Immagini da un futuro possibile: il paradigma della legittimazione ad agire

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2/2023

Immagini da un futuro possibile: il paradigma della legittimazione ad agire

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Nell’ordinamento italiano – Stato costituzionale uscito dai feroci totalitarismi del XX secolo – l’accesso al giudice è filtrato da un controllo di meritevolezza che si fonda su concetti indeterminati, cioè sulla base di variabili e personali tavole di valori. È quindi possibile – necessario forse – utilizzare il paradigma della legittimazione ad agire slargandone il più possibile i confini. Occorre allentare, se non proprio recidere, il vincolo – sinora stretto e soffocante – tra vicinanza del soggetto al luogo fisico dove la decisione amministrativa impatta, e azionabilità della pretesa. V’è un obiettivo minimo, di recente inquadrato anche dalla Plenaria del Consiglio di Stato: leggere la vicinitas in termini di contiguità non più solo materiale, ma anche assiologica. E poi uno più ambizioso: de-soggettivare la pretesa, sino a configurare diritti trans-soggettivi, cioè “senza padrone”.


Images from a possible future: the paradigm of legal standing
In the Italian legal system – a constitutional State that has emerged from the ferocious totalitarianisms of the 20th century – access to judges is filtered by a control of worthiness that is based on indeterminate concepts, namely variable and personal tables of values. It is therefore possible – necessary, perhaps – to use the paradigm of legitimacy to argue for a broadening of access. It is necessary to loosen, if not quite sever, the hitherto tight and suffocating bond between the proximity of the subject to the physical place where the administrative decision impacts, and the actionability of the claim. There is a minimum objective, recently framed by the Plenary Assembly of the Council of State: to understand vicinitas in terms of contiguity that is no longer only material, but also axiological. And then a more ambitious one: to “de-subjectivise” the claim, to the point of configuring trans-subjective rights, that is, “without master”.

Sommario: 1. Stato costituzionale, lotta ermeneutica e accesso al giudice.- 2. Un nuovo diritto giurisprudenziale per la liberazione della vicinitas.- 3 Oltre la soggettività?

1. Stato costituzionale, lotta ermeneutica e accesso al giudice[1]

Non piacciono di certo a nessuno le sue ascendenze tetre, ma è innegabile: uno Stato costituzionale di diritto è per definizione un Weltanschauungsstaat. Figlio provvido e – felix culpa – degenere dei totalitarismi novecenteschi.

Inserire una tavola di valori alla sommità di un sistema regolativo ne trasforma radicalmente la struttura e il funzionamento: da meccanismo (almeno tendenzialmente) chiuso e sussuntivo a orditura con struttura aperta, che consente all’organo dell’applicazione di selezionare il criterio decisorio per vie più o meno discrezionali.

Questa costruzione già in apicibus assiologica dell’ordinamento comporta una conseguenza, che fa deragliare ancor di più dal sistema a diritto legislativo: la battaglia politica per affermare questo o quel valore. S’imprime così una torsione innaturale al diritto giurisprudenziale, che diviene un diritto di lotta combattuta con le armi dell’interpretazione, cioè delle norme modellate dall’attività interpretativa: «lotta ermeneutica contro fenomeni che non si ritengono adeguatamente tutelati dalla legge»[2].

La trascrizione giurisdizionale di questo modello è immediata. Significa affidare al giudice il compito di governare il processo adoperando – con metodi ed esiti connotati da importanti ambiti di discrezionalità/libertà, dunque imprevedibili – criteri decisori ondivaghi ed evanescenti.

Non solo il merito della controversia, ma anche – e ancor prima – la configurabilità di un diritto alla tutela subisce di volta in volta un vaglio soggettivo di compatibilità con quella tavola assiologica. L’accesso stesso alla protezione giurisdizionale, in altri termini, diviene soggetto a un filtro i cui criteri il giudice-gatekeeper trae da «una superiore sorgente di legittimità»[3], a sua volta genetica di legittimazione all’instaurazione della controversia. Un modello che può facilmente essere strumentalizzato per governare in senso anche (o sopra tutto) restrittivo le vie di tutela processuale: negando già in limine il diritto al giudizio tutte le volte che l’azione collida con «valori emergenti dal basso, che finiscono per costituire le regole ordinative “inventate” dalla comunità interpretativa»[4]. La quale sarebbe «ormai orba delle sue categorie tradizionali e proiettata al governo del caso concreto»[5].

