affidare anche la definizione della misura del canone dovuto alla procedura competitiva per la selezione dei concessionari e di modificare, comunque, l’art. 45 bis del Codice della Navigazione, reintroducendo nel testo della norma le parole «in casi eccezionali e per periodi determinati», soppresse dalla legge 16 marzo 2001, n. 18.

Inoltre, la medesima Authority – avvalendosi dei poteri ad essa conferiti dalla legge istitutiva, i quali le consentono, tra l’altro, di impugnare in via giurisdizionale gli atti che confliggono con i principi di libera concorrenza – ha provveduto ad inviare diverse diffide alle Amministrazioni comunali che, in applicazione dell’art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge n. 145/2018, hanno disposto la proroga, sino al 31 dicembre 2033, delle concessioni rilasciate, invitando le stesse ad annullare le determinazioni adottate; in un caso, a fronte del rifiuto, opposto da un Comune, di esercitare i poteri di autotutela sollecitati, l’Antistrust ha proposto ricorso al T.a.r. [33].

Occorre in ultimo rammentare che la Commissione europea ha avviato, il 3 dicembre 2020, una nuova procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia a causa del mancato adeguamento della legislazione nazionale relativa alla gestione dei beni demaniali marittimi alla disciplina unionale della concorrenza; nella relativa lettera di messa in mora [34] la Commissione ha contestato all’Italia di aver «prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ….. vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione». In particolare, nell’ultima lettera di richiamo inviata al Governo italiano sono invocati, a sostegno dei rilievi ivi espressi, i principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella già citata decisione 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e 67/15 [35].

3. La natura delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative

Si è sottolineato nei precedenti paragrafi che, secondo l’indirizzo interpretativo consolidato della giurisprudenza sovranazionale e interna, la concessione demaniale marittima (o lacustre) [36], per usi turistico-ricreativi, non è riconducibile al genus delle concessioni di opera o di servizi, ai sensi delle direttive appalti, quanto piuttosto a quello delle autorizzazioni disciplinate dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, essendo l’atto amministrativo in questione preordinato a consentire e regolare lo sfruttamento, a fini imprenditoriali, di una risorsa naturale scarsa.

I connotati del provvedimento ampliativo qui considerato non si esauriscono, tuttavia, nelle predette qualità e prerogative: i giudizi nazionali [37] hanno giustamente posto in rilievo che, nell’ipotesi – invero tipica ed ordinaria – in cui, con il provvedimento in esame, l’Autorità marittima abbia autorizzato il gestore dello stabilimento balneare ad eseguire opere edilizie, strumentali all’esercizio dell’impresa, la concessione demaniale assume anche natura di concessione superficiaria, posto che, in relazione alle opere edilizie assentite, è atto costitutivo di un diritto di superficie in favore del concessionario [38].

Tale ultima funzione della concessione demaniale marittima è direttamente desumibile dalla sua disciplina positiva: dalle disposizioni contenute nel Codice della navigazione si evince, innanzitutto, che il provvedimento in questione è finalizzato a permettere ad operatori privati o pubblici di occupare aree costiere allo scopo di impiantarvi uno o più stabilimenti destinati a facilitare o a rendere più confortevole, nei periodi estivi, la balneazione da parte dei soggetti interessati ad usufruire, dietro pagamento, dei servizi messi a disposizione dal gestore della struttura turistico-ricettiva (quali ombrelloni, cabine, spogliatori, docce, bar ristorante, ecc.) [39].

In particolare, la possibilità, per l’assegnatario di beni del demanio marittimo, di costruire in proprio manufatti, con il consenso dell’Amministrazione competente, per una migliore fruizione dei tratti litoranei acquisiti in uso esclusivo è implicitamente, ma chiaramente, ammessa dall’art. 41 cod. nav., il quale attribuisce al concessionario la facoltà di costituire ipoteca sulle opere da lui stesso eseguite sul suolo pubblico, previo assenso dell’ente concedente.

Anche l’art. 46 cod. nav. sembra confermare che l’edificazione di strutture stabili, in costanza del rapporto concessorio, comporta l’insorgenza di un autonomo diritto reale di godimento e di disposizione (ancorché condizionato al gradimento dell’ente pubblico proprietario) sulle opere compiute, da parte di chi le ha poste in essere: si ricorda che tale norma riconosce al concessionario il diritto di alienare le costruzioni erette ai terzi che subentrano nella titolarità della concessione (sempre previo nulla osta dell’autorità demaniale) [40].

Il suindicato regime proprio degli interventi edilizi autonomamente attuati dal gestore dello stabilimento balneare ricalca in larga misura la disciplina del diritto di superficie dettata dagli artt. 952 e 953 c.c.. Infatti, al pari di queste ultime norme di ius commune, i precetti del codice di navigazione prima riportati conferiscono al titolare del diritto dominicale il potere di autorizzare un altro soggetto a fare e mantenere sopra e sotto il suolo di proprietà edifici, di cui il costruttore acquista, a sua volta, la proprietà (superficiaria), con facoltà di disporne durante il periodo di efficacia dell’atto concessorio [41].

Inoltre l’art. 49 cod. nav., similmente a quanto stabilito dall’art. 953 c.c., prescrive che, alla scadenza della concessione, le opere inamovibili realizzate dal concessionario sono acquisite di diritto dallo Stato; il citato art. 49 cod. nav. si discosta, tuttavia, dall’art. 936 c.c., in quanto, a differenza di tale norma civilistica che impone l’obbligo di indennizzo, prevede che la devoluzione ex lege a favore dell’amministrazione proprietaria del bene demaniale avvenga «senza alcun compenso o rimborso»[42].

In definitiva, dal complesso delle disposizioni applicabili in materia si deduce che il gestore di aree facenti parte del demanio marittimo diviene titolare di un autonomo e separato diritto di superficie per effetto dell’esercizio dello ius aedificandi sul tratto di arenile ottenuto in uso; tale diritto reale di godimento (con obblighi accessori) su suolo altrui consente all’assegnatario della spiaggia – durante il periodo di vigenza del rapporto concessorio e con l’assenso dell’Amministrazione demaniale – di costituire, tra l’altro, sui manufatti da lui stesso eretti diritti reali di garanzia e di cedere addirittura i predetti manufatti ad altro soggetto che intende sostituire nel godimento della concessione, ai sensi degli artt. 41 e 46, cod. nav..

In sostanza, l’esecuzione di interventi edilizi, da parte del concessionario del bene demaniale marittimo, viene a determinare una scissione orizzontale dell’assetto dominicale dell’area interessata, nel senso che il concedente mantiene la proprietà del suolo e il concessionario acquista la proprietà superficiaria dell’opera sovrastante dal medesimo realizzata (ancorché tale ultimo diritto reale abbia carattere temporaneo e sia assoggettato ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione, cessazione o estinzione) [43].

4. La necessità di applicare il principio della gara per l’assegnazione delle concessioni balneari e il diritto all’indennizzo dei concessionari uscenti

Si è più sopra segnalato che la concessione demaniale marittima ha una duplice natura: da una parte, costituisce un atto autorizzatorio, ai sensi dell’art. 12 della direttiva servizi; dall’altra funge da concessione superficiaria.

