Indipendenza delle autorità di regolamentazione e principio di autonomia istituzionale

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4/2020

Indipendenza delle autorità di regolamentazione e principio di autonomia istituzionale

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Nella recente sentenza del giugno 2020 nella causa C-378/19 (Prezident Slovenskej republiky), la Corte è nuovamente chiamata a pronunciarsi sul tema della ‘indipendenza’ delle Autorità di regolamentazione. In particolare, deve fornire risposta alla domanda se possa considerarsi ‘indipendente un’Autorità di nomina (e revoca) governativa ovvero un’Autorità ai cui procedimenti di fissazione dei prezzi partecipino rappresentanti dei Ministeri nazionali. Quindi, conseguentemente, la Corte deve valutare se possa considerarsi legittima la normativa slovacca di attuazione della Direttiva 2009/72/CE relativa al mercato interno dell’energia, con particolare riguardo all’art. 35 della stessa Direttiva, che disciplina appunto la designazione e la garanzia dell’indipendenza dell’Autorità di regolamentazione. La Corte conclude che, in attuazione del principio di autonomia istituzionale, secondo cui, inter alia, agli Stati membri possono definire i loro assetti organizzativi, la normativa nazionale in questione, non può essere considerata di per sé illegittima, purché vengano rispettati tutti i requisiti di garanzia previsti dalla Direttiva al fine di assicurare l’indipendenza dell’Autorità. In altre parole, la nomina (e revoca) governativa e la partecipazione ministeriale al procedimento di fissazione dei prezzi non inficiano ex se il requisito dell’indipendenza. Ad ogni modo, i criteri con cui questa nomina e revoca vengono effettuate devono essere tali da non compromettere l’obiettivo di integrazione dello specifico mercato, garantendo appunto l’indipendenza in concreto del regolatore. Questa sentenza, pur essendo di fatto in linea con la giurisprudenza precedente (anche se la Corte non si pronuncia sulla legittimità della scelta nazionale, ma rimanda la valutazione al giudice del rinvio), che lascia agli Stati membri ampi margini di scelta relativi alle modalità di organizzazione e di attribuzione dei poteri delle Autorità indipendenti, salvo il rispetto di requisiti minimi di garanzia volti a garantire il raggiungimento degli obiettivi della normativa considerata, ci fornisce l’occasione per soffermarci sul tema dell’autonomia istituzionale nell’ambito dello specifico settore delle Autorità indipendenti e per svolgere alcune riflessioni conclusive.


Independence of the regulatory Authorities and institutional autonomy
In the recent judgment of June 2020 in case C-378/19 (Prezident Slovenskej republiky), the Court is once again called upon to rule on the definition of ‘independencÈ regarding regulatory Authorities. In particular, it has to give an answer to the question on whether it can be considered as independent an Authority which is appointed by the Government and to which procedures are allowed to take part representatives of the ministries. Therefore, the Court has to assess whether the Slovak legislation implementing Directive 2009/72/EC, relating to the internal energy market can be considered legitimate, with particular regard to art. 35 of the same Directive, which precisely governs the designation and independence of the regulatory Authority. The Court concludes that, in accordance with the principle of institutional autonomy, which, inter alia, allows Member States to decide on their internal administrative organisation, the national legislation in question cannot be considered per se illegitimate, provided that all the requirements are met indicated by the Directive in order to ensure the independence of the Authority. In other words, governmental appointment and ministerial participation in the price-fixing procedures do not affect ex se the independence of the regulator. In any case, the criteria in accordance to which this appointment is carried out must be as such as not to compromise the objective of the integration of the specific market, precisely that of guaranteeing the independence of the regulator. This decision, despite being in line with the previous case-law (even if the Court does not give a definite answer left to the national judge) which leaves Member States wide margins of choice in relation to the organisation and powers of the independent Authorities, provided that minimum requirements are met aimed at guaranteeing the achievement of the objectives of the legislation considered, it gives us the opportunity to dwell on the issue of institutional autonomy in the specific sector of the independent Authorities and make some final considerations.

1. L’autonomia istituzionale nell’ambito del sistema europeo: cenni

L’autonomia istituzionale[1] degli Stati non trova espresso richiamo, né espressa definizione nei Trattati. Il termine ‘autonomia istituzionalÈ, appare nella giurisprudenza[2] e in atti delle istituzioni europee[3], ma risulta soprattutto il frutto di elaborazione dottrinaria. Inoltre, proprio a causa della mancanza di una definizione, risulta dubbio il confine con un altro dei principi che caratterizzano il rapporto tra Unione e Stati membri: ossia quello dell’autonomia procedurale[4].

Le definizioni che dell’autonomia istituzionale vengono offerte dalla dottrina sono spesso differenti fra loro e tendono a sottolinearne aspetti diversi.

Da una parte, si riconduce all’autonomia istituzionale la libertà degli Stati membri di definire gli assetti organizzativi nazionali[5] [6] [7]; dall’altra, la libertà degli Stati membri di scegliere le modalità di esecuzione del diritto europeo[8] (riguardanti, sia gli aspetti organizzativi, che procedurali) [9], nonché di individuare i soggetti competenti[10]. Se, poi parte della dottrina la sottopone a critica, contestandone addirittura l’utilità giuridica[11], altra parte ritiene che l’autonomia istituzionale debba essere considerata come un paramento di validità degli atti dell’Unione[12].

Premessa, quindi, la non unanimità della dottrina, né con riguardo ai contenuti, né con riguardo alla rilevanza dell’autonomia istituzionale, è necessario sottolineare, che il rispetto (almeno tendenziale) di una sfera di autonomia degli Stati membri relativa alla loro organizzazione interna, alle modalità di esercizio del potere pubblico (anche attuativo del diritto europeo), sia espressione di una visione costituzionale alla base della stessa struttura giuridico-politica dell’Unione, secondo cui gli Stati devono veder (tendenzialmente) rispettata la propria Sovranità nazionale[13], e mantengono un ambito di intervento e di scelta rappresentato dalle decisioni sulla loro struttura costituzionale, nonché sull’esercizio del potere pubblico[14] e sulle relative scelte organizzative e procedurali.

Come è noto, il Trattato individua quale soggetto cardine dell’applicazione della normativa del mercato ‘l’impresa’[15], qualificata dalla Corte come entità che svolge attività economica, contrapposta appunto al soggetto ‘pubblico’ (in senso eurounitario), che svolge attività non-economica e che, quindi, è sottratto all’applicazione della normativa europea del mercato[16]. In altre parole, i confini esterni del mercato sono ‘le attività che partecipano all’esercizio dei pubblici poteri[17], ossia le attività che sono «l’incarnazione della Sovranità dello Stato e come tali consentono ai soggetti che ne sono investiti di avvalersi di prerogative che esorbitano dal diritto comune, di privilegio e di poteri coercitivi a cui i privati devono sottomettersi»[18] (art. 51 TFUE e art. art. 49, n. 4 TFUE).

