La disciplina in materia di fonti di energia rinnovabili e la tendenza “decentralizzante”: quale ruolo per lo Stato?

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1/2024

La disciplina in materia di fonti di energia rinnovabili e la tendenza “decentralizzante”: quale ruolo per lo Stato?

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Il presente lavoro esamina la tendenza “decentralizzante” che appare sempre più interessare le politiche pubbliche e regolatorie in materia di energie rinnovabili, frutto della diffusione di nuovi modelli di generazione energetica distribuita e delle profonde innovazioni determinate dall’impatto delle Distributed Ledger Tecnolgies. Dopo un generale inquadramento normativo del settore, l’indagine mira a evidenziare la particolare valenza sociale che le energie rinnovabili hanno acquisito attraverso il fenomeno delle Comunità Energetiche. Infine, verrà indagato il ruolo che lo Stato, a fronte di questi cambiamenti, è chiamato a rivestire.


The regulation of renewable energy sources and the “decentralising” trend: what role for the state?
Examining the “decentralising” trend that seems to be impacting public and regulatory policies on renewable energy, this paper explores how new distributed energy generation models have spread and how profound innovations brought about by Distributed Ledger Technologies have resulted in new distributed energy policies. After a general overview of the regulatory framework of the sector, the paper aims to highlight the particular social value that renewable energy has acquired through the phenomenon of energy communities. Finally, the paper will investigate the role that the state is expected to play in response to these changes.
Summary: 1. L’energia dalla prospettiva del diritto.- 1.1. L’art. 43 della Costituzione e gli impulsi sovranazionali nel bilanciamento della questione energetica.- 1.2. “Produzione, distribuzione e trasporto” nella dialettica Stato-Regioni in materia di energia.- 2. Le fonti di energia rinnovabili nell’ordinamento giuridico italiano.- 3. Strumenti normativi e regime degli incentivi.- 3.1. Il procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003.- 3.2. I regimi di sostegno e promozione: gli incentivi.- 4. Il peso sociale delle energie rinnovabili: le Comunità energetiche.- 4.1. Un punto di incontro tra pubblico e privato.- 4.2. Un nuovo paradigma di produzione energetica.- 4.3. Comunità energetiche e blockchain.- 5. Energie rinnovabili e innovazione tecnologica: quale ruolo per lo Stato?- 6. Conclusioni.

1. L’energia dalla prospettiva del diritto

Governare tutto quanto ruota attorno al mondo dell’energia rappresenta senza ombra di dubbio una delle più complesse e problematiche sfide che le Pubbliche Amministrazioni sono chiamate ad affrontare. L’energia, infatti, rappresenta il bene strategico per antonomasia[1], motore della società per la sua naturale attitudine a soddisfare i più basilari bisogni umani quali, nei moderni sistemi economico-sociali, la generazione di elettricità, l’alimentazione, il riscaldamento, il funzionamento di macchine civili e industriali. La produzione di energia diviene, per tali ragioni, un fattore indissolubilmente legato allo sviluppo economico e al benessere della popolazione[2]. Basti pensare a quanto il fattore energetico occupi una notevole fetta di mercato e ne orienti la direzione: dagli interessi economici che riguardano le tradizionali risorse naturali (petrolio, gas, carbone) fino ad arrivare a quelli connessi alle fonti energetiche rinnovabili che, seppur per alcuni aspetti più onerose, accolgono «un nuovo favore sociale, ambientale e generazionale»[3]. Appare quindi indiscutibile che tale settore rivesta una funzione di vitale importanza per la crescita economica mondiale. La domanda energetica, infatti, continua ad aumentare e si prevede che la medesima crescerà del 50% al 2035, con particolare riguardo per i Paesi in via di sviluppo[4]. Inoltre, le accennate dinamiche subiscono accelerazioni in ragione di uno sviluppo tecnologico sempre più intenso, andando ad intercettare profili di innovazione e digitalizzazione sempre più centrali nell’evoluzione della società[5], come si avrà modo di sviluppare meglio in seguito[6]. Il riferimento è a quelle particolari tecnologie, quali la Blockchain e – in senso più ampio – le Distributed Ledger Technologies[7], capaci di cogliere le istanze di decentralizzazione e generazione distribuita, divenute sempre più attuali per il crescente incentivo alla diffusione di fonti di energia rinnovabile, attraverso le caratteristiche strutturali e informatiche di tali strumenti. Tutto questo a dimostrazione del fatto che la questione energetica, ossia l’insieme delle dinamiche economiche e geopolitiche che ruotano attorno a tale bene[8], è il punto di incontro di una innumerevole mole di interessi, che necessitano di adeguata tutela. Tradizionalmente, questa complessa attività di bilanciamento ha avuto quali poli la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e la competitività (intesa quale accessibilità economica alle fonti di energia per tutte le fasce della popolazione). A tale binomio si è aggiunto, come meglio si vedrà in seguito, anche l’impegno della comunità internazionale, ricaduto sui Governi e Pubbliche Amministrazioni nazionali, a rendere le fonti energetiche sempre più sostenibili sul piano ambientale. La difficoltà di coniugare accessibilità economica, sostenibilità ambientale, sicurezza dell’approvvigionamento[9] è stata riassunta in una celebre formula coniata dal World Energy Council[10], ossia il «Trilemma Energetico»[11]. L’insieme delle questioni appena tratteggiate e il loro intreccio dimostra altresì la profonda influenza che i temi di politica energetica producono sulle scelte normative di settore, che ha ormai acquisito una propria specificità ed autonomia[12]. Le complesse esigenze di regolamentazione di tale delicato settore, quindi, sono costantemente alle prese con il citato trilemma. E come tutti i fenomeni strettamente collegati ai bisogni della persona, l’accesso all’energia viene qualificato quale diritto fondamentale, in primis dalla nostra Costituzione, in quanto interesse della comunità a cui lo Stato deve necessariamente rivolgere la propria attenzione[13]. È per tali motivi che giova sin da subito guardare alla “giuridificazione” dell’energia[14], ossia al fenomeno di interessamento da parte del diritto di tale fondamentale vettore di sviluppo economico e sociale, che da tempo è oggetto di riflessione dalla dottrina amministrativistica[15]. Questa tendenza, in termini generali, rappresenta «un ripensamento della regolazione, che ha spesso significato il loro transito dalla sfera civilistica a quella pubblicistica, la creazione di Istituzioni ad hoc o ancora l’intervento di istituzioni o regole sovranazionali»[16]. In particolare, le dinamiche legate al settore energetico, proprio per la già descritta strategicità delle stesse, rivestono da sempre una valenza significativa nelle varie fasi storiche, seppur con sfumature diverse. Agli inizi del Novecento, infatti, l’ordinamento tendeva ad affrontare le suddette questioni solo dal punto di vista “privatistico”, coerentemente con le logiche liberali allora imperanti, quindi con norme di natura civilistica e penalistica volte a tutelare il bene energia quale pertinenza dell’individuo, dunque in una mera dinamica intersoggettivistica[17].

1.1. L’art. 43 della Costituzione e gli impulsi sovranazionali nel bilanciamento della questione energetica

Le norme dalle quali prendere le mosse per la ricostruzione normativa del settore dell’energia sono gli articoli 43 e 117, comma 3, della Costituzione. L’articolo 43, in base al quale, come noto, «a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale», offre numerosi spunti di riflessioni rispetto alla tematica oggetto di indagine. La norma in questione, espressione di una particolare attenzione rivolta dal Costituente alla necessità di riserva pubblicistica nella gestione di taluni settori economici funzionali alla tutela dell’interesse pubblico[18], specifica che tra i mercati da vigilare e da eventualmente sottrarre all’iniziativa economica privata, riconosciuta e garantita dal precedente art. 41[19], vi è sicuramente quello dell’energia. Non è un caso che, mentre per altri settori strategici sia usata l’onnicomprensiva formula dei “servizi pubblici”[20], al tema delle fonti di energia venga data una particolare e specifica attenzione. Proprio il perseguimento del fine sociale di determinate attività economiche, come la produzione e distribuzione di energia, giustifica la cosiddetta “riserva di Stato”, anche mediante strumenti fortemente invasivi della sfera privata quale quello dell’espropriazione per pubblica utilità, prevista dalla stessa Costituzione all’art. 42. In definitiva, quindi, la disposizione di cui all’art. 43 della Costituzione è stata utilizzata per realizzare quella attività di gestione dei servizi pubblici economici cosiddetta “diretta”, implicando un coinvolgimento in prima persona dello Stato nella organizzazione ed erogazione delle stesse prestazioni qualora venga rinvenuta la presenza di un interesse generale. Questa norma, nella sostanza, denota l’anima “sociale” della regolamentazione dei rapporti economici fatta propria dalla Costituzione, consentendo di istituire monopoli pubblici in settori ove il libero mercato non sia ritenuto in grado di garantire il perseguimento dell’interesse pubblico[21]. Tale sistema costituzionale ha avuto ampia applicazione nel settore energetico, prima mediante la costituzione dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), istituito con l. n. 136/1953, e dell’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica), mediante la l. n. 1643/1962. Nella prima, si legge che il compito riservato all’ENI sarebbe stato quello di «promuovere ed attuare iniziative di interesse nazionale nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali» (art. 1 legge istitutiva). Per quanto concerne l’ENEL, invece, allo stesso era «riservato il compito di esercitare nel territorio nazionale le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta» (art. 1 legge istitutiva). Nel campo dell’energia, l’ENI e l’ENEL, entrambi qualificati quali enti pubblici economici con capacità di diritto privato e operanti sotto la direzione e il controllo del Governo, hanno rappresentato i principali perni attorno ai quali si innestò il processo di industrializzazione del Paese. La nazionalizzazione del settore dell’energia elettrica e di quello degli idrocarburi è stata la limpida espressione dell’importanza attribuita a tali ambiti, oltre che rappresentare la concreta applicazione del già rammentato disposto costituzionale di cui all’art. 43[22]. Tale stato delle cose, però, muta sensibilmente con l’intensificarsi del processo di integrazione europea, il quale, già a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, determina una profonda rivalutazione dei principi di libera concorrenza, destinati a entrare in contrasto con l’anima sociale e sostanzialmente dirigista della nostra Carta Costituzionale. Prima di tali impulsi comunitari, infatti, la a situazione nel settore privato era essenzialmente organizzato secondo un modello che autorevole dottrina definiva «protezionismo liberale»[23], ossia una posizione nella quale «le imprese private stavano al centro del sistema economico, ma era scontato che accettassero un certo livello di guida e di protezione da parte dello Stato. Allo Stato, ma anche agli enti pubblici territoriali, era riconosciuto un ampio potere generale di regolazione dell’economia»[24]. Entrando nello specifico, in materia di energia una simile tendenza emerge già a partire dalla Direttiva 96/92/CE, la quale reca «Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, finalizzate alla armonizzazione delle regole dei vari paesi europei in materia di generazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica». Al considerando 3 di tale Direttiva, che rappresenta un atto normativo vincolante dell’Unione Europea, viene infatti ulteriormente rimarcata la considerazione dell’importanza del settore energetico, quella che più tardi verrà definita “strategicità”, dal momento che si afferma che «l’instaurazione del mercato interno dell’energia elettrica è particolarmente importante per aumentare l’efficienza della generazione, la trasmissione e la distribuzione di tale prodotto, rafforzando nel contempo la sicurezza dell’approvvigionamento e la competitività dell’economia europea nonché rispettando la protezione dell’ambiente». Partendo da questo spunto e guardando ad una prospettiva più generale, alla luce dei Trattati europei, tra gli obiettivi dell’Unione richiamati all’art. 3 TUE troviamo infatti la «realizzazione del mercato unico». Si tratta del vero nucleo originario dell’esperienza comunitaria, in virtù del quale l’Unione ha come obiettivo lo sviluppo di uno «spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali» (art. 3, par. 3 TUE). Si assiste ad una progressiva implementazione del principio di libera concorrenza, come disciplinato dagli artt. 101-109 TFUE, il quale vuole garantire a tutti gli operatori economici pari opportunità, consentendo alle dinamiche del mercato di far emergere chi sia in grado di offrire i prodotti e i servizi migliori. Si impone, quindi, un graduale smantellamento di tutte le forme di intervento statale diretto nell’economia, a partire dall’imposizione di un generale divieto di aiuti di Stato, invocando esigenze di liberalizzazione e privatizzazione funzionali alle citate esigenze di realizzazione di un mercato unico e concorrenziale, (art. 106 TFUE).

Insieme al discorso sulla privatizzazione e liberalizzazione, gli impulsi europei e internazionali hanno prodotto una diversa sensibilità nell’approccio normativo alle problematiche energetiche, specie in tema di tutela dell’ambiente[25]. In particolare, si introduce il principio di sostenibilità ambientale, che guarda alla necessità di modificare i tradizionali sistemi di produzione energetica in maniera coerente alle esigenze di riduzione dell’inquinamento, in particolare quello derivante dall’utilizzo di combustibili fossili quali il carbone, il petrolio e il gas[26]. In ambito internazionale, quindi, tale principio nasce e si diffonde con la finalità principale di tutelare i bisogni essenziali dell’essere umano in un determinato contesto ambientale e sociale e nel tempo, grazie alla sua “duttilità” e sempre a livello internazionale, è stato declinato in ambiti materiali diversi come quello socio-demografico e quello economico-finanziario[27]. Viene in rilievo una rinnovata necessità di prestare adeguata attenzione all’equità intergenerazionale, ossia alla preservazione delle risorse attuali anche a vantaggio delle generazioni future, specialmente in termini di protezione dell’ambiente e di contenimento del fenomeno del riscaldamento climatico[28]. Tutte queste considerazioni vengono fatte proprie dall’Unione Europea, che forza particolarmente le tematiche ambientali al fine di combinarle con il diritto all’accesso alle fonti di energia. Una nuova occasione, dunque, di necessario bilanciamento tra contrapposti interessi in gioco[29]. Tornando ai principali impulsi europei in materia energetica, giova rilevare come già a partire dall’art. 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE)[30], l’Unione europea «si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente (…)» e nelle relazioni con il resto del mondo: «contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra (…)». Rispetto alla salvaguardia dell’ambiente, l’art. 11 TFUE afferma che «le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile». Inoltre, l’art. 194 TFUE alla lett. c) del paragrafo 1 individua tra le finalità della politica dell’Unione nel settore dell’energia quella di «promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili». Si evince, quindi, una chiara impronta di sistema volta a promuovere il principio dello sviluppo sostenibile in maniera trasversale, incidendo profondamente sulle legislazioni nazionali, cercando di tenere in piedi, da un lato, la necessità di garantire il bisogno di energia, dall’altro la tutela ambientale[31]. Alla luce degli impulsi internazionali e comunitari si può dire, in definitiva, che la principale sfida per il Legislatore nazionale rappresenta ad oggi l’individuazione del corretto bilanciamento tra sicurezza dell’approvvigionamento, economicità dell’accesso e sostenibilità ambientale delle fonti energetiche, riproponendosi in termini concreti quel già citato «Trilemma Energetico»[32] che tiene conto proprio di tutte queste componenti. Tale rinnovata sensibilità, rinvigorita dalla convergenza delle politiche internazionali e comunitarie in materia di sostenibilità ambientale, consente comunque di ritenere che la nostra Costituzione, per le suesposte ragioni, continui a dare risposta a tali esigenze anche di fronte a tale mutato quadro. Nello specifico, la questione ambientale, che si fonde a quella energetica grazie al principio di sostenibilità, rinviene le proprie coordinate costituzionali di riferimento negli artt. 2, 9 e 32 Cost. In particolare, il combinato disposto derivante dagli articoli 2 e 32 della Costituzione riconosce la salute come diritto soggettivo e interesse della collettività; l’articolo 9, invece, prevede che la Repubblica tutela il paesaggio. In via ancora più generale, è l’articolo 2 della Costituzione, quale clausola aperta capace di far emerge dalla realtà sociale sempre nuovi diritti afferenti alla personalità dell’individuo, a rappresentare ulteriore e solido fulcro all’interesse alla salubrità e salvaguardia del bene ambiente[33]. In particolare, l’art. 9, nel prevedere che «la Repubblica tutela il paesaggio (…)», offre copertura costituzionale a tutto ciò che attiene alla “forma del Paese”, nel cui ambito rientra senza dubbio la disciplina ambientale[34]. La recente riforma della citata norma, introdotta con l. cost. n. 1/2022, ha introdotto, tra i compiti della Repubblica, quello di «tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni»[35]. Quest’ultimo intervento riformatore, infatti, ha inteso offrire una maggiore ed espressa tutela agli interessi correlati all’ambiente, colmando quello che, secondo una parte della dottrina, rappresentava un vuoto non più accettabile[36]. Il principio di tutela dell’ambiente viene così posto in una dimensione intergenerazionale, divenendo elemento cardine nella definizione delle politiche pubbliche di lungo periodo, ponendosi quale valore costituzionale non più implicito bensì oggetto di espressa menzione, cui si attribuisce rilevanza qualificata rispetto agli altri interessi cui di volta in volta è destinato a rapportarsi[37]. Proprio sul complesso bilanciamento da ricercare nel contemperamento tra interessi economici, legati prevalentemente al settore dell’energia, e quelli paesaggistico-ambientali ricostruiti da ultimo nelle citate disposizioni costituzionali, è di estremo interesse la recente pronuncia del Consiglio di Stato, 23 settembre 2022, n. 8167 che ha posto particolare attenzione alla perimetrazione dei compiti dei vari attori deputati a realizzare questa complessa opera di bilanciamento; il Legislatore in sede di produzione normativa, l’Amministrazione nella fase applicativa-provvedimentale e il Giudice in quella giurisdizionale. Tale punto di equilibrio, affermano i Giudici di Palazzo Spada, deve necessariamente giungere a fronte di un’applicazione dinamica dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, impedendo una prevalenza totalizzante degli uni rispetto agli altri, in assenza di un ordine gerarchico imposto in Costituzione tra interessi economici legati al settore energetico, tutela dell’ambiente e preservazione dei beni paesaggistico-culturali[38]. Un utile punto di ricaduta di siffatti interessi può essere, in definitiva, rappresentato dal sopracitato principio di sviluppo sostenibile, il quale tenta, seppur faticosamente, di costruire un modello economico capace di porsi in un rapporto di compatibilità con le risorse ambientali e paesaggistiche, nell’ottica di un’attuazione sempre più effettiva della tanto aspirata transizione ecologica[39].