La riconducibilità del provvedimento ampliativo in esame nell’ambito di applicazione della direttiva Bolkestein comporta l’obbligo, per l’Autorità competente, di procedere all’assegnazione degli arenili mediante gara: così impone, infatti, l’art. 12, comma 1, della direttiva da ultima citata.

La medesima disposizione, al comma 2, statuisce, inoltre, che l’autorizzazione rilasciata deve avere «una durata limitata adeguata» e «non può prevedere la procedura di rinnovo automatico».

Indiscutibilmente il sistema di reiterate proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime in vigore, adottato dall’ordinamento italiano, è confliggente con la disciplina eurounitaria pocanzi ricordata. Detta situazione di incompatibilità – ormai conclamata e prolungata – rende non più rinviabile una riforma del settore che provveda ad adeguare finalmente il diritto interno a quello sovranazionale, consentendo lo svolgimento delle prescritte procedure selettive per l’affidamento degli arenili per usi turistico-ricreativi.

A tale fine, l’emananda riforma dovrebbe necessariamente eliminare o, quantomeno, ridurre drasticamente la durata dell’ultima proroga disposta, sino al 31 dicembre 2033, dalla legge n. 145/2018. E’ lecito, tuttavia, chiedersi se un simile intervento normativo – indispensabile, ma certamente pregiudizievole per i titolari delle concessioni in essere – debba prevedere anche forme di ristoro in favore delle imprese uscenti.

Al riguardo, la Corte Costituzionale sembra essere orientata in senso negativo: quest’ultima – si ricorda – è stata chiamata a pronunciarsi su alcune recenti leggi regionali, che, nel disciplinare le modalità di svolgimento delle procedure comparative per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, ponevano come condizione per il subentro nel rapporto in scadenza che il nuovo gestore, aggiudicatario della gara, corrispondesse un indennizzo, in favore del gestore sostituito, commisurato al valore commerciale dello stabilimento balneare, ed ha rilevato, sotto diversi profili, la illegittimità costituzionale di siffatte disposizioni [44]. La Consulta ha, tra l’altro, affermato che il predetto meccanismo di ristoro viola l’art. 117, commi 1 e 2, lett. e), Cost., in quanto risulta difforme dalla norma interposta costituita dall’art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 59/2010 (che ha dato attuazione in Italia alla direttiva Bolkestein): la norma ora citata stabilisce, in piena aderenza al disposto dell’art. 12, comma 2, della direttiva servizi, che, nelle procedure selettive per l’affidamento in uso di risorse naturali scarse, come le spiagge, «non possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente». Il Giudice delle leggi ha ulteriormente argomentato che l’imposizione di un obbligo di indennizzo a carico del subentrante influirebbe sensibilmente sulle prospettive di acquisizione della concessione, rappresentando una delle componenti del costo dell’affidamento, e inciderebbe pertanto sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sull’uniforme regolamentazione dello stesso, potendo determinare, per le imprese concorrenti, interessate alla gestione del bene demaniale marittimo, un disincentivo alla partecipazione alla gara per l’ottenimento della gestione.

La Corte ha, inoltre, osservato che l’obbligo di ristoro in questione si pone in contrasto con l’art. 49, comma 1, cod. nav., il quale prescrive che, alla scadenza della concessione, tutte le opere amovibili, realizzate dal concessionario, sono acquisite di diritto al demanio, senza alcun compenso o rimborso in favore dell’esecutore e proprietario superficiario [45].

L’indirizzo interpretativo, espresso dalla Consulta e sopra compendiato, non appare condivisibile per diverse ragioni: in primo luogo occorre sottolineare che l’art. 49 cod. nav. [46], richiamato dal Giudice delle leggi, suscita, a sua volta, seri dubbi di legittimità costituzionale. Tale norma, infatti, risulta difficilmente conciliabile con l’art. 42, comma 3, Cost., posto che l’incameramento, a titolo gratuito, delle opere stabili, eseguite dal concessionario (le quali potrebbero anche contribuire a valorizzare significativamente il demanio marittimo [47]), comporta una sostanziale espropriazione, senza indennizzo, della proprietà superficiaria costituita dal provvedimento concessorio [48], in violazione del precetto costituzionale da ultimo menzionato.

Inoltre, la particolare forma di accessione, regolata dall’art. 49 cod. nav., è incompatibile con il diritto europeo: tale regime collide, innanzitutto, con l’art. 1 del 1° protocollo addizionale alla Convenzione EDU, avente ad oggetto la “Protezione della proprietà”; quest’ultima disposizione sovranazionale statuisce che «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». La stessa norma, al comma 2, specifica che essa non pregiudica «il diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale….».

La Corte EDU ha chiarito in diverse sentenze [49] che il precetto ora riportato, pur non vietando o escludendo interventi restrittivi degli Stati membri sulla proprietà privata, per ragioni di pubblico interesse, richiede comunque che, nell’attuazione di simili interventi, sia garantito un “giusto equilibrio” tra il perseguimento dell’utilità generale e l’eventuale limitazione della proprietà privata, costituente un diritto fondamentale del cittadino, ovvero che sussista un “ragionevole rapporto di proporzionalità” tra gli obiettivi pubblicistici perseguiti e il sacrificio individuale richiesto. In particolare, secondo la giurisprudenza qui riferita, l’equo bilanciamento delle ragioni del singolo e della collettività impone, nel caso di espropriazione per motivi di pubblica utilità, che sia riconosciuto, in favore del soggetto inciso, un “indennizzo integrale”, commisurato al “valore di mercato” del compendio immobiliare espropriato [50].

Per gli stessi motivi, l’art. 49, cod. nav., confligge, altresì, con l’art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), relativo al “Diritto di proprietà”: tale disposizione europea, in piena aderenza al succitato art. 1 del 1° protocollo addizionale alla Convenzione EDU, prescrive che «Ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità»[51].

Giova sottolineare che la nozione di proprietà, accolta dalla CEDU e dalla Carta di Nizza, è intesa in senso assai ampio dai giudici europei, tanto che in essa sono ricompresi anche i beni immateriali, la proprietà commerciale, l’avviamento, il diritto d’autore e tutto ciò che viene a costituire il patrimonio di beni del soggetto privato [52].

La devoluzione allo Stato, ex art 49 cod. nav., delle opere costruite sul suolo demaniale marittimo, senza contropartite economiche, non pare neppure conforme agli artt. 49, relativo al “diritto di stabilimento” e 56, riguardante la “libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione”, TFUE. Si ricorda che, per giurisprudenza comunitaria pacifica e consolidata [53], tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno interessante l’esercizio della libertà di stabilimento e/o della libera prestazione di servizi determinano illegittime restrizioni ai diritti fondamentali garantiti dai succitati artt. 49 e 56 TFUE. In ossequio a tali principi, la Corte di Giustizia ha ritenuto, in particolare, lesiva delle norme generali innanzi indicate una disposizione nazionale (italiana) [54] che, in modo analogo all’art. 49 cod. nav., imponeva «al concessionario di cedere, a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituisconol’azienda»[55].

Le suesposte considerazioni mettono in evidenza l’incompatibilità dell’art. 49 cod. nav. con il diritto dell’Unione europea; detta norma interna, non rispettando i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, risulta in contrasto, oltre che con gli artt. 42 e 43 Cost., anche con l’art. 117, comma 1, Cost., ed è direttamente disapplicabile da parte del giudice nazionale.