Se l’esercizio del potere pubblico (intrinsecamente collegato appunto alla Sovranità statale) è prerogativa degli Stati membri, lo sarà anche quella di regolare il relativo esercizio, attraverso la disciplina del procedimento amministrativo, nonché di individuare quali soggetti debbano esercitare siffatto potere o, comunque, venire considerati amministrazioni[19]. Sicché, la specifica scelta costituzionale alla base dei Trattati è quella di riservare agli Stati membri le scelte relative alla Sovranità statale, scelte che coinvolgono ovviamente anche le forme e l’organizzazione relativa all’esercizio del potere pubblico (o dell’attività economica pubblica).

Questo, nell’ambito di un sistema che individua il ‘principio di attribuzionÈ come criterio di riparto di competenze tra Unione e Stati membri e i principi di ‘sussidiarietà’ e ‘proporzionalità’[20] come criteri che regolano l’esercizio delle competenze dell’Unione. Alla base del rispetto della Sovranità statale, troviamo, poi, un principio caratterizzante la costruzione europea, il principio ‘dell’irrilevanza per il diritto europeo delle questioni puramente internÈ, secondo cui una delle condizioni di applicabilità della normativa europea è che la questione o l’attività in oggetto abbiano ‘rilevanza comunitaria’, ossia abbiano natura transfrontaliera o, comunque, abbiano o possano avere un effetto sull’integrazione europea[21].

Da ultimo giova ricordare che uno degli aspetti riconducibili all’autonomia istituzionale è la libertà relativa alla scelta delle modalità attuative del diritto europeo, sia con riguardo alle scelte organizzative, che procedimentali. In effetti, nell’ambito delle materie di competenza europea, la scelta costituzionale di base[22] è quella secondo cui, almeno in linea tendenziale[23], l’attuazione delle politiche dell’Unione deve avvenire a livello decentrato, da parte degli Stati membri[24].

Se l’autonomia istituzionale è elemento inscindibile del sistema costituzionale europeo, altrettanto lo sono i relativi limiti, che ne diventano di fatto parte integrante del contenuto e della definizione.

Ogni scelta nazionale, infatti, deve entrare in dialogo con il progetto europeo ed evidentemente non può che rimanerne condizionata, in maniera variabile a seconda della rilevanza e dell’incidenza della decisione stessa per il raggiungimento degli obiettivi dei Trattati.

Come è chiaro, infatti, se deve essere garantito il rispetto (almeno tendenziale) delle prerogative degli Stati membri è, altrettanto, evidente che questo rispetto non può compromettere l’effettività[25] del diritto europeo, pena la crisi stessa del sistema. Il bilanciamento fra queste opposte esigenze avviene, sia a livello politico, che giurisprudenziale.

Il paragrafo che segue affronta appunto questo bilanciamento di interessi con riguardo alla istituzione delle Autorità indipendenti.

2. Autonomia istituzionale ed organizzazione amministrativa: le Autorità amministrative indipendenti

Come abbiamo detto, uno degli elementi in cui si sostanzia l’autonomia istituzionale è la libertà degli Stati membri di decidere con riguardo alla propria ‘organizzazione amministrativa’.

Ad ogni modo, è di palese evidenza che molti atti normativi europei impongono l’istituzione di organi o uffici competenti, specifici modelli organizzativi[26], ovvero dettano più o meno dettagliate disposizioni che regolano determinati iter procedimentali[27].

In questo caso, sembrerebbe palese un conflitto con l’autonomia istituzionale. In realtà, il conflitto è solo apparente.

Innanzitutto, la dottrina[28] ha sottolineato che il fondamento giuridico di questi interventi è rappresentato dall’art.114 TFUE[29], il quale, secondo la Corte di giustizia[30], riferendosi a ‘misure di ravvicinamento’, comprende anche il potere del Consiglio e della Commissione di prescrivere determinati modelli organizzativi se necessari a tale fine.

Inoltre, anche sulla base del principio di sussidiarietà, questo intervento è consentito alle istituzioni UE, nella misura in cui lo stesso risulti necessario al perseguimento di un obiettivo europeo.

In altre parole, l’intervento sull’organizzazione nazionale (o sulle discipline procedimentali), nel rispetto appunto dell’autonomia istituzionale, deve essere giustificato dal perseguimento di un determinato obiettivo e deve essere con riguardo al raggiungimento dello stesso necessario e proporzionato.

In questo senso, particolari questioni sono state sollevate in giurisprudenza con riguardo all’istituzione delle Autorità indipendenti.

Come è noto, infatti, le Direttive europee di liberalizzazione dei grandi servizi a rete (ma non solo)[31] prescrivono l’istituzione di organismi ‘indipendenti’ a cui attribuire funzioni di regolazione.

Come in altri settori, per esempio, quello del mutuo riconoscimento dei diplomi, anche nelle Direttive summenzionate, vengono indicate delle funzioni che devono essere svolte con la necessità, quindi, di individuare delle soggettività preposte; nonché vengono dettate previsioni riguardanti i relativi poteri e procedimenti[32].

Il rapporto (e il conflitto) fra queste imposizioni normative e l’autonomia istituzionale è stato affrontato espressamente in ambito giurisprudenziale.

La Corte chiarisce, infatti, che l’autonomia degli Stati membri di organizzare e configurare le Autorità, nonché di attribuire alle stesse determinati poteri, deve dialogare con il rispetto degli obiettivi e degli obblighi stabiliti dalla normativa di riferimento. In altre parole, le scelte riguardanti la disciplina delle Autorità non possono compromettere il raggiungimento degli obiettivi europei.

Di particolare interesse ed utilità al fine dell’inquadramento di questo tema, risultano le Conclusioni dell’Avvocato Generale P. Cruz Villalòn, relative alla causa Base NV[33], nell’ambito delle quali, viene efficacemente delineata la problematicità del quadro del rapporto tra gli obblighi imposti dalle Direttive (in questo caso riguardanti la materia delle comunicazioni elettroniche) e l’autonomia istituzionale degli Stati membri.

La questione riguardava la presunta illegittimità della normativa belga che attribuiva al legislatore alcune funzioni di regolazione in materia.