1.2. “Produzione, distribuzione e trasporto” nella dialettica Stato-Regioni in materia di energia

Il secondo parametro costituzionale che pone al centro la questione energetica è l’art. 117, comma 3 Cost., che più di tutti consente di cogliere la dimensione organizzativo-infrastrutturale di buona parte delle problematiche sorte intorno a tale articolato settore. In particolare, tale norma colloca la specifica materia della «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia» nell’ambito del novero di quelle attratte alla cosiddetta “legislazione concorrente”, ossia di una modalità di produzione legislativa caratterizzata da una dualità di azione ripartita tra lo Stato che determina i principi fondamentali della materia, mentre il resto della normazione di dettaglio spetta alle Regioni, pur rimanendo nella cornice legislativa predeterminata[40]. La scelta di attribuire la materia a quelle oggetto di legislazione concorrente consente di guardare alle modalità concrete e attuative con cui viene modulato quello che è stato definito il «governo dell’energia»[41]. Al fine di comprendere l’effettiva implementazione di tale riparto, appare essenziale soffermarsi sui punti fondamentali fissati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a dirimere i numerosi conflitti di attribuzione sorti[42]. Questo filone di pronunce del Giudice delle Leggi[43] ha infatti concorso a delineare un quadro che consente di apprezzare la profonda trasversalità della materia energetica[44]. I pronunciamenti immediatamente successivi alla riforma del Titolo V della Costituzione, introdotta con l. cost. n. 3/2001, si sono assestati su un quadro che tende ad offrire una declinazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, imposti dai nuovi artt. 117 e 118 della Costituzione, in virtù dei quali la devoluzione della specifica materia deve essere effettuata alla luce dell’individuazione del livello di governo maggiormente adeguato ad offrirne una regolamentazione efficace. Proprio in quella sede viene stabilito che nella legislazione in materia energetica siano essenziali le intese, le quali «costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la “chiamata in sussidiarietàdi una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti»[45]. Secondo la Corte, dunque, la maggior parte delle funzioni amministrative connesse agli oggetti attratti nella materia «politica energetica nazionale» risulta riservata allo Stato, anche ad opera dell’introduzione dalla l. n. 239/2004, emanata al fine di realizzare un riordino del settore energetico, la quale si preoccupa di individuare «i principi fondamentali in materia energetica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione», dettando, altresì, disposizioni che contribuiscono a garantire «la tutela della concorrenza; la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; la tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica; la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in tal modo, il legislatore statale tende a garantire «l’unità giuridica ed economica dello Stato e il rispetto delle autonomie regionali e locali, dei trattati internazionali e della normativa comunitaria». In dottrina si è osservato come la normativa ha determinato di fatto una titolarità esclusiva in capo allo Stato delle funzioni amministrative relative alla «politica energetica nazionale»[46]. Tale orientamento si è poi evoluto fino ad affermare che è «esclusiva competenza del legislatore statale ogni scelta strategica energetica», nonché che «ha escluso che le singole Regioni o il sistema regionale complessivamente inteso possano, in qualunque sede e in qualsiasi fase, opporre «un veto» a tali scelte ovvero «esprimere un dissenso insuperabile», anche se, al contempo, la Corte ritiene necessario che sia l’attività di localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica, sia la costruzione e l’esercizio dei medesimi, sia l’eventuale fase di superamento dell’opposizione regionale, siano scandite da momenti espressivi del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni» e che, infine, «per le Regioni valgono doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale anche in riferimento all’efficace sviluppo della produzione di energia»[47]. In buona sostanza, attesa la formale collocazione della materia energetica nel novero della legislazione concorrente, la Corte Costituzionale ha inteso riservare alla competenza del legislatore statale la dimensione strategica del “governo dell’energia”, rappresentando la stessa una concreta declinazione dell’indirizzo politico che è proprio dell’esecutivo. Tale attività programmatica rappresenta non solo un atto di indirizzo politico, ma anche un momento funzionale alla fissazione dei principi fondamentali della materia concorrente, preliminare alla concreta attrazione in sussidiarietà delle funzioni amministrative in materia di energia. Queste affermazioni di principio rappresentano ad oggi il criterio guida adottato dalla Corte Costituzionale per dirimere le numerose questioni sorte in materia, specie in tema di localizzazione di impianti e di bilanciamento di interessi con le popolazioni locali. Assume particolare rilievo, nella prospettiva indicata, il principio di diritto emerso da un recente pronunciamento dei Giudici di legittimità, nella sentenza del 27 ottobre 2022, n. 221 in materia di procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In quell’occasione, la Corte ha censurato la normativa introdotta dalla regione Lazio perché derogatoria di quella statale in materia di produzione da fonti rinnovabili, in particolare quella sul procedimento unico ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 (di cui si darà ampia esposizione in seguito[48]), rappresentando quest’ultimo modulo procedimentale un principio fondamentale, ex art. 117 Cost, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Tale intervento, infatti, si colloca sulla medesima scia tracciata dalla giurisprudenza formatasi a cavallo della riforma del Titolo V, facendo assurgere il procedimento unico, quale espressione di esigenze di semplificazione e concentrazione dell’azione amministrativa, a principio fondamentale posto dal legislatore statale e, quindi, non passibile di deroghe da parte della concorrente normazione regionale.

2. Le fonti di energia rinnovabili nell’ordinamento giuridico italiano

Possibile punto di contatto tra l’esigenza di tutelare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, necessaria per il sostegno allo sviluppo economico, e l’altrettanto fondamentale necessità di salvaguardare l’ambiente limitando il volume di emissioni climalteranti, è rappresentato dalle fonti di energie rinnovabili (c.d. FER)[49]. Queste ultime trovano una compiuta definizione giuridica nella Direttiva europea 2009/28/CE del 29 aprile 2009, nel cui art. 2, lett. a), qualificate come «energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di scarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas». Più nello specifico, il legislatore comunitario – le cui scelte definitorie e regolatorie rappresentano il faro per quello nazionale – sembra optare per un “approccio residuale”, individuando le fonti di energia rinnovabili come tutto ciò che non rappresenti energia da fonti fossili[50]. Il crescente rilievo attribuito al principio di sviluppo sostenibile ha determinato il progressivo accentramento di tali fonti energetiche, con ciò consentendo alle stesse di offrire un contributo non indifferente in termini di ricadute economiche e occupazionali[51]. Per dar conto di questa parabola ascendente, basta guardare alla fetta sempre più cospicua che le FER sono andate ad occupare nei mix energetici nazionali. Diretto riscontro di tale dato può essere offerto da un rapido raffronto tra la crescente centralità che tali fonti di energia hanno avuto nei vari documenti programmatici nazionali in materia[52]. Primo momento di programmazione strategica[53] da cui emerge tale tendenza è la Strategia Energetica Nazionale del 2013 (SEN). Con tale atto di indirizzo si prevedono una serie di azioni che, oltre a favorire l’abbattimento dei consumi per favorire l’efficienza energetica, hanno come obiettivo primario quello di incentivare la crescente diffusione delle fonti rinnovabili mediante un contenimento dei costi incrementali in bolletta per i consumatori che ne fanno ricorso, rivedendo altresì i meccanismi di incentivazione. In sostanziale continuità, se non per qualche ulteriore punto di novità, si pone la Strategia Energetica Nazionale del 2017, che continua ad affidare alle fonti di energia rinnovabile una prospettiva di sempre maggiore coinvolgimento nel mix energetico nazionale. Il documento, infatti, sembra porre particolare attenzione al tema della “decentralizzazione” della produzione energetica, valorizzando con particolare enfasi il ruolo dei contratti di acquisto di lungo termine (Power Purchase Agreement), ossia degli accordi di fornitura di lungo termine tra grandi consumatori e produttori di energia o sviluppatori di impianti rinnovabili, consentendo altresì una sovrapposizione tra le due figure destinata a cambiare radicalmente il settore energetico (sul punto si ritornerà con adeguato margine di approfondimento[54]). Ma tale percorso interno è stato certamente rinvigorito dall’importante intervento realizzato a livello comunitario denominato “Winter Package”, ossia della serie di misure adottate dalla Commissione europea con il Pacchetto “Unione dell’Energia” nel 2015[55]. In particolare, al fine di conseguire i target di ampliamento della quota di rinnovabili al 2030[56], viene istituito un nuovo modello di governance[57] al fine di verificare la serietà e fattibilità dei risultati e delle azioni intraprese dai singoli Stati Membri. In questo contesto, assume rilevanza il nuovo atto di indirizzo in tema di strategia energetica, quale è il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che il nostro paese ha provveduto ad adottare il 21 gennaio 2020. Nello specifico, per quanto attiene al tema delle rinnovabili, si assiste addirittura ad un rialzo contenuto degli obiettivi rinnovabili al 2030. Si prevede infatti che le green energy possono contribuire al soddisfacimento dei consumi finali lordi totali 2030 con un 30%, distinguendo tra gli apporti derivanti dalla riqualificazione dagli impianti energetici residenziali da quelli derivanti dalla transizione attesa nel settore dei trasporti, con un significativo ruolo attribuito in tale ultimo campo alla progressiva elettrificazione del parco auto circolante. Successivamente, nel 2021 l’Unione europea ha adottato il nuovo pacchetto “Fit for 55” volto a rafforzare il target di riduzione delle emissioni di anidride carbonica al 2030 al 55% rispetto ai livelli del 1990, e, al contempo, ad aumentare gli obiettivi relativi alla quota di energia prodotta da fonti rinnovabili al 40% ed accrescere la percentuale di efficienza energetica per il consumo di energia finale e primaria tra il 36% e il 39% entro il 2030. Per offrire però una panoramica completa del ruolo assunto dalle fonti di energia rinnovabili nei momenti di pianificazione strategica del nostro Paese, non appare però più sufficiente soffermarsi al PNIEC, data la significativa portata che l’ emanazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (c.d. PNRR) ha avuto sul tema[58]. Il PNRR italiano[59], il quale dedica una specifica sub-missione al tema delle energie rinnovabili, nella più ampia missione intitolata «Rivoluzione verde e Transizione Ecologica», stanzia la parte di risorse più consistente proprio a tali obiettivi. La significatività delle misure introdotte dal Piano in relazione alla questione energetica è dimostrata altresì dalla avvertita necessità di specificare ulteriormente le linee programmatiche poste in via generale, giungendo all’emanazione da parte del Comitato Interministeriale della transizione ecologica di un Piano per la transizione ecologica, pubblicato definitivamente in Gazzetta Ufficiale il 5 febbraio 2022. Il principale nodo da sciogliere sorto con l’ingente stanziamento di risorse previsto dai citati Piani è stato quello di garantire un adeguato coordinamento tra i meccanismi di incentivazione già previsti e i nuovi fondi, su cui si tornerà oltre[60].

3. Strumenti normativi e regime degli incentivi

Dalle premesse ricostruttive è possibile evincere l’assoluta centralità delle FER, di cui vanno ora esaminati i principali strumenti normativi volti ad incrementarne l’uso, quali il procedimento autorizzatorio unico e il sistema di incentivi. Questi, infatti, vengono introdotti nell’ordinamento con la finalità ultima di superare gli ostacoli di cui essi sono rispettivamente espressione, ossia la pesantezza dei regimi autorizzatori e l’ancora attuale assenza di convenienza economica di tali tipologie di fonti di produzione energetica. In particolare, proprio il superamento di tali attuali criticità, può rappresentare un sostanziale cambio di passo nel raggiungimento delle quote di rinnovabili previste nei documenti programmatici sopra citati e, contemporaneamente, passando finalmente dalle enunciazioni di principio all’attuazione concreta.

3.1. Il procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003

La Direttiva europea 2001/77/CE, già oggetto di esame, rappresenta il principale impulso alla strutturazione di un sistema regolatorio in materia di produzione e di costruzione di impianti di energie rinnovabili, e diviene di fondamentale importanza anche nella determinazione dei principi guida in materia di procedimenti autorizzatori[61]. Il Legislatore italiano, infatti, ha dato attuazione alla suddetta Direttiva tramite il d.lgs. n. 387/2003, il quale pone tra le sue principali finalità proprio quella di «promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato italiano e comunitario»[62]. Al fine di agevolare la realizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, il Legislatore italiano ha deciso di introdurre un modello di autorizzazione unica, di competenza delle Regioni, basato sulla conferenza di servizi e disciplinato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003[63]. La rubrica di quest’ultima disposizione fissa sin da subito i criteri ispiratori dell’istituto, quali la razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative. L’autorizzazione unica, infatti, viene rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate. Il rilascio della stessa costituisce titolo ai fini della costruzione ed esercizio dell’impianto e deve essere adottata nel rispetto delle normative disciplinanti la materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. Proprio per la complessità degli interessi contrapposti, come già anticipato, l’istituto maggiormente adoperato a tali fini è la conferenza di servizi di cui agli artt. 14 ss. della l. n. 241/1990[64]. A fronte di tale intervento, però, le auspicate esigenze di semplificazione non apparivano soddisfatte. In particolare, nonostante la Direttiva 2001/77/CE (poi attuata in Italia dal d.lgs. n. 387/2003) avesse imposto a ciascuno Stato membro di verificare e rimuovere tutti gli ostacoli normativi e di ogni tipo all’aumento degli impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili[65], uno studio della Commissione CE del 2006[66] segnalava, sulla base di un esame a campione sugli operatori di settore del mercato europeo, la presenza di numerose difficoltà. In particolare, tali ostacoli, definiti «barriere», venivano classificati in quattro tipologie: «barriere finanziarie», relative alla difficoltà di accesso al credito; «barriere sociali», per il livello di opposizione delle comunità locali[67]; «barriere infrastrutturali», specie in relazione alla presenza di infrastrutture di rete che, costruite in periodi storici di utilizzo centralizzato e unidirezionale dei flussi energetici, risultano spesso inidonee alle esigenze di intermittenza e bidirezionalità emerse con gli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili[68]; «barriere di natura amministrativa», quelle che maggiormente interessano in questa sede, che denotavano profonda insofferenza del campione esaminato circa il coordinamento tra le Pubbliche Amministrazioni coinvolte, al tempo necessario per ottenerle e al grado di considerazione delle politiche energetiche nella programmazione degli enti territoriali[69]. Tali ultime problematiche, in particolare, rimanevano irrisolte nel nostro sistema dal momento che, nonostante l’istituzione di un istituto quale l’autorizzazione unica, che per la sua strutturazione comunque mostrava una capacità di concentrare e semplificare, tardavano ormai da anni i decreti attuativi necessari per una sua completa implementazione. Si è dovuto attendere il D.M. del 10 settembre 2010, (con quasi sette anni di ritardo) per vedere approvate le Linee Guida dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni, dando così concreta attuazione all’art. 12 del dlgs. n. 387/2003. L’esigenza di tali Linee Guida rappresentava una chiara presa d’atto che sulla materia in oggetto insistono interessi contrapposti di cui sono portatori diversi livelli di governo e che, pertanto, il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali e paesaggistici impone «una preventiva ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione»[70]. Tornando alle difficoltà segnalate dallo studio della Commissione europea del 2006, si ritenne in quella stessa sede comunitaria che fosse necessario dover intervenire con un nuovo atto di impulso, in particolare la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (art. 13), che accentuava il principio di trasparenza e l’obiettivo di semplificazione delle procedure amministrative. Il Legislatore nazionale ha dato attuazione a tale Direttiva attraverso il d.lgs. n. 2/2011, il quale conferma l’applicabilità dell’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, andandone a ritoccare alcuni aspetti anche alla luce delle Linee Guida approvate poco prima la sua emanazione, dando alla disciplina l’assetto attualmente in vigore. L’autorizzazione unica, per quanto attualmente ancora foriera di criticità irrisolte[71], nella finalità ultima di consentire una sempre più robusta espansione degli impianti di produzione di energia rinnovabile, rappresenta una ferma conquista del Legislatore statale, essendo stata ribadita in più occasioni la propria natura di principio fondamentale dell’ordinamento. La stessa giurisprudenza costituzionale, come già si è avuto modo di sottolineare, in più occasioni[72] ha censurato normative regionali che eludessero la riserva di procedimento[73] posta dall’art. 13 del d.lgs. n. 387/2003, dal momento che questa rappresenta, in definitiva, la sede prediletta per l’adeguata composizione del conflitto di interessi che la materia dell’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile fatalmente pone[74]. Analoga natura di principio fondamentale deve essere riconosciuta anche alle Linee Guida previste dal comma 10 dell’articolo 12 d.lgs. n. 387/2003, in quanto esse costituiscono necessaria integrazione delle previsioni contenute nell’art. 12 del medesimo d.lgs. e la loro adozione è informata al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Eventuali deroghe, relative e assolute, impedirebbero questa «essenziale forma di composizione di confliggenti volontà», in quanto è proprio nel procedimento, afferma la Corte Costituzionale, «che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità. (…) La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (…): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza»[75]. Resta, comunque, la difficoltà di rendere sufficientemente spedito il processo di installazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, così come presidiato dalle norme procedimentali richiamate. Tale ancora persistente problematica emerge dall’ingente quantitativo di modifiche e deroghe, nonché di prospettive di riordino, che le norme attuative del PNRR hanno introdotto, proprio al fine di conseguire gli obiettivi fissati, sulla ritenuta insufficienza dell’attuale quadro normativo[76]. Non può non segnalarsi, in conclusione, come dall’analisi della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa sopra richiamata, il vero dato paralizzante dei processi autorizzatori, più che nelle inevitabili fasi del procedimento, risieda nella «naturale difficoltà di contemperare interessi e valori così antitetici dal punto di vista culturale, economico e sociale»[77]. A fronte di ciò, sono quindi le capacità di bilanciamento dell’Amministrazione, guidata dai principi di efficienza, efficacia ed economicità, a rivestire un ruolo cruciale nel garantire celerità e correttezza delle procedure[78].

