Il sistema anticorruzione italiano nella prospettiva dell’integrità pubblica. Considerazioni e possibili sviluppi a oltre dieci anni dall’adozione della legge n. 190/2012

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4/2023

Il sistema anticorruzione italiano nella prospettiva dell’integrità pubblica. Considerazioni e possibili sviluppi a oltre dieci anni dall’adozione della legge n. 190/2012

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Il primo decennio del sistema anticorruzione italiana permette di cogliere una serie di elementi, positivi e negativi, emersi dall’esperienza delle pubbliche amministrazioni. Questa analisi, però, viene effettuata anche sotto il profilo dell’integrità pubblica. Si tratta di una visione più ampia del sistema di buon governo, dove la prevenzione della corruzione dev’essere sviluppata all’interno di un quadro strategico ed organizzativo complessivo. Il contributo prova a fare una riflessione sull’anticorruzione italiana, cercando di rispondere ad una serie di domande. È giusto continuare ad insistere sulla necessità della politica della prevenzione della corruzione? Quali potrebbero essere le necessarie correzioni da apportare a questo modello? Dopo un breve excursus iniziale sull’evoluzione dell’impianto normativo, si cerca di analizzare i punti di forza e di debolezza di questa politica, che sono desumibili dalla bilustre attività pratica delle pubbliche amministrazioni. La seconda parte si concentra sul tema dell’integrità pubblica, con particolare attenzione all’integrità come principio giuridico del settore pubblico. Nella parte finale, si cerca di capire qual è il grado di relazione tra il sistema italiano di prevenzione della corruzione e quello dell’integrità pubblica.


The Italian anti-corruption system in the perspective of public integrity. Reflections and possible developments more than ten years after the adoption of Law No. 190/2012
The first decade of the Italian anti-corruption system provides an overview of both positive and negative elements that have emerged from the experience of public administrations. This analysis, however, is also carried out in relation to the field of public integrity. It is a broader perspective of the good governance system, where corruption prevention must be developed within an integrated strategic and organisational framework. This contribution seeks to reflect on Italian anti-corruption, attempting to answer several questions. Is it still right to insist on the need for a corruption prevention policy? What could be the necessary corrections to be made to this model? After a brief initial excursus on the evolution of the legal framework, an analysis is made of the strengths and weaknesses of this policy, which can be deduced from the twofold practical activities of public administrations. The second part focuses on the topic of public integrity, with particular regard to integrity as a legal principle in the public sector. The last part examines the extent to which the Italian anti-corruption system is in line with public integrity.
Summary: 1. Introduzione.- 2. L’anticorruzione italiana: genesi del modello e framework attuale.- 3. Teoria e prassi della prevenzione della corruzione: la difformità tra l’impianto normativo e l’esperienza concreta delle pubbliche amministrazioni.- 4. L’integrità del settore pubblico: definizioni, regole e strumenti.- 4.1 Il valore giuridico dell’integrità.- 5. L’integrità nella stagione dell’anticorruzione italiana.- 5.1. La frammentazione dell’integrità tra buon andamento e imparzialità nella disciplina del pubblico impiego.- 5.2. Quale relazione tra l’integrità e il sistema della prevenzione della corruzione italiano?- 6. Verso il tramonto del sistema anticorruzione italiano?

1. Introduzione

Il 6 novembre ricorre l’undicesimo anniversario dell’approvazione della legge anticorruzione n. 190/2012. Il lasso di tempo trascorso, contrassegnato da alti e bassi, consente di fare una prima e più compiuta analisi di questa stagione.

In realtà, nel corso degli anni, molti studiosi hanno sovente analizzato alcune misure, meccanismi e casi pratici, mettendone in rilievo sia gli aspetti critici che i punti di forza emersi. Difatti, dall’esperienza concreta di questa politica si evincono luci e ombre sia del modello complessivo che del ruolo di “co-protagoniste” che le pubbliche amministrazioni hanno in larga parte disatteso in ordine alla concreta implementazione della politica.

L’obiettivo di questo contributo, però, è quello di fare un bilancio di questa policy, ma di farlo senza ricorrere soltanto alla solita logica binaria, dicotomica, del tipo “positivo-negativo”. Si tenta di compiere piuttosto una riflessione, cercando di intersecare l’esperienza della prevenzione della corruzione italiana con due chiavi di lettura: l’ambito della c.d. “public integrity” e la Convenzione della Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC) del 2003.

Nel tentare di analizzare il sistema italiano nell’ottica dell’integrità pubblica, ci si avvale sia del contributo della dottrina giuridica italiana che delle riforme del pubblico impiego.

Il settore dell’anticorruzione, più di tanti altri, dovrebbe essere letto in relazione a una serie di dinamiche sovranazionali, ma soprattutto prestando particolare attenzione alle fonti e ai documenti delle istituzioni europee ed internazionali, tra le quali rientra a pieno il tema dell’integrità pubblica. Tuttavia, risulta alquanto necessario comprendere, innanzitutto, il significato di questo concetto, il valore giuridico e il ruolo che esso occupa nel perimetro globale dell’anticorruzione, del buon governo e dell’ethics infrastructure[1].

Parallelamente a ciò, si tiene in considerazione l’evoluzione della disciplina del pubblico impiego italiano a partire dagli anni Novanta ad oggi, dacché ciò appare confacente agli intenti sopra espressi. Difatti, autorevole dottrina ha affermato che: «il pubblico impiego è un elemento essenziale della organizzazione dello Stato; che esso, quindi, necessariamente risente delle vicende della vita dello Stato»[2]. È proprio nell’essenza di queste riforme che si possono comprendere le dinamiche che hanno portato alla configurazione del sistema attuale, ma anche per poter cogliere le dinamiche politiche che hanno favorito, e in taluni casi ostacolato, il percorso di questa politica. Una seconda ragione è rappresentata dal fatto che, nel ripercorrere i tratti salienti di queste riforme si possono individuare alcune “tracce di integrità”, come pure le motivazioni per cui in Italia questo principio non sia mai stato considerato in modo organico. In merito a quest’ultimo punto, ci si riferisce ad una delle maggiori «convivenze difficili»[3] dell’ambito del pubblico impiego, vale a dire il rapporto tra le garanzie dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, che insieme al principio di legalità sono unite «quasi in endiadi»[4].

Se si esamina il tema della prevenzione e lotta alla corruzione, soprattutto oggigiorno, non si può tralasciare il campo della public integrity, ormai diffusa a livello globale, che è afferente all’ambito del governo della cosa pubblica. Integrità e anticorruzione concorrono a garantire la stabilità nel servizio pubblico[5] e a proteggere le «regole del gioco» della democrazia[6].

In questa nuova ottica, quindi, l’anticorruzione è considerata come un pilastro indispensabile, ma non l’unico, per rafforzare e promuovere il buon governo del settore pubblico.

2. L’anticorruzione italiana: genesi del modello e framework attuale

Il sistema anticorruzione italiano[7] si presenta come un modello sui generis a causa dell’impianto generale, ma anche per il singolare percorso evolutivo compiuto nel corso degli ultimi decenni.

L’ordinamento italiano, a differenza di altri, si è dotato di strumenti e misure di prevenzione della corruzione in modo tardivo e grazie ad una serie di fattori interni[8] ed esterni[9]. Anche se, da una lettura congiunta di alcune norme costituzionali, si può affermare che la Costituzione italiana non è mai stata assolutamente indifferente sul tema della trasparenza e della lotta alla corruzione[10].

Sebbene l’Italia abbia ratificato tutte le Convenzioni in materia di anticorruzione, a causa di diversi fattori, non ha prontamente recepito le raccomandazioni contenute in questi trattati. In particolare, l’ordinamento italiano ha ratificato l’unico trattato vincolante in materia, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 2003 (d’ora in poi UNCAC), soltanto nel 2009 (l. n.116/2009[11]) e successivamente ha adottato la propria legge anticorruzione nel 2012.

Prima di focalizzare l’attenzione sul modello italiano, però, è necessario ripercorrere, seppur brevemente, l’evoluzione legislativa e le principali iniziative intraprese nell’ambito della lotta alla corruzione[12].

Già nei primi anni 90’ si avvertiva una forte esigenza di adottare mezzi e strumenti per indirizzare le condotte dei funzionari pubblici verso un grado maggiore di eticità. Anche perché, preme ricordare che quelli erano gli anni successivi alle inchieste di “Mani Pulite”[13] e, dunque, vi era una pressione notevole sulle istituzioni affinché fossero apportati significativi cambiamenti regolatori ed organizzativi delle pubbliche amministrazioni. Difatti, da quel momento in poi sono stati avviati diversi cicli di riforma, la c.d. «età delle riforme amministrative»[14], finalizzati a trasformare l’amministrazione italiana in strutture più moderne, efficienti e tendenti al modello manageriale del settore privato sulla base dell’allora cultura imperante del New Public Management [15].

Le principali tappe che hanno preceduto la fase di svolta del 2012 sono state caratterizzate dall’adozione di alcuni documenti e gruppi di lavoro[16]: il “Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni” di Sabino Cassese del 1993; Il “Rapporto del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione” del 1996[17]; i primi codici di comportamento dei dipendenti pubblici degli anni novanta; il d.lgs. n.165/2001 sul pubblico impiego; l’istituzione dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione nel 2004; la costituzione della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT)[18] del 2009; infine, il “Rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione nella PA”, i cui lavori sono stati coordinati dal magistrato Roberto Garofoli; le sollecitazioni provenienti dall’organo di controllo contro la corruzione del Consiglio d’Europa[19], ovvero il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO).

Il rapporto Cassese del 1993[20] aveva formulato tante osservazioni e proposte, ma soprattutto poneva in rilievo la necessità di intensificare i controlli nelle pubbliche amministrazioni al fine di incrementare l’efficienza amministrativa, il raggiungimento degli obiettivi e per impedire la corruzione. Nonostante ciò, dal documento in questione non si evincevano proposte specifiche in tema di prevenzione della corruzione. Anche se, il rapporto ha certamente contribuito ad avviare una riflessione sul tema della condotta dei funzionari, tant’è che dopo poco tempo veniva adottato il primo codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.M. 31 marzo 1994).

Un momento importante ha coinciso con la pubblicazione del “Rapporto del comitato di studio sulla prevenzione della corruzione” del 1996, il cui coordinatore anche in questo caso era il professor Sabino Cassese. In quel momento, cresceva sempre di più la convinzione di indirizzare questa politica oltre la disciplina penalistica, vale a dire verso l’approccio preventivo fino ad allora del tutto assente.

Il documento valutava per la prima volta in un’ottica integrata le dimensioni, le tipologie e le cause della corruzione in Italia. La seconda parte comprendeva una serie di proposte che tenevano in considerazione le esperienze pregresse degli ordinamenti common law. Nella parte centrale (“Mezzi per prevenire la corruzione”), invece, erano state individuate alcune misure finalizzate proprio alla prevenzione dei fenomeni corruttivi. Ciò che emergeva, però, era un’analisi basata esclusivamente su una prospettiva efficientistica: i problemi derivanti dalle pratiche corruttive erano ritenuti sostanzialmente cause di inefficienza amministrativa[21], cattivo impiego di risorse pubbliche e quindi violazione del principio costituzionale del buon andamento (art. 97 Cost.). Insomma, la questione della corruzione del settore pubblico e l’individuazione delle relative misure per contrastarla non erano contrassegnate da una visione più ampia di buon governo e integrità. D’altronde, questo elemento sarà uno dei tratti peculiari delle riforme del pubblico impiego degli anni a venire.

Il d.lgs. n.165/2001 è la principale riforma che ha incorporato in un unico testo, da qui il nome Testo unico del pubblico impiego, gli interventi legislativi avviati con le riforme degli anni Novanta. In particolare, questo decreto aveva l’ambizione di varare un vero e proprio progetto di riforma della “Costituzione amministrativa italiana materiale” [22], basato su una rilettura delle norme costituzionale e sulla base della vasta giurisprudenza della Corte costituzionale.

L’evoluzione normativa del rapporto di lavoro pubblico, culminante nel c.d. “T.U.P.I.”, era caratterizzata dalla privatizzazione e contrattualizzazione del pubblico impiego. Sul versante dell’integrità dell’amministrazione, erano state introdotte diverse disposizioni concernenti l’imparzialità dei funzionari: era stato riformulato l’art. 58-bis del d.lgs. n. 29/1993; erano state introdotte misure molto importanti in merito alla responsabilità disciplinare dei dipendenti[23] ed erano stati dettagliati alcuni istituti in modo più organico (incompatibilità, incandidabilità ed inconferibilità).

Nel 2004, l’articolo 1 della legge n. 3/2003 istituiva la figura dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione. Successivamente, con il d.P.R. n. 6/2003 venivano definite le sue funzioni, che risultavano però limitate a causa dell’inesistenza sia di una strategia anticorruzione che di un solido corpus normativo di riferimento. L’Alto Commissario era legato da un rapporto di diretta dipendenza funzionale con il Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1 co. 1 della l. n. 3/2003), proprio per questo motivo non godeva di ampi margini di manovra.

La riforma introdotta dall’allora Ministro Renato Brunetta con il d.lgs. n. 150/2009 era principalmente finalizzata al miglioramento della performance dell’amministrazione[24]. In particolare, l’essenza del decreto si basava sul rafforzato rapporto tra responsabilizzazione per i risultati e responsabilità per doveri o obblighi dei funzionari. Proprio in questo contesto, era stata costituita la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT)[25]. Tuttavia, occorre precisare che questa autorità amministrativa indipendente, il cui bilancio si è rivelato da subito poco positivo[26] non aveva i compiti e i poteri che avrà successivamente l’odierna autorità anticorruzione. La Commissione aveva poteri di indirizzo, monitoraggio e controllo dell’operato delle pubbliche amministrazioni in tema di trasparenza e valutazione. Tuttavia, questa autorità era segnata da una certa debolezza strutturale, dato che era sprovvista di poteri sanzionatori e di un proprio ruolo del personale, nonostante ciò, ha svolto un ruolo di regolazione e supporto metodologico[27].

Con l’adozione della l. n. 190/2012, invece, sono stati attribuiti maggiori poteri e con il d.l. n. 90/2014 la CIVIT veniva trasformata nell’attuale Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).

L’ultima tappa dal punto di vista cronologico è riconducibile alla “Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”, istituito dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Filippo Patroni Griffi con decreto del 23 dicembre 2011 e con l’apporto della Ministra della Giustizia Paola Severino.

Il rapporto presenta alcune proposte e riflessione di sistema nella prima parte, rispetto alle quali oggi si può certamente affermare che buona parte di esse sono state realizzate. La seconda parte offre un’analisi dettagliata del fenomeno corruzione nei vari settori. Nell’appendice, oltre alle schede di sintesi, si presta attenzione al contesto internazionale in materia, quello europeo e dei paesi candidati ad entrare nell’UE.

Nello studio si trova una specifica sezione all’integrità (8.2 “le regole di integrità”). Per prima cosa, l’integrità è definita come: «la qualità dell’agire in accordo con regole e valori morali fondamentali»[28]. Un aspetto interessante nel testo è l’affermazione secondo cui l’integrità si realizza attraverso le politiche anticorruzione e le misure dell’etica pubblica (i codici di comportamento, i conflitti di interessi, incompatibilità, ineleggibilità e incandidabilità), lasciando intendere che questi due ambiti siano distinti e separati. Quest’ultimo elemento è emblematico dell’idea di integrità pubblica nel nostro ordinamento. Da questa interpretazione emerge, infatti, che l’integrità si realizza attraverso le “misure dell’etica pubblica”. In verità, però, queste stesse misure sono anche da considerare presìdi per combattere e prevenire la corruzione. Non a caso la legge anticorruzione, in particolare attraverso i decreti attuativi, ha introdotto le maggiori novità proprio attraverso l’adozione di questi strumenti e regole. Pertanto, da ciò si evince una certa approssimazione e incertezza sul concetto di integrità da parte delle istituzioni italiane.

