La concessione di beni demaniali: verifica della sua attualità e influenza dell’ordinamento euro-unitario per la sua interpretazione

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La concessione di beni demaniali: verifica della sua attualità e influenza dell’ordinamento euro-unitario per la sua interpretazione

DOI: 10.13130/2723-9195/2024-4-8
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Lo studio tratta il tema della concessione dei beni demaniali, istituto tipico del Diritto amministrativo, al fine di verificarne l’attualità, anche alla luce della parallela evoluzione del modello giuridico di “proprietà” basato sulle norme del codice civile, che si riflette sulla natura pubblica dei beni riservati alla P.a. e sulla loro gestione. Il potere concessorio, nel consentire l’uso particolare dei beni demaniali da parte di soggetti privati, deve essere riferito al contesto presente, al fine di evidenziare la crescente rilevanza del ruolo della P.a, sia nei rapporti con e tra i privati , sia in termini di corretta valutazione della proficuità della scelta da essa compiuta, ai sensi della contabilità pubblica.


The concession of state-owned assets: verification of its topicality and influence of the EU legal system for its interpretation
The study deals with the issue of the concession of state-owned assets, a typical institution of Administrative Law, in order to verify its topicality, also in the light of the parallel evolution of the legal model of “property” based on the rules of the Civil Code, which is reflected in the public nature of the assets reserved to the Public Administration and their management. The concession power, in allowing the particular use of state-owned property by private subjects, must be referred to the present context, in order to highlight the growing importance of the role of the Public Administration, both in relations with and between private individuals, and in terms of correct assessment of the profitability of the choice made by it, pursuant to public accounting.
Summary: 1. Premessa. “Concessione” e “proprietà”, due istituti giuridici da attualizzare.- 2. La concessione come strumento del mercato: prevale ancora l’effetto vantaggioso a favore del privato?- 3. Segue. Il ruolo della P.a., dalla promozione dell’economia alla soluzione di conflitti e al controllo della compatibilità con l’interesse pubblico.- 4. Conclusioni. Il contributo della contabilità pubblica per la risposta – positiva – al quesito.

1. Premessa. “Concessione” e “proprietà”, due istituti giuridici da attualizzare

La categoria dei beni pubblici e, tra essi, di quelli demaniali, è un tema di studio che l’ordinamento italiano conosce sin dall’unificazione del Regno, e trova conferma nella Carta costituzionale, nella norma dedicata alla proprietà.

Il risvolto amministrativo della disciplina speciale e della gestione che concerne il demanio sin dalla sua prima definizione pone l’accento sulla stretta attinenza dei relativi usi agli interessi pubblici, diretti o indiretti, enfatizzato nella funzionalizzazione che l’art. 42 cost. assegna alla proprietà, pubblica o privata.

Proprio avviando la riflessione dal presupposto incentrato sulla proprietà – anche se la Costituzione, più neutralmente, utilizza l’espressione “appartenenza” – sono poste in evidenza le evoluzioni degli istituti giuridici qui considerati nell’ambito degli ordinamenti giuridici.

Tra queste, la posizione assegnata proprio all’istituto giuridico della proprietà in ambito europeo rivela la profonda influenza che l’ampliamento dell’orizzonte giuridico ha conosciuto, specie con riferimento al contesto dei “rapporti economici”, per riprendere la collocazione del nostro Costituente.

Questa significativa influenza, destinata a riflettersi nell’ordinamento nazionale anche oltre il dato normativo in costruzione, vincolante per il legislatore nazionale, è stata colta con riferimento all’amministrazione dalla più attenta dottrina, che ha presto evidenziato la conseguente trasformazione del diritto amministrativo così come variamente inteso dai singoli Stati membri.

Il tema si inquadra in quello, più generale, dell’influenza del diritto europeo sul diritto amministrativo nazionale, prospettiva che la più avanzata dottrina ha saputo cogliere ancor prima dell’avvio del periodo di riforme e trasformazioni profonde che hanno caratterizzato gli studi del Diritto amministrativo dal 1990 ad oggi[2].

I profili da approfondire in questo ampio contesto riguardano tanto l’istituto della proprietà pubblica, già richiamato, tanto quello strettamente connesso – in certo senso pregiudiziale – degli usi dei beni stessi, da mantenere coerenti con la funzionalizzazione del bene cui si riferiscono[3]. Questa caratteristica ne giustifica infatti il regime differenziato e richiede un’attenta considerazione soprattutto quando le disposizioni dell’Amministrazione cui il bene è ricondotto si traducano nell’uso particolare, perciò sottratto alla collettività o, direttamente alla stessa P.a., a favore di soggetti terzi che ne traggano un vantaggio economico.

Anche il tema delle concessioni di beni demaniali è un classico per gli studi di diritto amministrativo[4], eppure entrambi i distinti istituti giuridici che la locuzione unisce – beni pubblici[5] della categoria demaniale e potere concessorio, espressione della titolarità degli stessi – paiono a prima vista poco in linea, poco attuali rispetto all’indirizzo che emerge dalla preferenza per l’ordinamento europeo e le sue classificazioni.

Eppure, oggi più che mai, anche alla luce del contenzioso che ha interessato il tema a tutti i livelli giustiziali, europei e nazionali, e governativi, qui comprendendo anche quelli locali – il riferimento alle c.d. “concessioni balneari” è d’obbligo[6] – il quadro normativo di riferimento, della cui interpretazione appunto si discute, pare radicato nel nostro sistema.