3.2. I regimi di sostegno e promozione: gli incentivi

Oltre alla dimensione procedimentale, di particolare interesse è tutta la disciplina relativa agli incentivi[79]. Sul punto, la principale fonte normativa è rappresentata dal d.lgs. n. 199/2021 (c.d. “Decreto RED II”), a sua volta attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (c.d. “Direttiva RED II”), che vanno a superare e ad aggiornare, per il rispettivo livello istituzionale, il d.lgs. n. 28/2011, che ha recepito la Direttiva 2009/28/CE (c.d. “RED I”). Con tali forme di sussidio si cerca di superare quello che, così come appena sopra evidenziato, rappresenta ancora uno dei principali ostacoli ad una piena diffusione degli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, quale è la ancora poca convenienza economica (sia reale che percepita). Né possono ignorarsi i limiti tecnologici ancora non pienamente superati, quali l’impossibilità di immagazzinare l’energia prodotta, nonché la natura intermittente delle suddette fonti, non potendo aversi una produzione continua per evidenti ragioni strutturali (la mancanza di sole in determinati momenti del giorno o dell’anno, la possibilità che il vento non soffi per un certo tempo etc.). Passando al dato strettamente normativo, per quanto i principi di libera concorrenza sembrino stridere con una simile impostazione sussidiaria, specie in relazione alla problematica estremamente scivolosa degli aiuti di Stato[80], dirimenti appaiono, da un lato, le esigenze di sostenibilità ambientale, che chiaramente impongono un sempre maggiore incremento della quota di rinnovabili, e dall’altra le esigenze di “indirizzo sociale” che possono essere impresse all’iniziativa privata[81], e che anche il diritto comunitario, seppur in forma attenuata rispetto alla Costituzione, riconosce[82]. In generale, tutta la normativa in materia di incentivi gravita attorno alla necessità di rimanere ancorati ad una serie di principi generali richiamati dall’art. 4 del d.lgs. n. 199/2021, quali, oltre al già citato rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato, «la necessità di assicurare un’equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio, escludere l’incentivazione delle opere di manutenzione ordinaria e delle opere effettuate per adeguamenti dell’impianto, trovare copertura finanziaria dalle componenti delle tariffe dell’energia elettrica e del gas; essere riconosciuti mediante procedure amministrative massimamente semplificate»[83]. In tal senso, assume particolare rilievo l’enunciazione delle finalità che il d.lgs. n. 199/2021 intende perseguire mediante la strutturazione del regime di sostegni. Si afferma, infatti, che tale normativa si pone «l’obiettivo di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050», (art. 1 d.lgs. n. 199/2021). Alla base, quindi, si pongono esigenze di sostenibilità ambientale, perseguibili mediante un superamento delle già citate “barriere”[84] poste allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, facendo in modo che queste ultime finiscano gradualmente col soppiantare le fonti fossili nel sostegno allo sviluppo economico e sociale. La norma si caratterizza anche per l’enunciazione del collegamento funzionale che la lega all’attuazione dei già esaminati PNRR e PNIEC, denotando quindi una necessaria trasversalità dei regimi di sostegno rispetto ai vari impegni assunti in sede sovranazionale. In tale sistema di incentivazione assume un ruolo centrale il GSE (Gestore dei Servizi Energetici)[85], il quale, oltre al compito di erogare materialmente la somma economica corrispondente all’incentivo, esercita poteri di controllo e sanzionatori volti a verificare la sussistenza o il mantenimento dei presupposti per il riconoscimento delle elargizioni di sostegno[86], attraverso uno strumentario già riconosciutogli dall’art. 42 del d.lgs n. 28/2011. Tali poteri possono portare ad una decadenza dall’incentivo, con un conseguente obbligo per il privato di restituire le somme fino a quel momento percepite, richiedendosi una attenta considerazione dell’affidamento da questi riposto al mantenimento del sostegno. Proprio quest’ultimo interesse alla certezza e stabilità dei rapporti pone da sempre particolari criticità interpretative in ordine alla disciplina degli incentivi e ai relativi poteri del GSE[87]. Se da un lato, infatti, la necessità di garantire l’affidamento si rende funzionale alla promozione dello sviluppo degli impianti di produzione di energie rinnovabili, risultando necessaria al fine del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile assunti a livello sovranazionale, dall’altro non può non negarsi come «il particolare tipo di legame che si viene ad instaurare tra privato percettore ed ente erogatore, strutturalmente inteso come rapporto di durata, non possa restare immune dai mutamenti di fatto e di diritto che possono modificare le condizioni originariamente date»[88]. Nell’intento di risolvere questo complesso bilanciamento, il Legislatore è recentemente intervenuto con il d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni, convertito dalla l. n. 120/2020), inserendo al terzo comma del citato art. 42 il riferimento alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che, come noto, disciplina il potere di annullamento d’ufficio, perimetrandolo entro precisi limiti temporali in ordine ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici. Tornando alla disciplina generale in materia di incentivi, il parametro che modula l’entità della sovvenzione è ancorato, ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a) del citato d.lgs., all’energia elettrica prodotta dall’impianto, ovvero sulla quota parte di tale produzione che viene immessa in rete o autoconsumata. Si tratta di tre alternative che consentono di riassumere con estrema efficacia le enormi potenzialità dei sistemi di produzione di energia rinnovabile, determinandosi delle situazioni in cui l’impianto può essere tanto strutturato in un soggetto centralizzato, quanto, ed è questa la novità, un insieme di tante fonti di produzione minori e distribuite sul territorio. Quando la norma parla di “autoconsumo”, infatti, allude chiaramente al fenomeno del c.d. “prosumerism”, formula risultante dalla crasi da producer e consumer[89], alludendo alla posizione di chi, essendo titolare di un impianto di produzione da fonte rinnovabile di basso voltaggio, utilizza l’energia prodotta da questo per le proprie necessità domestiche o aziendali[90]. Fenomeno che già riceve un primo inquadramento giuridico, individuandone quale definizione normativa quella di «soggetto che è al contempo produttore e cliente finale di energia»[91]. La possibilità di immaginare una diffusione di tale fenomeno su larga scala consente di parlare di “generazione distribuita”, intesa quale nuovo modulo di produzione energetica basato sul collegamento di «diffuse unità produttive collegate direttamente alle utenze e a bassa tensione»[92], che necessita chiaramente di una infrastruttura di rete intelligente (c.d. smart grid), capace di offrire una bidirezionalità dei flussi energetici, consentendo di immettere energia in rete trasferendola direttamente ad un altro utente. Questi scenari rivoluzionari, di cui si darà adeguato conto nei successivi paragrafi, necessitano, oltre che di un cambiamento culturale, di una evidente opera di sostegno economico inziale, trattandosi di modifiche degli assetti strutturali degli attuali sistemi di produzione energetica, nonché delle infrastrutture di sostegno che rappresentano materialmente la rete di distribuzione nazionale. Il ruolo della legislazione in materia di incentivi, dunque, diviene cruciale nel supportare queste istanze di cambiamento, destinate a rivoluzionare il modo di concepire la produzione energetica.

4. Il peso sociale delle energie rinnovabili: le Comunità energetiche

Se, come si è visto, la crescente centralità delle fonti di energia rinnovabile riveste particolare importanza dal punto di vista economico, non può non rilevarsi come la strutturale idoneità delle stesse a dar vita ad una pluralità di insediamenti produttivi di piccole dimensioni si presti alla nascita di particolari forme di aggregazione sociale. Il riferimento è alle Comunità energetiche[93]. Si tratta di particolari moduli di collaborazione tra pubblico e privato che presuppongono una comune attività di produzione e consumo di energia, valorizzando a pieno il già richiamato concetto di prosumerism, ossia la condizione di sostanziale sovrapponibilità tra soggetto produttore e consumatore di energia. Si è di fronte ad un modello di innovazione organizzativa, principalmente incentrato sulla collaborazione tra gli utenti, con forma di governo – o meglio, di “autogoverno” – certamente devianti rispetto alle tradizionali categorie (impresa, cooperativa, associazione etc.). Gli scopi perseguiti, infatti, divergono da quello tipicamente individualistico, (del singolo, dei soci o degli associati), per allargarsi a innovative esigenze di sostenibilità ambientale ed inclusione sociale che poi, di riflesso, sono in grado di garantire anche esternalità economiche positive. In generale, quindi, la Comunità energetica si qualifica quale «gruppo di consumatori e/o prosumers che insieme condividono unità di produzione e stoccaggio di energia»[94]. Se si guarda al dato normativo, notiamo subito come l’art. 31, comma 1, l. a) del già esaminato d.lgs. n. 199/2021 dispone che «l’obiettivo principale della comunità è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari». L’attenzione è quindi tutta rivolta al conseguimento di forme di utilità diverse da quella meramente lucrativa, che valorizzino invece la possibilità di trattenere al proprio interno le risorse energetiche ed economiche che la Comunità energetica è in grado di produrre. Tali realtà, come si avrà modo di approfondire[95], la crescente diffusione di tali moduli partecipativi può prestare il fianco ad un ripensamento della tradizionale funzione regolatoria esercitata dallo Stato nei confronti dell’iniziativa economica privata[96]. In particolare, emerge come risulti ormai dirimente guardare alle Amministrazioni pubbliche, per certi versi, come “parte” di un rapporto di collaborazione, specie nei casi in cui le stesse si collochino quali promotrici di tali Comunità energetiche. Allo stesso tempo, però, permane ancora di stretta attualità la funzione di enforcement, specie alla luce di una diffusione degli scambi energetici nella dimensione peer-to-peer, essendo evidente la necessità di una tutela a favore di quei soggetti maggiormente vulnerabili o in condizione di povertà energetica. Nell’ambito di questo particolare fenomeno, funzionale rispetto all’indagine condotta nel presente lavoro è l’approfondimento di tre aspetti caratterizzanti le Comunità energetiche, ossia: la forte valorizzazione della collaborazione tra pubblico e privato; il potenziale impatto “decentralizzante” sul sistema energetico nazionale; la conciliabilità dei bisogni delle Comunità con le tecnologie digitali.

4.1. Un punto di incontro tra pubblico e privato

Partendo dal primo aspetto, appare di particolare interesse osservare come una Comunità energetica si presti a realizzare una mirabile convergenza tra interessi privati e interesse pubblico. Il già citato art. 31, comma 1, l. a) del d.lgs. n. 199/2021 esplicita i benefici che l’implementazione di una Comunità energetica può intercettare. Questi vanno, da finalità economiche (con una rilevante riduzione del prezzo dell’energia autoprodotta rispetto a quella acquisita dalla rete nazionale, essendone esclusi oneri di sistema e margini di profitto delle utilities), a quelle sociali (costruendo una comunità di cittadini responsabilizzati rispetto al perseguimento dell’obiettivo comune, agevolando anche la posizione di quelli più svantaggiati e poveri); nonché a quelle ambientali (centrando a pieno le esigenze di sviluppo sostenibile e transizione ecologica attraverso la diffusione capillare di fonti di energia rinnovabile). Un sistema strutturato in tal modo appare in grado di soddisfare il fabbisogno energetico dei componenti della Comunità in maniera economicamente vantaggiosa può altresì aversi con un coinvolgimento delle imprese, le quali possono essere indotte a sfruttare le esternalità positive tratte da tale sistema di autoproduzione, con il principale scopo di acquisire un vantaggio competitivo e perseguendo, al tempo stesso, gli interessi pubblicistici di sostenibilità ambientale. Questa interrelazione rende di particolare importanza il ruolo di sostegno, promozione e direzione delle Comunità che può essere rivestito dalle Amministrazioni Pubbliche. Se si guarda all’essenza del fenomeno[97], ci si rende conto che si è di fronte, nel momento in cui la Comunità decide di interagire col soggetto pubblico, ad una nuova forma di partenariato pubblico-privato[98], diretta espressione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4 della Costituzione[99], il quale ultimo impone agli enti territoriali di promuovere ed incentivare l’autonoma iniziativa dei cittadini per attività di interesse generale. Tali realtà, per il particolare intreccio di interessi di cui sono espressione, sembrano maggiormente tarate sulla specifica ipotesi di «contratto di partenariato sociale», che trova una sua tipizzazione normativa nell’art. 190 del d.lgs. n. 50/2016[100]. In tale specifica figura, viene infatti in rilievo la natura puramente sociale della collaborazione pubblico-privato, attraverso la creazione di corrispettivi capaci di generare, per il privato, forme di utile d’azienda (specie con sgravi fiscali), per il pubblico, il perseguimento di attività con fini di interesse generale e di pubblica utilità[101]. Non va sottaciuto nemmeno il potenziale connesso alla profonda semplificazione attuabile tramite le suddette forme di collaborazione, potendo in questi casi assistersi alla possibilità per l’Amministrazione di sottrarsi «all’oneroso iter del procedimento amministrativo e, almeno in parte, al riparo da impugnazioni giurisdizionali, con il privato che, in assenza di un atto unilaterale e autoritativo, potrà fare affidamento su una relativa stabilità dell’accordo raggiunto»[102]. Attraverso tali modelli, inoltre, si assiste ad un’ulteriore evoluzione della funzione regolatoria esercitata dalle Amministrazioni Pubbliche rispetto alle dinamiche economiche, maggiormente incline ad accogliere istanze proprie degli obiettivi di efficienza energetica e transizione green, attraverso un superamento del tradizionale binomio «Stato-mercato» in favore di una ricerca di un equilibrio insistente tra «Stato-mercato-comunità»[103]. Non può infatti sottacersi come alcuni dei più ambizioni obiettivi in materia siano stati cristallizzati in atti programmatici, quali ad esempio il Patto dei sindaci e i correlati Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima[104], che affondano le proprie radici proprio sul ruolo proattivo che i livelli di governo locale sono in grado di esercitare sulla cittadinanza. La posizione degli Enti locali, infatti, risulta ulteriormente valorizzata dalle Direttive europee in materia di efficientamento energetico e prestazioni energetiche dell’edilizia[105], che individuano proprio nella città, e nel suo governo, un ecosistema favorevole alla nascita di soluzioni funzionali alle esigenze di transizione green. Le c.d. “smart cities[106], infatti, rappresentano proprio il punto di ricaduta di questa crescente fiducia attribuita alle collaborazioni pubblico-privato a livello locale. Queste, infatti, si qualificano come «quel luogo e/o contesto territoriale ove l’utilizzo pianificato e sapiente delle risorse umane e naturali, opportunamente gestite e integrate mediante le numerose tecnologie ICT già disponibili, consente la creazione di un ecosistema capace di utilizzare al meglio le risorse e di fornire servizi integrati e sempre più intelligenti (cioè il cui valore è maggiore della somma dei valori delle parti che li compongono)»[107]. Proprio queste realtà spingono le Amministrazioni pubbliche locali a svolgere un ruolo di mediazione tra iniziative private e interessi della collettività, con conseguente efficientamento e modernizzazione dell’erogazione dei più tradizionali servizi pubblici locali, come la mobilità urbana, la gestione degli spazi comuni e delle risorse energetiche. Le smart cities, inoltre, rappresentano l’habitat ideale per consentire lo sviluppo di forme di aggregazione che, proprio attraverso l’uso di tecnologie digitali e di sistemi di interconnessione di dati, possono dar vita ad aggregazioni giustificate dalla generazione comune di energia da fonti rinnovabili. Se si osserva lo specifico contesto delle Comunità Energetiche si nota come risulti ulteriormente valorizzata la posizione rivestita dalle Regioni e dai Comuni, quali enti maggiormente a contatto con le realtà cittadine ed imprenditoriali del territorio. Questi, infatti, oltre a mettere a disposizione edifici e a realizzare una essenziale attività di diffusione informativa, possono stipulare protocolli d’intesa con rappresentanze dei cittadini e imprese al fine di favorire la nascita di Comunità energetiche[108], orientandone l’azione anche con specifiche finalità sociali (ad esempio il contrasto al fenomeno della «povertà energetica»[109]), in una inedita riproposizione dei doveri di solidarietà sociale costituzionalmente rilevanti (come si vedrà meglio in seguito[110]). Esse, in quanto realtà capaci di generare “valore”, sia energetico che relazionale, possono rappresentare un fondamentale strumento di coinvolgimento attivo della cittadinanza nel perseguimento di interessi pubblici che, in questo caso come non mai, finiscono per coincidere anche con rilevanti interessi privatistici, su tutti un accesso economicamente sostenibile a fonti di energia. A fronte di ciò, giova notare come il capovolgimento di prospettiva che tali fenomeni di decentralizzazione realizzano consenta di incrementare le forme di partecipazione attiva della cittadinanza ad iniziative sociali. Non può nascondersi come le Comunità energetiche, oltre a soddisfare i fabbisogni energetici dei propri aderenti, rappresentino l’occasione di incontro per svolgere numerose altre attività sociali. Tali realtà, infatti, possono dar luogo a momenti di raccordo di tante altre realtà, anche estranee al settore energetico, facendosi a quel punto volano di ulteriori iniziative di promozione di buone pratiche energetiche e di sostenibilità. Si genererebbe, in definitiva, un vero e proprio “effetto moltiplicatore” delle iniziative di sostenibilità, attivando un circolo virtuoso capace di offrire un rilevante contributo nel consolidamento di un’educazione all’ambiente e alla sostenibilità. Appare quindi pienamente coerente poter ritenere che tali Comunità possano configurarsi quali «formazioni sociali» ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, generando non solo energia, ma anche forme di partecipazione capaci di garantire «il pieno sviluppo della personalità» degli aderenti e di tutti coloro che intrattengano relazioni positive con esse. Si rileva, in tal senso, il ruolo delle Comunità Energetiche nella promozione della democrazia energetica e della giustizia sociale[111]. Oltre che alla funzione meramente regolamentare, realizzata mediante la stipula di atti convenzionali di regolamentazione o con indizione di bandi e manifestazioni di interesse, grande rilievo assume il ruolo di sensibilizzazione cui gli enti pubblici, specie quelli locali, sono chiamati a svolgere. Come tutte le forme di collaborazione, infatti, la necessaria preventiva e costante azione di consolidamento della consapevolezza delle parti assume vitale importanza affinché possa giungersi al risultato concordato. Tale ruolo di moral suasion delle Amministrazioni Pubbliche si può concretizzare in iniziative informative, dibattiti pubblici, diffusione dei dati economici e statistici attestanti la convenienza nella partecipazione alla Comunità. Proprio quest’ultimo punto, in definitiva, rappresenta uno dei cardini attorno al quale si muove tutto il fenomeno delle Comunità energetiche: è necessario comprendere e diffondere che è possibile, attraverso adeguati mezzi e soluzioni economiche e giuridiche, conciliare le esigenze di transizione verso forme di sviluppo sostenibile con la vantaggiosità economica degli investimenti a tal fine necessari.