L’anticorruzione e l’etica pubblica trovano nell’integrità il punto di congiunzione, anche se ciò non è ravvisabile nel percorso italiano che ha portato alla svolta del 2012.

Il sistema della prevenzione della corruzione in Italia deve il proprio avvio alla legge n. 190 /2012 e ai successivi decreti attuativi. La legge anticorruzione ha avuto un notevole impatto sui rapporti di lavoro pubblico[29], a dimostrazione del fatto che si è trattata di una delle riforme più incisive del settore pubblico.

Le principali misure introdotte dalla normativa anticorruzione sono le seguenti: l’organizzazione amministrativa e di vigilanza facente capo all’ANAC, il Piano nazionale anticorruzione (d’ora in poi PNA) ed i singoli piani per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT); le norme in materia di trasparenza amministrativa; la prevenzione ed il contrasto della corruzione nei contratti pubblici; alcune novità sulla disciplina dei conflitti d’interesse; modifiche alla l. n. 241/90; alcune novità sul fronte penalistico; nuovi strumenti dell’imparzialità: inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi[30]; un nuovo codice dei dipendenti pubblici, i collegati codici di comportamento integrativi e la responsabilità disciplinare; la tutela del whistleblowing; un raccordo funzionale tra la repressione e la prevenzione dei fenomeni corruttivi.

Le misure preventive sono state concentrate sulle seguenti aree: l’organizzazione delle P.A.; la trasparenza di tutti i processi e le attività; la formazione del personale; la predisposizione di una politica che si dipana dal piano centrale e viene attuata a livello periferico[31].

Il sistema organizzativo complessivo fa leva sul ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC)[32], che dopo il d.l. n.90/2014 ha assunto la funzione di perno dell’attività di indirizzo e di controllo con poteri sanzionatori e quindi come autorità a pieno titolo. L’ANAC elabora il Piano nazionale anticorruzione che funge da orientamento pratico e contenutistico per le misure, in seguito le pubbliche amministrazioni debbono adottare i Piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza (d’ora in poi PTPCT). L’Autorità si avvale delle c.d. “linee guida”, che servono a indirizzare e assistere le pubbliche amministrazioni nell’adozione delle misure di prevenzione. La funzione delle linee guida è stata oggetto di diverse pronunce dei giudici[33], ma ha anche attirato l’attenzione della dottrina italiana, la quale si è divisa sul rapporto tra le linee e il controllo giudiziario e sul collocamento di questi atti nel sistema delle fonti del diritto[34].

Il processo di riforma del 2012 ha fortemente inteso responsabilizzare il ruolo delle pubbliche amministrazioni, conferendo loro una funzione nodale nell’implementazione del sistema: la progettazione e l’implementazione della politica si basa su una vera e propria strategia bottom-up.

Questo dato si evince, innanzitutto, attraverso la disciplina dei PTPCT, ma anche con la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) e il processo di adozione dei codici di amministrazione. Insomma, il ruolo delle pubbliche amministrazioni nel sistema preventivo vigente si basa sull’idea che affinché un’amministrazione sia integra, dev’essere necessariamente proattiva, aderente ai valori dell’etica pubblica, ma soprattutto capace di individuare, approvare ed implementare le misure più adeguate alla propria realtà amministrativa. Per fare ciò, è necessario effettuare la gestione del rischio corruttivo, basato su una “diagnosi” interna delle singole aree, affinché si possano adottare misure e azioni efficaci e “cucite su misura” sulle specifiche organizzazioni amministrative. Stessa logica è evincibile nel campo dei controlli: oltre alle forme di controllo esterno, è stato creato un sistema di controlli interni facenti capo a diversi attori (RPCT, Organismi indipendenti di valutazione, Ufficio procedimenti disciplinari).

In aggiunta alle misure amministrative di prevenzione della corruzione, però, la legge del 2012 ha portato all’adozione del nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici (d.P.R. n.62/2013)[35], che rappresenta un elemento essenziale, come si dirà, nella prospettiva dell’integrità.

Il codice del 2013, a differenza delle precedenti versioni, è un regolamento governativo approvato con d.P.R. n. 62/2013, segnando così un importante rafforzamento in virtù della diversa fonte del diritto. Questo elemento, anche se non il solo, marca una grande differenza rispetto a tante altre esperienze dove i codici sono configurati come codici etici e con normative di soft law. L’intervento compiuto dal legislatore del 2012 ha voluto soprattutto recuperare la centralità, di rilievo costituzionale, dell’attività di servizio svolta dai funzionari pubblici per l’amministrazione. L’altra grande novità è costituita dall’obbligo gravante su ogni pubblica amministrazione di adottare un codice proprio, coerentemente alla tipologia di amministrazione e considerando anche le altre misure organizzative (PTPCT, ciclo performance e rischi).

L’ultimo pilastro del sistema è certamente quello della trasparenza amministrativa e in particolare alcune sue funzioni[36]. Il d.lgs. n. 33/2013 ha introdotto una serie di elementi strumentali all’anticorruzione[37], infatti proprio nel c.d. “decreto trasparenza” l’obiettivo della prevenzione della corruzione appare come il principale punto focale.[38]

In particolare, il decreto ha introdotto maggiori forme di pubblicità, l’accesso civico semplice, vari obblighi di pubblicazione per le pubbliche amministrazioni, tra cui la sezione “amministrazione trasparente” sul siti web, alcune disposizioni sui dati e sulla qualità delle informazioni. Qualche anno dopo, con il d.lgs. n. 97/2016 (normativa FOIA[39]) la disciplina è stata ampliata con l’introduzione del diritto di accesso generalizzato.

Il regime di trasparenza introdotto nel modello anticorruzione italiano è molto importante per via delle funzioni da esso introdotte. Oltre alle garanzie sopra esposte (trasparenza come risultato), infatti, tale modello garantisce maggiore partecipazione e controllo dal basso dei cittadini (trasparenza come strumento).

3. Teoria e prassi della prevenzione della corruzione: la difformità tra l’impianto normativo e l’esperienza concreta delle pubbliche amministrazioni

Il modello brevemente esposto si sviluppa essenzialmente su due piani: la politica della prevenzione della corruzione e il diritto anticorruzione[40]. La prima attiene ai profili propri di una politica pubblica, ovverosia si snoda attraverso le fasi di formulazione della politica, la decisione delle scelte, l’implementazione e infine la valutazione. Il secondo, invece, si basa su una serie di istituti rientranti nel raggio d’azione del diritto positivo, ma dal quale discendono strumenti e regole afferenti a diversi rami del diritto. In effetti, oltre alla centrale componente preventiva che attiene al diritto amministrativo, il diritto anticorruzione è collegato a vari settori del diritto a seconda delle tipologie di responsabilità giuridiche che si vengono a configurare. Altrettanto diverse sono le fonti che regolano questo settore, oltre alle fonti primarie e secondarie, infatti, un ruolo per niente marginale è quello delle già citate linee guida, ovvero atti di soft law[41].

Questa premessa è utile a capire la complessità del sistema[42] che, appunto, abbraccia profili giuridici, pratico-organizzativi e decisionali diversi.

Il sistema attuale si contraddistingue, infatti, per aver investito su un nuovo e specifico modello organizzativo delle pubbliche amministrazioni. Ciò non è stato determinato soltanto dall’inedito profilo della prevenzione amministrativa della corruzione, ma anche dall’accostamento del concetto di “corruzione amministrativa”[43] all’attività della pubblica amministrazione, sintetizzato con il concetto di maladministration[44]. Questo aspetto ha permesso, da un lato, di estendere le fattispecie comportamentali rientranti nel perimetro di interesse della politica preventiva, da un altro lato, però, ciò ha comportato l’adozione di procedure, azioni e misure ulteriori, vale a dire distinte o comunque addizionali rispetto a quelle impiegate per la sola prevenzione dei comportamenti che si possono definire propriamente corruttivi. Ciò ha consentito la creazione di un modello dove la repressione penale e la prevenzione amministrativa della corruzione coesistono nello stesso impianto. Molti studiosi hanno criticato sin dal principio questa scelta, in quanto avrebbe creato un sistema troppo complicato e che tende a conformare condotte, norme e responsabilità che, in realtà, appartengono a due distinte tipologie del diritto.

Dunque, uno dei maggiori elementi di complessità del sistema è da individuare proprio in una delle sue principali peculiarità, sebbene ciò non costituisca di per sé un fattore negativo. La scelta di congiungere la prevenzione delle fattispecie corruttive rientranti nel Codice penale con quelle amministrative ha il pregio di integrare questi fenomeni in una promozione complessiva della buona amministrazione. In effetti, una pubblica amministrazione si può definire tale se chiaramente l’interesse generale prevale sempre e comunque (assenza corruzione), ma anche se il funzionamento dell’amministrazione avviene attraverso uno svolgimento dell’attività amministrativa conforme ai canoni dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della responsabilità (assenza cattiva amministrazione).

In realtà, come detto, il sistema attuale ha mirato a superare la rigida visione della materia in una sola ottica penalistica o di prevenzione amministrativa. Tale riforma ha puntato, difatti, su una funzionale collaborazione dei due ambiti, a partire proprio dalle rispettive sfere di responsabilità.

A dimostrazione di ciò, infatti, nel 2016 il procedimento disciplinare del pubblico impiego è stato disciplinato in relazione al procedimento penale nel d.lgs. n. 75/2017 e nel d.lgs. n. 118/2017. In particolare, nel primo decreto sono state introdotte delle novità in merito al rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare[45]. Insomma, questi elementi consentono di affermare che il sistema italiano ha inteso combinare la repressione penale della corruzione e la prevenzione amministrativa della corruzione in una logica di modello di «contrasto integrato»[46], all’interno del quale le diversità dei due rami costituiscono un valore aggiunto per la solidità del modello.

Concludendo sul punto, se da un lato, quindi, questa scelta porta con sé il pregio di considerare congiuntamente gli interessi giuridici in gioco, evincibile peraltro già dal titolo stesso della legge 190/2012[47], al contempo, secondo taluni studiosi, questo aspetto rischia di sfibrare la figura del dipendente pubblico, minandone la credibilità e il prestigio[48], dal momento che agli occhi del cittadino il dipendente che commette un reato di corruzione e quello che commette atti di maladministration vengono messi sullo stesso livello.

Un aspetto alquanto controverso è riconducibile ad uno dei pilastri del sistema: il disatteso ruolo di co-protagoniste delle pubbliche amministrazioni in merito allo sviluppo della politica.

Se si analizzano i documenti e gli atti preventivi delle pubbliche amministrazioni, ovvero i piani di prevenzione e i codici di comportamento, emergono una serie di rilievi critici.

L’idea del legislatore del 2012 è stata quella di non affidare eccessivamente la responsabilità organizzativa e decisionale al livello centrale all’ANAC. Nonostante sia prevalsa la strategia dell’istituzionalizzazione[49], l’attuazione della politica della prevenzione è basata su un dispiegamento organizzativo orizzontale. In effetti, al contrario di come è stato sostenuto da alcuni osservatori[50], il modello attuale ha favorito la creazione di un sistema diversificato dal punto di vista funzionale e legittimato dai compiti che la legge ha assegnato alle singole amministrazioni. Se da un punto di vista “teorico” il sistema a doppio livello appare positivo e virtuoso, quello che oggi va messo in rilievo è il trend negativo che è emerso, specie nei primi anni, in merito all’adempimento formalistico delle misure preventive da parte delle pubbliche amministrazioni.

L’adozione delle misure di prevenzione dei piani e i doveri di condotta dei codici di amministrazione trovano la loro ragion d’essere nel processo di gestione del rischio. In base a questo ciclo, ogni singola amministrazione è in grado di adottare misure e regole di condotta coerenti con quel tipo di amministrazione. Effettivamente, questo processo varia a seconda del livello del rischio di un’amministrazione, ma soprattutto con riferimento alla categoria di amministrazione: i doveri di condotta di un funzionario di un ente pubblico economico sono diversi da un operatore del sistema sanitario nazionale, come pure le misure di prevenzione di un comune sono diverse da quelle di un ente fiscale.

L’esperienza di questi anni ha dimostrato che molte pubbliche amministrazioni, specie quelle più piccole e sprovviste di risorse materiali e umane adeguate, non sono state in grado di adempiere alla funzione loro affidata. La maggior parte di piani e codici appaiono come mere riproduzioni del piano nazionale anticorruzione e del codice di comportamento generale. In altri casi invece, le misure e le regole adottate non sembrano affatto in linea con le evidenze emerse dai rispettivi processi di gestione del rischio. Le conseguenze derivanti da questa disfunzione esistente tra il piano regolatorio e l’esperienza concreta è quella di “annacquare” l’efficacia del sistema preventivo sin dalle sue fondamenta, ovvero la funzione di co-definizione della politica delle pubbliche amministrazioni.

Un ulteriore effetto derivante dall’adempimento formalistico è una maggiore esposizione delle pubbliche amministrazioni al rischio, specie in quei territori ove vi sono condizioni esterne favorenti la corruzione. Per meglio dire, l’analisi del rischio si basa sulla rilevazione di informazioni che riguardano il contesto organizzativo interno all’amministrazione, ma anche sull’analisi di quello esterno che è fatto da dati e informazioni riguardanti il territorio (se si tratta di un Comune) o di un settore (se si tratta di una categoria particolare di amministrazione). Se viene meno tale assolvimento è molto probabile che le pubbliche amministrazioni stiano ignorando alcune cause che, sebbene provenienti dall’esterno, potrebbero permeare l’interno delle loro organizzazioni ed esporle al rischio.

Nell’ambito dei piani di prevenzione sono emersi, inoltre, alcuni problemi legati alla carenza di personale dotato di concrete capacità di sviluppare questi processi. Un recente studio ha, difatti, dimostrato come le mancate capacità di comprensione e realizzazione del risk management sia una delle principali cause della scarsa effettività di questo processo[51]. Il ciclo della gestione del rischio, in effetti, richiede la presenza di un personale che abbia competenze e conoscenze molto elevate. Anche se, sempre da questo studio emerge che il trend del decennio esaminato sta migliorando, soprattutto a causa della presenza di personale con un background formativo e professionale adeguato.

Questo fattore fa luce, però, su un problema che affligge tutti gli ambiti della pubblica amministrazione: mancanza di profili con competenze settoriali e con saperi tecnico-scientifici. Senza questo necessario investimento, prevarrà la ricerca dell’integrità in assenza di capacità[52].

Un problema di gran lunga manifesto è relativo alle regole di condotta dei funzionari amministrativi. Quest’area è disciplinata dalla legge, dai codici di condotta e anche dai codici disciplinari di matrice sindacale.

Su questo fronte, come anticipato, la riforma anticorruzione ha inteso rafforzare i doveri pubblicistici e al contempo creare un collegamento con gli obblighi afferenti alla prestazione lavorativa vera e propria. In realtà, questa molteplicità di fonti è causa di una tensione vera e propria tra i doveri sanciti nei codici di comportamento e gli obblighi contrattuali[53]. In conseguenza a ciò, infatti, si vengono a configurare alcuni problemi molto rilevanti[54].

Relativamente allo strumento disciplinare, anche in questo caso si constata uno scarso utilizzo dello stesso, con il conseguente indebolimento del sistema preventivo. Difatti, la valorizzazione dello strumento disciplinare è stata compiuta in concomitanza con lo sviluppo del sistema di prevenzione, con la finalità di far prevalere questo strumento a quello penale, in quanto quest’ultimo è ritenuto inadeguato alla logica preventiva perché meramente punitiva.

Un ultimo elemento è quello relativo ai processi di formazione nel campo dell’anticorruzione (art. 1, co. 9, lett. b) e c) della l. n. 190/2012). Attualmente, esistono tre diverse forme e vengono erogate dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA)[55]: un tipo di formazione generale destinato a tutto il personale per promuovere la cultura della legalità e dell’integrità; un’altra obbligatoria che riguarda il personale che si occupa della gestione del rischio di corruzione; e un’ultima per il personale che lavora nelle aree considerate più a rischio.