L’ammissibilità della domanda, insomma, è rimessa alla percezione del giudice circa la meritevolezza della stessa ove idealmente portata al cospetto della società, del sentire popolare: se – in questo teatro immaginario – quella pretesa ne difettasse, la porta del processo resterebbe serrata.

In breve. Il processo può facilmente filtrare e selezionare tutte le pretese azionate, consentendo il litis ingressum solo a quelle non dissonanti con le imperscrutabili, personali assiologie del singolo giudice/organo dell’applicazione.

Costui – si noti: senza alcuna gesetzliche Grundlage – può utilizzare l’unbestimmte Rechtsbegriff di volta in volta utile allo scopo perseguito: la Costituzione ne provvede – direbbe a Fiume il Poeta Soldato – indeficienter. Se il concetto giuridico è indeterminato, come pure multiforme, impreciso e poco trasparente, il giudice – trascurando o addirittura contrastando una previsione di diritto positivo, ove esistente – si auto-attribuisce il potere di “percepirne” per vie lattiginose il contenuto nella sua portata asseritamente effettiva e vivente, applicandolo al caso concreto in funzione d’un soggettivo sindacato assiologico-causale.

In un’altra occasione ho proposto di fronteggiare l’atipicità invincibile dei criteri d’ingresso al giudizio (impossibile essendo una regolazione positiva stringente dell’interesse ad agire) riducendo i rischi di Verhinderung, cioè di restrizione dell’area cui l’ordinamento processuale assicura tutela; e favorendo, invece, una Ermöglichung, cioè un ampliamento dei varchi d’accesso mediante la valorizzazione di criteri interpretativi non «di carattere extra-legale e di segno regressivo», ma «perfettamente legittimi e di carattere progressivo perché a garanzia dei diritti»[6].

Il controllo di meritevolezza che ho immaginato diviene pertanto funzionale all’apertura, all’espansione di spazi siffatti, per cui i rischi involutivi (e, in deterius eundo, autoritari addirittura) derivanti dall’uso di criteri imprecisi al fine di negare l’azione si rovescerebbero nel loro opposto. Diverrebbero, cioè, fattori progressivi, tutti disponibili per accrescere lo strumentario di garanzia del singolo o della comunità che domanda tutela.

Un controllo, in somma, che diviene strumento idoneo ad accogliere il futuro, cioè l’emersione di nuovi e più progrediti valori sociali, in termini acquisitivi di posizioni direttamente legittimanti (almeno) la domanda.

2. Un nuovo diritto giurisprudenziale per la liberazione della vicinitas

La ricaduta nel processo amministrativo, e quindi la chiave di volta del sistema, diviene, a mio avviso, il ripensamento dei rapporti fra soggetto e giudizio, cioè dei criteri che ne regolano l’accesso.

Fra questi, campeggia – in una società sempre più multipolare e interfacciata – la vicinitas.

Esprimo qui una visione futuribile e possibile.

All’angusta concezione oggi accolta dal diritto giurisprudenziale, che costringe la vicinitas nelle strettoie di una relazione fisica col luogo di “caduta” del provvedimento da portare alla cognizione giurisdizionale, si dovrebbe sostituire una lettura in termini di prossimità assiologica. Si tratta, in altre parole, di riconoscere il diritto di ricorso pure a figure soggettive prive di un collegamento materiale col luogo di impatto della decisione che s’intende gravare.

Mi sembra un passo necessario per consentire la tutela di interessi non sempre riferibili soltanto all’area strettamente geo-territoriale di ricaduta di un determinato provvedimento. Macrocriteri selettivi sono teorizzabili, ferma la consapevolezza di un margine di discrezionalità nella delibazione giurisdizionale, cioè nella valutazione caso per caso circa la meritevolezza dell’interesse azionato. Il sostrato lato sensu politico è difficile da eliminare, costituendo l’accesso al giudice la zona grigia, il momento in cui agiscono tavole di valori insidiose perché inevitabilmente soggettive e dunque di ardua giuridificabilità.