La disciplina interna e la costruzione del rapporto che ne risulta è d’altronde compatibile con la dimensione europea ove – sintetizzando – la neutralità rispetto alle scelte organizzative – comprese quelle relative alle risorse strumentali, e relativi regimi proprietari – in vigore negli Stati membri, non crea vincoli per l’adozione di modelli comuni, se non per la comune esigenza di garantire il rispetto della libera concorrenza che, quando sussiste, attiene alla scelta della parte privata.

Il riferimento, qui solo accennato, che conferma questa lettura si riscontra nella disciplina europea sull’aggiudicazione dei contratti di concessione relativi a esecuzione di lavori o fornitura di servizi sancita dalla direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014, recepita e parte integrante del codice dei contratti pubblici, con crescente dettaglio, sia nel vigente d.lgs. n. 36 del 2023, spec. artt. 176-192, sia già in precedenza dai d.lgs. nn. 163 del 2006, artt. 142-151, e 50 del 2016, artt. 164-173[7].

Ciò premesso, e confermata quindi la non sussistenza di obblighi di modifica al sistema nazionale vigente per ottemperanza agli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, resta comunque opportuno interrogarsi sull’attualità della classificazione codicistica – civilistica – fonte della delineazione del demanio, così come dello strumento concessorio per l’uso a titolo esclusivo dei beni che ne fanno parte, nelle ipotesi in cui questa modalità sia possibile.

In particolare, si pensi al fatto che anche la concessione di beni [8], come più ampiamente indagato per quella di servizi, accentua sempre più la componete consensuale, allontanandosi dallo schema originario che esaltava la natura unilaterale e autoritativa propria del potere di cui il provvedimento era espressione finale. Senza negare l’esistenza di un potere – e di una correlata responsabilità – in capo alla P.a. con riferimento ai beni in questione, la necessaria presenza della convenzione che regola i rapporti tra concessionario e concedente, dal contenuto condiviso, assume una rilevanza sempre più centrale

La concessione, infatti, oggi, è sempre un atto nominato ma decisamente meno tipico rispetto al passato, in quanto destinato ad assumere una pluralità di declinazioni, a seconda dell’oggetto, a seconda della finalità, a seconda del settore cui è destinato, così da rendere difficile la riconduzione a unità anche concentrandosi sugli effetti prodotti.

Le difficoltà emergono infatti soprattutto quando l’istituto della concessione, unitariamente considerato, debba essere sovrapposto a quella figura originaria già ricordata da parte dei Maestri della nostra disciplina[9], cioè quel provvedimento – autoritativo e unilaterale – idoneo a trasferire o costituire – ipotesi già affatto distinte l’una dall’altra – un diritto in capo a un soggetto diverso dalla P.a. concedente.

Oggi effettivamente la questione sembra molto diversa: la concessione è diventata sempre di più uno strumento economico; occorre tuttavia subito anticipare che generalizzare è di principio sbagliato, specie in un caso come quello in esame in cui si intendono proprio evidenziare la pluralità e varietà dei “tipi” in cui l’atto si manifesta.

Già una prima importante differenziazione concerne ad esempio le concessioni che conferiscono la cittadinanza; si tratta di provvedimenti che richiedono un approfondimento a parte, estraneo alle finalità qui perseguite, stante la loro assoluta peculiarità, oggetto di norme speciali, anche in ragione della necessaria relazione tra P.a. nazionale e Stati di provenienza dei richiedenti, e che perciò richiedono tempi non sempre predeterminabili e fissi come quelli imposti per ogni attività procedimentale dalla l. n. 241 del 1990.

2. La concessione come strumento del mercato: prevale ancora l’effetto vantaggioso a favore del privato?

Con queste premesse, la concessione non può essere certamente considerata come un atto da cancellare dal pacchetto’ degli strumenti appartenenti alla storia amministrativa, obsoleto in quanto superato sia da altri modelli che disegnano forme di partenariato tra P.a. e privati, sia dal ricorso a forme tout court negoziali, tutt’altro.

Il fatto stesso che se ne continui a discutere, suffragato dalla giurisprudenza che ne contribuisce ad arricchire la casistica, testimonia che nella realtà non ha prevalso la costruzione in termini negoziali, che ne accentua i caratteri contrattuali – dovuti in definitiva alla circostanza che gli effetti vantaggiosi cui il concessionario aspira siano raggiungibili solo su richiesta di quest’ultimo, in ciò rendendo potenzialmente amico, anziché ostacolo, il titolare del potere espresso con l’atto concessorio. Vale solo la pena di evidenziare che una visione bilaterale, incentrata sul solo rapporto a due, come suggerisce una lettura eccessivamente paritaria tra le parti in questione vanifica la ragione stessa dell’attribuzione del potere e la riserva di disposizione – per quanto attiene ai beni – in capo alla P.a., preposta alla soddisfazione dell’interesse pubblico nel caso concreto che eccede quello dell’aspirante, tanto da consentirne legittimamente l’insoddisfazione attraverso il diniego dell’istanza.

È quindi errato mettere in secondo piano il ruolo specifico della pubblica amministrazione, non ascrivibile a quello di un semplice contraente alla ricerca di un punto di soddisfazione condiviso dalla parte richiedente l’atto e, soprattutto, i diritti esclusivi – espressione particolarmente efficace quando si tratti di proprietà e del suo godimento – che ne conseguono.