Ciò chiarito, occorre aggiungere che l’indennizzo spettante ai gestori uscenti – nel caso di abrogazione dell’art. 1, commi 682, 683 e 684, della legge n. 145/2018, o, comunque, di riduzione della proroga ivi contemplata – dovrebbe tener conto ed essere commisurato non solo al valore venale delle opere edilizie eseguite dal predetto soggetto nel corso del rapporto concessorio, ma anche al valore degli eventuali investimenti effettuati e non ammortizzati e al margine di profitto concordato con l’amministrazione concedente e non realizzato dal medesimo soggetto a causa della cessazione anticipata del rapporto concessorio. La necessità di ristorare (anche) le perdite subite e i mancati guadagni discende direttamente dai pocanzi menzionati artt. 49 e 56 TFUE, così come interpretati ed applicati dalla Corte di Giustizia UE, e dai principi, sempre di matrice comunitaria, di tutela dell’affidamento, proporzionalità e certezza del diritto. Del resto, la salvaguardia del capitale investito dal prestatore uscente è esplicitamente prevista ed assicurata dalla direttiva 2014/123/UE: il considerando n. 62, ivi contenuto, prescrive, infatti, “che è necessario…garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti”.

D’altro canto, se non si ammettesse la ristorabilità degli effetti pregiudizievoli da ultimo indicati, l’acquisizione, da parte dello Stato, dello stabilimento balneare, conseguente alla fine anticipata della concessione eventualmente disposta dalla legge di riordino del settore, integrerebbe un’ipotesi di sostanziale espropriazione, senza indennizzo, dell’impresa avviata sul suolo demaniale (il cui esercizio potrebbe, tra l’altro, aver migliorato le condizioni di fruibilità ed il valore complessivo del bene pubblico), in violazione dell’art. 43 Cost..

Giova rammentare che l’esigenza di compensare i surriferiti effetti lesivi è sottolineata anche dalla Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato: quest’ultima, invero – nella già menzionata segnalazione contenente “Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021”, inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge n. 287/1990 – ha rilevato che il nuovo sistema concorrenziale per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime dovrebbe anche riconoscere “ove ne ricorrano i presupposti,…..un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti”.

Al fine di garantire un equo ristoro ai predetti soggetti, la futura disciplina adeguatrice del regime relativo delle concessioni demaniali marittime al diritto europeo dovrebbe, altresì, contemplare l’obbligo, per i gestori scelti mediante gara, di corrispondere ai gestori sostituiti un indennizzo parametrato al valore commerciale dell’azienda insistente sull’area demaniale data in affidamento.

Si è già ricordato che la Consulta [56] ha escluso la legittimità costituzionale di una simile previsione: il Giudice delle leggi ha, in particolare, osservato che l’imposizione di obblighi di ristoro, a carico dei nuovi affidatari dei beni demaniali marittimi, determinerebbe limitazioni alla libera concorrenza, in quanto fungerebbe da barriera di accesso al mercato di riferimento; la Corte ha ulteriormente affermato che la condizione per il subentro qui considerata si porrebbe in contrasto con il principio, enunciato dall’art. 12, comma 2, della direttiva Bolkestein, secondo cui non è consentito “accordare.. vantaggi al prestatore uscente”.

Tali argomentazioni non sembrano, peraltro, dirimenti ed insuperabili: innanzitutto, la misura riparatoria, di cui si discute, è espressiva ed attuativa dei già richiamati artt. 1 del 1° protocollo addizionale alla Convenzione EDU e 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, i quali – come si è avuto modo di evidenziare – accolgono una nozione molto ampia di proprietà, tale da includere anche la proprietà commerciale, l’avviamento e il valore economico dell’azienda.

Occorre far notare, inoltre, che il riconoscimento di un indennizzo, conformato al valore commerciale dell’impresa balneare esistente sul bene demaniale marittimo oggetto di gara, non è, in realtà, finalizzato ad attribuire un indebito vantaggio, rectius una rendita di posizione, al gestore uscente, quanto piuttosto ad evitare un ingiusto arricchimento, da parte del nuovo gestore, ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Come ha giustamente rilevato il T.a.r. Veneto nell’ordinanza di remissione [57] alla Consulta della questione di legittimità costituzionale poi risolta dalla medesima Consulta con la già menzionata decisione n. 222/2020, il ristoro ora considerato trova, in effetti, la sua ratio fondamentale nel principio civilistico del divieto di arricchimenti ingiustificati; detta forma riparatoria infatti, pur inserendosi all’interno della disciplina pubblicistica relativa ad una procedura ad evidenza pubblica, attiene più propriamente al rapporto – di schietta natura privatistica – tra due soggetti (il prestatore uscente e il subentrante), regolato dallo ius commune, posto che è destinata a risarcire il titolare della concessione scaduta per la cessione “forzata ed imposta” dell’attività da lui stesso avviata ed esercitata al concessionario subentrante.

Con tale meccanismo compensativo è assicurato, in sostanza, un equo bilanciamento tra la diminuzione patrimoniale sofferta dal gestore “storico” non confermato e il corrispondente vantaggio economico acquisito dal nuovo gestore scelto tramite gara. Essendo questa la funzione assolta dal ristoro in esame, esso dovrebbe coprire – al pari dell’indennizzo contemplato dall’art. 2041 c.c. – il solo danno emergente, inteso in termini di perdita effettiva, non il lucro cessante [58].

In conclusione, è auspicabile che l’emananda riforma del comparto costiero provveda a ridurre, in modo significativo, la durata dell’ultima proroga disposta ex lege; al contempo, è però necessario che l’intervento di riordino preveda, a favore del concessionario uscente, un indennizzo il quale, per essere davvero equo e satisfattivo, dovrebbe tener conto di tutti gli effetti dannosi provocati dalla cessazione anticipata del rapporto concessorio. Tali conseguenze pregiudizievoli, come si è detto, consistono, in particolare:

– nella perdita della proprietà superficiaria relativa alle opere realizzate in costanza della concessione; sotto questo profilo, l’indennizzo dovrebbe essere commisurato al valore venale delle predette opere e gravare sull’ente concedente;

– nella (eventuale) perdita del capitale investito e nel mancato profitto causato dalla fine anticipata della gestione dello stabilimento balneare; anche il correlato obbligo di ristoro dovrebbe ricadere sull’ente concedente e coprire integralmente il danno subito;

– nella cessione dell’attività al subentrante; la connessa misura indennitaria, espressiva dei principi stabiliti dall’art. 2041 c.c., dovrebbe corrispondere (o perlomeno essere determinata in base) al valore commerciale dell’impresa esistente sul suolo demaniale ed essere posta a carico del nuovo assegnatario della concessione.

5. Considerazioni conclusive

L’affidamento delle concessione demaniali marittime tramite gara non solo garantisce il rispetto del diritto europeo e l’attuazione del principio di imparzialità amministrativa, ma assicura, altresì, una gestione delle coste italiane efficiente ed economicamente sostenibile per lo Stato, in ossequio al principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost..

L’indizione di procedure competitive per il conferimento del diritto d’uso esclusivo, ai fini imprenditoriali, delle spiagge consente, infatti, la piena valorizzazione delle zone litoranee del Paese che, per definizione, costituiscono spazi limitati e suscettibili di sfruttamento da parte di un numero selezionato di operatori e che – come riconosciuto anche dall’art. 1, comma 675, della legge n. 145/2018 – rappresentano un settore strategico per l’economia nazionale.