4.2. Un nuovo paradigma di produzione energetica

Per quanto attiene al potenziale impatto “decentralizzante” sul sistema energetico nazionale che una diffusione su larga scala del modello delle Comunità energetiche può avere, emerge sin da subito come questa tendenza rappresenti l’alba di un cambiamento potenzialmente epocale del modo di produrre energia. Con la “generazione distribuita”, infatti, si assiste ad un superamento dei tradizionali sistemi di produzione centralizzata dell’energia (ossia di poche grandi centrali a servizio di milioni di consumatori), essenzialmente basati su un flusso unidirezionale dai grandi centri di distribuzione alle reti di trasmissione[112], in favore di un modello che, a fronte di una progressiva implementazione delle Comunità energetica basate sulle fonti di energia rinnovabile, opera all’esatto opposto. Questa inversione dei tradizionali schemi di relazione tra utente e produttore può certamente condurre ad un ripensamento delle stesse modalità di regolazione, specie se si considerano i nuovi modelli di relazione peer to peer (come si vedrà più dettagliatamente in seguito[113]), che implicano di per sé stessa una capacità “autoregolatoria” delle transazioni energetiche[114]. Si va ben oltre, quindi, una liberalizzazione del mercato energetico, andando ad incidere strutturalmente sulle basilari modalità di funzionamento dello stesso. La decentralizzazione degli impianti di produzione energetica pone però una serie di questioni di natura tecnica di non poco conto. In primo luogo, bisogna guardare ad una già citata criticità connaturata alla natura stessa delle “nuove” fonti di energia rinnovabile (in particolar modo eolico e solare): l’intermittenza e la non programmabilità. Nello specifico, appare lampante notare come gli impianti eolici e fotovoltaici non sono in grado di produrre energia nel momento in cui nasce il bisogno di elettricità, bensì solamente quando e dove è disponibile la fonte, quale il sole o il vento. L’altra problematica connessa allo sviluppo della generazione distribuita è la necessaria bidirezionalità richiesta all’infrastruttura energetica per consentire la completa interazione tra i membri della Comunità energetica[115]. In particolare, nel momento in cui una Comunità non autoconsuma tutto quanto prodotto, «essa reimmette in rete il surplus energetico, risalendo dalla bassa e media tensione delle infrastrutture di distribuzione all’alta tensione di quella di trasmissione, (c.d. fenomeno dell’ “inversione di flusso”[116]. Le due questioni appena poste sono chiaramente intrecciate ed interconnesse, richiedendosi per la loro risoluzione un non banale lavoro di aggiornamento, ammodernamento ed innovazione dell’infrastruttura di trasmissione, distribuzione e dispacciamento attualmente in uso, trasformandola in una rete intelligente (smart grid), garantendo un equilibrio istantaneo tra energia immessa e prelevata (attesa la difficoltà di immagazzinare l’energia prodotta) e una bidirezionalità dei flussi[117]; funzionalità queste ultime essenziali per consentire una piena operatività delle Comunità energetiche e una effettiva partecipazione dei suoi membri. Sul punto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza punta proprio alla creazione di una «rete di distribuzione di energia elettrica pienamente resiliente, digitale e flessibile in modo da garantire sia una gestione ottimizzata della produzione di energia rinnovabile che l’abilitazione della transizione dei consumi energetici verso il vettore elettrico» (Missione 2, Componente 2, Misura 2). L’importanza attribuita a tale misura appare testimoniata dal pacchetto di risorse che il Piano stanzia a tal fine. In particolare, con il d.m. n. 146 del 6 aprile 2022 vengono individuati i criteri di assegnazione dei 3,6 miliardi, con il dichiarato scopo di incrementare la c.d. “hosting capacity”, ossia la capacità di ospitare e integrare ulteriore generazione distribuita, proprio attraverso interventi di digitalizzazione e ammodernamento infrastrutturale della rete. In definitiva, risulta che da queste dinamiche possa emergere un «doppio decentramento», con ciò qualificandosi un processo che parte «da un modello energetico di tipo gerarchico e centralizzato, fondato su una rigida polarizzazione dei rapporti tra produttore e utente finale di energia, a un sistema di produzione dell’energia decentralizzato (e tecnologicamente complesso), orientato verso una vera e propria «democratizzazione» dell’energia, e nel quale il consumatore risulta primariamente coinvolto»[118].

4.3. Comunità energetiche e blockchain

Passando al terzo punto, la conciliabilità dei bisogni delle Comunità energetiche con le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali, deve darsi particolare attenzione, tra queste ultime, a quelle a tipologia Distributed Ledger[119] e agli Smart Contracts[120]. Ciò che consente di far convergere le reti informatiche di scambio peer-to-peer alle esigenze delle Comunità energetiche è appunto la comune tendenza decentralizzante, nel senso sopra accennato, di cui esse sono espressione[121]. In particolare, in una progressiva apertura del mercato dei servizi di dispacciamento anche alle c.d. «unità di produzione non rilevanti»[122], si osserva come anche queste, rappresentate dai prosumer eventualmente organizzati in una Comunità energetica, possono prendere direttamente parte alle transazioni energetiche. A tal fine, l’attuale sistema centralizzato si mostra estremamente paralizzante, determinando una inefficiente e disincentivante intermediazione, in particolare per il ruolo ancora rivestito delle Autorità preposte, su tutte il GSE. Non può non rilevarsi come un approccio decentralizzato, basato su transazioni energetiche peer-to-peer supportate da una piattaforma blockchain, intercetti proprio quelle esigenze di speditezza, immediatezza e integrità che questo nuovo sistema di produzione e distribuzione energetica fondato sulla generazione distribuita intende soddisfare. Si va dunque verso una progressiva localizzazione dei mercati, dettata da meccanismi volti a mantenere il difficile equilibrio tra energia consumata e quella immessa. In particolare, nel caso in cui il prosumer si trovi in una situazione di surplus dell’energia autoprodotta rispetto a quella necessaria per il proprio fabbisogno, questi, anziché immettere la stessa in rete in maniera infungibile e anonima, potrà decidere di “vendere” questa energia direttamente agli altri utenti bisognosi. Ciò che rende possibile queste operazioni, in assenza di una infrastruttura di rete capace di regolare in maniera bidirezionale e smart i flussi energetici[123], è appunto una piattaforma virtuale nella quale gli utenti si relazionino in maniera diretta, da pari a pari (peer to peer, appunto). Attraverso un registro digitale capace di tenere memoria in maniera sicura e indelebile delle varie transazioni, le parti possono attribuire valore allo scambio mediante la generazione di un oggetto virtuale, un token[124], capace di rappresentare l’effettiva quantità di energia che, fisicamente, viene immessa normalmente in rete, ma che virtualmente transita dalla disponibilità, patrimoniale e giuridica, del venditore a quella dell’acquirente. Attraverso un simile schema, perfettamente compatibile con le potenzialità offerte dalle tecnologie Distributed Ledger e blockchain, non diviene necessario che le parti dello scambio siano collegate da un cavo elettrico, entrando «all’interno di un mercato locale nel quale tali scambi vengono organizzati attraverso protocolli di bilanciamento capaci di mantenere un reale equilibrio tra gli opposti flussi energetici»[125]. Non va altresì sottaciuta la questione attinente alle modalità di gestione del vero e proprio diluvio di dati che una crescente digitalizzazione dei sistemi energetici determina[126]. In particolare, le già accennate prassi di “tokenizzazione” dei valori energetici fondano il loro presupposto essenziale nella capacità di funzionamento dei cosiddetti smart meters, (ossia di contatori “intelligenti”), a loro volta, essenziali per il funzionamento delle già citate smart grid[127]. Attraverso l’accumulo di elementi che esprimono le abitudini energetiche degli utenti, infatti, è ben possibile riproporre l’annosa questione, propria del diritto della privacy, relativa alla legittimità del relativo trattamento e dei meccanismi di profilazione che ne derivano, incidendo il tal senso la normativa GDPR[128] e la relativa evoluzione giurisprudenziale[129].

5. Energie rinnovabili e innovazione tecnologica: quale ruolo per lo Stato?

Se è certamente vero, come si è da ultimo sostenuto, che la progressiva decentralizzazione e digitalizzazione dei sistemi di produzione energetica offre straordinarie opportunità di positiva evoluzione del settore, consentendo di garantire, da un lato, una convenienza sociale ed economica ai soggetti che decidono di trasformarsi in prosumer e, dall’altro, una rapida ed esponenziale sostituzione delle energie fossili in favore di quelle rinnovabili, non possono però sottacersi le evidenti criticità sottese al citato modello. Si pone, anzitutto, la necessità di comprendere la nuova veste da attribuire allo Stato il quale, in virtù del quadro di competenze derivante dall’art. 117 Cost. e la relativa esegesi giurisprudenziale (di cui si è ampiamente detto[130]), resta comunque competente in via esclusiva della politica energetica nazionale. Centralità che non appare scalfita dalle tendenze comunitarie in tema di politica energetica le quali, pur fissando con crescente ambizione obiettivi di neutralità climatica e transizione energetica (come già avuto modo di approfondire[131]), lascia ampi margini di manovra ai Governi nazionali in materia di programmazione dei propri mix energetici, con un modello di governance multilivello che, con non poca fatica, cerca di dare graduale attuazione al principio di solidarietà energetica comunitaria[132]. A fronte di una tale apparente contraddizione, ossia di un impianto ordinamentale che ancora attribuisce grande centralità al ruolo dello Stato e un sistema economico-sociale “centrifugo”(per quanto a sua volta incentivato da norme nazionali e comunitarie, come già visto), ossia che tende a diffondersi in maniera capillare e distribuita, appare di estrema utilità affidarsi al ruolo guida rappresentato dal già citato Trilemma energetico[133]. Questo, infatti, individuando le finalità di una corretta politica energetica – tra loro confliggenti e per questo problematiche da bilanciare – nella sicurezza, accessibilità e sostenibilità degli approvvigionamenti, altro non fa che stabilire i compiti inderogabili cui lo Stato, quale autorità centrale e competente in materia di scelte programmatiche nel settore di riferimento nonché preposto alla cura degli interessi della collettività, deve adempiere. Ed è proprio utilizzando questa “bussola” che è possibile cercare di tratteggiare i nuovi spazi riservati all’ intervento pubblico, al fine di evitare negative torsioni dei fenomeni di decentralizzazione e digitalizzazione del settore energetico.

Per quanto concerne il profilo della sostenibilità, alla luce enunciazioni di principio poste a livello internazionale e comunitario (di cui si è ampiamente detto[134]), compito delle istituzioni pubbliche nazionali è quello di garantirne l’implementazione, orientando l’azione dei players coinvolti (aziende, persone giuridiche e fisiche nonché gli stessi enti pubblici) a pratiche volte ad un uso delle risorse che garantisca «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri»[135]. Un tale impegno, a prescindere della valenza etico-politica, risulta ancor più giuridicamente vincolante a seguito della recente riforma costituzionale[136], (di cui si è già detto precedentemente[137]) la quale ha previsto all’art. 9 della Costituzione un espresso riferimento alla tutela delle future generazioni, con una qualificazione dell’ambiente inteso come «bene comune che risulta essere di primaria importanza per la vita sociale ed economica»[138]. A tal fine risulta essenziale il ruolo dei pubblici poteri ai quali è affidato, da un lato, il compito di stimolare l’iniziativa economica privata nell’ orientarsi verso uno sviluppo sostenibile, ma dall’altro, approntare specifiche forme di programmazione e regolamentazione capaci di esprimerne una presenza diretta[139]. Sul punto, un esempio di una tipologia di intervento nel senso indicato è rappresentato dalla regolamentazione comunitaria in materia di «finanza sostenibile»[140]. Si è infatti prevista una fitta rete di obblighi in capo agli operatori del settore affinché certifichino e rendano pubblici in dati attinenti ai propri flussi di capitali, in modo da verificare la provenienza di un determinato prodotto finanziario, l’attività svolta della emittente e il suo livello di sostenibilità ambientale e sociale. In particolare, gli operatori del mercato, al fine di poter “misurare” il proprio livello di rispetto dei vincoli normativi a tal fine posti, hanno via via dato vita al fenomeno delle agenzie di rating ESG (acronimo di Environmental, Social, Governance, utilizzato per indicare i plurimi obiettivi posti in tal senso dalle varie normative in vigore) o “di sostenibilità” o “etico”[141]. Tralasciando le criticità e i rischi connessi a queste attività di valutazione del grado di rispetto di determinati parametri affidata a soggetti privati[142], ai fini che qui rilevano assume particolare interesse il modus operandi delle istituzioni europee e nazionali. La centralità è attribuita ad un meccanismo di certificazione funzionale ad una disclosure dei dati inerenti la sostenibilità o meno delle proprie strategie. Proprio questa dimensione, abbinata ad una progressiva crescita di una sensibilità della cittadinanza ai temi della transizione energetica, può rappresentare la giusta strada, se applicata al settore energetico in generale, per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Il ruolo delle istituzioni pubbliche, dunque, non può rimanere circoscritto alla mera e asettica dimensione regolatoria, imponendo limiti da rispettare e standard cui conformarsi, ma deve giocare su una progressiva promozione di modelli di sviluppo sostenibili, potenziando i meccanismi di semplificazione amministrativa e di incentivi[143] oltre che di certificazione reputazionale. Oltre a queste azioni, del cui corretto dispiegarsi è ovviamente responsabile lo Stato centrale, il ruolo delle istituzioni pubbliche risulta ulteriormente valorizzato a livello locale, in primis dai Comuni, anche per quel che concerne il conseguimento degli obiettivi di transizione ecologica delle fonti energetiche (come si è già visto[144]). Nel sostenere, promuovere e valorizzare le esperienze di Comunità energetiche, gli Enti Locali interagiscono con i cittadini e le imprese in via paritetica e collaborativa, «facendosi promotori della transizione verso forme di energia sostenibile attraverso la garanzia di certezza e stabilità del progetto che, in quanto attori pubblici, sono capaci di offrire»[145].