Questi processi hanno l’obiettivo di fornire ai destinatari le conoscenze e gli strumenti utili per risolvere gli eventuali dilemmi etici nell’adempimento della funzione e di evitare situazioni potenzialmente conflittuali tra il loto interesse e quello generale della pubblica amministrazione.

Tuttavia, anche in questo caso si rileva una predominante logica formalistica di questi processi, dalla quale ne discende l’inefficacia di questi momenti formativi e soprattutto la mancata comprensione pratica e teorica dei doveri e delle misure per prevenire la corruzione e promuovere l’integrità negli uffici delle pubbliche amministrazioni.

Se si considera il sistema anticorruzione sotto il profilo proprio di una policy, un elemento che nel modello italiano è alquanto debole è quello della valutazione ex-post di questa politica. Per meglio dire, non ci sono regole precise e valide in via generale per tutte le pubbliche amministrazioni.

Il modello vigente prevede alcune forme di monitoraggio sull’attuazione delle misure, che però sono rimesse alla scelta discrezionale di ogni pubblica amministrazione. Il monitoraggio di primo livello spetta al Responsabile anticorruzione che dev’essere coadiuvato dal supporto di altri attori. Tuttavia, quest’attività di controllo prevede un certo margine di discrezionalità in ordine alla periodicità dei controlli e alle modalità di verifica, le quali possono prevedere forme di audit specifiche, incontri con i responsabili dell’attuazione delle misure e ricorso a sistemi informatizzati. Come si può facilmente intuire, però, essendo la scelta di questi strumenti facoltativa, viene a determinarsi una certa debolezza delle verifiche. Ciò si ripercuote proprio sul monitoraggio che, trattandosi di una valutazione retrospettiva, determinerà la definizione del piano successivo.

A differenza del sistema italiano, inoltre, altri ordinamenti prevedono forme e canali che consentono ai cittadini di esprimere le proprie valutazioni in merito alla coerenza delle misure realizzate rispetto agli intenti fissati nei piani anticorruzione.

Per queste ragioni, prevedere alcune forme di controllo e valutazione esterne potrebbe sopperire ai limiti sopra esposti e, al contempo, rendere i cittadini maggiormente partecipi e responsabili di fronte a una questione che in realtà li riguarda da vicino. L’integrità dei funzionari è essenziale per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, i cui destinatari sono appunto i cittadini. La cittadinanza è sia soggetto interessato a questa politica che rilevatore dei suoi effetti.

Un’ultima considerazione riguarda il fatto che questa politica è stata concepita come una sorta di “monade isolata”, vale a dire come un ambito a parte rispetto agli altri processi organizzativi delle pubbliche amministrazioni.

In realtà, sul piano normativo questo elemento non sussiste, dal momento che sia la legge anticorruzione che gli indirizzi dell’ANAC hanno sempre raccomandato alle pubbliche amministrazioni l’adozione di un approccio integrato tra i vari piani, segnatamente con quello in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico. Il piano pratico dimostra purtroppo il contrario.

Gli elementi critici fin qui descritti hanno favorito, in primo luogo, lo sviluppo della convinzione secondo la quale gli adempimenti anticorruzione siano degli “inutili appesantimenti burocratici” e sono ritenuti inefficaci nella prospettiva di miglioramento dell’efficacia e dell’integrità organizzativa. In secondo luogo, i limiti applicativi del sistema hanno spinto taluni a mettere finanche in discussione la portata stessa dell’impianto normativo e la scelta del metodo preventivo come strumento preponderante per l’attuazione della strategia. Altri ancora individuano nell’eccessivo carico di oneri conferito al Responsabile della prevenzione della corruzione la ragione per cui gli adempimenti formali abbiano prevalso a scapito di una vera trasformazione dei comportamenti e della mentalità[56].

Ad onor del vero, si dovrebbe adottare una visione analitica complessiva di questo modello e non parziale. In effetti, a fronte delle lacune applicative e dei problemi irrisolti, ci sono anche diverse buone pratiche che confermano la bontà della struttura centro-periferica e della fiducia riposta nello strumento preventivo. Anche in questo caso, infatti, se si analizzano codici e piani di prevenzione si possono rilevare casi in cui le misure di prevenzione sono collegate alla fase di risk management e le regole di condotta risultano essere effettivamente ulteriori rispetto alle norme del codice di comportamento nazionale.

Insomma, l’incongruenza tra il piano normativo italiano, ritenuto virtuoso anche all’estero, e l’esperienza concreta delle pubbliche amministrazioni mostra l’esistenza di una “falla” significativa tra i due piani, che sbilancia il giudizio dei più verso una valutazione negativa di questa politica. D’altro canto, però, a testimonianza della validità del modello esistono diverse statistiche che mostrano una riduzione del fenomeno[57], specie sul versante della percezione[58], ma soprattutto si registra una buona valutazione dell’operato italiano da parte degli organismi sovranazionali.

Quello di cui il sistema italiano ha bisogno, quindi, non è la presenza di più regole, ma di più integrità nella pratica.

4. L’integrità del settore pubblico: definizioni, regole e strumenti

La probità, come l’onestà e l’integrità, è quasi interamente soggettiva: è molto facile parlarne, ma molto sfuggente da definire[59]. Questa affermazione si deve a Lord Windlesham, membro della Camera dei Lord del Regno Unito, in occasione di un dibattito sul rapporto della Royal Commission on Standards of Conduct in Public Life del 1974, che da quel momento in poi avrebbe caratterizzato il percorso delle riforme etiche britanniche.

L’integrità è sia un principio che un concetto dal carattere talmente ampio che per poterla inquadrare si devono comprendere le numerose definizioni[60]. Alla pari di altri princìpi, anche quello di integrità è caratterizzato da: «un contenuto talmente indeterminato da consentire al giurista di attribuire il significato più confacente alla propria impostazione»[61].

L’ambito in cui si inserisce l’integrità si basa sulla relazione esistente tra etica e diritto, ovvero quel rapporto che definisce il diritto come una realtà che si forma e interagisce attraverso i valori morali.

La teoria giuridica si è sempre occupata della questione della moralità, tracciandone le differenze e i punti di incontro tra questi due concetti.

Il tema dell’integrità pubblica si lega in modo diretto con quello dell’etica pubblica, sebbene ci siano analogie e differenze tra i due concetti.

Etica e integrità sono spesso usate singolarmente o in modo intercambiabile. In effetti, molte definizioni di integrità si basano sull’idea che agire con integrità equivalga ad agire in modo etico o morale[62]. Anche se, alcuni studiosi sottolineano alcune differenze tra i due termini. Innanzitutto, l’etica e l’integrità possono essere viste come due fenomeni separati o come un unico concetto, ad esempio “etica e integrità”, “etica dell’integrità”, “etica e integrità per la pubblica amministrazione” o “integrità etica”.

Secondo altri studi, l’etica è vista come un sottoinsieme dell’integrità[63], vale a dire che l’integrità è definita come un’etica del servizio pubblico consistente in un insieme di valori. Altri autori hanno addirittura definito il “discorso dell’integrità” come un sistema volto a spiegare il concetto di etica pubblica[64].

In altri casi, invece, è stato teorizzato che l’etica e l’integrità sono collegate[65], in quanto gli individui e le organizzazioni hanno standard e principi morali (etica) e il loro comportamento può essere più o meno in linea con la loro etica (integrità individuale o organizzativa). Altri studiosi, pur sostenendo che integrità ed etica vanno di pari passo, affermano che alcune qualità dell’integrità sono diverse dall’etica[66].

I concetti di etica e integrità riguardano la deontologia della funzione pubblica. In effetti, l’etica e l’integrità, sebbene variamente intese, concorrono a definire la deontologia pubblica come una sfera con un proprio dominio, in cui viene tracciata una chiara distinzione tra questi concetti sia nella loro dimensione pubblica che nella moralità personale[67]. La deontologia collega strettamente i principi, le norme etiche e l’integrità con le regole di condotta dei funzionari pubblici, definendo così una sorta di “scatola comune” fatta di princìpi e doveri in cui le qualità morali sono ritenute necessarie[68].

Il sostantivo integrità si riferisce sia all’essere integri e completi che alla purezza e alla giustezza delle azioni. Le radici semantiche evocano la percezione dell’interezza e la ricostruzione di qualcosa che non è più intero, ma che invece appare frammentato e/o diviso. Pertanto, questo termine è comunemente usato per definire qualcosa che è solido, intero o che ha la sua originale pienezza costitutiva[69].

Nella letteratura sull’integrità è possibile distinguere almeno otto prospettive che utilizzano alcune parole chiave: interezza e coerenza, responsabilità professionale, riflessione morale, valori come l’incorruttibilità, leggi e regole, valori e norme morali e comportamento esemplare[70].

Il termine integrità è inoltre associato alla responsabilità della sfera professionale, mentre altre prospettive si concentrano su uno o più valori specifici come la mancanza di corruzione, l’onestà, l’imparzialità e la responsabilità[71]. Una di queste prospettive mette in relazione l’integrità con virtù come la saggezza, la giustizia, il coraggio e la temperanza[72].

Una delle prospettive più diffuse si basa sulla relazione tra integrità e moralità, riassunta dal concetto di “integrità morale”[73], che può essere espressa come segue: ciò che è giusto e sbagliato, buono o cattivo[74]. Il legame tra moralità e integrità è certamente riconducibile alla più ampia relazione esistente tra morale ed etica. Il dipendente pubblico deve conoscere i doveri legati alla funzione, così come il cittadino comune deve comprendere i veri obblighi morali, poiché non può essere moralmente sbagliato[75].

Tuttavia, la moralità e l’integrità, pur avendo diversi punti in comune, presentano anche alcune sostanziali divergenze a livello pratico: le persone integre possono agire in modo immorale, anche se di solito non si rendono conto di farlo.

Un’ultima tesi si basa sul legame tra integrità ed esemplarità[76], consistente nell’idea che l’attuazione del principio serva a proiettare una buona immagine all’interno e all’esterno del settore pubblico, al fine di generare fiducia nei cittadini-amministrati.

4.1 Il valore giuridico dell’integrità

Esiste una prospettiva più strettamente giuridica che si basa sul primato delle leggi e delle regole, con particolare attenzione ai principi costituzionali[77], che considera l’integrità come un concetto costituito da valori specifici che il funzionario pubblico deve rispettare.

Degna di nota è anche la famosa teoria giuridica di Ronald Dworkin che, nel dare centralità all’integrità, la definisce come un valore politico fondamentale e distintivo[78].

Per comprendere la natura legale dell’integrità è necessario stabilire una linea di demarcazione sulla duplice valenza del principio: personale e pubblica. La prima ha un’accezione prettamente “privata”, che non ha una portata generale e si basa sull’essere fermi e coerenti con le proprie convinzioni e si traduce nella qualità di essere onesti e avere forti principi morali; la seconda, invece, ha un’accezione più generale e si configura quando le funzioni pubbliche sono affidate a un uomo o a una donna e da questo particolare status derivano diritti e doveri, responsabilità e modalità di svolgimento.

La “dimensione personale” è quindi limitata alla sfera privata degli individui ed è legata all’accettazione di norme convenzionali che non sono universali; inoltre, si basano sulla fedeltà di un individuo rispetto ai propri impegni, che non hanno però valore giuridicamente vincolante.

Nel secondo caso, invece, non è l’individuo a stabilire i valori che determinano l’efficacia del concetto, ma ci sono princìpi e norme giuridiche ben precise. In entrambi i casi, però, c’è un punto in comune: per essere integri, bisogna rispettare e riconoscere alcuni valori, norme e princìpi.

La differenza tra le due dimensioni, privata e pubblica, tuttavia, non è determinata solo dal fatto che la seconda ha valore giuridico e produce effetti e doveri legali, ma anche dal carattere specifico e oggettivo dei suoi principi. Ciò significa che per una persona essere integri può significare qualcosa il cui valore è opposto alla concezione di un altro individuo.

L’integrità in ambito pubblico, invece, si basa su regole molto specifiche, che vengono date dall’ordinamento giuridico in quanto considerate essenziali per il corretto svolgimento delle funzioni pubbliche e il perseguimento dell’interesse pubblico. L’integrità in questo senso, quindi, si basa su una vera e propria standardizzazione della condotta, rispetto alla quale la moralità individuale non è sufficiente a soddisfare e garantire l’interesse generale.

Il principale riferimento dell’integrità è l’articolo 1(c) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione di Mérida del 2003 (UNCAC), che afferma: «lo scopo della presente Convenzione è di promuovere l’integrità, la responsabilità e la buona fede nella gestione degli affari e dei beni pubblici».

Nel testo della Convenzione, in effetti, l’integrità non si trova solo nell’articolo 1, poiché compare già nel preambolo dove si fa riferimento a «la necessità di salvaguardare l’integrità e di promuovere una cultura di rifiuto della corruzione».

La Convenzione interamericana contro la corruzione del 1996, invece, non attribuisce all’integrità il valore di principio giuridico, ma nel paragrafo 1 dell’articolo 3 sulle misure preventive afferma che: «tali misure contribuiranno a preservare la fiducia nell’integrità dei funzionari pubblici e della pubblica amministrazione».

Per quanto riguarda il quadro giuridico europeo, non esiste un riferimento diretto all’integrità nei Trattati europei, anche se potrebbe esserci un collegamento di questo principio con l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce i doveri dei funzionari legati al diritto a una buona amministrazione[79].

Il significato giuridico di questo principio può riferirsi sia alla dimensione organizzativa che a quella individuale. Se la dimensione individuale è facile da intendere, come fa la pubblica amministrazione a rispettare l’integrità organizzativa? L’integrità nelle organizzazioni pubbliche è il risultato di una serie di misure: stabilire sistemi aperti, trasparenti, efficienti ed equi per garantire i più alti standard di competenza, promuovere l’imparzialità nella funzione pubblica, salvaguardare una retribuzione equa e adeguata[80]. Chiaramente, l’effettività e l’efficacia delle misure appena menzionate dipende dal contesto e da alcuni fattori strettamente legati al contesto di riferimento[81].

Possiamo identificare almeno due tipi di integrità nel settore pubblico: l’integrità organizzativa/istituzionale e l’integrità soggettiva del dipendente pubblico. La prima intesa come la disposizione di un’istituzione a raggiungere i propri risultati in modo efficiente, rispettando i limiti della legalità e in linea con i propri impegni; mentre la seconda come la forte disposizione di un funzionario a sostenere l’integrità della propria istituzione, nell’esercizio delle proprie funzioni, al meglio delle proprie capacità[82].

In merito agli strumenti da adottare per promuovere l’integrità nel settore pubblico, non esiste un riferimento giuridico comune. Certamente, si può sostenere che l’approccio all’integrità comprende misure di rafforzamento della fiducia, che vanno oltre l’individuazione e la punizione dei reati di corruzione[83].

Il quadro dell’integrità comprende tutti gli strumenti, i processi, le strutture e gli elementi, sia all’interno che all’esterno delle organizzazioni del settore pubblico, che influiscono sull’integrità dei membri dell’organizzazione[84].

Secondo alcuni studiosi, il rafforzamento e la salvaguardia dell’integrità richiedono un insieme di misure e strumenti per l’integrità, come ad esempio: un codice di condotta; un ufficio per l’integrità; la formazione all’integrità; l’analisi dei rischi; i regolamenti per l’integrità; la leadership etica; le procedure di whistleblowing; le politiche impiegate per prevenire la cattiva condotta e lo screening pre-assunzione[85].

La Convenzione UNCAC del 2003 non stabilisce nel dettaglio le azioni e gli strumenti che gli Stati devono adottare in materia di integrità. Nel testo troviamo il collegamento dell’integrità con i codici di condotta, la regolamentazione dei conflitti di interesse e le misure di prevenzione della corruzione, ma senza specificare il tipo di misure che questi atti e strumenti devono adottare.