E’, del resto, evidente che i concessionari, beneficiari di lunghe e ripetute proroghe ex lege, sono scarsamente incentivati a innovare e migliorare le condizioni di fruibilità del patrimonio costiero avuto in affidamento, a differenza di coloro che, essendo interessati a fare il loro ingresso nello specifico mercato delle imprese balneari, mirano ad ottenere l’assegnazione di arenili, mediante il confronto competitivo. Per tali ragioni, la selezione dei concessionari attraverso procedure aperte e trasparenti risulta senza dubbio il metodo più efficace per individuare l’operatore economico che, ai sensi dell’art. 37 cod. nav., offre maggiori garanzie di proficua gestione del bene demaniale marittimo.

D’altro canto, in un settore ad elevata valenza ambientale e paesaggistica, come quello in esame, la gara assurge a strumento regolativo e conformativo polivalente, utile (tra l’altro) per realizzare un corretto bilanciamento tra le esigenze di efficiente sfruttamento e massimizzazione del profitto e le istanze di sostenibilità e conservazione della risorsa naturale utilizzata. Sotto questo profilo, le procedure comparative assumono, quindi, una importante funzione di indirizzo e di attuazione nell’ambito delle politiche gestionali attive riguardanti il patrimonio costiero [59] .

Tenuto conto dei suindicati risvolti che l’applicazione delle regole concorrenziali ha in subiecta materia, appare, innanzitutto, necessario che la nuova normativa di riordino del comparto marittimo subordini il rilascio delle concessioni demaniali alla presentazione, da parte degli aspiranti affidatari del bene pubblico, di specifici programmi di valorizzazione ed investimento (puntualmente definiti in sede di gara, in base alle prescrizioni date dall’amministrazione aggiudicatrice e aperti, altresì, al confronto competitivo tra i contendenti) che assicurino l’armonizzazione delle logiche imprenditoriali con quelle di tutela e protezione del tratto litoraneo concesso in uso [60].

L’attesa riforma organica del settore non solo deve essere improntata alla massima contendibilità dei diritti di sfruttamento, ma deve anche prevedere una integrale revisione dei criteri per la determinazione dei canoni concessori: quest’ultimo intervento normativo appare, invero, un presupposto essenziale per la realizzazione di un regime effettivamente concorrenziale tra le imprese balneari ed è ormai non più differibile. Detti canoni – attualmente stabiliti per macro-classi di litorali e con metodo tabellare – sono, infatti, generalmente molto bassi e non corrispondenti all’effettivo valore economico dell’attività imprenditoriale esercitata sul suolo demaniale. Basti pensare che, nel 2019, su un totale di 29.689 concessioni demaniali marittime (aventi qualunque finalità), ben 21.581 erano soggette ad un canone annuo inferiore a euro 2.500. Sempre nel 2019, l’ammontare complessivo dei canoni concessori riscossi è stato pari a 115 milioni di euro [61].

I succitati risultati economico-gestionali, così deludenti e penalizzanti per lo Stato proprietario, sono, in larga misura, dovuti a una disciplina legislativa anacronistica e del tutto inadeguata a tutelare gli interessi finanziari della predetta parte pubblica: la normativa vigente – dettata dall’art. 3 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (convertito con la legge 4 dicembre 1993, n. 494), come modificato dall’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – prescrive, in particolare, che la remunerazione, spettante all’ente concedente, per l’affidamento in uso esclusivo del bene demaniale marittimo è stabilita tenendo conto della tipologia della fascia litoranea interessata e della sua classificazione come area costiera ad “alta valenza turistica” o come area costiera a “normale valenza turistica”. L’importo così definito è poi sottoposto a rivalutazione annua (corrispondente alla media tra l’indice ISTAT del costo della vita e l’indice ISTAT dei prezzi del mercato all’ingrosso). Il metodo di calcolo ora descritto comporta, dunque, che i canoni concessori – spesso determinati molti anni fa, all’atto del rilascio dell’originaria concessione, poi prorogata ex lege più volte – sono semplicemente adattati all’inflazione di anno in anno.

Un simile sistema di calcolo – come si è detto – non garantisce la conformità dell’importo applicato alle reali potenzialità di sfruttamento offerte dalla porzione di arenile data in gestione ed è causa di un evidente danno per le finanze pubbliche [62]. Al fine di evitare ulteriori, gravi pregiudizi per l’interesse generale, è indispensabile introdurre nella specifica materia ora considerata il principio di corrispettività, in modo che sia assicurata la piena aderenza del canone dovuto all’amministrazione concedente alla redditività dell’attività imprenditoriale svolta sul bene pubblico [63].

Per ottenere tale risultato – come ha giustamente rilevato l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato nella già richiamata segnalazione contenente “Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021” – è necessario prevedere che la misura del canone formi oggetto della procedura competitiva per la selezione dei nuovi concessionari.