Per quanto attiene al tema della accessibilità economica degli approvvigionamenti, il modello delle Comunità energetiche e dell’autoproduzione appare rispondere anche a tali tipi di esigenze. In particolare, come già visto[146], la possibilità per il prosumer di divenire utente attivo del mercato elettrico lascia intravedere inedite opportunità di conseguimento di utilità economiche e sociali. Ma più che le marginalità dirette, comunque non insignificanti, la vera svolta appare risiedere nella “comunitarizzazione” della produzione energetica attraverso la generazione di forme di consapevolezza collettiva capaci di attivare fenomeni di inclusione. Soluzioni di questo tipo, caratterizzate da una forte presenza pubblica mediante il ruolo di impulso degli Enti territoriali, consentirebbe di creare uno strumentario idoneo a mitigare le condizioni di «povertà energetica»[147] sempre più diffuse. La stipula di protocolli di intesa tra la Comunità e le istituzioni di governo locale consentirebbe, ad esempio, di raggiungere queste posizioni di maggiore marginalità sociale ed economica, oltre ad offrire opportunità di generazione energetica in punti geograficamente ostici da raggiungere attraverso le tradizionali reti di trasmissione. Si assiste, in definitiva, al «passaggio da un approccio individuale ad uno collaborativo»[148], che valorizza a pieno la prossimità e la sussidiarietà degli interventi pubblici.

Proseguendo nel ragionamento relativo all’impatto della “decentralizzazione” sui poli del Trilemma energetico, in tema di sicurezza energetica si assiste probabilmente alla evoluzione più profonda. In particolare, l’effetto dirompente impresso dalle tecnologie digitali a questo nuovo modello di generazione energetica decentralizzata determina la nascita di nuovi rischi, principalmente connessi all’ecosistema digitale nel quale questi vengono implementati. Infatti, dalla tradizionale nozione di “sicurezza energetica”[149] – intesa quale «gestione efficace dell’approvvigionamento da fonti interne ed esterne, affidabilità delle infrastrutture e capacità dei fornitori di soddisfare la domanda attuale e futura»[150] – si passa a quella di “sicurezza informatica”. Sul punto, deve sottolinearsi con forza, all’interno del mutato quadro, la necessità di garantire resilienza ed integrità dei sistemi informatici. Come per tutti i settori delle società contemporanee[151], questa rappresenta una delle principali sfide per i poteri pubblici. Oltre al già citato fenomeno di riorganizzazione del sistema di scambi energetici mediante piattaforme blockchain, non può ignorarsi la progressiva informatizzazione delle tradizionali centrali di produzione e degli impianti elettrici domestici. La remotizzazione delle infrastrutture e degli impianti di distribuzione li rende però vulnerabili da attacchi hacker[152], con il rischio della compromissione tanto dei sistemi hardware e software quanto della programmazione e disponibilità dei flussi energetici. Rispetto al fenomeno delle Comunità energetiche, l’uso delle tecnologie digitali, specie quelle di tipo Distributed Ledger nelle transazioni energetiche tra utenti e delle infrastrutture smart ed interconnesse, pone altresì il tema della gestione del diluvio di dati generati ed immagazzinati[153]. A fronte di queste sfide, il ruolo delle Pubbliche Amministrazioni, centrali e periferiche, diviene cruciale. Sarà necessario, da questa prospettiva, garantire le condizioni di sicurezza informatica richieste dagli utenti, siano essi persone fisiche che imprese.

6. Conclusioni

In conclusione, il descritto quadro consente di riconsiderare la posizione dei pubblici poteri nella gestione del processo di transizione energetica e di progressivo consolidamento della centralità delle fonti di energia rinnovabile. In primo luogo, resta immutato e costante il ruolo dello Stato centrale nel dettare le linee programmatiche e strategiche, tanto alla luce delle attribuzioni di competenze legislative previste dall’art. 117 Cost., quanto come interlocutore diretto delle istituzioni comunitarie ed internazionale che attribuiscono al tema della sostenibilità preminente rilevanza, come si è visto. La posizione assolutamente inedita, dunque ancora oggetto di mutevole definizione, risulta essere quella rivestita dalle istituzioni pubbliche rispetto alle crescenti forme di aggregazione sociale che proprio sull’autoproduzione e consumo dell’energia fondano la loro ragion d’essere, quali le Comunità energetiche. Tale rapporto, infatti, appare strutturalmente destinato a ricadere in quel principio di leale collaborazione che vede nella sussidiarietà orizzontale, di cui all’art. 118 della Costituzione, il principale paradigma. Resta, quindi, la necessaria posizione di interlocuzione che le istituzioni pubbliche, tra le quali spicca il ruolo degli Enti Locali, devono intrattenere nei confronti di questa nuova categoria proattiva di soggetti privati, al fine di mantenere ferma e stabile la tutela dei diritti e il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità. Il raggiungimento di tali scopi non può che passare per un’azione sinergica e coordinata tra settore pubblico e privato, capace di produrre effetti benefici tanto per l’uno quanto per l’altro. L’impatto decentralizzante, in definitiva, “ammorbidisce” la posizione delle istituzioni pubbliche, le quali assumono maggiormente il ruolo di “controparte” in luogo della tradizionale veste dirigistica e unilaterale, per questo imponendosi un deciso cambio di paradigma non solo nella regolamentazione dei suddetti rapporti, quanto nella mentalità di chi è chiamato a determinare l’azione dei pubblici poteri.