Ma il punto non mi preoccupa oltre misura.

Se si accetta questo modello, troverebbero ingresso nel giudizio figure soggettive di volta in volta legittimate da una pluralità di vicinanze assiologiche. A quella oramai ricevuta, che guarda al dato fisico-territoriale, si aggiungerebbero infatti prossimità di contenuto vario.

Penso anzi tutto alla vicinitas culturale.

Un’associazione costituita per conservare le vestigia fisiche – la casa di abitazione, ad esempio – di un insigne personaggio del passato potrebbe, secondo questo assunto, insorgere avverso un permesso di costruire che assentisse modifiche ritenute lesive della memoria storica a lui riferibile: ciò – ecco il punto – prescindendo dal luogo dove l’associazione abbia la propria sede legale. Cominus et eminus, come sull’impresa di Luigi XII.

La vicinitas sportiva, ancora.

Anche qui, una società di calcio (o di qualunque altro sport) potrebbe insorgere nei confronti di una misura prefettizia con cui, in relazione a un determinato incontro, sia stata vietata – al fine di evitare tafferugli – la vendita dei biglietti ai residenti nella Provincia dove ha sede legale (e quindi principale bacino di tifoseria) quella società: e ciò – come nell’esempio precedente – senza che abbia nessuna rilevanza il luogo dove si svolge la partita, che potrebbe distare anche centinaia di chilometri dalla sede stessa.

Poi la vicinitas di comparto economico.

Un’associazione per la tutela dell’enologia, pur priva dei requisiti ex artt. 13 e 18 citt., avrebbe diritto a impugnare un provvedimento di localizzazione di una discarica in prossimità di un’area con vigneti ad altissima vocazione produttiva e qualitativa: agirebbe infatti a difesa di un interesse specifico diverso da quello espresso dalla collettività insediata in loco e intestato al relativo ente esponenziale territoriale, ma comunque meritevole di tutela.

Nella giurisprudenza si scorge qualche apertura confortante.

L’ottima A.p. 9 dicembre 2021, n. 22, infatti, ha puntualmente avvertito la pressione benefica sottesa a istanze di giustizia formulate a tutela di interessi sì individuali, ma idonei a riflettersi in senso positivo – con un mutuo gioco di specchi – sulla protezione di esigenze della collettività.

La Plenaria ha ripercorso – con inconsueta e apprezzabile autenticità di toni – talune remote vischiosità giurisprudenziali (incluse quelle ascrivibili alla stessa nomofilachia di Palazzo Spada), per poi registrare le tesi “moderniste” che il pensiero giuridico ha elaborato negli ultimi tempi nel senso di favorire l’accesso al giudice utilizzando lo strumento della vicinitas.

Fra queste, l’A.p. parrebbe aver recepito anche la mia prospettazione: «sempre nel quadro della tutela degli interessi meta-individuali, si invoca una sorta di “liberazione” della vicinitas dal suo perimetro originario, sino a ritenerla esistente anche quando la relazione di prossimità tra il soggetto ed il bene protetto non sia fisica ma assiologica»[7].

La decisione ha impostato il proprio ragionamento proprio sul rapporto che lega il civis alla qualità dell’ambiente circostante, infulcrandovi senza ulteriori mediazioni le condizioni dell’azione: «il ragionamento intorno all’interesse al ricorso, inteso come uno stato di fatto, si lega quindi necessariamente all’utilità ricavabile dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio […] a fronte di un intervento edilizio contra legem è rinvenuto in giurisprudenza […] nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata. Si può discutere se tali beni siano il risultato della scomposizione di un unico interesse per così dire riassuntivo, quello alla qualità dell’insediamento abitativo […], o se debbano essere considerati per forza atomisticamente, sull’assunto che non sarebbe dato un interesse inerente all’insediamento abitativo come tale. Il riferimento al godimento dell’immobile in uno con il richiamo a salute e ambiente è peraltro un piano di indagine già sufficientemente ampio ed è su di esso che la giurisprudenza ha fatto leva per ravvisare il pregiudizio sofferto dal terzo […] nelle menomazioni di valori urbanistici e nelle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico»[8].