  1. In tal senso E. BOSCOLO, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, in Urb. app., 2016, 11, 1217 ss.. Per eventuali approfondimenti sui connotati e sulle finalità del demanio marittimo si rinvia a M.S. GIANNINI, I beni pubblici, Roma, 1963, spec. 55 ss.; G. GUICCIARDI, Il demanio, Padova, 1934 (rist. 1989), passim; A. QUERCI, Demanio marittimo, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 92 ss.; F. BENVENUTI, Demanio marittimo tra passato e futuro, in Riv. dir. navig, 1965, 154, ss. (e ora in Scritti giuridici, III, Milano, 2006, 2397 ss.). Più di recente si veda M.L. CORBINO, Il demanio marittimo. Nuovi profili funzionali, Milano 1990, passim; V. CERULLI IRELLI, I beni pubblici nel codice civile: una classificazione in via di superamento, in Econ. pubbl., 1990, 523 ss.; B. TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008, passim, spec. 48 ss.; C. CACCIAVILLANI, Profili funzionali del demanio marittimo, in G. COLOMBINI (a cura di), I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali, Napoli, 2009, 75 ss.; L. ANCIS, Tendenze evolutive delle concessioni turistico-ricreative sul demanio marittimo, in Dir. trasp., 2006, 157.
  2. Sul diritto di insistenza, previsto dall’art. 37, cod. nav., si rimanda a S. CASSESE, Concessione di beni pubblici e diritto di insistenza, in Giorn. dir. amm., 2003, 355; L.R. PERFETTI, “Diritto di insistenza” e rinnovo della concessione di pubblici servizi, in Foro amm., C.d.S., 2003, 621 ss.; C. CALLERI, Diritto di insistenza e interpretazione dell’art. 37 cod. nav., in Dir. Trasp., 2008, 467 ss.
  3. Per un esame della giurisprudenza formatasi in materia si veda C. ANGELONE- S. SILINGARDI, Il demanio marittimo. Rassegna sistematica di giurisprudenza, Milano, 1999, passim. In dottrina, riguardo alla questione relativa alla compatibilità della disciplina interna delle concessioni balneari con l’ordinamento comunitario, si rinvia a F. DI LASCIO, Concessione di demanio marittimo e tutela della concorrenza, in Foro amm., T.a.r., 2009, 787 ss.; M. DE BENEDETTO, Imprese costiere, mercato delle concessioni e libera concorrenza, in N. GRECO (a cura di), Le risorse del mare e delle coste. Ordinamento, amministrazione e gestione integrata, Roma, 2010, 399 ss.; N. RAGONE, Uso imprenditoriale del demanio marittimo e tutela della concorrenza, in M. DE BENEDETTO (a cura di), Spiagge in cerca di regole. Studio d’impatto sulle concessioni balneari, Bologna, 2011, 109 ss:, M. D’ORSOGNA, Le concessioni demaniali marittime nel prisma della concorrenza: un nodo ancora irrisolto, in Urb. app., 2011, 599 ss.; A. MONICA, Le concessioni demaniali in fuga dalla concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2013, 438 ss..
  4. Cfr. Corte Cost., 20 marzo 2010, n. 180, in Riv. giur. edilizia, 2010, 3, I, 699; Corte Cost., 1 luglio 2010, n. 233, in Foro it., 2011, 2, I, 327; Corte Cost., 26 novembre 2010, n. 340, in Giur. cost., 2010, 6, 4827; Corte Cost. 18 luglio 2011, n. 213, in Dir. maritt., 2011, 3, 836; Corte Cost., 24 febbraio 2017, n. 40, in Giur. Cost., 2017, 1, 358; Corte Cost., 5 dicembre 2018, n. 221, ivi, 2018, 6, 2547.
  5. Così Corte Cost., 4 luglio 2013, n. 171, in Giur. Cost., 2013, 4, 2536.
  6. Sulle prospettive e proposte di riforma del settore si veda E. REVIGLIO, Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte delle Commissione Rodotà, in Pol. dir., 2008, 531 ss.; M. RENNA, Le prospettive di riforma delle norme del codice civile su beni pubblici, in Dir. econ., 2009, 11.
  7. Paradossalmente, l’abrogazione del diritto di insistenza, accompagnata dalla previsione di un regime provvisorio di proroghe ex lege in favore delle concessioni in vigore, ha, di fatto, consolidato e rafforzato il sistema nazionale censurato dalle Istituzioni e dalla giurisprudenza comunitarie, il quale, da sempre, predilige la stabilità delle assegnazioni relative ai beni demaniali marittimi: in tal senso E. BOSCOLO, ult. op. cit., 1226-1227
  8. La norma europea ora citata – recepita in Italia con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 – nei primi due commi, così recita: “ 1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e prevede, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1, l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”. La stessa direttiva 2006/123/CE, al considerando n. 62, prescrive, inoltre, che “Nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche è opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe potere essere rinnovata automaticamente o offrire vantaggi al prestatore uscente. In particolare la durata dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti.”.
  9. L’articolo del Trattato di funzionamento dell’Unione europea ora richiamato nel testo dispone che “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali“.
  10. In particolare la questione è stata rimessa alla Corte di Giustizia Ue dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sede di Brescia), in riferimento ad un ricorso presentato da un operatore economico avverso un provvedimento di rinnovo di una concessione demaniale lacuale, e dal Tribunale amministrativo della Sardegna, in relazione ad un ricorso proposto avverso gli atti di indizione di una procedura comparativa per la nuova assegnazione di una concessione demaniale marittima.
  11. Che si può leggere in Urb. app., 2016, 11, 1211, con commento di E. BOSCOLO, Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, cit..
  12. Così si legge nella sentenza della Corte di Giustizia citata nella nota precedente; al riguardo si rimanda al commento di L. DI GIOVANNI, Le concessioni demaniali marittime e il divieto di proroga ex lege, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 3-4, 912 ss..
  13. Sul punto rileva opportunamente E. BOSCOLO, ult. op. cit., 1225, che la condizione di scarsità dei beni demaniali marittimi “deriva non solo dalla morfologia delle coste ma anche dal riconoscimento di insuperabili limiti ambientali che si traducono in previsioni limitative sancite dai piani degli utilizzi redatti tenendo in adeguata considerazione i diversi interessi che si concentrano sulla costa e preceduti da valutazione ambientale strategica”.
  14. Sulla nozione di “interesse transfrontalieri certo” si veda, tra le altre, Corte di Giustizia Ue, 15 maggio 2008, cause riunite C-147/06 e C-148/06, in Foro amm., C.d.S., 2008, I, 135; Corte di Giustizia Ue, 17 luglio 2008, causa C-347/06, ivi, 2008, 7-8, 1963.
  15. Giova ricordare che, anche prima della sentenza qui riferita, la Corte di Giustizia Ue aveva avuto modo di chiarire che, nel caso – come quello in esame – in cui il provvedimento concessorio presenti un interesse transfrontaliero certo (valutato sulla base di una serie di criteri, quali la rilevanza economica, il luogo di esecuzione, le caratteristiche tecniche), la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad una impresa con sede nello stesso Stato membro in cui ha sede l’Amministrazione aggiudicatrice configura un’ipotesi di disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un diverso Stato membro: in tal senso si è espressa, ad esempio, Corte di Giustizia Ue, 14 novembre 2013, causa C-221/12, in Foro amm., C.d.S., 2013, 11, 2931.