Di certo ciò che è profondamente cambiato nel corso del tempo è non tanto il ruolo dell’Amministrazione, che continua a svolgere il suo compito di miglior cura degli interessi pubblici, quanto gli strumenti e le modalità utilizzate per realizzare i fini che le sono assegnati. Come accennato, rispetto al passato un numero significativo di casi che prevedono il ricorso alla concessione vedono l’Amministrazione agire non tanto in veste di soggetto che conferisce diritti ma in quello di regolatore di un mercato, la cui libera configurazione è ritenuta garanzia dell’equilibrio tra gli interessi che ivi si confrontano.

In questi casi potremmo affermare che la P.a. agisce dando vita a una forma di sussidiarietà, intervenendo a correggere le disfunzioni ma senza cancellare la diseguaglianza tra le parti pubblica e private, che continua ad esistere, altrimenti avremo una piena liberalizzazione che escluderebbe la presenza di un atto quale quello qui considerato.

I modelli giuridici stanno cercando di adeguarsi a quelli propri dell’economia, che nascono e si sviluppano indipendentemente dal diritto, il quale è tuttavia chiamato, come visto, a trovare le risposte più efficienti in grado di assicurare quelle precondizioni – certezza e stabilità in primis – affinché il mercato possa funzionare. Il riferimento alla società in questo caso appare mediato, il ruolo del diritto meno creativo rispetto ai fenomeni dell’economia, che hanno vita autonoma nell’ambito degli spazi lasciati liberi da vincoli esternamente imposti per le ragioni di funzionalizzazione già ricordate.

Le considerazioni svolte cambiano parzialmente quando al tema “concessione” in generale si abbina l’oggetto, il bene demaniale.

Le concessioni sono state analizzate spesso come strumenti di organizzazione, prospettiva che trova conferma anche a fondamento della disciplina europea sopra richiamata, che la lega appunto alla libera scelta della P.a. l’adozione di questo modello – di esternalizzazione – per realizzare le attività di sua competenza [10].

Quella proposta non è certo da ritenere l’unica lettura possibile – si pensi ancora alla concessione c.d. costitutiva, ritenuta genus della species quanto agli effetti innovativi prodotti nella sfera giuridica del destinatario –, però, effettivamente, rivela un aspetto importante dell’istituto qui in esame, che come visto regola dei rapporti di cui è parte la Pubblica amministrazione, con particolare rilevanza nell’ambito dell’economia.

Oltre a queste considerazioni occorre anche ricordare che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come risulta dalla lettura dell’articolo 174 è indifferente – anche, potremmo dire – al regime della proprietà scelto dagli Stati membri per definire la relazione che li lega alle vicende che interessano i beni, affermazione tuttavia da ridimensionare alla luce della casistica: si pensi ancora alla scarsità dei beni stessi, che ne limita la fruizione alterando la libera concorrenza. La natura pubblica della proprietà non è l’unico strumento giuridico idoneo a fornire idonee garanzie di accesso ai beni che rivestano un interesse pubblico qualificato ma, una volta adottato, questo ne condiziona conseguentemente i modi di esercizio e di disposizione.

L’affermata, e presunta, neutralità rispetto al regime proprietario definito dalla parte pubblica sostenuta dall’Unione europea deve essere comunque combinata sia a quegli istituti che, come sopra accennato, regolano, ad esempio, l’accesso al mercato, sia anche alla contemporanea definizione, giuridicamente molto forte, che la colloca tra i diritti fondamentali sia nella CEDU sia nella Carta europea dei diritti fondamentali.

Anche in quei testi sovranazionali sono tuttavia presenti dei parametri che, nelle varie declinazioni possibili, tengono sempre aperta la strada per un intervento pubblico statale, qui intendendo per “Stato” riassuntivamente il soggetto responsabile che fa parte dell’Unione europea, e che all’interno delle singole realtà nazionali potrà organizzare per l’appunto come ritenga più opportuno le proprie competenze.

Ci si trova infatti di fronte a situazioni che devono essere risolte con una scelta certo prima politica da parte del legislatore, ma in seguito e con costante frequenza discrezionale da parte dell’Amministrazione. Così è ove si fa riferimento a concetti come l’utilità generale, l’interesse generale, il pubblico interesse: tutte declinazioni che il nostro ordinamento nazionale già conosce, perché presenti con analoga formulazione ampia e indeterminata nella nostra Carta costituzionale.

Spetta quindi all’Amministrazione questo compito importantissimo, cioè quello di realizzare, concretizzandole, le finalità, le funzioni, le attività che soddisfino questi caratteri di rilevanza pubblica tracciati, conformemente, dagli Atti fondamentali che delineano l’ordinamento giuridico attuale, che testimoniano come i beni possano assumere una valenza essenziale per realizzare gli obiettivi dell’Unione europea.

Beninteso, la proprietà pubblica anche ai sensi dell’Unione europea dovrà sempre essere condizionata, come ogni altro fattore, ogni elemento di questo rapporto funzionale al perseguimento dei fini, al raggiungimento degli obiettivi che giustificano l’intervento pubblico; quindi, non potrà mai essere svolta in modo contrastante con quelle che sono le finalità del Trattato.

Anche in questa prospettiva europea occorre dunque ridimensionare il valore assoluto assegnato all’asserita neutralità della proprietà all’interno dell’Unione europea, in termini che si riflettono sull’Amministrazione nazionale, fino ad assegnare una rilevanza molto forte agli interventi che l’abbiano ad oggetto. Questa infatti si può estendere fino alla delineazione del risultato da realizzare nel caso concreto, adempimento che – questo è il dato interessante, segno di quel rinnovamento dell’Amministrazione ricordato in principio, – può anche nascere col contributo dei privati.