Infatti, la normativa europea sulle comunicazioni elettroniche individua una serie di compiti di regolazione, e prescrive che questi compiti vengano svolti da ‘organismi competenti’ (Autorità nazionali di regolamentazione – ANR). Inoltre, stabilisce che gli Stati membri garantiscano ‘l’indipendenza’ delle ANR, provvedendo affiche le stesse siano giuridicamente distinte e funzionalmente autonome da tutti gli organismi che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica. Nonché, nel caso in cui gli Stati membri mantengano la proprietà o il controllo di imprese che forniscono reti e/o servizi di comunicazione elettronica, gli stessi debbono provvedere alla piena ed effettiva separazione strutturale delle funzioni di regolamentazione dalle attività inerenti alla proprietà e al controllo.

Ricorda l’Avvocato Generale che questa scelta ha sicuramente un profondo impatto istituzionale, e si inserisce nell’ambito del processo di apertura di mercati strategici, tradizionalmente monopolizzati dallo Stato, di fatto imponendo, allo Stato medesimo una separazione di funzioni: da un lato, quella di mediatore dotato di pubblici poteri; dall’altro, quella di imprenditore con legittime aspettative di profitto. Al fine di rendere compatibili questi due aspetti, si attribuisce la funzione di regolazione ad Autorità indipendenti.

L’Avvocato Generale sottolinea che, pur essendo indicato nelle Direttive che le Autorità in questione sono Autorità indipendenti (nei termini specificati dalla stessa normativa), gli Stati membri mantengono ugualmente un margine di discrezionalità, per definire l’esatta portata di questa indipendenza o, meglio, per definire la struttura delle Autorità.

Orbene, l’Avvocato Generale mette in evidenza che la designazione degli organi degli Stati membri da incaricare dell’adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione deve avvenire conformemente ai rispettivi sistemi costituzionali, ed in autonomia. Ad ogni modo, la ripartizione dei poteri effettuata negli Stati membri non deve mettere a rischio, né il tenore letterale, né l’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione.

Sicché, la creazione e la regolamentazione delle ANR avviene in un ambito generale e astratto, fissato dalle Direttive, che spetta agli Stati membri precisare con un considerevole margine di autonomia e sulla base di criteri di volta in volta indicati dalla Corte.

A proposito dei criteri individuati dalla Corte, nella sentenza Comisión del Mercado de las Telecomunicaciones[34], si chiede se uno Stato membro possa attribuire a diversi organismi la funzione (regolatoria) riguardante l’assegnazione di risorse di numerazione nazionali e di gestione dei piani nazionali di numerazione.

L’esercizio di tali funzioni in Spagna era ripartito tra l’ANR nazionale e il Governo.

La Corte conclude che la Direttiva non osta a che uno Stato membro suddivida fra diversi organismi le funzioni attribuite alle ANR. Tuttavia, la sentenza introduce un’importante riserva, precisando che gli Stati membri devono, non soltanto garantire l’autonomia funzionale delle Autorità di regolamentazione rispetto agli organismi che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica, ‘ma altresì rendere pubbliche, in forma facilmente accessibile, le funzioni esercitate dalle Autorità nazionali di regolamentazione e notificare alla Commissione il nome delle Autorità di regolamentazione cui sono state attribuite le funzioni di cui trattasi e le loro competenze rispettivÈ.

Ancora. Nella sentenza Commissione/Germania[35], la Commissione aveva proposto ricorso per inadempimento contro la Germania, sostenendo che la stessa avesse violato la normativa in materia di telecomunicazioni, poiché aveva limitato per legge il potere discrezionale dell’ANR, escludendo (salvo eccezioni) dal suo ambito di intervento un tipo particolare di mercato (nuovo mercato); e poiché aveva ridotto i poteri di orientamento e di intervento dell’ANR alla quale era imposto di rispettare specifici obiettivi regolatori stabiliti sempre per legge.

La Corte conclude nel senso indicato dalla Commissione; in primo luogo, infatti, dato che il legislatore tedesco ha escluso l’ANR dalla definizione e dall’analisi dei nuovi mercati, lo stesso ha privato tale organismo dei poteri ad esso ‘espressamentÈ conferiti dalle Direttive.

Inoltre, è anche illegittima quella disposizione di legge che indica determinati obiettivi che l’ANR deve perseguire, escludendone altri previsti dalle Direttive. Infatti, quando il legislatore attribuisce priorità a uno degli obiettivi imposti alle ANR dalla Direttiva, esso ‘effettua un bilanciamento dei citati obiettivi, che spetta invece all’ANR nell’esercizio delle funzioni di regolamentazione di cui è investita’.

Sicché, può accadere che il legislatore nazionale adotti decisioni che incidono direttamente sulle funzioni dell’ANR, pur senza attribuirsi tale qualifica, tuttavia, perché questo intervento risulti conforme alle Direttive, occorre che non vengano ad essere limitate, né escluse funzioni che le Direttive conferiscono espressamente all’ANR.

Siffatta limitazione delle competenze legislative degli Stati membri si giustifica con la ragion d’essere delle ANR, create ed istituite per finalità specifiche che devono essere conseguite attraverso organismi tecnici, funzionalmente separati dalle attività del Governo e del Parlamento.

Infatti si ricorda che gli Stati membri sono obbligati, nell’attuare una Direttiva, a garantire la piena efficacia di questa, pur disponendo di un ampio margine discrezionale quanto alla scelta dei mezzi. Secondariamente, gli Stati membri, in materia, dispongono di ‘autonomia istituzionalÈ nell’organizzare e configurare le loro Autorità di regolamentazione; tale autonomia può tuttavia operare solamente nel pieno rispetto degli obiettivi e degli obblighi sanciti dalla Direttiva in parola. Così, uno Stato membro può attribuire di fatto al legislatore nazionale i compiti spettanti alle Autorità nazionali di regolamentazione, ma solo qualora l’organo legislativo, nello svolgimento di tali compiti, soddisfi i requisiti di organizzazione e di funzionamento cui dette Direttive assoggettano tali Autorità.

2.1. Indipendenza delle Autorità e autonomia istituzionale

È però, soprattutto, il requisito dell’‘indipendenza’[36] di questi soggetti (e le conseguenze che ne derivano) che pone particolari problemi di rapporto con l’autonomia istituzionale.

Il diritto europeo prevede l’istituzione di soggetti ‘competenti, indipendenti e autonomi’ a cui attribuire funzioni lato sensu regolatorie.