  16. Così Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2019, n. 1707, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874, in Foro it., 2020, III, 65; Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2020, n. 1435, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 1435, ivi; T.a.r. Puglia, Lecce, Sez. I, 28 luglio 2017, n. 1329, in Riv. giur. edilizia, 2017, 5, I, 1178; T.a.r. Sardegna, Sez. I, 15 febbraio 2018, n. 128, in www.giustizia-amministrativa.it; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 15 gennaio 2012, n. 616, in Riv. giur. edilizia, 2021, 1, I, 240; T.a.r. Campania, Salerno, Sez. II, 29 gennaio 2021, n. 265, in www.giustizia-amministrativa.it; T.a.r. Toscana, Sez. III, 15 febbraio 2018, n. 380, ivi; T.a.r. Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363, ivi; T.a.r. Toscana, Sez. III, ord. 24 marzo 2021, n. 163, in www.giustamm.it. Sulla stessa linea interpretativa è attestata la Cassazione penale: si veda, ad esempio, Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2019, n. 25993, in Riv. giur. edilizia, 2019, 5, I, 1409; Cass. pen., Sez. III, 9 gennaio 2014, n. 7267, in www.cortedicassazione.it; Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2018, n. 21281, in Cass. pen., 2019, 3, 1266. Si rammenta, infine, che anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di confermare di recente, il suo consolidato orientamento – già ricordato nelle precedenti note 4 e 5 – propenso ad escludere la legittimità costituzionale delle leggi che prevedono proroghe o rinnovi automatici delle concessioni demaniali rilasciate, per contrasto con gli artt. 3 e 117, commi 1 e 2, lett. a) ed e), Cost.: sul punto si rinvia a Corte Cost., 29 gennaio 2021, n. 10, in www.cortecostituzionale.it; Corte Cost., 9 gennaio 2019, n. 1, in Foro it., 2019, 3 I, 761.
  17. Sul punto si rinvia alla giurisprudenza amministrativa citata nella nota precedente.
  18. Al riguardo si rimanda ancora alla giurisprudenza riportata nella nota 16.
  19. Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2020, n. 1435, cit.; T.a.r. Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363, cit..
  20. Come la giurisprudenza eurounitaria (si rinvia sul punto al precedente paragrafo), anche la giurisprudenza interna è concorde nell’escludere la riconducibilità delle concessioni demaniali marittime alla categoria delle concessioni di servizi, disciplinate dalla direttive appalti, posto che esse non hanno ad oggetto la gestione di un servizio, spettante all’amministrazione concedente e delegata da questa all’impresa concessionaria: così, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2019, n. 1707, cit.; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 15 gennaio 2012, n. 616, cit..
  21. Così, tra le altre, T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 15 gennaio 2012, n. 616, cit.; T.a.r. Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363, cit..
  22. Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 1435 cit.; T.a.r. Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363, cit.; T.a.r. Lazio, Roma, Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 616, cit.; T.a.r. Campania, Salerno, Sez. II, 29 gennaio 2021, n. 265, cit..
  23. Si rinvia alla giurisprudenza della Suprema Corte riportata alla nota 16.
  24. In tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2020, n. 1435, cit..
  25. Giova rammentare che, di recente, il T.a.r. Puglia, Lecce, Sez. I, 7 giugno 2021, n. 881, in www.lexitalia.it, ha rilevato che “E’ inammissibile un ricorso giurisdizionale, proposto da un imprenditore operante nel settore, tendente ad ottenere l’annullamento in s.g. del provvedimento con il quale un Comune, in applicazione dell’art. 1, commi 682 e 683, della L. 145/2018, ha disposto la proroga automatica sino al 31 dicembre 2033, di una concessione demaniale marittima; infatti, mentre l’atto con cui un Dirigente comunale esprime un diniego in ordine alla suddetta proroga ex lege ha evidente natura provvedimentale, in quanto espressione di volontà negoziale volta ad impedire l’effetto proroga normativamente previsto, incidendo in tal modo sull’assetto degli interessi, l’atto con cui il Comune abbia recepito la suddetta proroga, disposta direttamente dalla legge, in via automatica, non ha natura di provvedimento, poiché privo di contenuto volontaristico o negoziale, trattandosi di mero atto ricognitivo e di presa d’atto della proroga disposta in via automatica direttamente dalla legge. In quanto tale, l’atto impugnato non risulta di per sé lesivo, in quanto la lesione si riconnette, appunto, direttamente alla norma di legge di cui all’art. 1, commi 682 e 683, della legge citata”.
  26. In particolare il Consiglio di Stato, Sez. VI, nella già menzionata decisione 18 novembre 2019, n. 7874, ha osservato che “Le disposizioni legislative che prevedono in via generalizzata proroghe e rinnovi automatici di concessioni demaniali marittime violano i principi del diritto comunitario su libertà di stabilimento e tutela della concorrenza e pertanto non possono essere applicate né dal giudice, né dall’amministrazione”. Del medesimo avviso è anche T.a.r. Campania, Salerno, Sez. II, 29 gennaio 2021, n. 265, cit..
  27. In argomento C. ANGELONE, Le nuove funzioni del comune sul demanio marittimo e nel mare territoriale: modalità di esercizio e profili applicativi, in AA.VV., La gestione del demanio marittimo. Dallo Stato, alle Regioni, ai Comuni, Milano 2002, 21 ss.; M. OLIVI, Profili evolutivi dei beni demaniali marittimi, in Dir. maritt., 2004, 2, 365 ss.; Id., Il demanio marittimo tra Stato e autonomie territoriali e titolarità del bene e titolarità delle funzioni, in Foro amm., C.d.S., 2006, 9, 2423 ss..
  28. Così T.a.r. Puglia, Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1321, in Riv. giur. edilizia, 2021, 1, I, 268; nel medesimo senso Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2019, n. 7258, in www.giustizia-amministrativa.it; T.a.r. Puglia, Lecce, Sez. I, sentenze nn. 71 e 72, pronunciate entrambe il 15 gennaio 2021, in www.giustizia-amministrativa.it.
  29. La rimessione è stata effettuata dal Presidente del Consiglio di Stato, con decreto presidenziale 24 maggio 2021, n. 160, in www.giustamm.it.
  30. Sulla segnalazione dell’Antitrust ora richiamata si vedano le osservazioni di P. QUINTO, Note a margine della recente segnalazione dell’Antitrust, in www.lexitalia.it.
  31. Nella segnalazione dell’AGCM si fa esplicito riferimento alla sentenza del T.a.r. Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 363, cit..
  32. Nella segnalazione dell’Antistrust in esame è richiamata, in particolare, la già ricordata sentenza della Corte di Giustizia, Sez. V, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/2014 e C-67/15.
  33. Nello specifico l’AGCM ha impugnato una determinazione di proroga assunta del Comune di Piombino; il ricorso proposto dall’Antistrust è stato accolto dal T.a.r. Toscana con la già menzionata decisione 8 marzo 2021, n. 363; tale decisione è espressamente citata dalla medesima Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione al Presidente del Consiglio dei Ministri pocanzi riferita.
  34. Che si può leggere su sito istituzionale della Commissione Ue www.ec.europa.eu. Per approfondimenti al riguardo si rinvia a G. MARCHEGIANI, La proroga al 2033 delle concessioni balneari nell’ottica della procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea, in Urb. app., 2021, 1, 153 ss..
  35. In dottrina c’è chi ha criticato la decisione della Commissione Ue di avviare una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e le motivazioni da essa addotte (desunte principalmente – come si è ricordato – dalla sentenza della Corte di Giustizia Ue, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e 67/15, cit.). In particolare G. MARCHEGIANI, ult. op. cit., 156-160, sottolinea che l’ultima iniziativa della Commissione muove dall’assunto che la gestione, a fini economici, del litorale italiano rivesta, sempre e comunque, un “interesse transfrontaliero certo”, ai sensi della direttiva servizi; tuttavia, tale presupposto fondamentale per l’applicabilità della disciplina sovranazionale – osserva l’Autore – non può essere considerato in re ipsa, ma deve essere dimostrato, sulla base di circostanza oggettive certe, con riferimento al singolo caso preso a riferimento. Si rileva, inoltre, che “la facoltà di concedere il diritto di occupare ed utilizzare zone del demanio marittimo al fine di avviare un’attività economica rientra nel potere delle pubbliche autorità degli Stati membri di disporre di beni appartenenti al proprio regime di proprietà. In questo senso, anche le concessioni demaniali marittime devono essere considerate come un’espressione dei poteri insiti nei regimi di proprietà degli Stati membri. Quando uno Stato membro concede il diritto di occupare ed utilizzare zone del demanio marittimo ciò avviene nell’esercizio di una facoltà che gli compete in quanto proprietario di tali aree. Il pensiero va quindi all’art. 345 TFUE ed ai principi che la Corte di giustizia ha richiamato nella sua interpretazione di tale articolo”(così si legge in ult. op. cit., 159). Per le suesposte ragioni, si ritiene che “un obbligo assoluto ed incondizionato a carico delle autorità pubbliche di attuare in ogni caso (e cioè anche in assenza di un interesse transfrontaliero certo) una procedura di aggiudicazione del loro patrimonio immobiliare nei termini imposti dalla “Direttiva servizi” rappresenterebbe una chiara limitazione al regime di proprietà di singoli Stati membri”, non consentita dal citato art. 345 TFUE, in virtù del quale “I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri” (ibidem).