3. Segue. Il ruolo della P.a., dalla promozione dell’economia alla soluzione di conflitti e al controllo della compatibilità con l’interesse pubblico

Nei casi sopra ipotizzati la Pubblica amministrazione si può trovare anche a svolgere un ruolo promozionale dell’economia, aperto alle proposte, alle progettualità dei privati, impostando una vera e propria relazione che può rappresentare una importante occasione di rendere effettivo il principio di sussidiarietà, non sovrapponibile alla lettura che privilegia il profilo consensuale riconosciuto alla concessione amministrativa.

Il rapporto basato sul provvedimento concessorio dovrà realizzare il perseguimento di fini pubblici, aspetto al quale non sempre è riconosciuta la dovuta attenzione, rendendo il provvedimento concessorio idoneo a far conseguire anche un vantaggio diretto alla stessa Pubblica amministrazione che in tali casi attraverso la concessione diventa attrice del mercato e ne regola una particolare fattispecie, valorizzando il rapporto che si instaura sin dall’origine coi destinatari dell’atto.

Si tratta, come detto, di dare vita a un’espressone del principio della sussidiarietà orizzontale, ma non si deve dimenticare che la pubblica amministrazione non esaurisce il suo ruolo qui, non lo esaurisce nemmeno nella scelta del contraente.

Anzi, proprio in questa configurazione possiamo aggiungere un’altra connotazione, valida a interare la definizione di concessione.

La concessione non si limita più a conferire dei diritti, ma risolve dei conflitti.

Nel caso dei diritti contendibili, infatti, questo è l’effetto prevalente da misurare, non tanto quello di attribuire i diritti a chi non ne aveva, ma quello di risolvere una contesa potenziale, anche non necessariamente conflittuale, facendo una scelta, cioè svolgendo in pieno l’attività amministrativa che consiste nella ricerca e valutazione di soluzioni sia soggettive sia progettuali, che nel settore dei beni risulta particolarmente interessante.

Questo ragionamento mette in luce un altro aspetto: mentre in quanto per quanto riguarda le altre realtà nei confronti delle quali possiamo rinvenire l’atto concessorio, cioè quelle attinenti ai servizi pubblici e alla realizzazione di infrastrutture, esiste una tipizzazione molto forte anche delle procedure, una stessa attenzione manca per quanto riguarda l’amplissima categoria difficilmente riconducibile ad un unicum dei beni pubblici.

Qui rileva il ruolo della Pubblica amministrazione, titolare del potere concessorio che si affianca a quello dominicale speciale. Prioritario diviene quindi assumere la determinazione sul come utilizzare quei determinati beni, già classificati pubblici ex lege e quindi connotati dal riconoscimento di presentare un interesse pubblico intrinseco, ancorché relazionale agli scopi cui sono preordinati, e sul chi debba svolgere quel compito: se essa stessa direttamente, quando sia possibile e conveniente, o altri soggetti, esterni all’apparato, che possano avere visioni più ampie, maggiori risorse, adottando criteri di scelta che debbono rispettare i criteri delle “3 e”, e della trasparenza.

Risolti questi passaggi prioritari, non si deve dimenticare che la Pubblica amministrazione conserva il delicato compito di controllare che effettivamente quelle finalità cui è vincolata, anche in quanto proprietaria, siano perseguite: non è quindi corretto, come già anticipato, ritenere che il concessionario sia esclusivamente titolare di un privilegio nei confronti di altri aspiranti alla situazione acquisita, in quanto assume contestualmente al diritto di uso la responsabilità di conservare e garantire l’idoneità del bene alla sua destinazione, sostituendosi nella gestione alla P.a. proprietaria -concedente e assumendone i connessi obblighi.

Anche nei confronti della collettività il concessionario assume dunque degli impegni che non si esauriscono nel trasferimento del rischio imprenditoriale, punto centrale, di grande rilevanza se riferito allo sfruttamento economico del bene, finalità che motiva l’azione del concessionario, ma non unico elemento di obbligazione pubblica.

La Pubblica amministrazione, a sua volta, ha il dovere di controllare la continua ottemperanza agli obblighi assunti, a garanzia della funzione del bene concesso, che per sua natura può richiedere adeguamenti connessi all’interesse pubblico da soddisfare dinamicamente.

Si tratta di un aspetto non sufficientemente considerato dalla legislazione, tanto da rivelare, nei casi più gravi, la difficoltà di trovare le modalità corretta per uscire da una certa situazione che si riscontri non (più) corrispondente alla cura dell’interesse pubblico che sostiene la relazione – decadenza, annullamento o revoca? non sempre in pratica i tre distinti istituti sono facilmente sovrapponibili alle fattispecie da risolvere, come si è osservato con riferimento alle concessioni autostradali –, e per sanzionare, o in generale per reagire, di fronte a situazioni che sicuramente siano censurabili nell’ottica dell’Amministrazione proprietaria. Molta attenzione all’entrata nel mercato, a vantaggio di quest’ultimo, poca alla fase eventuale dell’uscita, a tutela della P.a.

In questa più ampia prospettiva anche la classificazione della concessione rivela il suo valore più completo: è uno strumento per l’esercizio di funzioni pubbliche, e in questa accezione deve essere sempre interpretata.