  1. Si pensi al ruolo ad esso riservato dalla disciplina in materia di investimenti esteri in settori strategici, che sin dalle sue prime manifestazioni ha da sempre avuto la necessità di tutelare, tra gli altri, il settore dell’energia. Per un approfondimento sulla disciplina specifica del golden power e per la sua evoluzione normativa si vedano, tra i tanti, R. Garofoli, Golden power e controllo degli investimenti stranieri in federalismi.it, 17, 2019; G. Napolitano, L’irresistibile ascesa del golden power in Giorn. dir. amm., 5, 2019; G. Napolitano, Il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti: alla ricerca di una sovranità europea nell’arena economica globale in Riv. della regolazione dei mercati, 1, 2019; R. Spagnuolo Vigorita, Golden power: per un nuovo paradigma di intervento dello Stato nell’economia, in CERIDAP, 1, 2021.
  2. L. Dell’Agli, L’accesso all’energia elettrica come diritto umano fondamentale per la dignità della persona in Riv. Giur. Amb., 5, 2007, pp. 713 ss.
  3. R.J. Heffron, L’energia attraverso il diritto, (Ed. italiana a cura di L.M. Pepe), Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, p. 20.
  4. Sulle argomentazioni a sostegno di tale previsione si veda il BP Energy Outlook 2030, Londra, 2012.
  5. Sull’interconnessione tra dinamiche energetiche e innovazione tecnologica si veda G.D. Comporti, S. Lucattini (a cura di), Orizzonti del diritto dell’energia. Innovazione tecnologica, blockchain e fonti rinnovabili, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, p. 15.
  6. Infra par. 5.
  7. Trattasi delle c.d. “Tecnologie a Registro Distribuito”, ossia di forme di interscambio dati basate su piattaforme nelle quali tutte le parti comunicanti (i nodi) sono in grado di operare iscrivendo informazioni in condizioni di perfetta parità (peer-to-peer), garantendo la sicurezza ed integrità del dato attraverso sistemi di crittografia e algoritmi di consenso alla circolazione e all’ingresso degli stessi nel registro. Nell’ambito di tale famiglia, rientra il sistema Blockchain, (c.d. “catena di blocchi”), le quali si caratterizzano per la peculiarità di attribuire a tale registro la capacità di effettuare transazioni tra i nodi e di attribuire valore ai blocchi di prodotti dal sistema di consenso, (si veda il fenomeno Bitcoin, esempio più famoso di tale applicazione). Per un approfondimento si veda il white paper del suo fondatore, S. Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, in bitcoin.org, 2008. Per le particolari implicazioni giuridiche del fenomeno, come si avrà modo di sviluppare in seguito, la dottrina ha ormai da tempo mostrato particolare interesse. Tra i tanti, si vedano, M. Giuliano, La blockchain e gli smart contracts nell’innovazione del diritto nel terzo millennio, in Dir. inform., 6, 2018, p. 989; A.M. Gambino, Blockchain e protezione dei dati personali, in Dir. inform., 1, 2019, p. 619; F. Faini, Blockchain e diritto: la “catena del valore” tra documenti informatici, smart contracts e data protection, in Resp. civ. e prev., 1, 2020, p. 297; F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e Iot, Wolters Kluwer, Roma, 2018.
  8. C. Battiato, Profili costituzionali delle fonti energetiche rinnovabili, Pisa, 2017, p. 13.
  9. Come si svilupperà ampiamento in seguito (si veda par. 5.), a fronte del progressivo e crescente impatto dell’uso delle tecnologie digitali nella strutturazione dei sistemi di produzione di energia c.d. “decentralizzati” e delle relative infrastrutture di rete, il canone della sicurezza andrà necessariamente declinato anche sul versante informatico, attribuendo centrale importanza alle questioni legate alla cybersicurezza e alla integrità delle componenti software ed hardware destinate a governare questi sistemi. Si veda sul punto, P. D’Ermo, A. Rosso, La transizione energetica tra de-carbonizzazione, decentralizzazione e digitalizzazione, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 97.
  10. Il World Energy Council è un forum internazionale, a-governativo e transnazionale che promuove politiche e azioni finalizzate alla sensibilizzazione e attuazione concreta di iniziative volte dare impulsi ai processi pubblici e privati di transizione verso fonti di energia sostenibili.
  11. P. D’Ermo, A. Rosso, La transizione energetica tra de-carbonizzazione, decentralizzazione e digitalizzazione, op. cit., p. 9.
  12. Sul punto si veda R.J. Heffron, L’energia attraverso il diritto, op. cit., p. 130, secondo il quale il diritto dell’energia ha come principale campo di indagine «la distribuzione di diritti e doveri riguardanti lo sfruttamento di tutte le risorse energetiche tra gli individui, tra gli individui e il Governo, tra i Governi e tra gli Stati».
  13. G. Guarino, L’elettricità e lo Stato in Atomo, Petrolio, Elettricità, 1961, pp. 95 ss.
  14. G. Lo Sapio, Energia: profili costituzionali, funzione regolatoria e modelli di controllo, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia, op. cit. Per una panoramica generale sui processi di “giuridificazione” si veda, su tutti, B. Marchetti, M. Renna, Il diritto amministrativo nel tempo post-moderno. I processi di giuridificazione: soggetti, tecniche, limiti, in Giur. It., 12, 2017, pp. 2766 e ss.
  15. Tra i principali contributi si vedano M.S. Giannini, Riflessioni su energia ed ambiente, in Rass. giur. dell’energia elettrica, 1987, p. 631; G. Napolitano, L’energia elettrica e il gas, in S. Cassese (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo. Diritto Amministrativo Speciale, Tomo III, II Ed., Giuffrè, Milano, 2003, pp. 2189-2264; N. Aicardi, Energia, in M.P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo Europeo. Parte Speciale, Tomo II, II Ed., Giuffrè, Milano, 2007, pp. 1007-1073.
  16. B. Marchetti, M. Renna, Il diritto amministrativo nel tempo post-moderno. I processi di giuridificazione, op. cit., p. 2834.
  17. Per una panoramica di tale tradizionale impostazione, di cui sono espressione le impostazioni offerte dalla normativa penalistica (art. 624 co. 2 c.p.) e civilistica (art. 814 c.c.), si veda B. Marchetti, M. Renna, Il diritto amministrativo nel tempo post-moderno. I processi di giuridificazione, op. cit., p. 2800.
  18. Per un’analisi della disposizione costituzionale, cfr. ex multis, A. Predieri , voce Collettivizzazione, in Enc. Dir., VIII, Milano, 1960, p. 393; M. Carabba, voce Nazionalizzazione nell’ordinamento italiano, in Digesto Disc. Pubbl., X, Torino, 1995, p. 103 .
  19. Questa rappresenta il vero perno della sezione della Carta dedicata ai rapporti economici, ossia il Titolo terzo della Parte prima. Dalla lettura di questa norma, infatti, si denota sin da subito la sua ispirazione derivante da una scelta di politica economica “mista”, poiché è attenta tanto alle esigenze di carattere sociale quanto a quelle individualistiche. Si nota infatti la vocazione liberale del primo comma quando dice «L’iniziativa economica privata è libera». Si riconosce, quindi, una posizione soggettiva giuridica al cittadino-individuo. Al contempo, questa libertà individuale si vede circoscritta entro precisi limiti posti dall’autorità pubblica, come si evince dal secondo comma «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.», e dal terzo comma «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Per una trattazione delle numerose questioni poste dalla suddetta norma, nonché del dibattito in sede di Assemblea Costituente, si vedano, tra i tanti, M. Luciani, voce Economia nel diritto costituzionale, in Digesto Discipline pubblicistiche, V, Torino, 1990, pp. 374 ss; G. Amato, Il mercato nella costituzione, in La Costituzione economica, Padova, 1997; L. Gianniti, Note sul dibattito alla Costituente sulla “costituzione economica” in Dir. pubbl., 3, 2000, pp. 919 ss.; F. Galgano , Art. 41, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1982; C. Esposito, I tre commi dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. Cost., 1962, p. 37.
  20. Per un approfondimento della nozione di servizio pubblico, e delle contrapposte concezioni della stessa che ne se sono offerte, in particolare quella oggettiva e quella soggettiva e per una ricostruzione del relativo dibattito si veda S. Cattaneo, Servizi pubblici, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990, pp. 355 ss.; per una trattazione generale si vedano, tra i tanti, S. Cassese, La nuova Costituzione economica, Editori Laterza, Roma, 2004; S. Torricelli, Il mercato dei servizi di pubblica utilità, Giuffrè, Milano, 2007; D. Sorace, I servizi “pubblici” economici nell’ordinamento nazionale ed europeo alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. amm., 2010, pp. 1 ss.; E. Bruti Liberati, F. Donati, La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, Torino 2010; F. Monceri, Servizi pubblici e istanze sociali nella costituzione economica europea, Edizioni ETS, Pisa, 2012.
  21. Per una lettura in tal senso dell’art. 43 Cost. si veda F. Galgano, Sub art. 43, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1982, p. 193.
  22. Sul periodo di nazionalizzazione del settore dell’energia si vedano anche G. Guarino, L’elettricità e lo Stato, op. cit. 95 ss.; C. Lavagna, Il trasferimento all’Enel delle imprese elettriche, in Riv. trim. dir. pubbl., 1965; F. Di Sabato, Espropriazione di azienda e nazionalizzazione delle imprese elettriche, Napoli, 1974; Per un inquadramento dei rapporti tra Stato ed economia così come delineati alla luce dell’art. 43 Cost. si vedano, tra i tanti, V. Spagnuolo Vigorita, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959, p. 324; G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1992, pp. 12 ss.; A. Lucarelli, Commento all’art. 43 della Costituzione, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica, Torino, 2006, pp. 303 ss.; E. Di Carpegna Brivio, Stato ed economia di mercato. La via italiana per la ricostruzione postbellica tra giudizio storico e seduzioni contemporanee, in federalismi.it, 21, 2020, pp. 151 ss.; F. Scuoto, L’intervento pubblico nell’economia tra Costituzione economica e Next Generation EU, in federalismi.it, 4, 2022, pp. 916 ss.
  23. Sulla paternità della formula, si veda G. Amato, Il governo dell’industria in Italia, il Mulino, Bologna, 1970, pp. 150 ss.
  24. M. Libertini, La tutela della concorrenza nell’ordinamento italiano: dal Codice civile del 1942 alla riforma costituzionale del 2001, in Moneta e Credito, 68, pp. 365-385. Per una trattazione del principio di libera concorrenza nell’ordinamento italiano si vedano, tra i tanti, E. Lanza, Concorrenza, iniziativa economica e utilità sociale: spigolature su principi e limiti tra ordinamento europeo e Costituzione italiana in Rassegna di diritto pubblico europeo, 1, 2016, pp. 89 ss.; B. Caravita, I fondamenti costituzionali della concorrenza in federalismi.it, 2017; S. Del Gatto, Poteri pubblici, iniziativa economica e imprese, RomaTre-Press, Roma, 2019.
  25. Per un inquadramento generale della rilevanza giuridica dell’ambiente e della centralità ad esso attribuito in sede comunitaria si vedano, tra i tanti, S. Annibale, I principi relativi alla tutela ambientale, in Dir. Giur. Agr. Alim. Amb., 4, 1996, p. 218; D. Amirante, Diritto ambientale italiano e comparato. Principi, Napoli, 2003; M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente. Come sistema adattivo, complesso, comune, Torino, 2007; M. Cafagno, D. D’Orsognona, F. Fracchia, Nozione giuridica di ambiente e visione sistemica, in Dir. e proc. amm, 3, 2018, p. 713; A.C. Amato Mangiameli, La tutela dell’ambiente in Europa. Dai presupposti teorici, al diritto e ai principi, in Riv. fil. Dir., 2, 2018, p. 334.
  26. Tra i primissimi momenti nei quali veniva attribuita importanza, seppur mediante una veste pattizia di diritto internazionale, vanno menzionati la Convenzione di Stoccolma del 1972, la Convenzione di Rio de Janeiro del 1992, quella di Helsinki del 1992 e di New York dello stesso anno e, da ultimo, gli Accordi di Parigi del 2015. Questi ultimi, in particolare, per la prima volta hanno posto dei target volti al contenimento del global warming entro 1,5 gradi centigradi tramite politiche energetiche aggressive, incluso l’aumento dei prezzi dell’energia da fonti fossili per accelerare investimenti green. Per una ricostruzione organica sotto il profilo internazionalistico si veda S. Quadri, Energia sostenibile. Diritto internazionale, dell’Unione Europea e interno, Torino, 2012, pp. 46 ss.
  27. Per un maggiore approfondimento sul tema si rinvia a D. Porena, Il principio della sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, Giappichelli, Torino, 2017, p. 106; V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. Giur. Amb., 2002, pp. 212 ss.; G. Grasso, Solidarietà ambientale e sviluppo sostenibile tra costituzioni nazionali, carta dei diritti e progetto di costituzione europea, in Pol. dir., 2003, pp. 581 ss.; P. Fois, Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale ed europeo dell’ambiente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007.
  28. Sul tema dell’equità intergenerazionale si veda R. Bifulco, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della responsabilità generazionale, FrancoAngeli, Milano, 2008; D. Porena, Il principio della sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, op. cit., pp. 142 ss.; T. Groppi, Sostenibilità e costituzioni: lo Stato costituzionale alla prova del futuro, in DPCE, 1, 2016.
  29. Tra le prime autorevoli considerazioni su tale complesso bilanciamento si veda M.S. Giannini, Funzioni e competenze nella vicenda energetico-ambientale e loro coordinamento, in Rass. giur. ENEL, 1987, pp. 631 ss.
  30. Trattasi evidentemente delle versioni risultanti dalle revisioni dei Trattati istitutivi emerse dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, il quale ha recepito gli impulsi internazionali in materia di sostenibilità energetica e ha consolidato tali principi in plurimi punti delle leggi fondamentali europee. Sul punto si veda G. Tesauro, Manuale di Diritto dell’Unione Europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 12.
  31. M. Francaviglia, Le ricadute costituzionali del principio di sostenibilità a dieci anni dal Trattato di Lisbona. Spunti ricostruttivi alla luce della giurisprudenza europea e costituzionale, in federalismi.it, 19/20, 2022, p. 56.
  32. Si veda supra par. 1.
  33. B. Caravita, Diritto dell’ambiente, il Mulino, Bologna, 2005, p. 55.
  34. La ricostruzione dell’ambiente come “valore” costituzionale si è definitivamente affermata dopo l’entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001. La Corte Cost, sent. 10-26 luglio 2002, n. 407 ha precisato che la tutela dell’ambiente corrisponde ad un «valore trasversale che investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze». Sul punto, si veda B. Caravita , Diritto dell’ambiente, op. cit., p. 189. Per una trattazione generale dell’art. 9 della Costituzione prima della riforma si vedano, tra i tanti, P. Maddalena, L’ambiente: riflessioni introduttive per una sua tutela giuridica, in Ambiente e Sviluppo, 6, 2007, p. 478; M. Cecchetti, Osservazioni e ipotesi per un intervento di revisione dell’art. 9 della Costituzione avente ad oggetto l’introduzione di una disciplina essenziale della tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, in DPERonline, 1, 2020; S. Grassi, Ambiente e Costituzione, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 3, 2017, pp. 29 ss..
  35. La l. cost. n. 1/2022 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022, ha posto, sia per il merito che per il metodo, numerose questioni problematiche che hanno attratto particolare attenzione in dottrina. Sul punto si vedano G. Azzariti, Appunto per l’audizione presso la Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica del 16 gennaio 2020 – Modifica articolo 9 della Costituzione, su Senato.it; D. Porena, Sull’opportunità di un’espressa costituzionalizzazione dell’Ambiente e dei principi che ne guidano la protezione. Osservazioni intorno alle proposte di modifica dell’articolo 9 della Carta presentate nel corso della XVIII legislatura, in federalismi.it, 14, 2020; T.E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in federalismi.it, 16, 2021, p. 185; G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli artt. 9 e 41 cost., in Forum di Quaderni Costituzionali, 2, 2021, pp. 467 ss.; Y. Guerra, R. Mazza, La proposta di modifica degli artt. 9 e 41 Cost.: una prima lettura, in Forum di Quaderni costituzionali, 2021; A. Lauro, Dalla tutela ambientale in Costituzione alla responsabilità politica (anche) verso le future generazioni? Detti e non-detti di un principio di origine giurisprudenziale, in BioLaw Journal, 2, 2022; R. Bifulco, Primissime riflessioni intorno alla l. cost. 1/2022 in materia di tutela dell’ambiente, in federalismi.it, 4, 2022, p. 3; R. Montaldo, La tutela costituzionale dell’ambiente nella modifica degli artt. 9 e 41 Cost.: una riforma opportuna e necessaria ?, in federalismi.it, 13, 2022; L. Cassetti, Riformare l’art. 41 della Costituzione: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziativa economica privata e ambiente? in federalismi.it, 4, 2022, p. 200; D. Porena, «Anche nell’interesse delle generazioni future». Il problema dei rapporti intergenerazionali all’indomani della revisione dell’art. 9 della Costituzione in federalismi.it, 15, 2022, p. 121; L. Bartolucci, Le generazioni future (con la tutela dell’ambiente) entrano “espressamente” in Costituzione, in Forum di Quaderni costituzionali, 2022; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni costituzionali, 2021.
  36. Su tutti G. Marcatajo, La riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione e la valorizzazione dell’ambiente, in AmbienteDiritto.it, 4, 2022, p. 2.
  37. F. De Leonardis, La riforma “bilancio” dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost. nella legge costituzionale n. 1/2022: suggestioni a prima lettura, in ApertaContrada, 2022.
  38. Cons. St., 23 settembre 2022, n. 8167. Per un commento della stessa nel senso accennato si veda F. Cusano, Il Consiglio di Stato torna sul trilemma energia-ambiente-beni paesaggistico-culturali, in Riv. Giur. Amb., 37, 2022.
  39. F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. amm., 4, 2021, pp. 779 ss. Sul punto si veda anche A. Moliterni, Il Ministero della Transizione ecologica: una proiezione organizzativa del principio di integrazione, in Giorn. dir. amm., 4, 2021, pp. 439 ss.;
  40. Per un’analisi del complesso rapporto di concorrenza di questa specifica potestà legislativa si vedano, tra i tanti, A. D’Antena, Legislazione concorrente, poteri impliciti e delega per la formulazione dei principi fondamentali, in Forum di Quaderni costituzionali, 2003; S. Musolino, I rapporti Stato-Regioni nel nuovo Titolo V alla luce dell’interpretazione della Corte costituzionale, Giuffrè, Milano, 2007; A. Ruggeri, C. Salazar, Le materie regionali tra vecchi criteri e nuovi (pre)orientamenti metodici d’interpretazione, in AA.VV., Scritti in memoria di Livio Paladin, vol. IV, Jovene Editore, Napoli, 2004, pp. 1967; R. Bin , Il nuovo riparto di competenze legislative: un primo, importante chiarimento, in Le Regioni, 2002, p. 1445;
  41. B. Caravita, Diritto dell’ambiente, op. cit., pp. 70 ss. In generale si veda A. Zuccaro, I limiti regionali alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili tra oscillazioni giurisprudenziali ed incertezze normative, in Foro amm. C.d.S., XII, 2, 2013, p. 586.
  42. Sul ruolo della Corte Costituzionale sul tema si veda in generale P. Lombardi, Corte costituzionale e autorizzazione degli impianti di energia eolica: concezione assolutizzante del paesaggio o ponderazione di interessi?, in Riv. giur. dell’edilizia, 4, 2009, p. 1475.
  43. Tra queste si citano, in particolare, Corte Cost., sent. n. 303 del 2003 e n. 383 del 2005. Per una trattazione specifica si veda E. Di Salvatore, La materia della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, op. cit.
  44. P. Pulsoni, La Trasversalità dei principi fondamentali della materia “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia” (commento della sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 2014), in federalismi.it, 8, 2014.
  45. Corte Cost., sent. 14 ottobre 2005, n. 383.
  46. P. Pulsoni, La Trasversalità dei principi fondamentali della materia “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, op. cit., 6.
  47. Corte Cost., sent. 26 gennaio 2011, n. 33.
  48. Si veda infra par. 3.1.