Il requisito dell’indipendenza è stato oggetto di un acceso dibattito dottrinario e giurisprudenziale[37], soprattutto con riguardo alla questione se lo stesso requisito dovesse essere inteso, solo nei confronti degli operatori economici operanti sul mercato di riferimento (o, più in generale, degli organismi soggetti al controllo), ovvero anche nei confronti del Governo e del potere politico. Naturalmente, nel caso in cui questo non fosse già stato stabilito a livello normativo.

A favore dell’interpretazione estensiva dello stesso concetto si è posta la Corte, in svariate pronunce relative alle Autorità istituite in attuazione della normativa europea sulla protezione dei dati personali.

Nella sentenza Commissione/Germania[38], la Corte è chiamata a fornire l’interpretazione del requisito della ‘piena indipendenza’ che, sulla base di quanto previsto dalla normativa europea in oggetto, deve caratterizzare l’Autorità nazionale per la protezione dei dati personali.

La Corte chiarisce che le Autorità «devono essere sottratte a qualsiasi influenza esterna, compresa quella, diretta o indiretta, dello Stato»[39]. Infatti, « solo così le autorità possono svolgere le loro funzioni, in modo obiettivo ed imparziale, ed assicurare un giusto equilibrio fra, da un lato, il rispetto del diritto fondamentale alla vita privata e, dall’altro, gli interessi che impongono una libera circolazione dei dati personali»[40].

Invece, non è sufficiente al raggiungimento degli obiettivi della Direttiva che le stesse Autorità siano solamente poste al riparo dall’influenza degli organismi controllati.

La questione era già stata affrontata, seppure in via indiretta, nel 1993, nella causa Decoster[41].

Con questa pronuncia, la Corte dichiarava, infatti, l’illegittimità di una normativa nazionale (francese), la quale vietava agli operatori economici di fabbricare, importare, vendere o distribuire apparecchi terminali, privi di specifica omologazione, senza però garantire l’indipendenza funzionale[42] del regolatore.

In questo caso, infatti il Ministero delle Poste oltre a svolgere le funzioni di regolazione, si occupava anche dell’esercizio della rete pubblica di telecomunicazioni e dell’attuazione della politica commerciale delle telecomunicazioni.

Non è, dunque, un caso se, alcune Direttive di ultima generazione, in particolare nel settore energetico (energia elettrica e gas naturale) sono esplicite nell’affermare la necessità che l’indipendenza delle Autorità sia garantita anche nei confronti del potere politico[43].

Il conflitto, in particolare, tra l’imposizione dell’indipendenza dal potere politico e l’autonomia istituzionale viene messo in evidenza dalla dottrina, secondo cui, nonostante, la Corte continui ad affermare che il diritto europeo deve rispettare la struttura istituzionale degli Stati membri, la normativa secondaria (Regolamenti e Direttive) in via sempre più incisiva prevede delle limitazioni all’autonomia degli stessi[44]. Inoltre, sottolinea che la creazione di Autorità indipendenti a livello nazionale «curtails the institutional autonomy of the EU Member States and may be in tension with their constitutional traditions»[45].

È evidente che, in questo caso, il limite all’autonomia istituzionale è, in primo luogo, di natura politica ed ha una profonda incidenza sulle strutture organizzative nazionali, comportando spesso problemi di compatibilità con l’impianto costituzionale nazionale[46], in particolare, con il principio della responsabilità ministeriale[47]; le Autorità indipendenti sono, infatti, sottratte al rapporto di subordinazione che caratterizza tutte le amministrazioni statali nei confronti del Governo, interrompendosi così di conseguenza, nell’ambito dei settori ad esse affidati, il rapporto di responsabilità che lega il Governo al Parlamento.

Peraltro giova ricordare, a questo proposito, che nell’ambito della causa Commissione/ Germania, sopramenzionata, il Governo tedesco sostiene che il principio di democrazia, sancito non solo dalla Costituzione tedesca, ma anche dall’art. 6, n. 1, TUE, si oppone ad un’interpretazione ampia del requisito di indipendenza. Infatti, detto principio, richiede una subordinazione dell’amministrazione alle istruzioni del Governo, responsabile dinanzi al Parlamento[48].

La Corte conclude, tuttavia, in senso opposto. Il principio democratico non osta all’esistenza di Autorità pubbliche collocate al di fuori dell’amministrazione gerarchica classica e più o meno indipendenti dal Governo, purché naturalmente le stesse siano soggette al controllo giurisdizionale e all’influenza parlamentare, attraverso i meccanismi di nomina dei componenti, ovvero attraverso l’obbligo di rendere conto al Parlamento delle loro attività.

È interessante notare a questo punto come, imponendo un’interpretazione estensiva del requisito dell’indipendenza, la Corte, di fatto, vada ad incidere sulle scelte organizzative nazionali.

Nella sentenza Commissione/Repubblica d’Austria[49], si dichiara l’illegittimità della normativa istitutiva della Commissione nazionale per la protezione dei dati, in quanto la stessa prevede che il membro amministratore della Commissione sia un funzionario federale soggetto a un controllo di servizio; l’ufficio della Commissione sia inserito nei servizi della cancelleria federale, e il cancelliere federale goda di un diritto incondizionato all’informazione su ogni aspetto della relativa gestione.

Secondo la Corte, il fatto che la Commissione goda di un’indipendenza funzionale (in quanto i suoi membri sono indipendenti e non sono vincolati ad alcuna istruzione nell’esercizio delle loro funzioni) è una condizione necessaria, ma non sufficiente per preservare la stessa autorità di controllo da qualsiasi influenza esterna. Infatti, l’indipendenza richiesta dalla normativa mira ad escludere, non soltanto l’influenza diretta, sotto forma di istruzioni, ma anche qualsiasi forma di influenza indiretta che possa orientare le decisioni dell’autorità di controllo[50].

Ancora, nella sentenza Commissione/Ungheria[51], la Corte ha chiarito che il requisito dell’indipendenza impone allo Stato membro di rispettare la durata del mandato dell’Autorità.

Gli Stati membri sono certamente liberi di adottare e di modificare il modello istituzionale che ritengono il più adatto per le loro Autorità di controllo. Essi devono, tuttavia, in quest’ambito, fare in modo di non compromettere l’indipendenza dell’Autorità[52]. Infatti, se fosse consentito ad ogni Stato membro di porre fine al mandato di un’Autorità di controllo prima del relativo termine inizialmente previsto, senza rispettare le norme e le garanzie prestabilite a tal fine dalla legislazione applicabile, la minaccia di una tale cessazione anticipata incombente su detta Autorità durante l’intero esercizio del suo mandato potrebbe condurre ad una forma di obbedienza al potere politico in capo alla stessa, incompatibile con detto requisito di indipendenza[53] .