Funzionalizzazione della proprietà pubblica ed esercizio della funzione amministrativa si fondono in questo unico atto, la concessione, che conserva quindi appieno la sua attualità nell’ordinamento vigente, pur tenendo conto delle numerose evoluzioni esterne che la P.a., in genere ha conosciuto e conoscerà per corrispondere alla società di cui è espressione, compresa la riconducibilità all’istituto dell’accordo che segna l’avvicinamento tra la parte pubblica e quella privata[11], senza tuttavia perdere la necessaria connessione con l’attribuzione del potere alla prima delle due, e che giustifica perciò la conservazione di quei requisiti anche formali che l’ordinamento richiede, come ad esempio la necessaria forma scritta.

4. Conclusioni. Il contributo della contabilità pubblica per la risposta – positiva – al quesito

Come anticipato in premessa, le considerazioni svolte sull’attualità, qui confermata, della concessione come provvedimento amministrativo, pur da aggiornare alla luce dei cambiamenti di cui è stata oggetto l’Amministrazione a partire, specialmente, dall’ultima decade del secolo scorso anche sulla spinta dell’influenza europea si intrecciano con quelle che riguardano l’oggetto qui preso in considerazione, il bene demaniale.

Categoria di “beni” che a sua volta risente della crisi della proprietà. Il tema è amplissimo, ed esula dalla finalità delle presenti osservazioni; di certo, ai fini qui perseguiti, può essere utile ricordare le origini della demanialità, nata mutuando l’ordinamento francese post-rivoluzionario per differenziare alcuni beni destinati a una funzione pubblica, il domaine de la Nation, ai quali, in via di eccezione rispetto alla regola, non si è ritenuto applicabile il diritto comune, come alternativa al modello precedente in cui il bene della corona poteva essere utilizzato in modo assolutamente arbitrario[12].

Anche in questo caso da tempo si evidenzia l’opportunità del superamento delle attuali classificazioni della proprietà pubblica disposte dal codice civile, ritenute non più attuali e fonte di un eccessivo irrigidimento.

Occorre inoltre considerare che si stanno affacciando nuove esigenze, collegate a nuove classificazioni, che portano ad esempio alla configurazione del “bene comune”[13], non presente nel codice, con la quale si intendono proporre nuove soluzioni all’esigenza di soddisfazione degli interessi pubblici che in precedenza si ritenevano risolte attraverso la categoria del bene demaniale. La teoria del “bene comune” si presenta come difficilmente conciliabile, per non dire direttamente incompatibile, con la stessa nozione di concessione, anche se la sua affermazione non comporterebbe un “abbandono del campo” da parte della Pubblica amministrazione, per usare un’espressione che, curiosamente, richiama proprio l’etimologia del termine “concessione”, nel senso di ritirarsi, allontanarsi.

Ecco, quindi, che torna il tema della non corretta considerazione del rapporto che si crea tra concedente e concessionario del bene nei riduttivi termini dell’attribuzione di un privilegio, ma piuttosto in quello di riconoscimento della capacità di assumere un ruolo, funzionalizzato, prioritariamente rivolto direttamente o indirettamente alla collettività, compiendo di conseguenza il proprietario responsabile – la P.a. – un “passo indietro” che comporta la sostituzione col privato che subentra nell’impegno di conforme utilizzo del bene, a fronte di un – auspicato – profitto che ne copra l’impegno professionale e l’organizzazione di mezzi.

Un parallelo interessante può essere quello della concessione di servizi pubblici locali di rilevanza economica, settore che risente di una forte influenza europea, in cui la concessione – definita “contratto di concessione” –, principale forma di esternalizzazione, è contemplata tra i modelli di gestione per i servizi a rilevanza economica, ma non è prevista la gestione diretta da parte dell’ente locale, se non nella forma imprenditoriale – privatistica – mediata della società in house providing.

L’effetto della sostituzione del privato al pubblico, con trasferimento non solo e non tanto di diritti ma di responsabilità giuridiche, caratterizza oggi l’istituto della concessione, che inserisce il privato nel sistema amministrativo: si ricorda il principio espresso dall’art. 1, comma 1-ter della l. n. 241 del 1990, che regola la posizione dei privati preposti all’esercizio di attività amministrative nei rapporti con i destinatari delle stesse, estendendo le stesse garanzie imposte al soggetto pubblico.

Ciò premesso, il giurista deve attenersi alle classificazioni codicistiche dei beni, ma ci sono anche riflessioni di carattere sostanziale da collegare per un’interpretazione più coerente con l’ordinamento attuale: l’Unione europea con la propria disciplina volta all’armonizzazione in funzione del libero mercato ha introdotto implicitamente una distinzione tra beni che possono avere un’utilizzazione, una rilevanza per lo sviluppo economico e beni che queste caratteristiche non hanno.

Il tema è complesso, e può ancora una volta richiamare il caso delle “concessioni balneari” per la parte in cui si è dibattuto sulla consistenza dell’oggetto delle stesse, cioè se questo concernesse l’uso del bene demaniale, la spiaggia, o viceversa le attività e dei servizi turistici cui il bene è strumentalmente destinato: ha prevalso, come ormai consolidato, la seconda lettura, che comporta l’operatività della “direttiva servizi” che privilegia l’aspetto dinamico della concessione, l’uso imprenditoriale del bene che perde quindi la sua centralità rispetto all’iniziativa economica che lo sfrutta.

La annosa vicenda qui ancora una volta solo accennata pone in luce tuttavia un aspetto trascurato, cioè il fatto che in genere l’interprete si ponga più frequentemente nella posizione della garanzia da offrire al privato, sia nei confronti della Pubblica amministrazione, sia di eventuali altri competitori, rispetto ai quali si chiede sia garantita la parità di accesso, mentre assai più raramente ci si pone dalla parte della Pubblica amministrazione.