Nell’ambito delle violazioni dell’integrità, diversi studiosi hanno individuato una serie di casi che includono le violazioni tipiche della corruzione, dell’abuso di potere, dell’uso improprio di informazioni, del trattamento indecente, della frode e della cattiva condotta privata[86]. Se ne deduce che le violazioni dell’integrità non costituiscono una categoria autonoma, in quanto queste tipologie di violazioni sono già disciplinate da diverse fonti giuridiche (Codice penale, leggi speciali, codici di condotta) e riguardano situazioni giuridiche diverse, cui corrispondono specifiche tipologie di responsabilità (penale, civile, amministrativa, disciplinare, dirigenziale).

Negli ordinamenti nazionali, i riferimenti giuridici al principio di integrità non sono sanciti allo stesso modo nel quadro delle fonti del diritto: in alcuni Stati, è presente addirittura nella Costituzione; in altri casi, si trova in leggi e regolamenti, in altri ancora solo in atti di soft law.

Negli atti legislativi, l’integrità si trova soprattutto nelle leggi che regolano il pubblico impiego, in quelle che combattono e prevengono la corruzione, in alcune leggi in materia di trasparenza amministrativa e, non da ultimo, nei codici di condotta dei funzionari pubblici[87].

Infine, quali sono i principi e i valori con cui si relaziona l’integrità? Qual è la relazione tra l’integrità e gli altri princìpi del settore pubblico? Per descrivere questa relazione, si potrebbe ricorrere alla metafora della piramide[88]alla cui base c’è la legalità, poi la trasparenza, poi l’imparzialità, poi l’efficienza, poi la responsabilità pubblica e infine l’integrità. Il raggiungimento di ogni livello di questa piramide richiede, prima di tutto, il soddisfacimento del gradino (principio) precedente. Per questo motivo, l’integrità pubblica non può essere pienamente soddisfatta senza aver prima garantito la legalità, la trasparenza, l’imparzialità, l’efficienza e la responsabilità pubblica.

Sulla base di quanto detto finora, si potrebbe definire l’integrità pubblica come l’insieme di regole che definiscono il corretto agire dei funzionari pubblici, in tutte le fasi del rapporto di lavoro, al fine di garantire la massima imparzialità e trasparenza della funzione, nonché l’efficiente raggiungimento degli obiettivi. In buona sostanza, il principio di integrità dev’essere inteso come una “legalità-efficiente”[89], imperniato sulla convinzione che i princìpi di buon andamento e di imparzialità esigono di essere sviluppati in accordo reciproco. Assumendo queste prospettive, dunque, l’integrità si manifesta come mezzo necessario per concretizzare la doverosità della pubblica amministrazione[90], ossia la necessità di perseguire il fine pubblico nel miglior modo possibile.

La diffusione dell’integrità nel diritto positivo degli ordinamenti giuridici ha seguito un percorso che va dagli anni Sessanta ai giorni d’oggi. Sulla base dell’evoluzione delle riforme e delle leggi adottate in questo campo, sono distinguibili tre diverse fasi di sviluppo dell’integrità, che possono essere definite “le tre stagioni dell’integrità”. Ognuna di queste fasi ha coinciso con un intervallo temporale diverso, non solo per la durata, ma soprattutto per i processi e i fattori che le hanno segnate.

La prima stagione (anni 60’ – metà anni 90’) è stata contrassegnata dalle riforme etiche (ethics reform) nei paesi common law (Usa e Uk) tra gli anni Settanta e Ottanta. La seconda stagione (metà anni 90’-2017) è iniziata con la c.d. “età delle convenzioni anticorruzione”, ovvero una serie di convenzioni in materia di lotta alla corruzione che ha portato alla conseguente adozione di leggi nazionali anticorruzione[91]. Secondo taluni, questa fase è stata contrassegnata proprio dalla «ricerca dell’integrità assoluta»[92], infatti si è assistito ad una concreta espansione dell’integrità sia come principio che concetto negli ordinamenti nazionali e nelle organizzazioni internazionali (Ocse e Nazioni Unite su tutte).

La terza e attuale stagione è iniziata con l’approvazione della Raccomandazione Ocse sull’Integrità pubblica del 2017, che ha consacrato il passaggio dal concetto di public ethics a quello di public integrity[93], quest’ultimo definito come: «un fondamento essenziale del sistema generale di buon governo e essenziale per il governo della cosa pubblica, in quanto elemento di salvaguardia dell’interesse pubblico e di rafforzamento di valori fondamentali quali l’impegno per una democrazia pluralista basata sullo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani».

Per giunta, in questa stagione l’integrità è molto presente nelle legislazioni nazionali[94], in particolare nelle leggi anticorruzione, codici di condotta, piani anticorruzione e leggi sul pubblico impiego. Al giorno d’oggi, quindi, l’integrità è al centro delle interazioni tra Stato e società, con ampie implicazioni per l’attività della pubblica amministrazione, della governance e dell’erogazione dei servizi pubblici[95].

5. L’integrità nella stagione dell’anticorruzione italiana

Esiste un’ampia letteratura che sostiene la tesi secondo cui l’integrità non dovrebbe essere limitata al campo della lotta alla corruzione. Secondo altri studiosi, addirittura, la concettualizzazione della corruzione attraverso i suoi opposti – il buon governo e l’integrità – avrebbe segnato un importante cambiamento rispetto alle politiche anticorruzione universalistiche[96].

Tuttavia, sia a livello istituzionale che accademico si è assistito a un’associazione unidirezionale dell’integrità con le misure adottate nel campo della prevenzione della corruzione. I due concetti – corruzione e integrità – sono spesso intesi come due facce della stessa medaglia: l’aumento di uno porta al declino dell’altro[97]. Inoltre, il concetto di integrità, soprattutto in Italia, viene sovente confuso con quello di imparzialità (soprattutto nella dimensione soggettiva).

Questi fattori generano confusione e vaghezza, favorendo l’allontanamento dall’attuale concetto di “public integrity”. Anche se, è innegabile che lo sviluppo della politica anticorruzione abbia contribuito a collocare l’integrità all’interno delle agende politiche nazionali e a incrementare la ricerca scientifica su questi temi.

Ragionare in termini di integrità e anticorruzione non significa affatto sostenere l’idea che un dipendente pubblico possa definirsi “integro” solo se è immune da pratiche di corruzione. Il dipendente pubblico deve rispettare e promuovere una serie di misure e regole e non solo quelle relative alla prevenzione della corruzione.

Allo stesso tempo, però, le regole anticorruzione sono un pilastro essenziale per l’attuazione e il raggiungimento di questo principio.

Le misure di prevenzione della corruzione sono un prerequisito per soddisfare pienamente il concetto di integrità. Come può un ufficio di una pubblica amministrazione essere definito integro, nonostante abbia un certo grado di efficienza, se i suoi funzionari non si comportano in modo imparziale?

Si può dunque asserire che l’imparzialità soggettiva, che è al centro della logica della prevenzione della corruzione, è una condizione senza la quale gli altri princìpi che costituiscono l’integrità non possono essere soddisfatti. Dobbiamo considerare il sistema di prevenzione della corruzione come il percorso e l’integrità come il traguardo.

5.1. La frammentazione dell’integrità tra buon andamento e imparzialità nella disciplina del pubblico impiego

Secondo la maggior parte degli studiosi, l’integrità è sempre stata di facile comprensione per il funzionario pubblico britannico o americano, mentre è difficile da tradurre nel settore pubblico italiano, poiché è legata alla dicotomia lecito-illegale[98].

L’Italia non ha dedicato molta attenzione allo studio dell’integrità, soprattutto se si considera l’approccio anglosassone. Tuttavia, è possibile evincere, anche se indirettamente, alcune tracce di integrità nelle ricerche degli studiosi italiani sul tema dei funzionari pubblici, il loro status e i loro doveri.

Una certa attenzione sui doveri dei funzionari pubblici è emersa all’inizio del XX secolo. Uno dei primi approcci che ha sottolineato l’importanza di uno status speciale per i funzionari pubblici, con diritti e doveri, è stato il lavoro di Santi Romano, che ha delineato le differenze tra il servizio pubblico e il settore privato[99].

Nel 1908 il giurista e politico Alfredo Rocco, esprimendo la necessità di uno statuto giuridico per i dipendenti pubblici, aveva definito la burocrazia come: «una grande forza e un grande elemento di moralità».

Va ricordato anche il dibattito che aveva preceduto l’adozione della nota Riforma De Stefani, in cui il rapporto di lavoro nel pubblico impiego veniva distinto da un’ordinaria prestazione di lavoro, in quanto considerato un rapporto etico e di fedeltà e la condotta dei dipendenti doveva essere guidata da ragioni etiche e giuridiche[100].

Nei primi anni del Novecento, dunque, il tema delle funzioni pubbliche era molto sentito, anche se segnato da paradigmi totalmente diversi rispetto al modello di pubblica amministrazione successivo all’approvazione della Costituzione repubblicana. Si trattava, dunque, di una fase particolare, in cui si passava dalla tipizzazione di ciò che l’amministrazione non poteva fare (propria dello Stato liberale) a quella di ciò che doveva fare[101].

Un momento significativo è stato il lavoro preparatorio dell’Assemblea costituente in merito all’approvazione dell’art. 54 della Costituzione. Lo sviluppo di questa norma costituzionale è interessante, in quanto attraverso di esso si può comprendere l’importanza e le ragioni per cui i doveri di “disciplina” e “onore” per i funzionari pubblici sono stati sanciti nel testo finale al comma 2. Dalle relazioni emerge, infatti, un elemento molto importante: le diverse sensibilità politiche e culturali avevano dato vita a un dibattito molto intenso su questa proposta, anche se alla fine era prevalsa la convinzione di inserire nel testo finale questi doveri dal forte impatto etico.

L’approvazione del testo costituzionale sanciva un momento importante per il discorso dell’integrità, sebbene ciò sia desumibile attraverso un’interpretazione congiunta di una serie di princìpi e norme.

La Costituzione attraverso le norme dedicate alla pubblica amministrazione[102], quindi gli articoli 97 e 98, mirava a garantire: “l’esatto, efficiente, disciplinato e imparziale svolgimento della funzione pubblica”[103]. Anche se, per molto tempo l’opera moralizzatrice dell’Assemblea costituente era rimasta confinata in una dimensione puramente etico-valoriale. Le innovazioni costituzionali in ambito amministrativo, infatti, era contraddistinte da una vera e propria “svalutazione post-costituzionale”[104]. Una più concreta attuazione di questo disegno etico tracciato dal Costituente si avrà solo in tempi recenti.

Negli anni successivi all’approvazione del testo costituzionale, si era diffusa la nozione di “deontologia comune ai funzionari”[105], ossia un codice morale per i dipendenti della pubblica amministrazione. Per quanto concerne lo svolgimento del lavoro pubblico, alcuni autorevoli studiosi hanno sostenuto che il dipendente pubblico doveva: «mantenere una certa moralità e dignità conforme all’ufficio che occupa»[106].

Da un punto di vista legislativo, il d.P.R. n. 3/1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) aveva riunito in un unico testo i doveri dei dipendenti pubblici dello Stato nel Capo I del Titolo II (Doveri, responsabilità, diritti), anche se alcune regole erano state già sancite in una serie di regi decreti del periodo precostituzionale.

Il tema delle regole di condotta per i dipendenti pubblici non è mai stato affrontato dagli studiosi della seconda metà del XX secolo come argomento autonomo. Tuttavia, emergono importanti elementi da alcune opere di diritto amministrativo, in particolare nelle sezioni dedicate all’organizzazione dell’amministrazione e nel ruolo del giudice amministrativo[107]. Diversi studiosi, tra cui Massimo Severo Giannini, hanno definito il tema della deontologia come un “ircocervo” le cui regole hanno una “fragile applicazione pratica”[108]. Aldo M. Sandulli, invece, sosteneva l’esistenza di un nucleo comune di doveri per tutti i funzionari pubblici, costituito da quelli di lealtà, diligenza, legalità e rettitudine[109]. Particolarmente interessante era il dovere di rettitudine, simile per certi aspetti al dovere di integrità, consistente: «nell’obbligo di operare – non solo nei rapporti d’ufficio, ma anche in quelli esterni – secondo la pubblica decenza, la morale e la legge». Analogamente al dovere di rettitudine, Pietro Virga parlava, in quegli stessi anni, del dovere di “condotta irreprensibile” per il dipendente sia in servizio che fuori[110].

Gli anni Novanta sono stati segnati dall’inizio di un cambiamento radicale nel settore della pubblica amministrazione italiana. L’influenza efficientistica allora prevalente è stata recepita anche da alcuni studiosi italiani attraverso una revisione del legame tra legalità ed efficienza, con la formulazione della nozione di “efficienza imparziale”[111] per una pubblica amministrazione al servizio dei cittadini. Efficienza ed efficacia in quegli anni erano diventati i criteri fondamentali dell’azione amministrativa.

Taluni autorevoli osservatori, infatti, avevano individuato nella pretesa totale privatizzazione dell’organizzazione degli uffici il rischio dello sbilanciamento verso il buon andamento a detrimento dell’imparzialità[112].

Soltanto verso la metà degli anni Duemila, l’interesse per l’integrità e l’etica pubblica era finalmente diventata più prominente e il tema veniva considerato come un campo scientifico e una materia universitaria[113].

Intorno al 2010, una parte della dottrina italiana ha considerato congiuntamente gli articoli 28, 54, 97 e 98 della Costituzione italiana[114], attraverso la rilettura dei princìpi costituzionali dei dipendenti pubblici. Particolarmente rilevante è stata la nuova interpretazione dell’articolo 54 rispetto al passato: mentre prima aveva una valenza meramente etica, ora ne viene enfatizzata la funzione giuridica e di indirizzo. La “disciplina” richiesta al funzionario pubblico si esprime nell’essere capace e onesto; la pretesa di capacità, invece, comporta lo svolgimento efficiente ed efficace dell’azione amministrativa, che va oltre il rispetto della legge[115]. Inoltre, la correlazione tra gli articoli 97 e 54 sposta la dimensione dell’imparzialità e del buon andamento dalla dimensione oggettiva a quella soggettiva[116].

Questo approccio ha acquistato importanza grazie agli studi sulla cattiva amministrazione e al nuovo approccio alla lotta alla corruzione basato sulla prevenzione amministrativa.

La rinnovata importanza dello status costituzionale dei dipendenti pubblici aveva conferito centralità all’esercizio imparziale della funzione, attraverso l’adozione di nuove misure e regole di condotta. L’obiettivo era quello di creare un’amministrazione pubblica maggiormente orientata all’imparzialità, ma al contempo senza trascurare la preoccupazione per il buon andamento e l’efficienza. La relazione tra buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, oltre alla consolidata giurisprudenza costituzionale sviluppatasi tra gli anni Novanta e Duemila[117], veniva a delinearsi nel pensiero di taluni studiosi come un rapporto che vedeva: «i princìpi tendenzialmente solidali, nel senso che la migliore garanzia dell’uno, in genere, giova anche alle tutela dell’altro»[118].

Il momento culminante di questa fase è riconducibile alla già citata Relazione della Commissione Garofoli del 2012. Nello stesso anno veniva approvata la legge anticorruzione n. 190/2012.

In questo quadro, il tema dell’integrità in Italia ha vissuto un periodo più prolifico: questo principio è stato finalmente definito in modo più chiaro e distinto dal concetto di etica. Il rapporto tra etica e integrità si è configurato nel seguente modo: l’etica è il parametro per valutare l’integrità di un individuo o di un’organizzazione[119].

Il quadro brevemente tracciato rivela una significativa differenza tra l’approccio degli studiosi italiani sul tema dell’integrità e quello degli studiosi e delle istituzioni anglosassoni. Infatti, rispetto all’approccio di questi Paesi, in Italia il tema è stato discusso soltanto in tempi più recenti e con modalità e congetture diverse. La fase della rinnovata attenzione allo statuto del dipendente pubblico ha avuto il merito di riavvicinare una parte degli studiosi italiani a quelli anglosassoni su questi temi.