Nella sentenza Commissione/Polonia[54], si chiarisce, inoltre, che l’indipendenza di un organismo di controllo può anche essere inficiata nel caso in cui un ampio potere discrezionale riguardo alla nomina e revoca di tutti i membri permanenti, allorché tale facoltà non è disciplinata dalla legge in modo restrittivo, cosicché tale Autorità sia tenuta ad adottare decisioni sulla base di criteri oggettivi, chiaramente e tassativamente enumerati, e verificabili

3. Prezident Slovenskej republiky: una recente sentenza sull’indipendenza delle Autorità di regolamentazione

Nell’ambito di una sua recente pronuncia, la Corte è chiamata ad esprimersi in via pregiudiziale sulla legittimità della normativa slovacca riguardante nomina e poteri dell’Autorità nazionale di regolamentazione nel settore energetico.

La domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento avviato dal Presidente della Repubblica slovacca dinanzi al giudice del rinvio (Corte costituzionale della Repubblica slovacca) riguardo alla compatibilità con la Costituzione slovacca e con il diritto europeo della normativa in questione. In particolare, viene sostenuto che la stessa non garantisce il requisito dell’indipendenza dell’Autorità (prescritto dall’articolo 35, paragrafi 4 e 5, della Direttiva 2009/72/CE[55]), dato che stabilisce che sia il Governo di tale Stato competente a nominarne e revocarne il presidente; inoltre, allo scopo di garantire la tutela dell’interesse pubblico, prevede la partecipazione di rappresentanti ministeriali ad alcuni procedimenti dell’Autorità relativi alla fissazione di prezzi.

In primo luogo, quindi, la domanda sottoposta alla Corte è: può considerarsi ‘indipendentÈ un’Autorità di nomina governativa?

I giudici ricordano che per quanto concerne la nozione di «indipendenza», essa non trova definizione nella direttiva 2009/72/CE, ma che per costante giurisprudenza designa, nel caso degli organi pubblici, «uno status che garantisce all’organo interessato la possibilità di agire in piena libertà rispetto agli organismi nei confronti dei quali deve essere garantita la sua indipendenza, al riparo da qualsiasi istruzione e pressione»[56].

Al fine di garantire una tale indipendenza, l’articolo 35, paragrafo 4, della Direttiva 2009/72/CE dispone, da un lato, alla lettera a), che detta Autorità «sia giuridicamente distinta e funzionalmente indipendente da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato». Dall’altro lato, alla lettera b), punti i) e ii), l’articolo 35, paragrafo 4, enuncia requisiti per l’indipendenza del personale e delle persone incaricate della gestione della stessa Autorità, che «devono agire indipendentemente da qualsiasi interesse commerciale e non devono sollecitare né accettare istruzioni dirette da alcun governo o da altri soggetti pubblici o privati nell’esercizio delle funzioni di regolamentazione». Peraltro, affinché l’indipendenza dell’Autorità nazionale di regolamentazione sia tutelata, l’articolo 35, paragrafo 5, lettera b), della direttiva 2009/72/CE richiede che i membri del comitato di tale Autorità o, in assenza di un comitato, il personale direttivo superiore della stessa siano nominati «per un mandato prefissato compreso tra i cinque e i sette anni, rinnovabile una volta». In tali circostanze, gli Stati membri devono «istituire un sistema di rotazione adeguato per il comitato o il personale direttivo superiore e tale comitato o tale personale direttivo superiore possono essere revocati durante il loro mandato soltanto se non rispondono più ai requisiti prescritti da detto articolo 35 oppure se hanno commesso un’irregolarità ai sensi della legge nazionale». Per rispettare tali requisiti, ‘il potere di nomina e di revoca’ del comitato dell’Autorità nazionale di regolamentazione o, in mancanza di un comitato, del personale direttivo superiore di tale Autorità deve essere «inquadrato rigorosamente dalla legge ed essere esercitato sulla base di criteri oggettivi, chiaramente e tassativamente enumerati, e verificabili».

Tuttavia, ricorda la Corte, nessuna disposizione della Direttiva 2009/72/CE indica espressamente quali autorità degli Stati membri devono essere incaricate di nominare e di revocare i membri del comitato o il personale direttivo superiore dell’Autorità nazionale di regolamentazione ed in particolare il presidente di quest’ultima. Peraltro, a questo riguardo l’articolo 288 TFUE, nel disciplinare l’attuazione delle Direttive a livello nazionale, sancisce che gli Stati membri sono obbligati a garantire la piena efficacia delle stesse, pur disponendo di un ampio margine discrezionale per quanto riguarda la scelta delle modalità e dei mezzi.

Sicché, gli Stati membri dispongono di autonomia istituzionale nell’organizzare e configurare le loro Autorità di regolamentazione ai sensi dell’articolo 35 della direttiva 2009/72/CE, che deve tuttavia essere esercitata nel pieno rispetto degli obiettivi e degli obblighi sanciti dalla Direttiva stessa[57].

Di conseguenza, l’articolo 35 della Direttiva 2009/72/CE non vieta che il Governo di uno Stato membro possa nominare e revocare il presidente dell’Autorità nazionale di regolamentazione, purché, però, tale potere venga disciplinato e, quindi, esercitato in modo da garantire l’indipendenza di tale Autorità, ossia nel rispetto di tutti i requisiti prescritti. Conseguentemente, devono essere previste una serie di garanzie riguardanti la separazione giuridica e funzionale da altri soggetti pubblici o privati, durata del mandato, criteri oggettivi e verificabili per l’esercizio del potere di nomina e revoca.

Con riguardo alla partecipazione di rappresentanti ministeriali ai procedimenti di fissazione dei prezzi, la Corte per le medesime motivazioni, conclude che la stessa possa essere considerata legittima, purché venga rispettata l’indipendenza decisionale dell’Autorità. Quindi, deve essere garantito che i rappresentanti dei ministeri nazionali non possano servirsi della loro partecipazione ai suddetti procedimenti per esercitare una qualsivoglia pressione sull’Autorità o per impartire a quest’ultima istruzioni in grado di orientarne le decisioni nell’ambito dei relativi compiti e competenze. Inoltre, tale partecipazione ed, in particolare, i pareri formulati dai rappresentanti nel corso dei procedimenti non possono avere carattere vincolante, né in alcun caso essere considerati dall’Autorità di regolamentazione come istruzioni alle quali essa sia tenuta a conformarsi. Da ultimo, le norme relative alla partecipazione dei rappresentanti dei ministeri nazionali ai procedimenti relativi alla fissazione di prezzi non devono pregiudicare la portata delle decisioni dell’Autorità di regolamentazione, per esempio, non possono incidere sulla cogenza e la diretta applicabilità delle decisioni di tale Autorità, imponendo che dette decisioni siano, prima della loro attuazione, previamente accettate o autorizzate dagli stessi rappresentanti.