In questa diversa prospettiva i risultati di una valutazione circa la attualità della concessione di beni demaniali, secondo i criteri tradizionali più attenti agli aspetti formali del rapporto, pure importanti, non sarebbero gli stessi.

Si fa riferimento a un momento centrale, che è quello della proficuità, aspetto che riporta il tema del bene demaniale alla sua collocazione originaria negli studi del Diritto amministrativo, cioè alla contabilità pubblica, in cui la distinzione dei beni rileva tuttora per l’inventario del patrimonio dello Stato.

La materia qui trattata non rientra nell’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, testo normativo in cui oggi è evidente, se non prevalente, l’obiettivo di tutela della concorrenza, ma si applica integralmente la disciplina sulla contabilità dello Stato.

In effetti i principi espressi dal codice dei contratti sono da ritenere comuni anche alla fattispecie qui in esame, in quanto diretta espressione dello “spirito”, per così dire, del Trattato sull’Unione, esprimono la finalità per cui quella disciplina è stata posta, quindi al di là del dato testuale sarebbe errato pensare che in futuro operatori amministrativi e giudici non siano influenzati dalla loro applicazione.

È quindi utile richiamare, a titolo esemplificativo, il primo principio, quello del risultato ex art. 1 del d.lgs. n. 36 cit., che evidenzia la funzione esercitata dalla Pubblica amministrazione nel momento in cui entra in contatto con un operatore privato.

Il primo adempimento richiestole, che del resto rappresenta la sintesi di principi già presenti ed espressi nella legislazione non settoriale, è quello di compiere una valutazione che sia basata anche sulla convenienza di quello che fa, sulla convenienza della scelta. Tale convenienza della scelta non può essere intesa in astratto, ma deve essere rapportata anche agli interessi della stessa Pubblica amministrazione, come soggetto agente.

La P.a. si pone come interprete nella definizione dell’interesse pubblico da soddisfare e, una volta effettuata la scelta di rivolgersi a un terzo ad essa esterno, avviata la gara, a quel punto deve scegliere l’offerta che, richiamando la terminologia utilizzata dall’art. 37 del codice della navigazione riferito al concorso di più domande di concessione a preferire «il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua ultimazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’Amministrazione, risponda a un più rilevante interesse pubblico».

L’attualità del testo è di tutta evidenza, e si accompagna ad altro testo, ancora più lontano nel tempo ma in ciò ancora più interessante in quanto pone il problema alle fondamenta della costituenda Unità nazionale: la legge di contabilità 22 aprile 1869 n. 5026 sull’amministrazione del patrimonio dello Stato e sulla contabilità generale, che rappresenta l’antecedente per la disciplina sui controlli interni. In quel contesto, la Ragioneria generale dello Stato assume un ruolo fondamentale: infatti, il r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 attribuisce al Ministero del tesoro non solo i controlli di legittimità e contabile, ma anche quello sulla proficuità della spesa.

Si tratta, in sostanza, di un controllo di merito, in quanto è diretto a valutare la convenienza della spesa stessa: in definitiva, è la base per verificare la “sana gestione” delle risorse pubbliche, anticipando il controllo di gestione, elemento essenziale del budget economico oggi esteso a tutte le P.a. oltre che al sistema aziendale privato.

Si conferma nella stessa direzione il d.lgs. n.123 del 2011, sulla riforma dei regolarità amministrativa e contabile, il cui art. 2 comma 2, affida appunto alla Ragioneria dello Stato il controllo sulla proficuità della spesa.

In questo contesto, per esprimere un concetto analogo a quello che si è inteso evidenziare con il richiamo alla proficuità attesa dall’utilizzo del bene demaniale, è interessante richiamare l’art. 838 cod. civ., secondo il quale quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all’espropriazione dei beni da parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità. La stessa disposizione si applica se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città o alle ragioni dell’arte, della storia o della sanità pubblica”.

La norma, pur priva di applicazione, anticipa la funzionalizzazione della proprietà in questo caso direttamente collegandola all’interesse economico nazionale, espressione che a sua volta richiama quella dell’unità economica che, ai sensi dell’art. 120 cost. motiva il superamento dell’ordine delle competenze ripartite tra enti territoriali. I collegamenti proposti mettono in relazione norme affatto diverse, come contesto storico e sistematico ma pongono tutte in luce l’obiettivo prioritario assegnato all’utilizzo qualificato dei beni, strumenti essenziali per garantire lo sviluppo e la realizzazione dei fini pubblici.

Questo pur sintetico richiamo ad alcune disposizioni proprie della contabilità pubblica si intreccia strettamente con la materia qui considerata.

Nella legge annuale per il mercato della concorrenza del 2021, l. n. 118 del 2022, infatti, il Legislatore nazionale decide di “fare i conti” del tesoro che possiede, e decide di provvedere alla mappatura dei beni che, sorprendentemente, non esisteva e ancora non esiste al completo, mappatura dei beni che è necessaria sia per l’attuazione proprio della direttiva Bolkenstein, secondo quanto la legge che prevede questo adempimento che questa legge introduce, dato che per essere in linea con gli obblighi euro-unitari, occorre conoscere l’entità, quantificare le risorse interessate.

Quantificazione che giustamente non esclude la qualificazione: la legge annuale per il mercato del 2021 impone in sostanza alle Amministrazioni di raccogliere ogni dato utile a verificare la proficuità dell’utilizzo economico del bene, in una prospettiva di tutela e valorizzazione del bene stesso nell’interesse pubblico. Il d.lgs n. 106 del 2023, che attua la delega legislativa disposta dalla l. n. 118 cit., evidenzia preliminarmente l’eterogeneità del fenomeno delle concessioni dei beni pubblici per soddisfare le necessarie esigenze conoscitive, e torna appunto a chiedere i dati utili per valutare la proficuità della spesa.