  36. Si ricorda che il d.l. 18 aprile 2012, n. 179, ha assimilato le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, per attività turistico-ricreative, ai fini della proroga della loro scadenza.
  37. Si veda, ex multis, Corte Cost., 27 gennaio 2017, n. 29, in Riv. giur. edilizia, 2017, 1, I, 78; Cass. civ., Sez. Un., 13 febbraio 1997, n. 1324, in Giust. civ. mass., 1997, 236; Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 1980, n. 1369, in Riv. giur. edilizia, 1981, I, 3; Cass. civ., Sez. I, 4 maggio 1998, n. 4402, in Giust. civ. mass., 1998, 917; Cass. civ., Sez. II, 22 maggio 2000, n. 6656, ivi, 2000, 1084; Cass. civ., Sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134, ivi, 2003, 189; Cass. civ., Sez. trib., 4 dicembre 2019, n. 31585, in www.cortedicassazione.it; Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308, ivi; Cons. Stato, Sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196, in Foro amm., C.d.S., 2013, 6, 1682; Cons. Stato, Sez. VI, 16 luglio 2014, n. 3761, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6043, in Riv. giur. edilizia, 2019, 5, I, 1348; T.a.r. Toscana, Sez. III, 27 febbraio 2015, n. 328, in www.giustizia-amministrativa.it; T.a.r. Toscana, Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 225, in Foro amm., 2016, 2, 405; T.a.r. Toscana, Sez. III, 6 luglio 2016, n. 1150, ivi, 2016, 7-8, 1903; T.a.r. Toscana, Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 220, in Riv. giur. edilizia, 2020, 3, I, 590; Comm. trib. reg., Ancona, Sez. 7, 4 giugno 2003, n. 38, in www.diritto.it; Comm. trib. reg., Ancona, Sez. 2, 15 aprile 2004, n. 24, ivi.
  38. Sul punto si rinvia alla giurisprudenza indicata nella nota precedente, In particolare la Corte Costituzionale, nella già evocata sentenza 27 gennaio 2017, n. 29, ha osservato che “La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che ‘non tutti i manufatti insistenti su aree demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione demaniale – della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione: definizione che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli impianti pertinenziali sono o possono essere, di per sé, rimovibili con facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di superficie’”. In tal senso si veda pure Cons. Stato, Sez. VI, 16 luglio 2014, n. 3761, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6043, cit.. Con specifico riferimento alle concessioni demaniali marittime, la Corte di Cassazione, Sez. trib., nella già menzionata sentenza 4 dicembre 2019, n. 31585, ha avuto modo di sottolineare che “….in caso di stabilimento balneare che incide su area demaniale si deve distinguere fra la concessione della mera disponibilità dell’area da quella che comporta (come dedotto nel caso di specie) la collocazione di opere stabili. In questo secondo caso la posizione del concessionario è assimilabile ad un diritto di proprietà, con conseguente applicazione dell’ICI. Si veda in proposito la sentenza 1718 del 26 gennaio 2007, secondo cui il diritto del concessionario di uno stabilimento balneare, il quale abbia ottenuto, nell’ambito della concessione demaniale, anche il riconoscimento della facoltà di edificare e mantenere sulla spiaggia una costruzione, più o meno stabile, e consistente in vere e proprie strutture edilizie o assimilate (sale, ristoranti, locali d’intrattenimento o da ballo, caffè, spogliatoi muniti di servizi igienici e docce, etc.) integra una vera e propria proprietà superficiaria, sia pure avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione, cessazione o estinzione”.
  39. Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 luglio 2014, n. 3761, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6043, cit.. In particolare le concessioni demaniali marittime, per uso turistico-ricreativo (cui sono equiparate ex lege le concessioni lacuali e fluviali con le medesime finalità), tipizzate dall’art. 1, del già citato d.l. n. 400/1993, convertito dalla legge n. 494/1993, costituiscono un esempio paradigmatico di concessione su bene pubblico, in quanto, con esse, è attribuita ad un operatore economico la facoltà di sfruttare, in via esclusiva, un tratto di litorale, allo scopo di realizzare uno stabilimento balneare e altre strutture accessorie e similari, funzionali alla più confortevole fruizione dell’arenile da parte degli utenti. Al riguardo ha opportunamente sottolineato M.S. GIANNINI, ult. op. cit., 114, che, sebbene l’installazione di uno stabilimento balneare non sia essenziale per la funzionalità e fruibilità della spiaggia, essendo “solo una comodità per i bagnanti” e non costituendo “la sostanza del godimento collettivo” del bene marittimo, la sua realizzazione risponde comunque ad un interesse pubblico rilevante, in quanto rende meglio attrezzato il tratto di arenile per uno dei possibili usi dello stesso. Per ulteriori approfondimenti in merito alle caratteristiche ontologiche e funzionali della concessione demaniale in esame si rinvia alla dottrina menzionata nella precedente nota 1.
  40. Nella già citata decisione 15 aprile 2004, n. 24, la Commissione tributaria regionale di Ancona, Sez. II, ha giustamente rilevato che la “accennata qualificazione come diritto di superficie del diritto del concessionario di aree del demanio marittimo sulle costruzioni dal medesimo realizzate trova ulteriore giustificazione normativa nella stessa previsione dell’art. 1 del Cod. Nav., il quale prevede espressamente che, in presenza di lacune rinvenibili nello stesso Codice, operano in materia le norme del Codice civile e da ciò, quindi, la possibilità di valorizzare la relativa disciplina in tema di diritto di superficie, in mancanza di specifiche disposizioni normative preordinate a qualificare le facoltà giuridiche del concessionario sulle costruzioni realizzate sul suolo demaniale marittimo”.
  41. Sul punto si rimanda alle pronunce riportate nelle tre note precedenti.
  42. Per approfondimenti sul punto si rinvia al prossimo paragrafo.
  43. In tal senso Cass. civ., Sez. Un., 13 febbraio 1997, n. 1324, cit.; Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 1980, n. 1369, cit.; Cass. civ., Sez. I, 4 maggio 1998, n. 4402, cit..
  44. Si veda, tra le altre, Corte Cost. 7 luglio 2017, n. 157, in Foro it., 2017, 10, I, 2923; Corte Cost. 23 ottobre 2020, n. 222, in Giur. cost., 2020, 5, 2466. In tali giudizi è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale in relazione a due leggi regionali (nel primo caso, una legge della Regione Toscana, nel secondo caso una legge della Regione Veneto) che prevedevano il pagamento di un indennizzo in favore del gestore uscente, quale condizione per l’aggiudicazione della concessione al subentrante, a pena di esclusione (in particolare la legge della Regione Veneto impugnata stabiliva l’ammontare dell’indennizzo nella misura pari al novanta per cento del valore dell’azienda gestita dal concessionario uscente). In entrambe le pronunce, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme regionali sottoposte al suo scrutinio – oltre che per le ragioni che saranno illustrate nel presente paragrafo – perché ha ritenuto che la disciplina contenuta in dette norme riguardava materie rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, Cost.. In particolare, il Giudice delle leggi ha rilevato che la previsione di un indennizzo a favore del concessionario incide, per un verso, sulla materia della “tutela della concorrenza” e, per l’altro, sulla materia dell’“ordinamento civile”. Per ulteriori approfondimenti sulle sentenze ora richiamate si rinvia a M. CONTICELLI, Effetti e paradossi del legislatore statale nel conformare la disciplina delle concessioni del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative al diritto europeo della concorrenza, in Giur. Cost., 2020, 5, 2475 ss..