Tutto ciò premesso, ad ogni modo, nel caso di specie, la Corte decide di non valutare direttamente il complesso delle disposizioni nazionali che, secondo il Governo, garantirebbero l’indipendenza nel rispetto dei summenzionati requisiti indicati dall’art. 35, ma rimanda ala valutazioni al giudice del rinvio.

4. Conclusioni

L’autonomia istituzionale emerge dalla struttura stessa dell’Unione, sulla scorta dei principi e dei criteri che regolano i rapporti tra quest’ultima e gli Stati membri, nonché fra diritto interno ed europeo.

Il principio è espressione generale del rispetto della Sovranità nazionale nei suoi aspetti più essenziali. Come abbiamo visto, infatti, la struttura ‘costituzionalÈ del Trattato garantisce in capo agli Stati membri le scelte relative lato sensu all’esercizio e alla disciplina del potere pubblico, le scelte relative all’organizzazione costituzionale ed amministrativa, anche nel caso in cui queste scelte riguardino l’attuazione del diritto europeo derivato.

Ciò sulla base di alcuni presupposti fondamentali: il primo, è che l’ambito dell’organizzazione interna, costituzionale ed amministrativa, così come l’esercizio del potere pubblico sono, in linea di principio, irrilevanti per il diritto europeo; il secondo è, evidentemente, il principio di sussidiarietà; inoltre, non deve dimenticarsi che i responsabili dell’adempimento degli obblighi del diritto europeo sono gli Stati membri, essendo, invece, irrilevante l’assetto organizzativo e il riparto di competenze interne.

Proprio perché l’autonomia istituzionale si fonda sulle regole e principi che disciplinano i rapporti tra Stati membri ed Unione, lo stesso ‘non può essere un principio assoluto’.

Dall’analisi del testo ‘costituzionalÈ e della giurisprudenza, emerge come il principio di autonomia istituzionale trovi il suo limite in altrettanti principi che caratterizzano la struttura dell’ordinamento europeo (e non solo).

Ad ogni modo, a ben guardare, volendo identificare un limite generale all’autonomia istituzionale degli Stati membri, questo è rappresentato dal principio dell’‘effetto utile del diritto europeo’, ossia il principio in base al quale gli Stati membri devono garantire che il diritto comunitario addivenga ad una ‘piena ed uniformÈ esplicazione dei suoi effetti.

In altre parole, nell’ambito del contesto europeo, esiste un limite intrinseco al principio di autonomia istituzionale, rappresentato dal raggiungimento degli obiettivi del Trattato.

La libertà degli Stati membri, intesa nel senso sopradescritto, non può svolgersi in contrasto con l’interesse alla costruzione del progetto europeo e, quindi, con la garanzia della relativa attuazione effettiva.

Questa linea di confine tra ciò che è legittimo ed illegittimo, tra la tutela di interessi nazionali ed interessi europei è di difficilissima definizione ed il compito di tracciarla spetta, come sempre, alla Corte di giustizia, sulla base del noto principio di proporzionalità[58], in particolare con riferimento al parametro della c.d. necessità o necessarietà[59].

Questo bilanciamento di interessi e questo continuo sforzo di equilibrio è particolarmente evidente con riguardo alla Autorità amministrative indipendenti, la cui istituzione viene imposta (soprattutto) per garantire l’integrazione dei mercati di riferimento, e la cui organizzazione viene lasciata agli Stati membri entro limiti che sono appunto disegnati dall’esigenza di garantire l’effetto utile del diritto europeo.

In questo senso, anche un’Autorità di nomina governativa può essere considerata indipendente e compatibile con il diritto europeo, purché vengano individuati dei limiti ‘oggettivi’. Questo sul presupposto che lo stesso concetto di ‘indipendenza’ abbia, in realtà, una valenza ‘funzionalÈ[60] al raggiungimento di specifici obiettivi, secondo uno schema che caratterizza l’intero diritto europeo[61], dove l’impresa rappresenta l’ambito di rilevanza soggettiva delle regole del mercato, contrapposta all’ambito del pubblico che è escluso dalla relativa applicazione, ovvero dove alcuni soggetti (ad esempio le amministrazioni aggiudicatrici) vengono qualificati come ‘pubblici’, poiché in difetto di tale qualificazione verrebbe elusa l’applicazione della normativa considerata. La funzione e le conseguenze di questa qualificazione però non travalicano il ristretto ambito della normativa stessa[62].

Anche con riguardo al concetto di ‘indipendenza’, può giungersi alla stessa conclusione. La relativa interpretazione fornita dalla Corte può non coincidere con quella nazionale, ed è il frutto di un delicato equilibrio tra il rispetto dell’autonomia istituzionale degli Stati membri e il raggiungimento degli obiettivi delle normative considerate.