Radicandolo nell’art. 118 Cost., peraltro, alcune avanguardie giurisprudenziali avevano legittimato l’accesso diretto del singolo – pur sempre qualificato e differenziato – alla tutela processuale dell’interesse sovrapersonale, la cui connotazione assiologica particolarmente intensa imprime una curvatura nuova alla concezione classica delle condizioni dell’azione.

Come aveva infatti osservato Cons. Stato, IV, 9 gennaio 2014, n. 36, la norma costituzionale genera una legittimazione generale che non si collega più «alla “angusta” titolarità di una posizione soggettiva, bensì ad una materia e ad un valore costituzionalmente garantito». Allo stesso modo – continua – una «tale maggiore ampiezza di legittimazione attiva determina, inevitabilmente, anche una diversa considerazione dell’interesse ad agire, che deve essere riguardato non già con riferimento alla singola posizione giuridica soggettiva per la quale si postula tutela in giudizio, bensì al “bene o valore comune”, alla tutela del quale occorre parametrare la “utilità” della pronuncia del giudice».

A questo genere di rapporti si potrebbe ascrivere quello che collega personalità particolarmente rappresentative in determinati “ambienti” della vita di relazione con decisioni incidenti in quello stesso contesto e considerate come lesive. È l’ipotesi, cennata più sopra, della vicinanza culturale, qui però declinata “al singolare”: un’ampliatio che m’appare importante anche da un punto di vista giuspolitico, poiché sottrae all’associazionismo, non sempre irreprensibile nelle sue scelte strategiche, il monopolio dell’iniziativa giurisdizionale a tutela del sovrapersonale.

3 Oltre la soggettività?

Se si provasse infine a infrangere la barriera stessa del soggetto – cioè la subiettivazione necessaria di una pretesa – si potrebbe forse camminare ancora verso il futuro: il requisito della determinatezza anzitutto soggettiva della situazione sostanziale e della relativa domanda sono un confine davvero invalicabile per l’accesso al giudice?

La questione investe direttamente la teoria delle situazioni soggettive: il diritto sostanziale oggi deve sempre incarnarsi in una figura, che ne diviene titolare unico e sopra tutto imprescindibile. Il che da vantaggio diviene oggi limite, poiché di fatto privatizza la sfera pubblica. La subiettivazione, intesa come titolarità necessaria di una situazione sostanziale, è quindi arma a doppio taglio: schiude sì, ma nello stesso tempo limita l’accesso al giudizio.

La teoria generale[9] ha costruito una giuridicità transitiva (transitive Rechtlichkeit) in cui il titolare del diritto non agisce né a proprio vantaggio, né di terzi, né – si noti – di una comunità, se quest’ultima dovesse essere il nuovo titolare – magari più esteso nei suoi confini – della situazione soggettiva.

Il futuro vedrebbe così una nuova liberazione, dopo quella della vicinitas (anzi, delle molte vicinitates): un ordinamento affrancato dall’angoscia dell’Unbestimmtheit, dell’indeterminatezza. Servono però strumenti nuovi, diversi dall’ormai logoro schema diritto sostanziale – subiettivazione abilitante (ma limitante, come abbiam visto).

Potrebbero essere i diritti trans-soggettivi: i quali attraversano un soggetto per propagarsi altrove. Sono Rechte ohne Herrscher[10], diritti senza padrone.