Un’importante chiave di lettura per comprendere l’idea di integrità delle istituzioni italiane è quella delle riforme italiane del pubblico impiego. Infatti, l’integrità è stata fortemente condizionata dalle divergenti fasi della disciplina di questo settore.

I cicli di riforma che vanno dai primi anni Novanta fino al giorno d’oggi sono stati caratterizzati da alcuni momenti di sbilanciamento verso uno dei due principali pilastri dell’integrità: in alcuni casi a sostegno dell’incremento dell’efficienza e del buon andamento, in altri a favore del rafforzamento della legalità e dell’imparzialità.

In altre parole, le leggi approvate nell’arco di oltre trent’anni hanno introdotto disposizioni che non hanno mai considerato in modo unitario l’attenzione al risultato[120] e le misure sull’imparzialità soggettiva dei funzionari pubblici. Una certa influenza è stata senz’altro esercitata dalla cultura del New Public Management, la cui filosofia si basava sulla convinzione che l’amministrazione buona era quella produttiva, economica ed efficiente, mentre quella imparziale era più procedurale, osservante e vincolata. Non si può, tuttavia, individuare nel New Public Management la sola causa per la quale in Italia si sia verificata una rottura circa la completa visione dell’integrità. Infatti, dall’esperienza anglosassone si può dedurre che, nonostante ci sia stata una forte adesione a questa cultura, l’etica e la cultura del risultato sono sempre state considerate congiuntamente. Le riforme della pubblica amministrazione hanno influito decisamente sulle fonti del pubblico impiego e sul regime giuridico. Il pendolo riformatore si è caratterizzato per avere avuto momenti di continuità e di discontinuità e per l’oscillazione tra due periodi: un primo in cui prevaleva la tendenza di interventi legislativi tesi a favorire una pubblica amministrazione più vicina al modus operandi delle private imprese, i cui obiettivi erano l’incremento dell’efficienza dell’azione amministrativa verso un’amministrazione di risultato; un secondo dove veniva fortificata l’imparzialità dei funzionari e riaffermata la centralità del regime di diritto pubblico.

Da queste riforme, a fasi alterne, è scaturita una vera e propria frammentazione dell’integrità.

Lo sviluppo del concetto in Italia è stato, dunque, decisamente influenzato dai continui cambi di paradigma del processo riformatore succedutosi dagli anni 90’ ad oggi. A ciò si aggiunga il fatto che in Italia ci sono sempre stati repentini cambi di Governo e ciò ha determinato l’alternarsi di maggioranze con visioni opposte circa la disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Tabella 1: La frammentazione dell’integrità, tra fasi di dilatazione e di ricomposizione

Regolazione del pubblico impiego. Dagli anni Novanta la disciplina ha oscillato tra queste tensioni: unilateralità/negoziazione; dir. pubblico/dir. privato; uniformità/specialità;Prima fase: Privatizzazione e contrattualizzazione avviate con il d.lgs. n. 29/1993: i rapporti di lavoro con le amministrazioni sotto la disciplina del diritto civile; regolazione mediante contratti individuali e collettivi e soprattutto attribuzione delle controversie di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti al giudice ordinario;

Seconda fase con il d.lgs. n. 80/1998: completa riconduzione al regime di diritto privato del rapporto di lavoro;

La giuridicizzazione del risultato[121] e dei precetti manageriali[122]; Le due fasi di privatizzazione (1992-2001) hanno conferito molta centralità alla contrattazione collettiva, anche in ambiti che potremmo definire centrali con il tema dell’integrità:

  • Leitmotiv ricorrente: l’investimento sull’efficienza attraverso la privatizzazione e la responsabilizzazione della dirigenza (micro-organizzazione);
  • Codici di condotta dal valore meramente etico (D. M. 31 marzo 1994; D. M. 28 novembre 2000);
  • Inesistenza di misure di prevenzione della corruzione; Scarsa attenzione agli orientamenti internazionali in materia di integrità e anticorruzione; la disciplina dell’incompatibilità e inconferibilità degli incarichi era molto scarna; assenza di controlli in ordine alla promozione delle condotte etiche; bassa considerazione della formazione etica del personale; Dirigente manager;
  • Dottrina divisa: La prospettiva del risultato come sacrificio della legalità (S. Cassese, 2002) e “legalità-risultato”[123].

Terza fase: il d.lgs. n. 165/2001 ha accorpato in un testo unico le misure settoriali che erano state introdotte in precedenza.

Legge n. 3/2003: istituzione dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione.

Riforma “Brunetta”: Investimento sul risultato attraverso la valorizzazione della performance (d.lgs. n. 150/2009) e del rispetto delle regole di efficienza, la sanzione dello scarso impegno individuale: ciclo della performance, sanzioni disciplinari senza intermediazione della negoziazione, ridimensionamento contrattazione. Una sorta di ripubblicizzazione. In questa fase prevale l’attenzione all’efficienza rispetto all’imparzialità;

Anticorruzione (2012): La legge 190 del 2012 inverte la tendenza: rafforzamento dell’imparzialità soggettiva del funzionario[124]: misure organizzative di prevenzione; regole di condotta; rafforzamento della responsabilità disciplinare; introduzione di norme in materia di inconferibilità e incompatibilità. Dirigenti vengono responsabilizzati nell’individuazione delle misure di prevenzione e vigilanza sul rispetto del codice, si passa dal dirigente manager al dirigente imparziale[125]. A differenza delle precedenti stagioni, però, rimane il ciclo della performance e anzi viene coordinato con i piani triennali di prevenzione della corruzione e con i codici di comportamento. Ciò aiuta a rimarcare la differenza, per alcuni anni sopita, tra la prestazione lavorativa privata e il pubblico impiego.

Riforma “Madia” (l n. 124/2015) ha proseguito sul versante della ripubblicizzazione, in particolare con le modifiche apportate al procedimento disciplinare dai d.lgs. n.75 del 2017 e n.118 del 2017 (V. Tenore, 2017); managerializzazione legalistica[126].

PNRR: Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione, mediante la semplificazione della legge 190/2012. L’impianto di prevenzione viene additato quale fattore di corruzione.

Decreto legge n. 80/2021: l’articolo 6 introduce il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) Ricomposizione della frattura? La pianificazione integrata come possibile strumento per calibrare la sfera dell’efficienza con quella dell’imparzialità;

D.L. 30 aprile 2022, n. 36: L’art. 4 introduce i cicli formativi in materia di etica pubblica;

Nell’ordinamento italiano, quindi, le probabili cause che hanno determinato un approccio particolare rispetto al tema dell’integrità sono le seguenti: la diversa cultura giuridica sui temi dell’etica e dell’integrità; i continui cambi di esecutivi nazionali; l’oscillazione incessante e ondivaga del pendolo riformatore che ha prodotto il trade-off imparzialità/efficienza.

5.2. Quale relazione tra l’integrità e il sistema della prevenzione della corruzione italiano?

Quali misure di integrità sono state approvate e quanto risultano conformi con le raccomandazioni internazionali ed europee in materia?

La maggior parte delle nuove norme e degli strumenti introdotti dalla legislazione anticorruzione riguardano l’integrità, considerata anche nella sua più recente accezione di public integrity. Infatti, se si escludono i piani di prevenzione della corruzione, che sono considerati tools tipici dei sistemi di prevenzione della corruzione, l’attenzione si è concentrata soprattutto su quegli strumenti che sono ampiamente considerati indispensabili per la promozione dell’integrità: codici di condotta, norme sull’incompatibilità, norme sui casi di ineleggibilità e di incandidabilità; disciplina dei conflitti di interesse[127]; responsabilità disciplinare, leadership etica, whistleblowing e formazione del personale.

Questi strumenti erano già presenti nei primi sistemi di integrità, che si sono diffusi nei Paesi anglosassoni tra gli anni Settanta e Novanta e che successivamente alle convenzioni anticorruzione sarebbero diventati elementi essenziali per tutti gli ordinamenti nazionali.

Di seguito si offre un breve confronto degli elementi che sono stati adottati e di quelli assenti o poco implementati nell’ordinamento italiano, attraverso una prospettiva “integrity-oriented”.

La leadership etica consiste nel compito di guida etica nelle organizzazioni pubbliche affidata ai dirigenti. La disciplina italiana risulta abbastanza in linea con le raccomandazioni internazionali. Infatti, nel sistema italiano questo compito è ampiamente svolto dai dirigenti pubblici[128]. Le riforme degli ultimi decenni hanno dato molta importanza al ruolo della dirigenza pubblica[129].

La figura di questi attori è stata rafforzata rispetto ad altri ordinamenti giuridici, in quanto i dirigenti dispongono di poteri di gestione (art. 4 co. 2 del d.lgs. n. 165/2001) e sono indipendenti dall’indirizzo politico[130].

Nel campo dell’anticorruzione e dell’integrità, i dirigenti pubblici hanno poteri e responsabilità molto importanti, compreso il ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza in ogni amministrazione pubblica[131]. Tali figure sono coinvolte, inoltre, nel sistema di gestione del rischio, in particolare devono valorizzare la realizzazione di un efficace processo di gestione del rischio di corruzione in sede di formulazione degli obiettivi delle proprie unità organizzative, si devono coordinare con il RPCT, devono tener conto, in sede di valutazione delle performance, del reale contributo apportato dai dipendenti all’attuazione del processo di gestione del rischio e del loro grado di collaborazione con il RPCT.

Nonostante i piani di prevenzione della corruzione non siano ritenuti strumenti di integrità “puri”, sono comunque strumenti di gestione del rischio finalizzati a salvaguardare l’integrità[132]e pertanto si possono valutare nella prospettiva qui adottata.

Il processo di gestione del rischio è la fase che precede e determina l’adozione delle misure organizzative di prevenzione della corruzione. Tale processo è regolato da un atto dell’Autorità del 2019[133], dal quale emergono sostanzialmente tre fasi importanti: l’analisi del contesto, la valutazione del rischio e il trattamento del rischio. Nella prima fase viene analizzato il contesto interno ed esterno della pubblica amministrazione. Nella seconda fase vengono identificati e analizzati i rischi. Infine, la terza fase prevede l’identificazione delle misure e la loro adozione finale.

Da questo quadro di riferimento, possiamo dedurre alcune considerazioni dal punto di vista dell’integrità. Innanzitutto, questo processo si basa su un’ampia partecipazione sia all’interno che all’esterno delle amministrazioni pubbliche, in linea con le raccomandazioni in materia che sostengono l’importanza di adottare un approccio bottom-up e il più condiviso possibile.

La partecipazione dei cittadini e degli stakeholder non è limitata solo a questo processo, ma è prevista anche in occasione del rinnovo dei piani di prevenzione (tre anni). Durante queste fasi, infatti, è possibile presentare contributi contenenti consigli e pareri sulla bozza di piano che, prima di essere approvata, viene pubblicata sul sito web e può essere consultata da tutti.

Inoltre, la mappatura dei rischi viene effettuata in modo integrato rispetto ai sistemi di gestione esistenti nelle organizzazioni (controlli di gestione, sistemi di auditing e di gestione della qualità, sistemi di gestione della performance)[134]. Ciò è coerente con le indicazioni che raccomandano l’integrazione di questi piani con la finalità di generare sinergie organizzative e gestionali. Per giunta, di recente l’Anac ha introdotto una piattaforma[135], che consente l’acquisizione dei dati ed il successivo monitoraggio dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT) e della loro attuazione.

La disciplina dei piani di prevenzione, quindi, risulta in linea con l’art.5 della Convenzione UNCAC[136] e con le principali raccomandazioni in materia, ad esempio con il punto 10 della Raccomandazione Ocse del 2017[137].

Il modello italiano si caratterizza soprattutto per il ruolo dell’Autorità anticorruzione, che rappresenta un caso singolare nel panorama delle c.d. “Anticorruption authorities” (ACAs), in quanto le sue funzioni e competenze rispettano a pieno i requisiti che la letteratura e gli organismi sovranazionali hanno reputato necessari per l’attività di queste autorità/agenzie[138].

L’art. 6 della Convenzione UNCAC (Organo od organi di prevenzione della corruzione) impone agli Stati di assicurare la presenza di uno piò organi preposti alla prevenzione, mediante a) l’applicazione delle politiche di prevenzione previste dall’art. 5 della Convenzione e, se necessario, la supervisione ed il coordinamento di tale applicazione; b) l’accrescimento e la diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione. Il comma 2 dell’art. 6 individua una caratteristica essenziale per questi organismi: l’indipendenza necessaria per permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo da ogni indebita influenza[139] e risorse materiali e personale propri.

Un’altra funzione cui l’autorità italiana si è sempre conformata alle indicazioni in materia è quella dei rapporti istituzionali con le altre autorità/agenzie. In effetti, la norma in materia di “Politiche e pratiche di prevenzione della corruzione” (art. 5.4) prescrive agli Stati parte di collaborare con gli organismi di altri ordinamenti e di farlo anche tramite programmi e progetti finalizzati alla prevenzione della corruzione. In effetti, l’Anac dalla sua istituzione ad oggi si è contraddistinta per promuovere questo tipo di attività e programmi “capacity bulding” e in particolare si segnala la recente iniziativa che ha visto l’autorità italiana coordinare una rete di organismi anticorruzione[140].

Alla luce di quanti detto, orbene, l’autorità anticorruzione italiana rispecchia a pieno le disposizioni sancite nella Convenzione UNCAC e le raccomandazioni in materia delle organizzazioni internazionali[141].

I codici di condotta sono considerati i principali strumenti di integrità, in quanto contengono un insieme di regole che definiscono la buona condotta dei funzionari pubblici. La tipologia dei codici italiani è da collocare nella categoria dei “codici misti” (compliance-based e aspirational), ovvero, pur mantenendo una disciplina di principio, detengono un chiaro valore giuridico[142].

La disciplina introdotta con il d.P.R. n. 62/2013 ha portato con sé alcune importanti novità in materia di codici di comportamento: ogni amministrazione deve adottare il proprio codice; il codice nazionale ha valore normativo e i codici di amministrazione sono considerati atti amministrativi generali; la violazione delle norme costituisce responsabilità disciplinare diretta; sono state introdotte numerose disposizioni in materia di conflitti di interesse, trasparenza e prevenzione della corruzione; è stata adottata una nuova procedura di adozione e revisione. Possiamo affermare che l’attuale disciplina dei codici di condotta è sicuramente lo strumento più conforme alle raccomandazioni sull’integrità.

Infatti, la disciplina italiana è assolutamente in linea con l’art. 8 della Convenzione UNCAC (Codici di condotta dei pubblici ufficiali) e con i principali indirizzi internazionali in materia, che attribuiscono ai codici la funzione di strumento che racchiude al suo interno gli alti standard di condotta dei funzionari.

Nonostante la disciplina italiana dei codici di condotta presenti diversi aspetti normativi positivi, dal piano applicativo emergono alcuni limiti. Come detto sopra, i doveri di condotta non sono sanciti solo da questi codici, ma anche dalla legge e dai codici disciplinari delle organizzazioni sindacali. Ciò comporta un problema di attuazione molto importante: esiste un vero e proprio conflitto tra alcuni doveri sanciti dal codice di condotta e alcuni obblighi previsti dai codici disciplinari. Questo fattore porta a un significativo indebolimento sia del rispetto del codice stesso da parte dei dipendenti pubblici che una rilevante difficoltà a livello disciplinare per coloro che devono applicare le sanzioni disciplinari. Un altro problema è che il sistema attuale prevede l’obbligo per le singole amministrazioni di introdurre specifici doveri di condotta nei loro codici. Purtroppo, molte di esse non rispettano effettivamente questo requisito, il che si traduce in una scarsa efficacia di questi strumenti.

Di recente, sono state apportate una serie di modifiche al codice di comportamento nazionale dal d.P.R. n. 81/2023[143]. Il rinnovamento del regolamento ha suscitato non poche perplessità, a partire dal parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto[144], in merito ad alcuni profili che vengono toccati dalle nuove regole (per es. diritto di critica e libertà di espressione). Al contempo, però, siffatta modifica può essere interpretata come una rinnovata fiducia nei codici per la pubblica amministrazione del futuro.