  1. Per un’analisi più esaustiva, ci sia consentito rinviare a, M. Lottini, Principio di autonomia istituzionale e pubbliche amministrazioni nel diritto dell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2017.
  2. Inter alia: sentenza del 19 febbraio 2002, Wouters, C-309/99, EU:C:2002:98; sentenza del 17 settembre 2015, KPN BV, C‑85/14, EU:C:2015:610; sentenza del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, C-3/17, EU:C:2018:130.
  3. A titolo d’esempio, l’undicesimo Considerando della Direttiva 2002/21/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, GUE L 108 del 24.04.2002.
  4. In argomento, D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli stati membri dell’Unione Europea: «Paradise Lost?», Giappichelli, Torino, 2009.
  5. A. Massera, I principi generali, in M. P. Chiti e G. Greco, Trattato di diritto amministrativo europeo, parte generale, II ed. 2007, Giuffrè, Milano, I, p. 287, 292.
  6. L.M. Diez-Picazo, What does it mean to be a State, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, 12, 4, p. 655, 657.
  7. G. Vesperini, Il vincolo europeo sui diritti amministrativi, Giuffrè, Milano, 2011, p. 22.
  8. Conclusioni dell’Avvocato Generale Léger, presentate il 19 settembre 1996, nella causa Sutton, C-66/95, EU:C:1996:336, par. 65.
  9. J.A. Fuentetaja Pastor, Hacia una gobernanza administrativa europea, in Revista de derecho de la Unión Europea, 2009, 16, 89, 93-94.
  10. M. Verhoeven, The ‘Costanzo obligation’ and the principle of national institutional autonomy: supervision as a bridge to close the gap?, in Review of European administrative law, 2010, 3, 1, p. 23, 24.
  11. X. Arzoz Santisteban, La autonomía institucional y procedimental de los Estados miembros en la Unión europea : mito y realidad, in Revista de administraction pública, 2013, p. 159.
  12. L.M. Diez-Picazo, What does it mean to be a State, cit., p. 657.
  13. Cfr., a questo proposito, Arzoz Santisteban che indica il riconoscimento del principio di autonomia istituzionale come espressione della ‘Sovranità degli Stati membri’, e come ‘contropartita’ dei principi di primazia e dell’effetto diretto del diritto europeo. X. Arzoz Santisteban, op., cit., nota 38.
  14. In argomento, cfr., G. della Cananea, Beyond the State: the europeanization and globalization of procedural administrative law, in European public law, 2003, 9, 4, p. 563.
  15. Si vedano, in particolare gli artt. 101 e ss. TFUE
  16. Cfr., a questo proposito, a mero titolo d’esempio, la sentenza del 12 dicembre 2013, Ministero dello Sviluppo economico e Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, C-327/12, EU:C:2013:827, al cui paragrafo 27, viene ricordato che «la nozione di impresa rilevante ai fini dell’applicazione del diritto europeo, comprende qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento. Sicché, è economica qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, mentre sono non-economiche le attività che si ricollegano all’esercizio di pubblici poteri». Cfr., ancora la sentenza del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank, C‑138/11, EU:C:2012:449.
  17. In argomento, cfr., la sentenza del 17 marzo 2011, Josep Peñarroja Fa, cause riunite C-372/09 e C-373/09, EU:C:2011:156.
  18. Conclusioni dell’Avvocato Generale Mayars, presentate il 28 maggio 1974, nella causa Reyners, C-2/74, EU:C:1974:59, par. 3.
  19. Su quest’argomento, cfr., A. Massera, I principi generali, in M. P. Chiti e G. Greco, Trattato di diritto amministrativo europeo, parte generale, II ed. 2007, Milano, Giuffrè, I, p. 287, 293.
  20. Sul principio di proporzionalità nell’ambito del diritto europeo ed oltre, cfr., D.U. Galetta, General principles of EU law as evidence of the development of a common European legal thinking: the example of the proportionality principle (from the Italian perspective), in H-J. Blanke, P. Cruz Villalón, T. Klein, J. Ziller, Common European legal thinking. Essays in honour of Albrecht Weber, Springer, HeidelbergDordrecht-London-New York, 2016, p. 221.
  21. In linea di massima, la normativa comunitaria del mercato ha come limite alla sua applicazione la rilevanza puramente interna dell’attività interessata. Le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione e concorrenza non possono essere applicate ‘ad attività in cui tutti gli elementi sono ristretti localmente all’interno di un solo Stato membro’. Sicché, l’organizzazione costituzionale ed amministrativa, le modalità procedimentali ed organizzative dell’esercizio del potere pubblico, sono in linea di massima, questioni di rilevanza puramente interna, salvo che non vadano ad incidere sull’applicazione del diritto europeo.
  22. In questo senso, F. Becker, Application of Community law by member States’ public administrations: between autonomy and effectiveness, in Common market law review, 2007, 44, 4, p. 1035, 1036.
  23. Sul tema della complessità dei meccanismi di attuazione del diritto europeo, cfr., H.C.H. Hofmann, Seven challenges for EU administrative law, in Review of European administrative law, 2009, 37, 2, p. 40.
  24. Secondo l’art. 4, n. 3, 2 TUE: gli «Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad ‘assicurare l’esecuzione’ degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione (…)». All’art. 291, n. 1 TFUE, si prevede che: «gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione (…)». L’art. 197 TFUE riconosce come l’attuazione del diritto europeo sia devoluta agli Stati: «l’attuazione effettiva del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell’Unione, è considerata una questione di interesse comune».
  25. Il termine ‘effettività’ «concerne sia l’esigenza ‘dell’effetto utile dell’effetto diretto’, per le norme comunitarie dotate di questo attributo, sia l’esigenza di piena esplicazione dei loro effetti per quelle norme comunitarie rispetto a cui, invece, non si possa parlare di effetto diretto». D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: paradise lost?, cit., p. 21. In argomento, cfr., ancora Accetto e Zleptnig che qualificano l’effettività come: «a governing principle, or primary obligation, of Community law». M. Accetto e S. Zleptnig, The principle of effectiveness: rethinking its role in community law, in European public law, 2005, 11, 3, p. 375.
  26. A questo proposito, è interessante notare che la Direttiva servizi del 2006 (art. 6, n. 1) impone agli Stati membri di istituire dei punti di contatto denominati ‘sportelli unici’ dove i prestatori di servizi possono espletare tutte le procedure e le formalità necessarie per poter svolgere le loro attività. Salvo specificare che: «l’istituzione degli sportelli unici non pregiudica la ripartizione di funzioni e competenze tra le autorità all’interno dei sistemi nazionali» (art. 6, n. 2). Direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GUE L 376, del 27.12.2006.
  27. Come, per esempio, la normativa relativa al mutuo riconoscimento dei diplomi. Direttiva 2013/55/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, recante modifica della Direttiva 2005/26/CE2 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, GUE L 354/132 del 28.12.2013.
  28. G. Vesperini, Il vincolo europeo sui diritti amministrativi nazionali, Giuffrè, Milano, 2012, p. 95, nota 1.