  49. Per un approfondimento tecnico sulle varie tecnologie capaci di generare energia da fonti rinnovabili si veda GSE, Le energie rinnovabili, Roma, 2012. Ancora, per una compiuta descrizione delle singole fonti energetiche rinnovabili, degli impianti e del loro effettivo utilizzo si veda, tra i tanti, T. Cinti, I quaderni della formazione ambientale – Energia e radiazioni, APAT, 2006 e GSE, Rapporto statistico 2010, impianti da fonti rinnovabili. Per un inquadramento giuridico generale del settore si vedano A. Massone, La (difficile) convivenza tra governo del territorio, tutela dell’ambiente e produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in Foro amm. T.A.R., 3, 2009, p. 654; G. Napolitano, Energie rinnovabili: un problema di “governance”, in G. Napolitano, A. Zoppini (a cura di), Annuario di diritto dell’energia 2013. Regole e mercato delle energie rinnovabili, il Mulino, Bologna, 2013, p. 285.
  50. M.T. Rizzo, Le fonti rinnovabili e l’autorizzazione unica, in Riv. it. dir. pubbl. com., 5, 2014, pp. 1136 ss.
  51. Per un approfondimento statistico in materia si veda GSE, La valutazione delle ricadute economiche e occupazionali dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili in Italia – Unità Studi, Statistiche e Sostenibilità, 11 luglio 2016.
  52. Per una accurata trattazione si veda S. Nisi, La trasformazione del settore energetico: i processi di policy making tra strategie e nuovi target, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia, op. cit., pp. 69 ss.
  53. Va infatti rilevato che l’ultimo documento di programmazione strategica risaliva al lontano Piano Energetico Nazionale del 1988, elaborato a valle della consultazione referendaria che sancì l’abbandono della produzione da fonte nucleare, che individuava una serie di obiettivi per orientare l’evoluzione energetica del Paese entro l’anno 2000. In particolare, si guardava alla necessità di sviluppare un mix energetico in grado di ridurre la dipendenza dall’estero. Sul punto si veda D. Tabarelli, Strategia o mercato nell’energia in Italia, Milano, 2017.
  54. V. infra parr. 3 ss.
  55. Comunicazione della Commissione COM (2015) 80 final, Una strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici. Tale intervento, specificatosi poi con ulteriori atti normativi dell’Unione Europea, si articola su cinque dimensioni di intervento quali: la sicurezza energetica, solidarietà e fiducia; un piano di integrazione del mercato europeo dell’energia; l’efficienza energetica per contenere la domanda; la decarbonizzazione dell’economia; ricerca, innovazione e competitività.
  56. Che nella originaria formulazione del Winter Package del 32% al 2030 dovrebbe raggiungere, secondo le nuove indicazioni recentemente allo stadio di trattativa in sede di istituzioni europee, il 42,5 %.
  57. Sul funzionamento di tale meccanismo si veda L. Ammannati, La transizione energetica nell’Unione Europea e il nuovo modello di governance, in G. De Maio (a cura di), Introduzione allo studio del diritto dell’energia, op. cit., pp. 11 ss.
  58. Per un’attenta analisi delle condizioni politico-normative che hanno portato all’attuazione del programma Next Generation EU, nella cui cornice ha avuto poi origine il PNRR italiano, si vedano E. Bressanelli, L. Quaglia, La genesi del Next Generation EU: intergovernativismo vs sovranazionalismo ?, in Riv. It. Pol. Pubbl., 2021, pp. 353 ss.; L. Bertolucci , Le reazioni economico-finanziarie all’emergenza Covid-19 tra Roma, Bruxelles e Francoforte, in Riv. trim. dir. econ., 2021, pp. 154 ss.; A. Martinelli, La risposta dell’Unione Europea alla pandemia Covid-19, in Quad. scien. pol., 2021, pp. 199 ss.
  59. Per una disamina specifica del PNRR italiano, oltre alla documentazione ufficiale, si rinvia a A. Sciortino, PNRR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico “normativo” ? in federalismi.it, 2021, pp. 235 ss.; G. De Minico, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Una terra promessa, in Costituzionalismo.it, 2021, pp. 113 ss.; M. Guidi, M. Moschella, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; dal governo Conte II al governo Draghi, in Riv. It. Pol. Pubbl., 2021, pp. 405 ss; S. Lazzari, La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “Italia domani”, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 2021, pp. 198 ss.; M. Clarich, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza tra diritto europeo e nazionale: un tentativo di inquadramento giuridico, in Corriere giuridico, 2021, pp. 1025 ss.; D. De Lungo, Contributo allo studio dei rapporti fra Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e sistema delle fonti statali: dinamiche, condizionamenti e prospettive, in Osservatorio sulle fonti, 3, 2022, pp. 34 ss.
  60. V. infra par. 3.2.
  61. Per una trattazione generale si vedano F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason (a cura di), Diritto dell’ambiente, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 187 ss.; R. Ferrara, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del rischio”, in Diritto e Società, 4, 2006, pp. 507 ss.
  62. Art. 1, co. 1, lett. a) del d.lgs. 387/2001.
  63. Tale paradigma autorizzatorio, specificamente previsto per la realizzazione e successiva messa in esercizio di impianti con potenza superiore a 300 MW, va a completare un quadro complessivo composto da altri due procedimenti autorizzatori, quali la procedura abilitativa semplificata (PAS) di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 28/2011, che opera per la realizzazione di impianti ritenuti poco invasivi sotto il profilo paesaggistico-territoriale poiché al di sotto di determinate dimensioni o rispondenti a determinate caratteristiche tecniche, e la comunicazione per le attività di edilizia libera opera invece nei casi stabiliti dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e dagli artt. 5, 6 e 7 del d.lgs. n. 28/2011 quali, a titolo esemplificativo, gli interventi di installazione di impianti solari termici. Per un inquadramento generale si vedano A. Farì, Il procedimento di autorizzazione per gli impianti da fonti energetiche rinnovabili. Complessità e spunti di riflessione, in astridonline.it, 4; M. Bucello, S. Viola, Vizi (di legittimità) e virtù dei procedimenti autorizzativi di impianti da fonti rinnovabili, in Ambiente e Sviluppo, 10, 2007; C. Manna (a cura di), Lo sviluppo delle rinnovabili in Italia tra necessità e opportunità, Enea, Roma, 2005;
  64. In materia di conferenza di servizi, sulle sue evoluzioni normative e sulle criticità procedimentali la letteratura è sterminata, si citano tra i tanti F. Torchia, La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in Giorn. dir. amm., 1997, pp. 675 ss.; L. De Lucia, F. Luciani, Contributo allo studio della conferenza di servizi decisoria, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, II, Padova, 1998; G.F. Cartei, Servizi (conferenza di) in Dig. Disc. Pubbl., XIV, Torino, 1999, pp. 74 ss.; D. D’Orsogna, F. Degni, Art. 14, 14-bis, 14-quater e 14-quinquies in N. Polantonio, A. Police, A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 304 ss.; G. Cucuzza, La decisione plurale in conferenza dei servizi, Napoli, 2012; F. Gambardella, Il superamento della dimensione negoziale della conferenza di servizi decisoria: dalla riforma Madia alla recente legislazione emergenziale, in F. Liguori (a cura di), Il problema amministrativo, aspetti di una trasformazione tentata, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021.
  65. Si veda sul punto l’art. 6 della citata Direttiva.
  66. Analysis of Barriers for the Development of Electricity Generation from renewable energy source in the UE, OPTRES (D8 report), Utrect, 2006.
  67. Sul punto si è soliti parlare del fenomeno NIMBY (inglese per Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”).
  68. In materia di smart grid si veda infra parr. 4 e 5.
  69. D. Ardolino, Produzione di energia da fonti rinnovabili: barriere amministrative e sociali e misure di compensazione, in G. De Maio (a cura di) Introduzione allo studio del diritto dell’energia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 190.
  70. C. Battiato, Profili costituzionali delle fonti energetiche rinnovabili, Pisa, 2017, p. 204.
  71. Secondo il Rapporto di Legambiente, Scacco matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni, 2021, l’Italia con 0,8 GW di potenza media annua installata nel periodo di riferimento (2013-2020) vedrebbe raggiunti gli obiettivi non prima del 2100.
  72. Cfr. ad esempio Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 166, con nota di L. Corti, Localizzazione di impianti per la produzione di energia (da fonti rinnovabili e non): rapporti fra leggi dello Stato e leggi regionali, in Riv. Giur. Amb., 2014, 6, 734 ss. Si vedano altresì le più recenti Corte Cost., sent. 13 maggio 2022, n. 121; Id., sent. 20 gennaio 2022, n. 11; Id., sent. 5 giugno 2020, n. 106.
  73. Sulla riserva di procedimento amministrativo si vedano, tra i tanti, G. Morbidelli, Note sulla riserva di procedimento amministrativo, in AA.VV., Studi in memoria di Franco Piga, vol. I, Giuffrè, Milano, 1992, pp. 675 ss.; L. De Lucia, Procedimento amministrativo e interessi materiali, in Dir. amm., 4, 2005; P. Mezzanotte, Il tortuoso percorso del giusto procedimento come garanzia costituzionale dei diritti, in Percorsi costituzionali, 1, 2010; A. Zito, Il principio del giusto procedimento, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. amm., 3, 2017; P. Cerbo, Il limite dei poteri amministrativi non ancora esercitati: una riserva di procedimento amministrativo?, in Dir. proc. amm., 1, 2020, pp. 105 ss.; G. Napolitano, Il procedimento amministrativo dalla pandemia alla resilienza, in Giorn. dir. amm., 2, 2021; G. Gargano, La riserva di procedimento amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023.
  74. Sul punto si segnala la già menzionata recentissima Corte Cost., sent. 13 settembre 2022, n. 221 in materia di procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che dichiara incostituzionale la normativa introdotta dalla regione Lazio perché derogatoria di quella statale in materia di produzione da fonti rinnovabili, esprimendo quest’ultima (in particolare il procedimento unico ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003) un principio fondamentale, ex art. 117 Cost, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Si legge infatti che il procedimento unico è «funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea ed è volto a bilanciare l’esigenza di potenziare le fonti rinnovabili con quella di tutelare il territorio nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità» (p.to 7.1).
  75. Corte Cost., sent. 5 aprile 2018, n. 69.
  76. Sotto questo profilo occorre segnalare che l’articolo 26 della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (entrata in vigore nell’agosto 2022) ha delegato il Governo all’adozione entro un anno di uno o più decreti legislativi per la semplificazione dei procedimenti amministrativi in materia di fonti energetiche rinnovabili e la riduzione degli oneri regolatori a carico dei cittadini e delle imprese
  77. B. Tonoletti, Le procedure autorizzative per le fonti rinnovabili di energia e il rapporto tra obiettivi di decarbonizzazione e tutela di altri interessi pubblici, in E. Bruti Liberati, M. De Focatiis, A. Travi (a cura di) L’attuazione dell’European Green Deal. I mercati dell’energia e il ruolo delle istituzioni e delle imprese. Atti del Convegno annuale di AIDEN, Wolters Kluwer, Milano, 2022, pp. 90 ss.; S. Spuntarelli, Le rinnovabili per la transizione energetica: discrezionalità e gerarchia degli interessi a fronte dei procedimenti autorizzatori nel PNRR, in Dir. amm., 1, 2023, p. 17.
  78. Sul punto si vedano E. Casetta, La difficoltà di semplificare, in Dir. amm., 1998, p. 335; M. Renna, Semplificazione e ambiente, in G. Sciullo (a cura di), La semplificazione nelle leggi e nell’amministrazione: una nuova stagione, Bologna University Press, Bologna, 2008; nonché G. Rossi, Diritto dell’Ambiente, Parte Generale, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 62 ss.
  79. Sul tema, tra i moltissimi, M. Allena, I mercati artificiali dei certificati verdi e bianchi, in F. Fracchia, M. Occhiena (a cura di), Climate change: la risposta del diritto, Editoriale Scientifica, Milano, 2010, pp. 207 ss.; B. Pozzo (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Giuffrè, Milano, 2009; P. D. Farah, E. Cima, L’energia nel contesto degli accordi dell’OMC: sovvenzioni per le energie rinnovabili e pratiche Opec di controllo dei prezzi, in Dir. comm. int., 2013, pp. 343 ss.; M. Cocconi, Gli incentivi alle fonti rinnovabili e i principi di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento del cittadino, in Amministrazioneincammino.it, 2014.
  80. Questione a cui il Legislatore dimostra di tenere particolarmente, alla luce del disposto di cui all’art. 4, co. 2, lett. c) del d.lgs. 199/2021, il quale stabilis’e che «i regimi di sostegno sono adottati conformemente alla disciplina dell’Unione in materia di aiuti di Stato».
  81. Dato che trova ancor più conforto nella prospettiva costituzionale, specie se si guarda all’art. 41 della Costituzione. Sul punto di veda M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Cedam, Roma, 1983, pp. 223.
  82. Per una disamina dei complessi intrecci tra disciplina nazionale e comunitaria in materia di libera concorrenza si vedano F. Donati, La tutela della concorrenza tra Costituzione e diritto dell’Unione Europea, in Rivista di regolazione dei mercati, 1, 2020, pp. 13 e A. Auletta, Gli ausili pubblici tra autorità e consenso, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, pp. 182 ss.
  83. F. Vetrò, Sviluppo sostenibile, transizione energetica e neutralità climatica. Profili di governance: efficienza energetica ed energie rinnovabili nel “nuovo ordinamento” dell’energia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1, 2022, p. 91.
  84. D. Ardolino, Produzione di energia da fonti rinnovabili: barriere amministrative e sociali e misure di compensazione, op. cit., p. 132;
  85. Trattasi di una società per azioni interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nata nell’ambito del processo di liberalizzazione del settore elettrico, che, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto societario, esercita «funzioni di natura pubblicistica del settore elettrico e in particolare delle attivi’à di carattere regolamentare, di verifica e certificazione relati’a al settore dell’energia elettrica», svolgendo anche compiti di «promozione dell’’nergia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, comprese le attività di carattere regolamentare». Per una più approfondita disamina si veda S.M. Sambri, A. Muollo, Il GSE e il GME. Natura giuridica, funzioni, organizzazioni, tutela giurisdizionale, in E. Picozza, S.M. Sambri (a cura di), Il Diritto dell’Energia, Trattato di Diritto dell’economia, Cedam, Milano, 2015, pp. 165 ss.
  86. A. Coiante, I poteri del GSE nell’ambito dell’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonte rinnovabile: stato dell’arte e persistenti complessità, in federalismi.it, 17, 2022, p. 6.
  87. Per un generale inquadramento del principio del legittimo affidamento tra ordinamento interno e comunitario si vedano, tra i tanti, F. Maganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1980; F. Merusi,Napolifede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’”alternanza”, Giuffrè, Milano, 2001; L. Giani, Funzione amministrativa ed obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Editoriale Scientifica, Napoli, 2005; M. Gigante, Il principio di affidamento e la sua tutela nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. soc., 5, 2009, p. 403; A. Gigli, Nuove prospettive di tiutela del legittimo affidamento nei confronti del potere amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016. In tema di legittimo affidamento sulla specifica questione degli incentivi alle rinnovabili si vedano F. Scalia, Incentivi alle fonti rinnovabili e tutela dell’affidamento, in Dir. econ., 1, 2019, pp. 229 ss.; A. Travi, Considerazioni critiche sulla tutela dell’affidamento nella giurisprudenza amministrativa (con particolare riferimento alla incentivazione ad attività economiche) in Rivista della regolazione dei mercati, 2, 2016, pp. 6 ss.; G. Cozzolino, Energie rinnovabili e tutela dell’affidamento: qualche riflessione a proposito degli incentivi al fotovoltaico alla luce dei recenti sviluppi normativi, in Rivista dell’AIC, 2012.
  88. A. Coiante, I poteri del GSE, op. cit., 12.
  89. Questa la ricostruzione maggiormente accreditata, introdotta per primo da A. Toffler, The third wave, William Morrow & Company, Inc., New York, 1980. Per ulteriori approfondimenti dottrinali, M. Maugeri, Elementi di criticità nell’equiparazione, da parte dell’AEEGSI, dai “prosumer” ai “consumatori” e ai “clienti finali”, in NGCC, 2, 2015, pp. 406 ss.
  90. Per una attenta ricostruzione terminologica della suddetta espressione di veda R.J. Heffron, L’energia attraverso il diritto, op. cit., p. 185.
  91. Delibera ARERA 18 maggio 2012, 188/2012/E/com e successive modifiche.
  92. G. De Maio, Cambiamento climatico ed energia rinnovabile decentrata, op. cit., p. 174.
  93. Per un inquadramento preliminare sulle Comunità Energetiche si vedano M. Bolognesi, A. Magnaghi, Verso le comunità energetiche in Scienze del territorio, special issue “Abitare il territorio al tempo del Covid”, 2020; E. Cusa, Sviluppo sostenibile, cittadinanza attiva e comunità energetiche, in Orizzonti del diritto commerciale, 1, 2020, p. 71; C. Candelise, G. Ruggieri, Status and Evolution of the Community Energy Sector in Italy, in Energies, 13, 2020; V. Pepe, Le “comunità energetiche” come nuovi modelli, giuridici di sviluppo sostenibile, in Riv. Giur. Amb., 3, 2022; L. De Santoli, Le comunità dell’energia, Quodlibet, 2011; R. Miccù, M. Bernardi, Premesse ad uno studio sulle Energy communities: tra governance dell’efficienza energetica e sussidiarietà orizzontale, in federalismi.it, 4, 2022, pp. 603 ss.; C. Mari, Le comunità energetiche: un nuovo modello di collaborazione pubblico-privato per la transizione ecologica, in federalismi.it, 29, 2022, p. 111; C. Iaione, E. De Nictolis, Le comunità energetiche tra democrazia energetica e comunanza d’interessi, in Dir. soc., 4, 2022; L. Giani, G. Iacovone, A. Iacopino, Commoning e territori: brevi spunti sulle potenzialità delle comunità energetiche, in Dir. soc., 4, 2022; A. Aquili, Comunità energetiche: l’evoluzione del quadro regolatorio europeo e italiano, in Dir. soc., 4, 2022.
  94. Definizione questa accolta dal Piano per la Transizione Ecologica, documento di programmazione attuativo delle linee programmatiche del già citato PNRR, approvato l’8 marzo 2022 dal Comitato Interministeriale per la Transizione ecologica.
  95. V. infra parr. 4.1. e 5.
  96. T. Favaro, Regolare la «transizione energetica»: Stato, Mercato, Innovazione, Cedam, Padova, 2020, p. 115.
  97. Si veda sul tema R. Piselli, Le comunità energetiche tra pubblico e privato: un modello organizzativo transtipico, in Dir. soc., 4, 2022.
  98. Il c.d. “PPP” (“Partenariato Pubblico-Privato”) viene definito dall’art. 3, co. 1, lett. eee, del d.lgs. n. 50/2016 come «il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale l’amministrazione conferisce a uno o più operatori un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione del rischio da parte dello stesso operatore». Per una più diffusa trattazione di questa specifica forma di collabo­razione tra piubblico e privato si veda, tra i tanti, R. Dipace, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Giuffrè, Milano, 2006, p. 76; M. Chiti, I partenariati pubblico-privati e la fine del dualismo tra diritto pubblico e diritto comune, Napoli, 2010; S. Amorosino, Profili sistematici del parte­nariato pubblico-privato per le infrastrutture e le trasformazioni urbanistiche, in Riv. trim. appalti, 2, 2011, p. 381; M. Rutigliano, L. Faccincani, Project finance nel partenariato pubblico-privato e valutazione del piano economico finanziario, in Riv. Dottori comm., 1, 2012, p. 127; C. P. Santacroce, Osservazioni sul «partenariato pubblico-pubblico», tra elaborazioni ed applicazioni giurisprudenziali del modello e nuove direttive europee in tema di appalti e concessioni, in Riv. giur. urb., 2014, p. 17; P. De Luca, Il partenariato pubblico-pubblico nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in Dir. unione eur., 2013, p. 381; B. Giliberti, La concessione di pubblico servizio tra sistematiche nazionali e diritto comunitario, in Dir. amm., 1, 2011, p. 200.