Il dossier che accompagna la legge annuale per il mercato del 2021 – A.S. 2469 – B, XVIII Legislatura – riporta a segnalazione 1730 dell’Autorità della concorrenza e del mercato del 22 marzo 2021, l’appunto, dalla quale si rileva che nel 2019 su un totale di 29.689 concessione demaniali marittime – espressamente oggetto dell’intervento legislativo, stante la conflittualità dell’argomento divenuto centrale anche per il dibattito politico –, 21.581 sono assoggettate a un canone inferiore a 2.500 euro dalle concessioni demaniali, portando come introito complessivo allo Stato italiano 115 milioni di euro[14]. Non è difficile rilevare l’esiguità dell’importo a fronte del valore del mercato turistico che si intende comunque valorizzare.

Quello citato, come detto, rappresenta un caso emblematico, accompagnato nella specie da ricorrente ricorso alla sub concessione e alla proroga a tempo indeterminato, determinando un uso inefficiente dello strumento concessorio e del ruolo proprietario da parte dell’Amministrazione competente.

Il settore del demanio a scopo balneare richiedere un approfondimento che, come più volte affermato, non è obiettivo di queste note, anche in ragione dell’intreccio con tradizioni e valorizzazioni locali che non possono essere disperse; senza quindi entrare nel merito della vicenda, anche in ragione di questa controversa interpretazione della fattispecie occorre esprimere gratitudine all’Unione europea, in quanto da quello che è stato giudicato un nostro inadempimento è nata l’occasione per recuperare valore alle risorse di cui noi, come si è visto anche inconsapevolmente, siamo dotati.

In conclusione, di queste brevi note, e a riprova della complessità della materia, ricca di implicazioni che la collocano in un sistema giuridico plurisettoriale, merita di essere ricordato anche il dibattito in corso che riguarda gli immobili pubblici e le concessioni demaniali.

Anche in questo caso merita di essere richiamato lo Studio della Camera dei deputati del 26 settembre del 2022 che assegna all’Agenzia del demanio il compito di individuare le forme di rigenerazione degli immobili in uso alle amministrazioni statali, di rifunzionalizzazione di beni non strumentali, dando vita a una categoria interessantissima di concessione che è la categoria della concessione di valorizzazione.

Si afferma quindi un ulteriore modello di gestione dei beni pubblici attraverso il multiforme strumento della concessione, ancora da sperimentare adeguatamente ma che sin d’ora si presenta coerente con la lettura che si è qui proposta, per evidenziare la necessità di valorizzare, anche nell’accezione patrimoniale che li caratterizza, la categoria sottostimata dei beni che presentano rilevanza economica idonea a sostenere lo sviluppo nell’interesse generale.

La conclusione non può che essere quella di ritenere la concessione di beni demaniali uno strumento tuttora attuale, anzi nel pieno della sua vitalità, che l’Amministrazione è tenuta a utilizzare anche a proprio diretto vantaggio.

  1. Il presente scritto è dedicato a Guido Greco e destinato ad essere successivamente pubblicato nel Liber Amicorum per Guido Greco, a cura di F.G. Scoca, M.P. Chiti, D.U. Galetta, di prossima pubblicazione nella Collana del Dipartimento di Diritto Pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano (Giappichelli, Torino 2024). Se ne anticipa la pubblicazione in quanto di interesse per la Rivista, in ragione dei temi trattati. Data la sua peculiare natura di contributo “dedicato” e destinato a “Scritti in onore”, non è stato sottoposto alla consueta procedura di referaggio esterna.
  2. Il pensiero è rivolto, in particolare, alla creazione della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, attiva dal 1991, che ha realizzato un punto di incontro e confronto scientifico stabile sull’interrelazione tra ordinamento nazionale e quello delle Comunità Europee, analizzando la progressiva evoluzione, sempre più interconnessa, delle due dimensioni istituzionali considerate, evidenziando in particolare l’influenza che il livello sovranazionale, divenuto euro-unitario, ha avuto sulla trasformazione dell’Amministrazione italiana, anche oltre l’adozione di normative europee. La preziosa iniziativa, dovuta ai Direttori M.P. Chiti e G. Greco, crea un collegamento stabile tra studiosi dei Paesi membri dell’Unione, ampliando quindi lo studio con riferimento a modelli e istituti amministrativi presenti in ambito Europeo.

    All’influenza dell’Unione europea sul diritto amministrativo Guido Greco ha dedicato molta parte della sua amplissima attività scientifica; tra gli studi che maggiormente hanno contribuito all’evidenziazione di questa nuova prospettiva cfr. G. Greco, Normativa comunitaria e ordinamento nazionale, in Il diritto dell’economia, 1989, p. 371; Id, Profili di diritto pubblico italo-comunitario, in Argomenti di diritto pubblico italo-comunitario, Giuffrè, Milano, 1989, pp. 30 ss.; Id, Il diritto comunitario propulsore del diritto amministrativo europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1993, pp. 85 ss.; Id, Effettività del diritto amministrativo nel sistema comunitario (e recessività nell’ordinamento nazionale), in Dir. amm., 2003, pp. 277 ss.; Il Sistema italiano e l’ordinamento europeo (i rapporti fra i diversi livelli di governo), in M.R. Spasiano (a cura di), Il contributo del diritto amministrativo in 150 anni di Unità d’Italia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012; Id, Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino, in Dir. Amm., 3, 2014, pp. 585 ss.; Id, L’inesauribilità del diritto europeo a rilevanza amministrativa, in G. della Cananea, C. Franchini (a cura di), Il diritto che cambia. Liber amicorum Mario Pilade Chiti, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, pp. 97 ss.