  29. Per un’analisi dell’art. 114, cfr., T.M. Moschetta, Il ravvicinamento delle normative nazionali per il mercato interno, Cacucci, Bari, 2018.
  30. Sentenza del 9 agosto 1994, Germania/Consiglio, C-359/92, EU:C:1994:306.
  31. L’art. 8, n. 3, della Carta di Nizza, prevede, per esempio, che il rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali sia soggetto al controllo di Autorità indipendenti. Dello stesso tenore, l’articolo 16, n. 2, TFUE.
  32. Per esempio, vengono imposti specifici obblighi di consultazione. In argomento, F. Bignami e S. Cassese (a cura di), Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, (Quaderni della Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1), Giuffrè, Milano, 2004. Nel caso delle Autorità in oggetto, vengono anche individuati articolazioni interne preposte a facilitare il collegamento di questi soggetti con gli omologhi di altri Stati membri o con le istituzioni comunitarie. Cfr., in argomento, M.P. Chiti, L’organizzazione amministrativa comunitaria, in M.P. Chiti e G. Greco, Trattato di diritto amministrativo europeo, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2007, p. 415.
  33. Presentate il 22 giugno 2010, C‑389/08, EU:C:2010:360.
  34. Sentenza del 6 marzo 2008, C‑82/07, EU:C:2008:143.
  35. Sentenza del 3 dicembre 2009, C‑424/07, EU:C:2009:749.
  36. In argomento, cfr., G. Napolitano, Regole e mercato nei servizi pubblici, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 97 e ss.
  37. Sul questo tema, inter alia, G. Vesperini, Il vincolo europeo sui diritti amministrativi, cit., pp. 96 e ss; R. Perez, Disciplina europea delle comunicazioni elettroniche e ordinamento nazionale, in R. Perez (a cura di), Il nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 1 e ss.
  38. Sentenza del 9 marzo 2010, C-518/07, EU:C:2010:125.
  39. Ibid., par. 25.
  40. Parr. 25 e 26.
  41. Sentenza del 27 ottobre 1993, C-69/91, EU:C:1993:853.
  42. Nel senso di distinzione tra regolazione e gestione.
  43. Art. 39 della Direttiva 2009/73/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, GUE L 211/94 del 14.08.2009. Dello stesso tenore, l’art. 35 Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, L 211/55 del 14.8.2009. In argomento, cfr., il successivo paragrafo.
  44. A. Ottow, The different levels of protection of national supervisors’ independence in the European landscape, in S. Comtois e K. de Graaf, On judicial and quasi-judicial independence, Boom Juridische uitgevers, Den Haag, 2013, p. 139.
  45. S. Lavrijssen e A. Ottow, Independent supervisory authorities: a fragile concept, in Legal issues of economic integration, 39, 4, p. 419.
  46. La dottrina italiana mette in evidenza che: «la Costituzione italiana prefigura un’amministrazione imparziale, ma non un’amministrazione indipendente. L’amministrazione deve essere organizzata e deve agire in modo da assicurare l’imparzialità, ossia una considerazione equanime degli interessi in gioco (art. 97 Cost.); ma, nello stesso tempo, è legata ad un governo che ‘mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo’ ed è articolata per ministeri, strutture dei cui atti i ministri sono ‘individualmente responsabili’ (art. 95). (…) A questo schema dell’amministrazione dipendente la Costituzione apporta due deroghe. La prima è costituita dalle autonomie territoriali (…). Autonomi perché dispongono di una propria legittimazione che deriva dalla investitura elettiva dei propri organi. La seconda deroga riguarda il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti (art. 100)(…).In questo secondo caso, non è la natura dell’investitura che giustifica l’indipendenza, ma il contenuto dei compiti assegnati. A ben guardare non sono diverse le ragioni che giustificano l’indipendenza delle autorità amministrative indipendenti. È una indipendenza che viene reclamata dalla natura delle funzioni e che trova nella Costituzione un termine di riferimento: anche se l’art. 100 non parla di autorità indipendenti, ma riguarda solo degli antichissimi istituti nati prima dello Stato unitario. (…) Ad ogni modo, (…) una copertura costituzionale appare necessaria. Solo così può giustificarsi la deroga al principio della responsabilità ministeriale consacrato dall’art. 95 ». M. Clarich, G. Corso e V. Zeno-Zencovich, Il sistema delle Autorità indipendenti: problemi e prospettive, in http://eprints.luiss.it/.
  47. La dottrina della ‘ministerial responsibility’ rappresenta la pietra miliare della Costituzione britannica, in relazione alla quale si sono costituiti la struttura del Governo, le procedure parlamentari e le relazioni costituzionali che sono alla base del relativo concetto di Stato. Cfr., in questo senso, C. Turpin, Ministerial responsibility, in J. Jowell e D. Oliver, The changing constitution, Clarendon Press, Oxford, 1994, p. 109.
  48. Sul tema della mancanza di legittimazione democratica delle Autorità, cfr., G. Pericu, Brevi riflessioni sul ruolo istituzionale delle autorità̀ amministrative indipendenti, in Diritto amministrativo, 1996, p. 1. Sul procedimento partecipativo inteso come fattore di democratizzazione dell’operato delle Autorità, correttivo del deficit di legittimazione democratica, cfr., F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti. Un romanzo quasi giallo, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 24 e ss. Nonché, Cons. Stato, VI, 2 maggio 2012, n. 2521; ID., VI, 27 dicembre 2006, n. 7972; TAR Lombardia, sez. III, 3 gennaio 2011, n. 1.
  49. Sentenza del 16 ottobre 2012, C-614/10, EU:C:2012:631.
  50. Parr. 42 e 43.
  51. Sentenza dell’8 aprile 2014, C-288/12, EU:C:2014:237.
  52. Par. 60.
  53. Par. 54.
  54. Cfr., sentenza del 13 giugno 2018, Commissione/Polonia, C‑530/16, EU:C:2018:430, par. 86.
  55. Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, L 211/55 del 14.8.2009.
  56. Sentenza del 13 giugno 2018, Commissione/Polonia, C‑530/16, EU:C:2018:430, par. 67.
  57. Sentenza del 19 ottobre 2016, Ormaetxea Garai e Lorenzo Almendros, C‑424/15, EU:C:2016:780, par. 30.
  58. Su questa linea, J. A. Fuentetaja Pastor, Hacia una gobernanza administrativa europea, in Revista de Derecho de la Unión Europea, 16, 2009, p. 89, 94.
  59. Su questo aspetto, cfr., D.U. Galetta, General Principles of EU Law as Evidence of the Development of a Common European Legal Thinking: the Example of the Proportionality Principle (from the Italian Perspective), in H.J. Blanke, P. Cruz Villalón, T. Klein, J. Ziller (a cura di), Common European legal thinking. Essays in honour of Albrecht Weber, Springer, Heidelberg-Dordrecht-London-New York, 2016, p. 221, 227 e ss.
  60. M.P. Chiti, The EC notion of public administration: the case of the bodies governed by public law, in European Public Law, 2002, 473
  61. Sul punto ci sia consentito rinviare a M. Lottini, Il mercato europeo: profili pubblicistici, Jovene, Napoli, 2010, passim.
  62. G. Corso, Impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, ente pubblico: la necessità di un distinguo, in Organismi e imprese pubbliche. Quaderni della Rivista Servizi Pubblici e Appalti, 1, 2004, 96.

Micaela Lottini

Associate Professor of Administrative Law at the University of Roma Tre