L’Italia ha adottato, seppur in ritardo, la nuova legge sul whistleblowing (d.lgs. n. 24/2023)[145], considerata molto rilevante nel campo dell’integrità sia per la dimensione soggettiva dei dipendenti pubblici che per quella organizzativa e istituzionale. La legge ha finalmente recepito la Direttiva UE 2019/1937 sul Whistleblowing, anche se ciò è avvenuto solo in seguito ad una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nel luglio 2022.

La nuova disciplina si pone in linea con l’art. 32 della Convenzione UNCAC e con i documenti che forniscono indicazioni normative e pratiche per l’effettiva protezione di queste figure[146].

Nel testo di questa legge, tra l’altro, l’integrità è principalmente intesa nella sua dimensione istituzionale: infatti, troviamo “integrità della pubblica amministrazione” sia nel comma 1 dell’articolo 1 che nel comma 1 dell’articolo 2.

Altri elementi di interesse sul tema dell’integrità si trovano certamente sia nella stessa Legge n. 190/2012 che in alcuni decreti attuativi, ovvero il d.lgs. n. 39/2013, il d.lgs. n. 235/2012 e il d.lgs. n. 33/2013. Quest’ultimo intervento, noto come “decreto trasparenza”, non solo ha integrato e razionalizzato gli obblighi di pubblicità esistenti, ma ha anche introdotto nuove forme di pubblicità. Il quadro è stato successivamente completato con il Freedom of Information Act (d.lgs. n. 97/20169), che ha introdotto l’accesso civico generalizzato. La trasparenza nel sistema anticorruzione italiano incarna il ruolo di elemento concreto e simbolico per la diffusione di una cultura dell’integrità[147].

La trasparenza, come l’integrità, è sancita all’art. 1 della Convenzione UNCAC ed è presente in tante norme del trattato. Anche in questo caso, quindi, le varie procedure, regole e strumenti adottati in materia di trasparenza amministrativa risultano conformi alle raccomandazioni.

Per quanto riguarda il sistema di integrità nel complesso, il modello italiano presenta ancora la grande carenza della regolamentazione della classe politica, oggetto di ripetuti richiami da parte del GRECO[148].

Con l’approvazione della Raccomandazione sull’Integrità Pubblica dell’OCSE del 2017 non è stato solo ampliato il concetto di integrità, ma anche le misure, le azioni e le procedure, che sono considerate essenziali per garantire la massima integrità nel settore pubblico. A questo proposito, i due principali elementi innovativi sono la diffusione di una cultura dell’integrità e la formazione del personale, che erano già stati affermati in particolare all’art. 60 del testo della Convenzione UNCAC del 2003. Per il primo ambito, come detto sopra, si può affermare che il sistema italiano è in gran parte, ma non del tutto[149], conforme a questi standard, nonostante la presenza di diversi tipi di formazione. Relativamente alla diffusione della cultura di integrità pubblica nella società, in realtà, c’è ancora tanto da fare.

6. Verso il tramonto del sistema anticorruzione italiano?

Il modello della prevenzione della corruzione italiana sta attraversando una fase calante, per non paragonarlo ad un tramonto vero e proprio. Le “spie di allarme” di tale momento sono riconducibili a più cause: alcuni recenti interventi legislativi; l’indirizzo dell’attuale governo nazionale; la logica del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in poi “PNRR”) e il Piano integrato di attività e organizzazione (d’ora in poi “PIAO”).

Recentemente, infatti, il quadro anticorruzione è stato modificato con l’introduzione del PIAO (d. lgs. n. 80/2022), consistente in un documento di pianificazione integrata che assorbe tutti i piani precedenti nella prospettiva di realizzare una decisa semplificazione amministrativa[150] e per favorire la creazione del valore pubblico[151].

Infatti, i piani triennali per la prevenzione della corruzione e della trasparenza sono ora una sottosezione del Piao, da cui derivano benefici e rischi[152].

Questo nuovo piano dovrebbe facilitare il collegamento dell’anticorruzione con gli altri ambiti, in particolare con il ciclo della performance. In merito al piano di prevenzione, il ruolo dell’ANAC è confermato: infatti ai sensi dell’art. 1, comma 7 del d.l. 80/2021 l’Autorità può continuare ad applicare una sanzione amministrativa nel caso di mancata adozione del PTPC.

La logica di questo nuovo quadro di pianificazione unica può essere letta in termini di integrità? Con l’adozione del PIAO, dunque, si può sostenere che una parte di integrità, cioè l’efficienza amministrativa, sia stata recuperata e posta sullo stesso piano dell’imparzialità?

Da un lato, la risposta sembra essere affermativa, in quanto le misure di prevenzione della corruzione devono essere predisposte in concomitanza con tutte le altre, senza trascurare l’efficienza e la produttività amministrativa. Da un altro lato, però, l’obiettivo della semplificazione potrebbe portare, come d’altronde la stessa disciplina prevede, ad un’ulteriore riduzione del piano anticorruzione sia sotto il profilo dell’attenzione degli attori coinvolti in questa politica che sul piano pratico-organizzativo. In altre parole, porre sullo stesso livello il piano di prevenzione della corruzione con gli altri comporta un rischio su tutti: un possibile arretramento dell’approccio positivo riscontrato di recente nell’esperienza di alcune pubbliche amministrazioni.

Il PIAO (d.lgs. n. 80/2021) sembra affrontare, però, anche alcuni limiti presenti nel sistema attuale. In effetti, lungo questi anni, alcuni studiosi hanno affermato che il modello anticorruzione italiano ha eccessivamente consolidato la componente dell’imparzialità, sacrificando invece la dimensione dell’efficienza[153] e alimentando la c.d. «burocrazia difensiva», vale a dire i funzionari cercano di adottare un comportamento che minimizzi il rischio di incorrere in talune forme di responsabilità pubbliche[154]. Con l’avvento del sistema anticorruzione, insomma, la tanto attesa responsabilità di risultato è stata declinata come responsabilità di comportamento, che si basa su adempimenti formalistici e non di azioni vere e proprie[155].

In effetti, il PIAO sembra lo strumento adatto per indurre gli attori coinvolti ad orientare il processo di adozione di questo piano verso un dialogo obbligatorio tra le misure organizzative di prevenzione della corruzione e le misure e gli obiettivi strategici in materia di performance.

Allo stato attuale, risulta troppo prematuro fare un bilancio sul PIAO. Tuttavia, si può affermare, a ragion veduta, che la prospettiva per la sottosezione “Rischi corruttivi e trasparenza” non potrà certo essere contrassegnata da un maggior investimento rispetto alla precedente esperienza dei piani di prevenzione introdotti dalla riforma del 2012.

Infine, emergono alcune problematiche in relazione alle modalità di attuazione del PIAO e al sistema delle fonti, che rendono il quadro ancora più incerto[156].

Allo stato attuale, in Italia si avverte una messa in discussione del modello della prevenzione della corruzione e dell’integrità. Infatti, si può notare un arretramento su questi temi sia con l’approvazione del PNRR che attraverso una serie di interventi normativi adottati dagli ultimi governi, in particolare con il nuovo Codice degli Appalti Pubblici (d.lgs. n. 36/2023). Nella nuova normativa sugli appalti pubblici si evince un ridimensionamento della componente dell’anticorruzione rispetto al vecchio codice (d.lgs. n. 50/2016). Ciò è evincibile già all’articolo 1 del nuovo codice, che sancisce il principio del risultato come il più importante principio ispiratore e come diretta attuazione dei princìpi di buon andamento, efficienza ed efficacia. Tale elemento è emblematico dell’intenzione del legislatore delegato di investire, ancora una volta, più sulle garanzie di risultato che non sulle modalità attraverso le quali esse vengono realizzate (imparzialità).

Per giunta, sono state introdotte diverse disposizioni che riducono il ruolo dell’Autorità anticorruzione (ANAC). Sebbene nel nuovo codice siano state rafforzate alcune funzioni, quali l’assistenza e il supporto alle stazioni appaltanti e il ruolo di “vigilanza collaborativa”, emergono alcuni elementi di criticità[157]. Pertanto, la logica del nuovo codice appare coerente con la frammentazione che ha segnato la via italiana all’integrità in passato, e con molta probabilità anche in futuro. O meglio, l’indirizzo che risulta prevalente nell’attuale maggioranza di governo è quella di voler ridimensionare gli equilibri interni all’integrità: dare maggior peso all’efficienza rispetto all’imparzialità. Come detto, questa linea segue la logica intrapresa con il PNRR, vale a dire di semplificare la normativa anticorruzione per scongiurare che le (presunte) troppe norme anticorruzione diventino esse stesse causa di maggiore corruzione, ma anche per consentire alle pubbliche amministrazioni di essere più efficienti e celeri. Semplificare le procedure e ridimensionare le regole di integrità (non solo quelle strettamente intese di anticorruzione) porta con sé il rischio di perdere un’importante forma di controllo sull’economia legale a causa dei tanti fondi che sono e che verranno impiegati nella messa a terra del PNRR[158]. Il leitmotiv della semplificazione ricorre sovente nel linguaggio politico-istituzionale italiano come: «rimedio a tutti i problemi dell’amministrazione»[159], ma in alcuni casi essa stessa diventa causa di blocchi, ritardi ed inefficienze. Tale indirizzo, seppur in un’ottica costruttiva, è divenuto prevalente anche nell’attività dell’Anac, che ha inteso però ribadire l’importanza dell’impianto della prevenzione della corruzione in armonia con i diffusi intenti di semplificazione[160].

Gli indirizzi internazionali, europei e di alcuni ordinamenti nazionali continuano a perseguire la logica integrata nel campo della programmazione delle politiche di promozione del buon governo del settore pubblico.

L’attuale governo degli Stati Uniti ha designato, infatti, la lotta alla corruzione come un interesse fondamentale per la sicurezza nazionale, ciò è evincibile in una serie di documenti[161]. Tra l’altro, di recente gli USA hanno adottato una robusta strategia, ovvero l’U.S. Strategy on Countering Corruption. Implementation Plan ed è in corso la discussione di un’altra importante proposta, ovvero l’Anti-Corruption and Public Integrity Act[162].

Il tema appare rilevante anche nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030[163] delle Nazioni Unite, il cui obiettivo n. 16 definisce la corruzione come un ostacolo per la pace, la giustizia e la presenza di istituzioni forti. Da questa agenda ne deriva, quindi, un importante, anzi necessario, nesso tra l’impegno nei confronti della prevenzione della corruzione e lo sviluppo sostenibile[164].

Particolarmente significativo è il recente impegno dell’Unione Europea e in particolare della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen[165], soprattutto in seguito al c.d. “Qatar-gate”. La risposta delle istituzioni europee a questo scandalo si è concretizzata attraverso due calls for evidence[166], nelle quali si chiedono proposte e miglioramenti sulla lotta alla corruzione nella prospettiva di un’ormai imminente direttiva europea[167]. In realtà, già con il varo del Next Generation EU, l’Unione aveva esortato gli Stati Membri a perseguire maggiore efficienza del settore pubblico, ma a farlo senza indietreggiare nel campo delle riforme anticorruzione[168].

Il percorso europeo è culminato, almeno per ora, con la recente Proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione[169], che mira a creare una disciplina comune europea in materia di lotta alla corruzione. Nel testo, seppur non definitivo, si trovano una serie di misure e strumenti che in realtà sono già presenti nella Convenzione UNCAC, nelle raccomandazioni degli organismi internazionali e nello stesso sistema italiano.

Le istituzioni italiane sembrano non aver accolto con favore questa proposta, anzi la maggioranza ha espresso diversi rilievi critici sulla proposta durante l’esame del testo tenutosi presso la XIV Commissione della Camera dei deputati (Politiche dell’Unione Europea). Alcuni componenti di questa Commissione hanno bocciato, infatti, la proposta europea, dacché secondo il loro parere: «un ampio arsenale normativo è già a disposizione del legislatore italiano, per contrastare i diversi fenomeni corruttivi»[170]. Si è finanche ipotizzato che tale proposta oltrepassi la sfera delle competenze dell’Unione Europea ed in particolare leda il principio di sussidiarietà. Nel testo, inoltre, si contesta il fatto che la proposta di direttiva sia contrassegnata da argomentazioni che sono in misura non trascurabile di natura metagiuridica. Alla fine, le critiche rilevate sono state inserite nel parere motivato, ai sensi dell’articolo 6 del Protocollo n.2 allegato al Trattato sull’Unione europea ed al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in data mercoledì 19 luglio 2023.

Quest’ultimo elemento serve ad avvalorare la tesi, qui sostenuta, secondo la quale uno dei principali problemi di questa politica sia insita nell’esorbitante incostanza delle maggioranze di governo in merito alla disciplina di questo settore. Legittimamente gli esecutivi cercano di tradurre i loro programmi politici in politiche pubbliche, ma l’estremo sovrapporsi di modelli organizzativi, regolatori e istituzionali oltremisura divergenti rischia di vanificare gli sforzi sinora compiuti. Il sistema anticorruzione attuale è certamente suscettibile di miglioramenti e modifiche, ma non merita di essere svuotato e riorganizzato in modo affrettato. Anche perché, un eventuale passo indietro esporrebbe l’Italia al rischio di scivolare, ancora una volta, in una posizione “ostinata e contraria” rispetto alle dinamiche in atto a livello europeo ed internazionale. Anticorruzione ed effettività della regolazione devono svilupparsi in parallelo, al fine di evitare ineffettività regolatorie[171].

Il caso italiano dimostra che, sebbene l’attuazione del sistema di integrità si basi sulla sinergia tra diversi attori, istituzioni, funzionari pubblici, associazioni, ONG e cittadini, un ruolo predominante è svolto dai governi.

Quanta integrità possiamo trovare nel sistema anticorruzione italiano? Attualmente, la risposta è tanta, ma non troppa. Sono stati adottati diversi strumenti orientati all’integrità, che però sono stati attuati poco e in modo inadeguato. Per di più, l’implementazione effettiva di questa politica presenta una serie di carenze e limiti, in larga parte attribuibile al flebile impegno della maggior parte delle pubbliche amministrazioni.

Nonostante ciò, bisogna continuare a credere nella validità di questo modello e ad apportare modifiche ed integrazioni al sistema, ma nel senso di un maggiore rafforzamento. Gli attori pubblici devono prima capire cos’è l’integrità e soltanto dopo potranno essere in grado di rispettare le regole e implementare effettivamente le misure. Pertanto, è necessario concentrarsi su regole chiare, controlli efficaci e soprattutto investire nella formazione e diffusione dei valori dell’integrità. Risulta fondamentale investire – per dirla con Mario Nigro – sull’«elemento personale degli uffici»[172], dacché esso rappresenta un momento essenziale in cui si distribuiscono le competenze.

Soltanto in questo modo quello che, allo stato attuale, sembra essere un tramonto del modello può trasformarsi in una nuova alba.

L’integrità pubblica, il modello di good governance, l’efficientamento amministrativo, la piena digitalizzazione e, non meno importante, il campo della prevenzione della corruzione devono virare verso la medesima direzione: garantire e promuovere pubbliche amministrazioni, settori pubblici e quindi democrazie più forti, resilienti e moderne.