  3. Cfr. in dottrina M. Dugato, Il regime dei beni pubblici: dall’appartenenza al fine, in A. Police (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione, gestione, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 17 ss.; G. Della Cananea, Dalla proprietà agli usi: un’analisi comparata, in ibidem, pp. 63 ss.
  4. Cfr. F. Fracchia, Concessioni, contratti e beni pubblici, in A. Police (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione, gestione, cit., pp. 493 ss.; ibidem, M. R., Spasiano, L’uso dei beni in concessione per finalità non rispondenti a bisogni di interesse generale, pp. 507 ss.
  5. Sul tema v. M. Renna, voce Beni pubblici, in Enc. Dir., Milano, 2022, pp. 149 ss.
  6. Sul punto, ampiamente dibattuto in dottrina e oggetto di numerose pronunce giurisdizionali, Europee e nazionali, sia consentito rinviare a M. Gola, Il Consiglio di Stato, l’Europa e le “concessioni balneari”: si chiude una – annosa – vicenda o resta ancora aperta?, in Diritto e società, 3, 2021, pp. 402 ss.; con riferimento agli sviluppi successivi v. L. Corradetti, Esperienze e soluzioni nella disciplina giuridica delle concessioni demaniali marittime, in www.giustamm.it, 11, 2023, pp. 1 ss. Per la giurisprudenza più recente v. Cons. St., 20 maggio 2024, n. 4479, che ribadisce l’obbligo di disapplicazione della normativa nazionale confliggente con la direttiva 2006/123/CE, art. 12, e con l’art. 49 T.F.U.E. (fattispecie relativa all’illegittimità delle proroghe automatiche del provvedimento concessorio, fondata sulla valutata scarsità della risorsa che ne è oggetto). In dottrina, con una diversa prospettiva, v. anche A.M. Abruzzese, Evoluzioni del diritto di proprietà sui beni pubblici. Il demanio marittimo, da demanio necessario a bene comune. Il caso di Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2023.
  7. Il “tipo” di concessione cui si riferisce l’Unione è così esplicitato nell’11° considerando: «Le concessioni sono contratti a titolo oneroso mediante i quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la prestazione e gestione di servizi a uno o più operatori economici. Tali contratti hanno per oggetto l’acquisizione di lavori o servizi attraverso una concessione il cui corrispettivo consiste nel diritto di gestire i lavori o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Essi possono, ma non devono necessariamente, implicare un trasferimento di proprietà alle amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori, ma i vantaggi derivanti dai lavori o servizi in questione spettano sempre alle amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori». L’armonizzazione così imposta si ferma tuttavia di fronte all’operatività del «principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche», sancito all’art. 2, ove si conferma che «La presente direttiva riconosce il principio per cui le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici». Resta quindi confermata la compatibilità con l’ordinamento europeo delle discipline nazionali, riconoscimento valido per gli ambiti non ricadenti nell’ambito di applicazione della direttiva richiamata come quello della concessione di beni demaniali qui considerato.

    Tra i primi scritti che hanno approfondito la portata della disciplina europea sopra richiamata si segnala G. Greco, La direttiva in materia di «concessioni», in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 5, 2015, pp. 1095 ss.

  8. Sul tema v. ampiamente B. Tonoletti, Beni pubblici e concessioni, Cedam, Padova, 2008, il quale sottolinea il passaggio dal concetto di destinazione a quello di funzionalizzazione: passim, spec., p. 210.
  9. V. ampiamente M. D’Alberti, voce Concessioni amministrative, Enc giur Treccani, VII, 1988; F. Fracchia, voce Concessione amministrativa, in Enc. del dir., Annali , vol. I, Milano 2007, pp. 250 ss., e bibliografie ivi citate.
  10. Cfr supra, nota 11.
  11. Sul tema, ampiamente, G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Giappichelli, Torino, 2003, spec. pp. 160, 163.
  12. V., tra gli studi più recenti, la puntuale ricostruzione di V. Cerulli Irelli, Diritto pubblico della ‘proprietà’ e dei ‘beni’, Giappichelli, Torino, 2022, pp. 108 ss., ove si riconduce a quel momento anche l’affermazione del concetto di destinazione che connota ancora oggi i beni pubblici, pur se affiancato e superato da quello della funzionalizzazione. Cfr. anche V. Caputi Jambrenghi, Premesse per una teoria dell’uso dei beni pubblici, Napoli, 1979 e, dello stesso Autore, il più recente Beni pubblici tra uso pubblico e interesse finanziario, in A. Police (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione, gestione, cit. pp. 459 ss.

    L’istituto trova ancora la sua più completa ricostruzione nell’opera monografica di E. Guicciardi, Il demanio, Padova, (rist. anast. 1934), Cedam, Padova 1989.

  13. V. ancora, ampiamente, V. Cerulli Irelli, Diritto pubblico della ‘proprietà’ e dei ‘beni’, cit., pp. 149 ss., e bibliografia ivi citata cui si rinvia per l’approfondimento del tema.
  14. La segnalazione è riportata nel Dossier cit. nel testo, p. 24.