  45. Per le ragioni ora segnalate, la Corte Costituzionale – nelle già ricordate sentenze 7 luglio 2017, n. 154, e 23 ottobre 2020, n. 222 – ha affermato l’illegittimità costituzionale delle leggi regionali sottoposte al suo vaglio, (anche) per violazione dell’art. 117, 2 comma, lett. l), Cost. (nello specifico, ha ravvisato la violazione della competenza esclusiva della Stato in materia di “ordinamento civile”). Sotto questo profilo, la Consulta ha osservato, tra l’altro, che l’imposizione di un indennizzo a carico del nuovo gestore influisce sul principio civilistico che vieta arricchimenti ingiustificati.
  46. L’art. 49 cod. nav. “richiama in pratica l’istituto dell’accessione, di cui all’art. 934 cod. civ. (con deroga al principio dell’indennizzo, di cui al successivo art. 936)”; per tali ragioni, la norma in questione costituisce una “disposizione eccezionale e di stretta interpretazione”: così si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 1 febbraio 2013, n. 626, in Foro amm., C.d.S., 2013, 2, 491. Al riguardo si veda pure Cass. civ., Sez. III, 24 marzo 2004, n. 5842, in Giust. civ. mass., 2004, 3; Cass. civ., Sez. I, 5 maggio 1998, n. 4504, ivi, 1998, 931.
  47. Così ha rilevato il Consiglio di Stato nella sentenza riportata nella nota precedente.
  48. Ha giustamente osservato il Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza 1 febbraio 2013, n. 626, cit., che il principio dell’accessione gratuita, previsto dall’art. 49 cod. nav., è “fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo”.
  49. Cfr., ex multis, Corte europea dei Diritti dell’Uomo, 23 settembre 1982, n. 52, in Dir. dell’Uomo e libertà fondam., 2006, 1, 476; Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. Grande Chambre, 22 giugno 2004, n. 31443, ivi, 2007, 3, 793; Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. Grande Chambre, 29 marzo 2006, n. 6735, ivi, 2007, 3, 1245.
  50. Sul punto si rinvia alla sentenze richiamate nella nota precedente.
  51. Giova rammentare che i principi e le norme stabilite dalla CEDU e della Carta di Nizza e ora riferite sono espressamente richiamate nelle premesse della direttiva Bolkestein: il considerando n. 15, ivi contenuto, chiarisce, infatti, che “La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali applicabili negli Stati membri quali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle relative spiegazioni, armonizzandoli con le libertà fondamentali di cui agli articoli 43 e 49 del trattato.”.
  52. Così, tra le altre, Corte di Giustizia Ue, 13 luglio 1989, n. 110, in Foro it., 1989, IV, 405; Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. II, 23 settembre 2014, n. 46154, in Resp. civ. e prev., 2014, 6, 2036. In quest’ultima pronuncia si afferma in particolare, che “Sussiste la violazione del diritto al rispetto dei diritti privati, sancito dall’art. 1 del Protocollo n. 1, Cedu, laddove la decisione di sottoporre un immobile al demanio marittimo, seppur legittimamente adottata nell’interesse pubblico dell’autorità competente, non prenda in alcuna considerazione l’affidamento legittimo del privato che, credendosi proprietario in base ad atto notarile, abbia ivi concentrato per lungo tempo la propria attività economica….., senza vedersi corrisposto alcuna indennità per il pregiudizio subito…”. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a R. RIGHI, Sulla necessità di abrogare l’art. 49 Cod. Nav. per risolvere la questione balneare italiana, in www.giustamm.it.
  53. Si veda, ex multis, Corte di Giustizia Ue, Sez. III, 22 gennaio 2015, causa C-463/13, in www.federalismi.it.
  54. Si tratta dell’art. 1, comma 78, punto 26), della legge 31 dicembre 2010, n. 220 (c.d. Legge di stabilità 2011).
  55. Così ha statuito la Corte di Giustizia Ue, Sez. III, nella sentenza 28 gennaio 2016, causa C-375/14, in Guida al dir., 2016, 9, 104, in riferimento ad una concessione per la raccolta di scommesse, rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
  56. Si rinvia alle sentenze riportate nella precedente nota 44.
  57. Cfr. T.a.r. Veneto, Venezia, Sez. I, ord. 27 maggio 2019, n. 651, in www.giustizia-amministrativa.it.
  58. In argomento si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385, in Foro it., 2009, 12, I, 3413; Cass. civ., Sez. II, 11 marzo 2021, n. 6827, in Giust. civ. mass., 2921, 231; Cass. civ., Sez. I, 3 novembre 2020, n. 24319, in Guida al dir., 2020, 50, 92; Cass. civ., Sez. I, 29 maggio 2019, n. 1470, in www.cortedicassazione.it.
  59. In tal senso, E. BOSCOLO, ult. op. cit., 1225.
  60. Rileva, in particolare, E. BOSCOLO, ult. op. cit., 1225, che «i progetti di sfruttamento sintetizzati nei documenti dell’offerta devono garantire l’infrastrutturazione della spiaggia per il massimo soddisfacimento delle aspettative sempre più diversificate ed esigenti dell’utenza e, nel contempo, devono assicurare il contenimento delle esternalità ambientali e del disturbo al paesaggio. Nel contempo, la procedura aperta costituisce anche lo strumento per costringere gli aspiranti a rivelare le rispettive disponibilità a pagare e, quindi, ad offrire un canone direttamente correlato alla redditività del rispettivo progetto di sfruttamento».
  61. I dati statistici ora riferiti sono tratti dalla già menzionata segnalazione dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato, contenente «Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021» che detta l’Autorità ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge n. 287/1990.
  62. Condivisibilmente osserva E. BOSCOLO, in ult. op. cit., 1226, che l’attuale disciplina normativa dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime, per finalità turistico ricreative, consente ai concessionari «di internalizzare i guadagni derivanti dallo sfruttamento del bene pubblico esternalizzando tutti i costi ambientali e di sottrazione della risorsa in danno dell’ambiente e delle comunità rivierasche».
  63. Rileva giustamente M. D’ALBERTI, Per la riforma e la valorizzazione delle concessioni, in U. MATTEI, E. REVIGLIO, S. RODOTA’ (a cura di), Idee per una riforma della proprietà pubblica, Bologna, 2007, 286, che «il valore della concessione va…commisurato al rilievo economico e giuridico dell’attività imprenditoriale svolta dal concessionario, nonché dei diritti e dei poteri ad esso conferiti, più che all’entità dei beni sui quali la concessione si esercita. Questa, però, non è la via seguita nel nostro sistema e vi sono molte disfunzioni nella disciplina delle concessioni». Anche F. DI LASCIO, ult. op. cit., 782, sottolinea che la misura del canone concessorio «deve essere proporzionata al beneficio economico che il privato trae dallo sfruttamento del bene pubblico e all’effettiva utilità che lo stesso produce». In argomento si veda pure P. D’AMELIO, Determinazione dei canoni demaniali: la corrispettività garanzia di una corretta utilizzazione del bene pubblico, in www.diritto.it; A. CLARONI, Incidenza della proprietà dei beni del demanio marittimo sulla determinazione e riscossione dei relativi canoni di concessione, in Dir. trasp., 2005, 610 ss..

Federico Gaffuri

Associate Professor of Administrative Law at the University of Milan and Lawyer at the bar of Milan