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  6. Ocse, Government at a Glance 2023, in oecd.org, 2023, p. 43.
  7. R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, Giappichelli, Torino, 2020.
  8. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, l’Italia era sottoposta ad una serie di problemi e rotture di sistema che toccavano trasversalmente il settore pubblico-istituzionale, la pubblica amministrazione e l’ambito privato. Per una disamina completa di quegli anni si veda L. Cafagna, La grande slavina: l’Italia verso la crisi della democrazia, Marsilio, Venezia, 1993; Per un’analisi relativa alle riforme amministrative si veda S. Cassese, I caratteri originali della storia amministrativa italiana, in Le Carte e la Storia, 1, 1999, pp. 7-15.
  9. F. Di Mascio, Il sistema italiano nel quadro delle raccomandazioni internazionali in materia di prevenzione della corruzione, in Istituzioni del Federalismo, 43(3), 2023, pp. 433-462.
  10. F. Patroni Griffi, Il fondamento costituzionale della legislazione in tema di trasparenza e di lotta alla corruzione: alcune riflessioni, in Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna, 3, 2016.
  11. Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, nonché’ norme di adeguamento interno e modifiche al Codice penale e al codice di procedura penale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2009.
  12. Sulle vicende storiche legate al tema della corruzione in Italia si veda G. Melis, La lunga storia della corruzione italiana, febbraio 2017, in eticapa.it; dello stesso autore (a cura di); Etica pubblica e amministrazione. Per una storia della corruzione nell’Italia contemporanea, Cuen, Napoli, 1999.
  13. D. Della Porta, A. Vannucci, Mani impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2007.
  14. S. Cassese, L’età delle riforme amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., (1), 2001, 79-98; L. Torchia, Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, Bologna, 2009; G. Melis, La storia dell’amministrazione italiana, Il Mulino, Bologna, 2020.
  15. Sul tema A. Hondeghem, Ethics and accountability in a context of governance and new public management, EGPA Yearbook, 7, Ios Press, 1998; J. Maesschalck, The impact of new public management reforms on public servants’ ethics: Towards a theory, Public administration, 82(2), 2004, pp. 465-489; T. Diefenbach, New public management in public sector organizations: the dark sides of managerialistic ‘enlightenment’, Public administration, 87, 4, 2009, pp. 892-909.
  16. In realtà, tale elemento non è una peculiarità del sistema italiano. Difatti, le riforme etiche di quei paesi che per primi hanno adottato questo tipo di politiche sono state precedute, quasi sempre, dall’attività di analisi di comitati e commissioni. Anzi, si può sostenere che prima di qualunque riforma etica del servizio pubblico sia stata preceduta dal lavoro di alcuni organismi.
  17. Il Comitato di studio istituito con provvedimento del Presidente della Camera dei deputati del 27 settembre 1996 e insediato il 2 ottobre 1996, aveva per scopo la “elaborazione, nell’ambito dei princìpi fondamentali dell’ordinamento amministrativo italiano, di ipotesi di intervento legislativo per prevenire fenomeni di corruzione, tenendo conto delle caratteristiche del sistema delle imprese e delle principali esperienze straniere”
  18. Civit è stata istituita ex articolo 13 del d.lgs. n. 150/2009.
  19. S. Bonfigli, L’Italia e le politiche internazionali di lotta alla corruzione, in F. Merloni, L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, Firenze, 2010.
  20. S. Cassese, Rapporto sulle condizioni della PA. Roma, Ministero della Funzione Pubblica, 1993.
  21. Si veda il punto 6 a pagina 23 di questo documento.
  22. S. Battini, La riforma deformata della Costituzione amministrativa italiana: una retrospettiva a vent’anni dal d.lgs. n. 165 del 2001, in Istituzioni del Federalismo, 2, 2021.
  23. V. Tenore, G. Noviello, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato: infrazioni, sanzioni e codice disciplinare; Codici di comportamento; procedimento e natura dei relativi termini; responsabilità disciplinare del dirigente, Giuffrè, Milano, 2002.
  24. F. Carinci, Contrattazione e contratto collettivo nell’impiego pubblico “privatizzato”, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2013; F. Carinci, S. Mainardi, La Terza Riforma del Lavoro Pubblico. Commentario al D. Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, aggiornato al” Collegato Lavoro” (pp. III-879), IPSOA Gruppo Wolters Kluwer, 2011; L. Franceschetti, Etica pubblica e riforma della pubblica amministrazione in Italia, in Rapporto annuale 2011. L’etica pubblica oggi in Italia: prospettive analitiche a confronto, Istituto di Studi Politici S. Pio V-Editrice Apes, pp. 63-118, 2012.
  25. Per la prima volta il termine “integrità” veniva usata in modo esplicito.
  26. E. D’Alterio, Il bilancio della Civit a un anno dalla sua istituzione, in Diritto Pubblico, fasc. 2, 2011.
  27. F. Cacciatore, F. Di Mascio, A. Natalini, La trasparenza proattiva in Italia: meccanismi causali e dinamiche di contesto, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, 12(1), 2017, pp. 49-80.
  28. Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione. Analisi del fenomeno, profili internazionali e proposte di riforma, 2012.
  29. G. D’Alessio, La legislazione anticorruzione: l’impatto sui rapporti di lavoro, in LPA, 2017, p. 100 ss.
  30. Si veda M. A. Sandulli, A. Corrado, La normativa di prevenzione della corruzione, in S. Toschei, F. Tuccari, A. Cagnazzo, (a cura di), La vigilanza e la procedura di irrigazione delle sanzioni amministrative (a cura di), Giuffrè, Milano 2021, pag. 133.
  31. Infine, con la l.124/2015 e i suoi annessi decreti attuativi (il d.lgs. n.116/2016, il d.lgs. n.74/2017 ed il n. 75/2017) sono stati aggiunti altri elementi alla disciplina del pubblico impiego: sono state apportate novità in tema di responsabilità disciplinare, sui profili organizzativi e di funzionamento del sistema di prevenzione.
  32. R. Cantone, N. Parisi, L’autorità nazionale anticorruzione e la vita di relazione internazionale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021.
  33. Cons. St., 13 novembre 2019, n. 7805; Cons. St., sez. I, parere del 17 ottobre 2019, n. 2627; T.A.R. Lazio, Roma (sezione I), sentenza del 18 giugno 2019, n. 7934; Cons. St., Ad. Plen., 13 luglio 2021, n. 13; T.A.R. Puglia, Lecce (sezione III), sentenza del 16 febbraio 2022, n. 265; T.A,R, Abruzzo, Pescara (sezione I), sentenza del 28 marzo 2018, n. 125; Cons. St., parere del 1° aprile 2016, n. 855; Corte Cost., sent. n. 218/2021; T.A.R. Lazio (sezione I), sentenza del 14 febbraio 2018, n 1735.
  34. F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del cd precontenzioso e sulle raccomandazioni di ANAC, in Diritto processuale amministrativo, 35(2), 2017, pp. 381-449; F. Marone, Le linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione nel sistema delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 3, 2017, pp. 743-778; U. Frangipane, La controversa natura giuridica delle linee guida Anac, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022; S. Perongini, Le strategie legislative di configurazione della determinazione provvedimentale, in Pa persona e amministrazione, 1, 2018, pp. 59-70.
  35. La legge anticorruzione ha modificato l’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, che riguarda proprio i codici di comportamento.
  36. Molto importanti le tre funzioni suggerite in F. Merloni, La trasparenza amministrativa, Giuffrè Editore, Milano, 2008.
  37. B. Ponti, Dieci anni di diritto alla trasparenza amministrativa: caratteri originari, trasformazione e integrazione del modello, in Istituzioni del Federalismo, 3, 2022, pp. 635-668; E. Carloni, Il paradigma trasparenza. Amministrazioni, informazione, democrazia, Il Mulino, Bologna,2022, pp. 1-318; dello stesso autore Alla luce del sole. Trasparenza amministrativa e prevenzione della corruzione, in Diritto amministrativo, 3, 2019, pp. 497-538. A. Pajno, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, 2016, pp. 19-46.
  38. D. U. Galetta, The Italian Freedom of Information Act 2016: Why Transparency-on-Request Is a Better Solution, Italian J. Pub. L. 8, 2016, p. 229.
  39. Sul punto G. Gardini, M. Magri (a cura di), Il FOIA italiano: vincitori e vinti. Un bilancio a tre anni dell’introduzione, Maggioli, Rimini, 2019.
  40. B. Boschetti, Il diritto anti-corruzione come diritto glocale, in Amministrazione In Cammino, 2018, pp. 1-14.
  41. Su questo tema si veda G. Morbidelli, Degli effetti giuridici della soft-law, in Rivista della regolazione dei mercati, 2, 2016, pp. 1-10.
  42. Così F. Fracchia, L’impatto delle misure anticorruzione e della trasparenza sull’organizzazione amministrativa, in Il diritto dell’economica, 88 (3), 2015, pp. 483-506.
  43. F. Merloni, L. Vandelli, La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione, rimedi, Firenze, Passigli editore, 2010; M. D’Alberti, Il propagarsi della corruzione amministrativa, Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze giuridiche, La Sapienza, Roma, 2017, pp. 1-19; S. B. Werner, New directions in the study of administrative corruption, in Public Administration Review, 1983, pp. 146-154; G. E. Caiden, Dealing with administrative corruption, Handbook of administrative ethics, Routledge, London, 2019, pp. 429-455.
  44. G. E. Caiden, What really is public maladministration? in Indian Journal of Public Administration, 37(1), 1991, pp. 1-16; Public maladministration and bureaucratic corruption, in Hong Kong Journal of Public Administration, 3(1), 1981, pp. 56-71.
  45. Ciò prevede che l’azione disciplinare sospesa possa essere riattivata, qualora sopravvenuti elementi probatori, tra i quali la sentenza penale di merito (di primo o secondo grado), siano sufficienti secondo l’U.P.D. a supportare sul piano probatorio l’azione disciplinare.
  46. F. Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto” integrato”, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 1-224.
  47. Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione
  48. M. Delsignore, M. Ramajoli, La prevenzione della corruzione e l’illusione di un’amministrazione senza macchia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2019.
  49. B. Dente, Le decisioni di policy, Il Mulino, Bologna, 2011.
  50. Sempre M. Del Signore, M. Ramajoli hanno definito il rapporto tra centro e periferia all’insegna del livellamento e della delegittimazione delle pubbliche amministrazioni.
  51. F. Monteduro, L. Mattia, S. Moi, I piani di prevenzione della corruzione: un bilancio dell’esperienza, in Istituzioni del Federalismo, 3, 2022, pp. 669-704.
  52. F. Cacciatore, F. Di Mascio, A. Natalini, La trasparenza proattiva in Italia: meccanismi causali e dinamiche di contesto, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, 12, 1, 2017, pp. 49-80.
  53. Sia consentito il rinvio a F. Merenda, I codici di comportamento dei dipendenti pubblici: la tensione tra la disciplina privatistica e quella pubblicistica nel solco delle riforme del pubblico impiego, 2021, pp. 499-516.
  54. In merito al rapporto tra doveri del codice e obblighi contrattuali, Anac ha chiarito qual è il rapporto tra le due fonti in due occasioni: nella delibera n. 177 del 19 febbraio 2020 e nella Relazione del Gruppo di lavoro sulle Linee Guida ANAC del 2019.
  55. S. Battini, V. Lostorto, Il ruolo della formazione nella politica di prevenzione della corruzione, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, 89, 2020.
  56. A. Marascia, La formazione come misura di prevenzione della corruzione – Parte terza, 10, 2017.
  57. Si veda il Report “I reati corruttivi” del febbraio 2022 realizzato dal Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza. Invece, non ci sono dati certi invece in merito alla presunta diminuzione dei casi di malamministrazione.
  58. Transparency International sostiene che l’Italia è cresciuta di 14 punti dal 2012 ad oggi.
  59. Standards on conduct in Public Life, HL Deb 08 December 1976 vol. 378 cc585-604, in api-parliament-uk.
  60. L. McFall, Integrity. Ethics, 98.1, 1987, pp. 5-20.
  61. Così G. Rossi, Metodo giuridico e diritto amministrativo: alla ricerca di concetti giuridici elementari, in Diritto pubblico, 1, 2004, p. 10.
  62. R. T. De George, Competing with integrity in international business, Oxford University Press, New York, 1993.
  63. D. C. Jacobs, A pragmatist approach to integrity in business ethics, in Journal of Management Inquiry, 13, 3, 2004, pp. 215-223.
  64. M. Becker, J. Talsma, Adding colours to the shades of grey: Enriching the integrity discourse with virtue ethics concepts, Ethics in Public Policy and Management, Routledge, London,2016, pp. 33-49.
  65. J. A. Petrick, J. F. Quinn, Management ethics: Integrity at work, 6, Sage, 1997.
  66. D. C. Menzel, Research on ethics and integrity in public administration: Moving forward, looking back, Public Integrity, 17(4), 2015, pp. 343-370.
  67. C. Vigouroux, Déontologie des fonctions publiques, 1995.
  68. R. Catherine, Le fonctionnaire français, Documentación Administrativa, 1962.
  69. F. Merloni, A. Pirni, Etica per le istituzioni: un lessico, Roma, Donzelli editore, 2021; A. Montefiore, D. Vines, Integrity in the public and private domains, Routledge, London,2005.
  70. L. Huberts, The integrity of governance: What it is, what we know, what is done and where to go, Springer, 2014.
  71. C. P. Dunn, Integrity matters, in International Journal of Leadership Studies, 5, 2, 2009, pp. 102-125; W. Seibel, Autonomy, integrity, and values in public administration: a dilemma and a case, in Perspectives on Public Management and Governance, 3(2), 2020, pp. 155-166.
  72. M. Becker, J. Talsma, Adding colours to the shades of grey: Enriching the integrity discourse with virtue ethics concepts, in Ethics in Public Policy and Management, Cit.
  73. V. Davion, Autonomy, integrity, and care, in Social Theory and Practice, 19, 2, 1993, pp. 161-182.
  74. S. L. Carter, Integrity, Harper Perennial, New York, 1996.
  75. E. Ashford, Utilitarianism, integrity, and partiality, in The Journal of Philosophy, 97, 8, 2000, pp. 421-439.
  76. A. Ferrara, Exemplarity in the Public Realm, in Law & Literature, 30, 3, 2018, pp. 387-399.
  77. J. A. Rohr, Ethics for bureaucrats: an essay on law and values, Marcel Dekker, New York, 1989.
  78. R. Dworkin, L’impero del diritto, Il saggiatore, Milano,1989.
  79. Secondo alcuni studiosi, infatti, questo concetto potrebbe rappresentare il riferimento normativo dell’integrità nel quadro del diritto primario europeo, ovvero l’insieme di tutti i doveri dei funzionari, che sono in linea con l’etica (P. C. Pupion 2015). Pertanto, la buona amministrazione, intesa nel contesto europeo, potrebbe certamente essere vista come un legame tra etica e performance, che supera la concezione dicotomica tra questi due concetti diffusa dalla cultura del New Public Management, consistente in una visione unidirezionale della performance in una prospettiva esclusivamente economica ed efficientista.
  80. A. Adroniceanu, Integrity, in P. J. Suwaj, H. J. Rieger (a cura di), Public integrity: theories and practical instruments, NISPAcee, 2009, pp. 19-108.
  81. Sul punto si veda A. Mungiu-Pippidi, R. Dadašov, When do anticorruption laws matter? The evidence on public integrity enabling contexts, Crime, in Law and Social Change, 68, 2017, pp. 387-402.
  82. N. Kirby, An ‘institution-first ‘conception of public integrity, in British Journal of Political Science, 51(4), 2021, pp. 1620-1635.
  83. O. Huss, M. Beke, J. Wynarski, B. Slot, Handbook of good practices in the fight against corruption, in europa.eu, 2023.
  84. J. Maesschalck, J, Bertok, Towards a sound integrity framework: Instruments, processes, structures and conditions for implementation, in Processes, Structures and Conditions for Implementation, 2009.
  85. A. Hoekstra, Integrity management in public organizations: content & design, 2022.
  86. L. Huberts, Integrity: What it is and Why it is Important, in Public Integrity, 20, 2018.