  99. In materia di principio di sussidiarietà e del ruolo dell’iniziativa privata si veda G.U. Rescigno, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, in Dir. pubbl., 1, 2002, p. 5; L. Grimaldi, Il principio di sussidiarietà orizzontale tra ordinamento comunitario e ordinamento interno, Bari, 2006; C. Marzuoli, Sussidiarietà e libertà, in Riv. dir. priv., 2005; F. Trimarchi Banfi, Il principio di concorrenza: proprietà e fondamento, in Dir. amm. , 2013, p. 15. Sull’applicazione dello stesso alla materia ambientale e alle Comunità energetiche si vedano A. Farì, La sussidiarietà orizzontale in materia ambientale: il ruolo dei privati e l’esercizio di funzioni pubbliche, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 3, 2015, pp. 23 ss.; S. Quadri, La componente “inclusiva” dello sviluppo sostenibile nella nuova governance europea dell’energia: le comunità energetiche, in Dir. soc., 4, 2022.
  100. Per una specifica trattazione si veda D. Sorace, S. Torricelli, Diritto delle amministrazioni pubbliche, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 145 ss.
  101. G. Napolitano, La logica del diritto amministrativo, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 232 ss.
  102. G. Napolitano, La logica del diritto amministrativo, op. cit., p. 242.
  103. R. Miccù, M. Bernardi, Premesse ad uno studio sulle Energy communities, op. cit., p. 628.
  104. Trattasi di una iniziativa spontanea nata nel 2008 sotto l’egida della Commissione europea. Questa presuppone la volontaria adesione dei partecipanti, mirando a raggruppare e orientare una rete di istituzioni locali al conseguimento di obiettivi di riduzione di emissioni di CO2 e alla elaborazione di approcci urbani integrati idonei a garantire efficientamento energetico e pratiche ecosostenibili, riassunte nella Dichiarazione di impegno oggetto del Patto. Da un punto di vista procedimentale, alla sottoscrizione del Patto segue poi la redazione da parte dell’Ente locale firmatario del Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, all’interno del quale si illustrano le iniziative concrete che il Comune intende metter in campo per conseguire gli obiettivi del Patto. Per una trattazione specifica dell’iniziativa si vedano E. Ferrero, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, in Foro amm., 4, 2015, pp. 1267; G. De Maio, Cambiamento climatico ed energia rinnovabile decentrata, op. cit., p. 166.
  105. Il riferimento è sia alla Direttiva UE) 2018/844 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, recepita in Italia dal d.lgs. 10 giugno 2020, n. 148, sia alla recentissima Direttiva sull’efficienza energetica formalmente approvata nel luglio 2023.
  106. Per una diffusa trattazione in termini giuridici di queste realtà di vedano, F. Fracchia, P. Pantalone, Smart City: condividere per innovare (e con il rischio di escludere?), in federalismi.it, 22, 2015; A. Pensi, L’inquadramento giuridico delle «città intelligenti», in GiustAmm.it., 9, 2015, p. 1; F. Gaspari, Smart City, Agenda urbana multilivello e nuova cittadinanza amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018; T. Favaro, Verso la «smart cities»: sviluppo economico e rigenerazione urbana, in Rivista giuridica dell’edilizia, 2, 2020; F. Gaspari, Città intelligenti e intervento pubblico, in Dir. economia, 2019, pp. 71-110; G. Delle Cave, «Comunità intelligenti», enti locali, mobilità sostenibile: le Smart City al cospetto del potere pubblico, in Dir. econ., 105, 2021, pp. 385; G.F. Ferrari (a cura di), Smart city. L’evoluzione di un’idea, Mimesis, Milano, 2020;
  107. Definizione tratta dalle Linee Guida AGID 2012, pubblicate in attuazione del disposto dell’art. 20, co. 1, lett. c) del d.l. n. 179/2012, recante la disciplina nazionale delle c.d. “Comunità intelligenti”.
  108. Per una specifica disamina del ruolo di questi Protocolli d’intesa, anche alla luce dell’esperienza concreta, e per una ricostruzione circa la natura giuridica ad essi attribuibile si veda C. Mari, Le Comunità energetiche, op. cit., p. 125.
  109. Quest’ultima viene intesa dal PNIEC del 2021 «come la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici oppure come la condizione per cui l’accesso ai servizi energetici implica una distrazione di risorse (in termini di spesa o di reddito) superiore a quanto socialmente accettabile». Sul punto di segnala altresì che con decreto del Ministro della transizione ecologica del 29 marzo 2022 è stato istituito l’Osservatorio nazionale della povertà energetica, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 11 del d.lgs. n. 210/2021, con funzioni di monitoraggio del fenomeno, di proposta al Ministero e all’Autorità di regolazione di misure di contrasto alla povertà energetica nonché di supporto dell’elaborazione della strategia nazionale contro la povertà energetica.
  110. V. infra par. 5.
  111. Proprio sulla “funzione democratica” si veda C. Iaione, E. De Nictolis, Le comunità energetiche tra democrazia energetica e comunanza d’interessi, op. cit., p. 59.
  112. P. D’Ermo, A. Rosso, La transizione energetica, op. cit., p. 94.
  113. V. par. 4.3.
  114. Sullo specifico tema si veda V. Cappelli, «Blockchain» e fornitura di energia. Riflessioni in materia di responsabilità tra decentralizzazione e tutela dei consumatori, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 5, 2019, pp. 335-364.
  115. Per una trattazione generale dello specifico tema si veda C. Meloni, L’infrastruttura tecnologica al servizio delle comunità energetiche, in Dir. soc., 4, 2022.
  116. A. Galliani, Innovazioni necessarie per la diffusione delle fonti rinnovabili, in G. D. Comporti, S. Lucattini (a cura di), Orizzonti del diritto dell’energia. Innovazione tecnologica, blockchain e fonti rinnovabili, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, 156.
  117. D. Cimmino, Le potenzialità delle distributed ledger e degli smart contracts applicati ai local energy markets per lo scambio dei flussi energetici, in G. D. Comporti, S. Lucattini (a cura di), Orizzonti del diritto dell’energia, op. cit., p. 47.
  118. R. Miccù, M. Bernardi, Premesse ad uno studio sulle Energy communities, op. cit., p. 618.
  119. Va premesso un breve cenno sulle caratteristiche tecniche connesse a tali tecnologie. In particolare, secondo F. Faini, Blockchain e diritto, op. cit., p. 297, le distributed ledger technologies (DLT) sono «tecnologie di registro distribuito e disintermediato peer-to-peer, diversamente dalle architetture centralizzate client-server, che invece si basano sul controllo di un’autorità di gestione: nelle DLT le voci del database sono replicate in una serie di nodi e la regolazione avviene mediante meccanismi di consenso condiviso. La blockchain, species del genus delle distributed ledger technologies, si configura come una «catena di blocchi», dal momento che i dati, inseriti per mezzo di crittografia asimmetrica, sono allocati in blocchi, accompagnati da hash e validazione temporale, tra loro concatenati attraverso il richiamo dell’hash del blocco precedente in quello successivo: da questo aspetto deriva la caratteristica dell’immutabilità unilaterale. Ogni nuovo blocco è validato da alcuni nodi (i cosiddetti miners) per mezzo della risoluzione di un problema matematico, che vale una ricompensa, con un meccanismo che serve a incentivare la corretta validazione dei blocchi. La blockchain può essere assimilata a un registro o a un libro mastro digitale, che conserva in modo immutabile la memoria storica delle transazioni avvenute e in cui, in modo distribuito e paritetico, ciascun partecipante dispone di una copia di ciascuna operazione, garantendo così sicurezza e resistenza rispetto a potenziali attacchi.».
  120. Lo smart contract, significativa applicazione della blockchain, viene definito nel comma 2 dell’art. 8-ter del d.l. n. 135/2018, convertito in l. n. 12/2019, «un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse; lo smart contract soddisfa il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID con linee guida». Nick Szabo viene considerato l’ideatore dello smart contract, si vedano i suoi scritti in materia, N. Szabo, Smart contracts: building blocks for digital markets, in EXTROPY: The Journal of Transhumanist Thought, 16, 18, 1996, pp. 2 ss.; Id., The idea of Smart Contracts, in Nick Szabo’s Papers and Concise Tutorials, 6, 1997; Id., Formalizing and Securing Relationships on Public Networks, in First Monday, 2, 9, 1997.
  121. Sul punto si veda anche V. Cappelli, «Blockchain» e fornitura di energia. Riflessioni in materia di responsabilità tra decentralizzazione e tutela dei consumatori, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2, 2019, pp. 335 ss.
  122. Prospettiva che appare già delineata nel nostro ordinamento a partire dalla Delibera ARERA n. 300/2017, la quale ha previsto l’apertura del mercato dei servizi di dispacciamento anche ai soggetti non abilitati a operare sulle ordinarie sezioni del mercato elettrico nazionale.
  123. Sulle difficoltà connesse a tale questione infrastrutturale si veda G. De Maio, Cambiamento climatico ed energia rinnovabile decentrata, op. cit. , p. 174.
  124. I token sono una rappresentazione informatica di una particolare risorsa o utilità, che di solito risiede sopra un’altra blockchain. La loro diffusione è dovuta principalmente alle applicazioni delle tecnologie Distributed ledger al settore finanziario, con la nascita del fenomeno del c.d. Fintech. Proprio per tali ragioni, se ne è tentata una tipizzazione capace di agevolarne l’inquadramento giuridico, in particolare si sono individuati: payment tokens, utilizzati come mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi o facilitare il trasferimento di denaro o valori; utility tokens, permettono di usufruire del prodotto o servizio costruito grazie alla tecnologia blockchain; asset tokens, attribuiscono ai possessori il diritto a percepire i ricavi futuri eventualmente raggiunti dall’emittente. Sul punto specifico e sul fenomeno del Fintech si vedano P. P. Pirani, Gli strumenti della finanza disintermediata: Initial Coin Offering e blockchain, in Analisi Giuridica dell’economia, 1, 2019, pp. 327 ss.; M. Giuliano, La blockchain e gli smart contracts, op. cit., p. 1005; F. Di Ciommo, Smart contract e (non-) diritto. Il caso dei mercati finanziari, in Nuovo diritto civile, 2019, 1, pp. 257 ss.; G. Finocchiaro, Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 2, p. 441; P. Cuccuru, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contracts, in Giur. civ., 2017, 1, pp. 107 ss., R. Bocchini, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inform., 2017, p. 27; A. M. Gambino, C. Bomprezzi, Blockchain e criptovalute, in V. Falce, G. Finocchiaro (a cura di), La Rivoluzione digitale nei servizi finanziari tra innovazione, diritti e concorrenza, Zanichelli, Bologna, 2019.
  125. D. Cimmino, Le potenzialità delle distributed ledger e degli smart contracts applicati ai local energy markets per lo scambio dei flussi energetici, op. cit., p. 48;
  126. Per un interessante inquadramento della questione si veda G. Strazza, Le comunità energetiche come comunità di dati, in Dir. soc., 4, 2022.
  127. V. par. 4.2.
  128. Il riferimento è al Regolamento 2016/679/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), definito anche General Data Protection Regulation.
  129. Per una introduzione al diritto della privacy e alla relativa governance si veda, tra gli altri, O. Pollicino, M. Bassini, Libertà di espressione e diritti della personalità nell’era digitale. La tutela della privacy nella dimensione europea, in G. Enea Vigevani, O. Pollicino, C. Melzi (a cura di), Diritto dell’informazione e dei media, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 91-123.
  130. V. supra par. 1.2.
  131. V. supra par. 1.1.
  132. Sul punto si vedano M. Marletta, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Giappichelli, Torino, 2011; F. Martines, La politica di coesione economica, sociale e territoriale ed il modello di integrazione europea, in G. Colombini (a cura di), Politiche di coesione e integrazione europea. Una riforma difficile ma possibile, Jovene Editore, Napoli, 2011, pp. 63-101; S. Villani, Considerazioni sul principio di solidarietà energetica nel quadro giuridico dell’UE, in federalismi.it, 5, 2023, p. 118.
  133. Per una approfondita ricostruzione del concetto si rimanda a quanto già detto supra par. 1.
  134. V. supra par. 1.1.
  135. D. Porena, Il principio della sostenibilità, op. cit., p. 110.
  136. Si fa riferimento alla già esaminata l. cost. n. 1/2022, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022.
  137. V. supra par. 1.2.
  138. M. Landu, Oltre l’intangibilità dei principi fondamentali, op. cit., p. 50. Sul punto si vedano anche L. Bartolucci, Le generazioni future (con la tutela dell’ambiente) entrano “espressamente” in Costituzione, in Forum di Quaderni costituzionali, 2022; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni costituzionali, 2021.
  139. Per una trattazione generale del ruolo dei pubblici poteri nel guidare la transizione ecologica, si veda A. Moliterni, La sfida ambientale e il ruolo dei pubblici poteri in campo economico, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 2, 2020.
  140. Si fa riferimento al pacchetto di interventi adottato dalla Commissione Europea per per l’implementazione di un sistema finanziario capace di promuovere uno sviluppo autenticamente sostenibile (COM/2018/097 final), costituito dal Regolamento 2088/2019 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, al Regolamento 1011/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2016 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle Direttive (CE) 48/2008 e 17/2014 e del Regolamento 596, il Regolamento 852/2020 del Parlamento e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (c.d. Regolamento Tassonomia). È in corso il procedimento di definizione degli atti delegati della Commissione UE per la proposta di regolamento recante modifiche mirate e puntuali ai regolamenti delegati di attuazione della MIFID II e IDD per l’integrazione dei fattori ESG nell’ambito dell’informativa alla clientela e alla valutazione di adeguatezza.
  141. Per una diffusa trattazione del tema specifico, oltre che della finanza sostenibile in generale, si veda N. Linciano, E. Cafiero, A. Ciaravella, G. Di Stefano, E. Levantini, G. Mollo, S. Nocella, R. Santamaria, M. Taverna, La finanza per lo sviluppo sostenibile. Tendenze, questioni e prospettive alla luce dell’evoluzione del quadro regolamentare dell’Unione europea, in Quaderno Consob 1, 2021.
  142. Per una disamina delle criticità connesse alle agenzie di rating in generale si vedano C. Rinaldo, Rating incongrui e tutele del mercato, Giuffrè, Milano, 2017; G. Carriero, Brevi note sulle agenzie di rating, in Foro it., 135, 2, 2012, pp. 49 ss; per le specifiche questioni connesse al rating ESG si vedano G. Landi, Sostenibilità e rischio d’impresa. Evidenze e criticità dei Rating ESG, Wolters Kluwer, Padova, 2020, S. Michielin, Misurare la sostenibilità: note introduttive e inquadramento del problema. Il ruolo del rating ESG, in Riv. della regolazione dei mercati, 2, 2022, pp. 708 ss.
  143. V. parr. 3.1. e 3.2.
  144. V. par. 4.
  145. C. Mari, Le comunità energetiche, op. cit., p. 132.
  146. V. par. 4.
  147. Per una definizione normativa si veda nota 89.
  148. C. Bevilaqua, Le comunità energetiche tra governance e sviluppo locale, op. cit., p. 14.
  149. Il profilo della sicurezza energetica è divenuto di crescente centralità a partire dal 2014-2015, in occasione dell’invasione della penisola di Crimea da parte della Federazione Russa, principale esportatore di gas verso l’Europa, e del conseguente incrinarsi delle relazioni diplomatiche con l’Unione Europea, ponendo all’attenzione dei decisori europei la necessità di elaborare un quadro programmatico in tal senso. Sulla scorta di ciò, si giustifica l’adozione della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Strategia europea di sicurezza energetica, (COM(2014) 330 final, 28.05.2014) e della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Preparazione in vista di un’eventuale interruzione delle forniture dall’Est tra l’autunno e l’inverno 2014/2015, (COM/2014/0654 final/2, 16.10.2014). Tale tendenza ha subito una brusca (ed inevitabile) accelerazione a causa dell’ulteriore inasprimento delle relazioni con la Federazione russa a seguito dell’invasione dell’Ucraina, con la conseguente interruzione delle forniture di gas russo a seguito delle dure sanzioni economiche adottate dall’UE. Per far fronte a questa difficile situazione, le Istituzioni europee hanno ulteriormente modulato la propria strategia con la Comunicazione della Commissione dell’8 marzo 2022, COM(2022) 108 final, recante REPOWER EU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili, e il successivo REPOWER EU Plan del 18 maggio 2022. Per una riflessione rispetto a questa nuova linea di tendenza tracciata alla luce della grave crisi energetica generata si veda E. B. Liberati, La strategia europea di decarbonizzazione e il nuovo modello di disciplina dei mercati alla prova dell’emergenza ucraina, in Rivista della Regolazione dei Mercati, 1, 2022, p. 3.
  150. P. D’Ermo, A. Rosso, La transizione energetica, op. cit., p. 97.
  151. La crescente importanza attribuita al settore della cybersicurezza, testimoniata dall’istituzione di un’apposita Agenzia e dall’adozione di un importante documento programmatico quale la Strategia nazionale per la cybersicurezza 2022-2026, è stata di recente oggetto di grande dibattito. Sul punto di vedano L.V.M. Salamone, La disciplina del cyberspace alla luce della direttiva europea sulla sicurezza delle reti e dell’informazione: contesto normativo nazionale di riferimento, ruolo dell’intelligence e prospettive de iure condendo, in federalismi.it, 23, 2017; B. Bruno, Cybersecurity tra legislazioni, interessi nazionali e mercato: il complesso equilibrio tra velocità, competitività e diritti individuali, in federalismi.it, 14, 2020; R. Brighi, P. Chiara, La cybersecurity come bene pubblico: alcune riflessioni normative a partire dai recenti sviluppi nel diritto dell’Unione Europea, in federalismi.it, 8, 2021; F. Serini, La nuova architettura di cybersicurezza nazionale: note a prima lettura del decreto-legge n. 82 del 2021, in federalismi.it, 12, 2022, p. 241.
  152. Tra le esigenze che l’operatore/cittadino ha nel momento in cui svolge una attività online che coinvolge propri diritti soggettivi o interessi legittimi, rientra l’auspicio che le infrastrutture che innervano e danno vita a questi processi siano sicure, integre e capaci di affrontare forme di interferenze esterne e problemi operativi interni (la c.d. “resilienza”). Le garanzie che comunemente sono richieste per una corretta utilizzabilità dei sistemi informatici sono più emblematicamente riassunte nella triade “RID”, “riservatezza, integrità, disponibilità”, con ciò riassumendo un ventaglio di istanze: la tutela della privacy e la protezione dei propri dati messi in circolo sulla rete (incidendo il tal senso la normativa GDPR e la relativa evoluzione giurisprudenziale); la possibilità di utilizzare sistemi capaci di non scomporsi a seguito di eventi patologici (attacchi informatici, data breaches, bug di sistema etc.); essere in grado di mantenere un diritto di godere e disporre liberamente dei contenuti e delle infrastrutture che si utilizzano. Per inquadrare più da vicino i caratteri di quella che definiamo “sicurezza informatica”, facciamo riferimento a tre diversi momenti di attenzione che danno poi luogo a diverse fasi di intervento. In primo luogo, le misure di prevenzione, ossia quegli accorgimenti tecnici e operativi volti a sterilizzare il rischio che l’incidente si verifichi (sia esso un attacco esterno o un guasto interno). In secondo luogo, l’attività di monitoraggio, fondamentale per verificare l’esatto timing dell’incidente e le conseguenze di breve, medio e lungo periodo. In ultimo, le misure di ripristino in risposta all’evento, puntando sulla minimizzazione del danno. Queste tre fasi sono «trasversalmente caratterizzate dall’uso di strumenti diversi quali il controllo degli accessi, distaster recovery, crittografia, hardware e software per la difesa perimetrale, sistemi di rilevamento intrusioni e misure di sicurezza fisica, ecc.», sul punto di veda R. Brighi, P. Chiara, La cybersecurity come bene pubblico: alcune riflessioni normative a partire dai recenti sviluppi nel diritto dell’Unione Europea, in federalismi.it, 21, 2021, p. 19. In definitiva, a causa della ineliminabile necessità di utilizzare reti di comunicazione digitali e da strumenti di tecnologia informatica, si può certamente sostenere che «un attacco può causare non solo danni tecnologici ma, anche, ledere diritti e libertà delle persone, alterare gli equilibri politici di una nazione e, se sono colpite infrastrutture critiche, determinare gravi conseguenze per comunità, istituzioni e imprese.», si veda R. Brighi, P. Chiara, La cybersecurity come bene pubblico, op. cit., p. 20.
  153. Su tale complessa problematica si veda, per tutti, A. M. Gambino, C. Bomprezzi, Blockchain e protezione dei dati personali, in Dir. inform., 3, 2019, pp. 619 ss.