Un modo nuovo e più fascinoso, in fondo, per evocare l’actio popularis? Sentiamo Schmidt-Aßmann: «ci si può chiedere a buon diritto se l’interesse “privato” la cui tutela dovrebbe costituire la sostanza soggettivo-giuridica di un’azione giurisdizionale, non sia stato finora interpretato in modo troppo erratico, e se le connessioni e le sovrapposizioni reciproche di interessi pubblici e privati siano state correttamente colte. Non ci sono anche costellazioni – in determinati settori del diritto, ad esempio il diritto ambientale o della regolazione – in cui gli interessi individuali includono il perseguimento di interessi pubblici e non perdono il loro carattere “privato” sol perché si presentano come interessi aggregati?»[11]. Di qui, a sua volta, l’esortazione di Schmidt-Aßmann a una lettura dell’ordinamento in termini procuratorî, tutta protesa in favore della Mobilisierung des Bürgers: onde «la consapevolezza che l’esecutivo in democrazia non ha il monopolio della definizione del bene comune»[12].

Ovviamente imprevedibili nei loro sviluppi, le vie del diritto al giudice e le traiettorie della teoria dell’interpretazione (con le quali le prime intrecciano un viluppo irrisolvibile) continueranno a conservare profili di indeterminatezza, la cui compensazione interna sarà ancora rimessa all’apprezzamento del singolo decisore giurisdizionale.

Questa cosa mi appare come un dato di fatto. Ma quanto insidioso? La domanda secondo me va riformulata, anzi spostata circa il suo oggetto. Così: dove quel potere discrezionale può – forse, deve; forse, non può che essere – lasciato libero di effondersi? Rispondo: solo in rito, nel regolare l’accesso al giudizio; solo ad augendum et in bonam partem.

  1. Si tratta della versione scritta dell’intervento presentato alla tavola rotonda “Pubblica Amministrazione e giustizia amministrativa in Italia. Sfide attuali e prospettive future” tenutasi il 15.12.2022, presso l’Università degli Studi di Milano, in occasione dell’Incontro di studio organizzato a tre anni dalla nascita di CERIDAP (Milano, 15-16.12.2022).
  2. Detto molto bene, in chiave penalistica, da M. Donini, Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo, in Diritto penale contemporaneo, 3, 2016, pp. 13-ss., spec. p. 23. (disponibile all’indirizzo https://dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/pdf/donini_3_16.pdf).
  3. Così, in termini critici, R. Villata, Ancora in tema di inammissibilità dell’appello al Consiglio di Stato sulla giurisdizione promosso dal ricorrente soccombente in primo grado, in Riv. dir. proc., 93, 2017, pp. 1110, con riferimento alla situazione ordinamentale attuale del rapporto fra diritto legislativo e giurisprudenziale.
  4. R. Villata, Ancora in tema di inammissibilità, cit., p. 1115; A. Gentili, Senso e consenso. Storia teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, Giappichelli, Torino, 2015, p. 75: «La comunità dell’interpretazione non è che il nome collettivo di giuristi che si segnalano per le loro continue diatribe».
  5. Così, fra critica e ironia, R. Pardolesi G. Pino, Post-diritto e giudice legislatore. Sulla creatività della giurisprudenza, in Foro it., 5, 2017, pp. 113-ss., spec. p. 115.
  6. L. Ferrajoli, Contro la giurisprudenza creativa, in Questione giustizia, 2016, pp. 16.
  7. Cons. St., A. p., 9 dicembre 2021, n. 22
  8. Cons. St., A. p., cit.
  9. P. Femia, Transsubjektive (Gegen)Rechte, oder die Notwendigkeit die Wolken in einen Sack zu fangen, in A. Fischer-Lescano, H. Franzki, J. Horst, (per cura di), Gegenrechte. Rechte jenseits des Subjekts, Tübingen, Mohr Siebeck, 2018, pp. 343-ss., spec. p. 344.
  10. P. Femia, Transsubjektive (Gegen)Rechte, cit., p. 351.
  11. Così E. Schmidt-Aßmann, Verwaltungsrechtliche Dogmatik. Eine Zwischenbilanz zu Entwicklung, Reform und künftigen Aufgaben, Tübingen, Mohr Siebeck, 2013, p. 113.
  12. E. Schmidt-Aßmann, Verwaltungsrechtliche Dogmatik, cit., p. 114.

Pier Luigi Portaluri

Full Professor of Administrative Law, University of Salento.