  87. Nell’ordinamento italiano, l’integrità come principio è presente solo nel comma 2 dell’art. 3 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (d.P.R. n. 62/2013); nei Paesi Bassi è ampiamente presente nel Codice di condotta per l’integrità del 2016 e nell’art. 125 del Civil Service Act; nei Paesi Bassi è presente nel Codice di condotta per l’integrità del 2016. 125 della Legge sul Servizio Civile; in Spagna nell’Art. 1 della legge sugli appalti pubblici; in Montenegro nell’art. 72 della legge anticorruzione; in Lituania nell’art. 3 della legge sulla funzione pubblica; nell’art. 1 della legge sulla trasparenza e il buon governo della Comunità Valenciana n. 1 del 2022; e infine tra i principi chiave (1.4) delle linee guida dell’Agenzia francese anticorruzione (AFA).
  88. S. R. Ulman, Approaches to public integrity, CES Working Papers, 7(2), 2015, pp. 340-356; della stessa autrice Public Integrity And The Divergence From It, The USV Annals of Economics and Public Administration, 2014, pp. 303-311.
  89. Questo concetto è stato formulato dalla professoressa Alessandra Pioggia in occasione del Convegno “I caratteri della pubblica amministrazione a più di vent’anni dal d. lgs. n. 165/2001”, tenutosi presso l’Università degli studi di Torino il 17 marzo 2022.
  90. In tema di doverosità si veda F. Goggiamani, La doverosità della pubblica amministrazione, Giappichelli, Torino, 2005.
  91. In merito all’approccio adottato in alcuni ordinamenti si vedano A. Graycar (a cura di), Handbook on corruption, ethics and integrity in public administration, Edward Elgar Publishing, 2020; Z. Mitchell, S. Merrington, P. Bell, A Comparative Analysis of the OECD Anti-Corruption Models (Asia & Europe) And Australia’s Existing Anti-Corruption Platform, in International Journal of Business and Commerce, 4.3, 2014, pp. 1-23.
  92. F. Anechiarico, J. B. Jacobs, The pursuit of absolute integrity: How corruption control makes government ineffective, University of Chicago Press, 1996.
  93. S. Wickberg, Focusing efforts and blurring lines: the OECD’s shift from ethics to integrity, in Public Administration Review, 2018.
  94. In particolare, in Europa e America del Sud.
  95. Così S. Bhuiyan, The pandora papers opens up pandora’s box: Integrity in crisis, in Public Integrity, 25, 2, 2023, pp. 245-256.
  96. A. Ledeneva, R. Bratu, P. Köker, Corruption studies for the twenty-first century: Paradigm shifts and innovative approaches, in Slavonic and East European Review, 95, 1, 2017, 1-20.
  97. P. M. Heywood, H. Marquette, C. Peiffer, N. Zùñiga, Integrity and integrity management in public life, University of Nottingham, 2017.
  98. M. Villone, Alla ricerca della buona amministrazione perduta, in Questione giustizia, 4, 2010.
  99. S. Romano, I poteri disciplinari della pubblica amministrazione, in Giur. It, 1898.
  100. A. De Stefani, Relazione al Re, allegata al r.d. 30 dicembre 1923.
  101. S. Tuccillo, Contributo allo studio della funzione amministrativa come dovere, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016.
  102. A. Travi, Responsabilità del pubblico dipendente e ordinamento del pubblico impiego nel dibattito della Costituente, in U. De Siervo (a cura di), Scelte del Costituente e cultura giuridica, II, Il Mulino, Bologna, 1980.
  103. M. Rusciano, L’impiego pubblico in Italia, Il Mulino Bologna, 1978.
  104. U. Allegretti, Amministrazione pubblica e costituzione, Cedam, Padova, 1966.
  105. S. Lessona, Scienza dell’amministrazione e diritto amministrativo: l’azione amministrativa nei suoi aspetti giuridici e etici, Editrice Organizzazioni Scientifiche, La Spezia, 1958.
  106. V. E. Orlando, S. Lessona, Princìpi di diritto amministrativo, G. Barbera editore, Firenze, 1952.
  107. Sul punto si rinvia ad A. Pioggia, Giudice amministrativo e applicazione diretta della Costituzione: qualcosa sta cambiando? in Diritto pubblico, 1, 2012, pp. 49-80.
  108. M. S. Giannini, Scritti, vol. X, Giuffrè, Milano, 2000.
  109. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1978.
  110. P. Virga, Diritto amministrativo. I principi. Atti e ricorsi. Amministrazione locale. Attività e prestazioni, Giuffré, Milano, 1983.
  111. R. Marrama, L’esercizio della funzione di organizzazione pubblica, 1993.
  112. F. Merloni, Organizzazione amministrativa e garanzie dell’imparzialità. Funzioni amministrative e funzionari alla luce del principio di distinzione tra politica e amministrazione, in Diritto pubblico, 1, 2009, p. 75.
  113. B. G. Mattarella, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2007.
  114. F. Merloni, R. Cantone, Conflitti di interesse: una diversa prospettiva, in Diritto pubblico, 25, 3, 2019, pp. 879-904.
  115. G. Sirianni, I profili costituzionali. Ina nuova lettura degli articoli 54, 97 e 98 della Costituzione, in F. Merloni, L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione, rimedi, Passigli editore, Firenze, 2010, pp. 129-135.
  116. P. Piras, Il buon andamento nella pubblica amministrazione tra etica pubblica e corruzione: la novella del nemico immortale, in Diritto dell’Economia, 86, 1, 2015, 35-47.
  117. Corte Cost., sen. n. 453 del 1990, n. 333 del 1993, n. 193 del 2002, n. 103 e n. 104 del 2007, n. 390 del 2008, n. 40 e n. 135 del 1998.
  118. A. Cerri, Imparzialità e buon andamento della pa, Diritto on line, www. treccani. it.
  119. F. Monteduro, S. Brunelli, A. Buratti, La corruzione. Definizione, misurazione e impatti economici, Cangemi, Roma, 2013.
  120. Relativamente alla relazione tra legalità e risultati si veda M. Immordino, A. Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati. Atti del Convegno (Palermo, 27-28 febbraio 2003), Giappichelli, Torino, 2004.
  121. R. Ursi, Le stagioni dell’efficienza. I paradigmi giuridici della buona amministrazione, Maggioli Editore, Rimini, 2016; L. Mercati, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Giappichelli, Torino, 2002.
  122. J. Chevallier, La giuridicizzazione dei precetti manageriali, 1995.
  123. L. Iannotta, Previsione e realizzazione del risultato, in Diritto Amministrativo, 1, 1999, pp. 57-110.
  124. E. Carloni, Il nuovo Codice di comportamento ed il rafforzamento dell’imparzialità dei funzionari pubblici, in Istituzioni del Federalismo, 2, 2013, pp. 377-407.
  125. A. Pioggia, Le fasi della disciplina del lavoro pubblico: storia di una trasformazione e di una frattura che forse è possibile ricomporre, 2022, cit.
  126. S. Battini, S. Gasparrini, Miseria delle politiche del pubblico impiego in Italia, SINAPPSI, 1, 2020.
  127. Diffusamente sul punto si veda J-B. Auby, E. Breen, T. Perroud, Corruption and conflicts of interest: A comparative law approach, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2014.
  128. Sono soddisfatti a pieno i tre requisiti del Punto 6 della Raccomandazione Ocse del 2017(resp. dirigenziale, formazione ad hoc e ruolo nel risk management).
  129. In merito a ciò R. Cavallo Perin, B. Gagliardi, La dirigenza pubblica al servizio degli amministrati, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2014, pp. 309-336.
  130. Si veda B. Ponti, Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, Maggioli, Rimini, 2012.
  131. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è individuato tra i dirigenti. Laddove possibile, è altamente consigliato attribuire l’incarico di RPCT in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati (art. 1, co. 7, l. n. 190/2012 – PNA 2019).
  132. Ocse, Raccomandazione del Consiglio sull’Integrità nel Settore Pubblico, in oecd.org, 2017.
  133. Allegato A1 del PNA 2019.
  134. Anche se, come evidenziato al paragrafo 2 del presente lavoro, questo aspetto è stato disatteso nella pratica.
  135. Piattaforma di acquisizione dei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, in anticorruzione.it.
  136. Conforme all’art.5, non del tutto con i commi 3 (valutazione) e 2 (partecipazione società).
  137. Applicare un sistema di controllo interno e di gestione dei rischi per salvaguardare l’integrità delle organizzazioni del settore pubblico
  138. Commissione Europea, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo. Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, COM (2014) 38 final, 2014; F. Recanatini, Anti-corruption authorities: an effective tool to curb corruption? International Handbook on the Economics of Corruption, Volume Two, 528, 2011; A. Doig, Good government and sustainable anti‐corruption strategies: A role for independent anti‐corruption agencies? in Public Administration and Development, 15.2, 1995, pp. 151-165; L. De Sousa, Anti-corruption agencies: between empowerment and irrelevance, in Crime, law and social change, 53, 2010, pp. 5-22; J. Pozsgai-Alvarez (a cura di), The Politics of Anti-corruption Agencies in Latin America, Routledge, London, 2021; P. Langseth, R. Stapenhurst, J. Pope, The role of a national integrity system in fighting corruption, in Commonwealth Law Bulletin, 23(1-2), 1997. pp. 499-528.
  139. Anche se, la scelta dei componenti dell’attuale collegio Anac risulta diversa dalla prima: quella precedente: «è stato costituito mediante l’attivazione di una procedura pubblica che ha portato all’individuazione dei suoi componenti, scelta questa che la “politica” non ha voluto ripetere per l’attuale governance alla scadenza del 14 luglio 2020, preferendo la strada della chiamata diretta per “elevata professionalità e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione». Così A. Corrado, Il futuro della disciplina di prevenzione della corruzione e della trasparenza amministrativa: una moda destinata a passare? L’ultima parola al Legislatore, in Federalismi.it, 2021, p. 140.
  140. Network of Corruption Prevention Authorities, National anti-corruption strategies and plans: the importance of common features and shared challenges in the richness of diversity of national responses. Compendium of emerging policies and practices in the Network of Corruption Prevention Authorities, anticorruzione.it, 2023.
  141. In particolare, il sistema italiano risulta coerente con il punto 12 “Supervisione” della Raccomandazione sull’Integrità Pubblica dell’Ocse del 2017.
  142. E. Carloni, L’anticorruzione. Politiche, modelli, regole, Il Mulino, Bologna,2023; Anac, Relazione del Gruppo di lavoro sulle Linee Guida ANAC in materia di codici di comportamento dei dipendenti pubblici,2019.
  143. Art. 11-bis (Utilizzo delle tecnologie informatiche); 11-ter (Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media); alcune modifiche all’art. 12 in materia di “Rapporti con il pubblico” e all’art. 13 relativo alle “Disposizioni particolari per i dirigenti”.
  144. Cons. St., sez. atti norm., 19 gennaio 2023, n. 93.
  145. Un primo commento sulla nuova legge e sulla disciplina europea si rinviene in M. Magri, La direttiva europea sul whistleblowing e la sua trasposizione nell’ordinamento italiano (d.lgs. n. 24/2023), in Istituzioni del Federalismo, 3, 2022.
  146. Ocse, Committing to Effective Whistleblower Protection, OECD Publishing, Paris, 2016.
  147. B. Ponti, La prevenzione della corruzione nei contratti pubblici a dieci anni dalla l. n. 190/2012: prove di un nuovo diritto amministrativo (tra risultato, fiducia e discrezionalità), in Istituzioni del Federalismo, 3, 2022.
  148. Greco, Fourth evaluation round. Corruption prevention in respect of members of parliament, judges and prosecutors, GrecoEval4Rep (2016)2.
  149. In effetti, il Greco ha recentemente affermato nel suo quarto ciclo di valutazione che l’Italia deve: «migliorare la formazione in materia di integrità», Greco, Fourth evaluation round. Preventing corruption against parliamentarians, judges and prosecutors”, GrecoRC4(2022)15, 2022.
  150. L’art. 6 del d.lgs. n. 80/2022 impone a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 che tutti gli strumenti di pianificazione che esse sono tenute a predisporre. I piani assorbiti sono i seguenti: Piano dei Fabbisogni di Personale (PFP) e Piano delle azione concrete (PAC); Piano per Razionalizzare l’utilizzo delle Dotazioni Strumentali (PRSD); Piano della Performance (PdP); Piano di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (Ptpc); Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA); Piano di Azioni Positive (PAP).
  151. Così E. Deidda Gagliardo, R. Saporito, Il Piao come strumento di programmazione integrata per la creazione di Valore pubblico, in Rivista Italiana di Public Management, 4, 2, 2021.
  152. E. Carloni, Dove va l’anticorruzione: un bilancio critico a dieci anni dalla legge 190, in Istituzioni del Federalismo, 2, 2022.
  153. S. Cassese, Evoluzione della normativa sulla trasparenza. Evoluzione della normativa sulla trasparenza, 2018, pp. 5-7; G. Napolitano, È atipico il ruolo dell’Anac sui contratti pubblici, Corriere della Sera, 28, 2017; A. Lazzaro, Trasparenza e prevenzione della cattiva amministrazione, Giuffrè, Milano, 2017.
  154. Sulla duplice funzione della burocrazia difensiva si veda G. Bottino, La burocrazia «difensiva» e le responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici, in Analisi Giuridica dell’Economia, Studi e discussioni sul diritto dell’impresa, 1, 2020, pp. 117-146.
  155. Così M. Cammelli, Amministrare senza amministrazione, Il Mulino, in Rivista trimestrale di cultura e di politica, 4, 2016, p. 582.
  156. Sul punto si veda C. Siccardi, Anticorruzione e PNRR: profili costituzionali, in Consulta Online, 1, 2022; N. Lupo, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e alcune prospettive di ricerca per i costituzionalisti, in Federalismi.it, 2022.
  157. Sono state introdotte alcune disposizioni che rivedono le competenze e le funzioni dell’Autorità Anticorruzione in questo ambito: in alcuni casi, l’intervento dell’Autorità non è previsto per alcuni affidamenti diretti per l’esecuzione di lavori o la fornitura di beni e servizi, incidendo così sulla trasparenza, sulla sicurezza e sulla vigilanza delle stazioni appaltanti.
  158. D. Rinoldi N. Parisi, La corruzione al tempo del PNRR (e a trent’anni da mani pulite), Micromega, 2, 2022, pp. 105-115.
  159. B. G. Mattarella, La semplificazione amministrativa come strumento di sviluppo economico, Astrid Rassegna, (11), 2019, pp. 1-10; Della stessa opinione F. Costantino, Semplificazione e lotta alla corruzione nella legge 241 del 1990, in Diritto Amministrativo, 4, 2016.
  160. Si veda in particolare Anac, Sull’onda della semplificazione e della trasparenza. Orientamenti per la pianificazione Anticorruzione e Trasparenza 2022, anticorruzione.it, 2022.
  161. Si veda N. J. R. Biden Jr., Memorandum on Establishing the Fight Against Corruption as a Core United States National Security Interest, in whitehouse.gov, 3 giugno 2021.
  162. S. 3357 – To improve the anti-corruption and public integrity laws, and for other purposes, in congress.gov.
  163. United Nations, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, Resolution adopted by the General Assembly on 25 September 2015.
  164. P. Lombardi, La lotta alla corruzione come obiettivo di sviluppo sostenibile: nuove prospettive anche alla luce del PNRR, in Federalismi.it, 29, 2021, pp. 215-230.
  165. European Commission, 2022 State of the Union Address by President von der Leyen, in ec.europa.eu, 14 settembre 2022.
  166. European Commission, The European Commission asks for the public’s view in the fight against corruption, in europa.eu, 2023.
  167. European Commission, Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on combating corruption, replacing Council Framework Decision 2003/568/JHA and the Convention on the fight against corruption involving officials of the European Communities or officials of Member States of the European Union and amending Directive (EU) 2017/1371 of the European Parliament and of the Council, in europa.eu, 2023.
  168. Si veda, in particolare, European Commission, Guidance to member States recovery and resilience plans, in www.ec.europa.eu, 22.01.2021; ma anche nel Preambolo del Reg. (UE) 2021/241, par. n. 39.
  169. COM (2023)234.
  170. Così il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto.
  171. G. Corso, M. de Benedetto, N. Rangone, Diritto amministrativo effettivo. Una introduzione, il Mulino, Bologna, 2022, pp. 116-117.
  172. M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Giuffré, Milano, 1966, p. 128.

Francesco Merenda

PhD student in Legality, Political Cultures and Democracy, University of Perugia.