Il “caso Banksy”: spunti di riflessione per la posizione del “terzo” nel sistema di tutela del marchio dell’Unione europea

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1/2021

Il “caso Banksy”: spunti di riflessione per la posizione del “terzo” nel sistema di tutela del marchio dell’Unione europea

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La protezione offerta al marchio nell’Unione europea si prefigge di riconoscere alle imprese la possibilità di contraddistinguere i rispettivi prodotti o servizi, superando le barriere nazionali che invece permangono in molti campi riguardanti la tutela della proprietà intellettuale. Nel prendere decisioni sui marchi europei, EUIPO (e allo stesso modo le sue commissioni di ricorso) è talvolta chiamato a valutare la sussistenza della “malafede”, “ordine pubblico” e “buon costume”. La recente dichiarazione di nullità assoluta del marchio del “Flower Thrower” di Banksy pone perciò in evidenza come il diritto del marchio sia stato concepito per tutelare anche i diritti fondamentali e i diritti propri della concorrenza, nonché i diritti del “terzo”. La loro tutela risulta perciò strettamente collegata all’interpretazione logica di “concetti indeterminati” nel contesto di riferimento.


The "Banksy case": food for thought on the position of "third parties" in the European Union trademark protection system
Trademark protection in the European Union aims at helping businesses to distinguish their goods or services in overcoming national barriers that still persist in many areas of intellectual property protection. Deciding on European trademarks, EUIPO (as well as its Boards of Appeal) is sometimes called upon to assess the existence of "bad faith", "public order" and "morality". The recent declaration of invalidity of the trademark of Banksy's "Flower Thrower" highlights how EU trademark law was conceived to also protect other closely interconnected rights: fundamental rights, competition rights, and the rights of "Third Parties". Their protection is therefore directly linked to the logical interpretation of "undetermined concepts" in the relevant context.

1. La proprietà intellettuale e la tutela del marchio nel diritto dell’Unione europea

La seguente analisi, a partire da alcune recenti vicende legate all’utilizzo del marchio e alla sua «revocabilità per malafede», vuole provare a sottolineare come nei processi decisionali inerenti alla tutela del marchio il decisore sia chiamato ad operare le sue valutazioni tenendo conto di concetti “astratti” e rilevare brevemente come, di conseguenza, le decisioni stesse abbiano delle implicazioni anche per i diritti dei “terzi”.

Innanzitutto, in questo scritto ci si concentrerà sulla tutela offerta a livello europeo per quanto riguarda il marchio, disciplinato sulla base del Regolamento 1001/2017[1], quindi direttamente applicabile negli Stati membri. È doveroso precisare che non per tutti gli aspetti legati alla proprietà intellettuale si può parlare di armonizzazione sul territorio europeo[2] poiché il sistema di tutela è caratterizzato dalla complessità e dall’assetto multilivello[3]. Ad esempio, come poi verrà ripreso in seguito, il copyright protegge le modalità di espressione delle idee (della proprietà intellettuale) e non le idee di per sé, ma a livello europeo sono disposte solo direttive per cui ci si deve rifare soprattutto al diritto internazionale[4] e alle legislazioni nazionali (per gli aspetti di dettaglio). Gli Stati membri sono ancora poco propensi a dotarsi di un quadro regolatorio comune che li vincoli in materia di diritto d’autore, ciò è dovuto soprattutto agli interessi legati allo sfruttamento economico dell’opera. Nel territorio dell’Unione viene riconosciuta anche una tutela comune al brevetto consentendo di proteggere un’invenzione presentando un unico atto: essa è il frutto di una recente cooperazione rafforzata tra 25 Stati Membri[5] che è gestita a livello operativo dall’Ufficio europeo dei brevetti (EPO). La Convenzione di Monaco del 1973[6], che ha istituito tale ufficio, è la fonte cui riferirsi; attraverso la sua applicazione sono conferiti ai richiedenti il brevetto negli Stati sottoscriventi i medesimi diritti che deriverebbero loro da un brevetto nazionale. Infine, l’Ufficio europeo per la proprietà intellettuale (EUIPO) si occupa del marchio europeo, di design e di modelli[7]. Ovviamente, tutelare l’innovazione significa proteggere anche i know-how e le informazioni commerciali[8], ma è comunque possibile negoziare un accordo di licenza con un’altra entità (il “licenziatario”) cui concedere il permesso di utilizzare la propria proprietà intellettuale.

L’occasione in medias res per riflettere su alcune implicazioni del potere delegato ad EUIPO è offerta dalla recente decisione della «divisione annullamento»[9] di EUIPO di dichiarare nullo il marchio attribuito all’opera di BanksyFlower Thrower” depositato nel 2014 dalla società Pest Control Office Limited, ai sensi dell’art. 52 del Regolamento 207/2009 sul marchio dell’Unione Europea[10]. Secondo quanto sancito da tale articolo, il marchio può essere dichiarato nullo se, al momento del deposito della domanda, il richiedente ha agito in «malafede». Su tale questione si è espressa, riscontrando la mancanza di «buonafede», la «divisione annullamento» di EUIPO. Di recente su questioni riguardanti il «buon costume» che possono essere accostate alla «malafede» per analogia dell’iter argomentativo utilizzato nella sua determinazione, si è pronunciata la Corte di giustizia il 27 febbraio 2020 nel ricorso C-240/18P Constantin film contro una decisione del Tribunale riguardante sempre il marchio europeo di due anni antecedente[11]. Tale ultima pronuncia, insieme alla decisione della “divisione annullamento” di EUIPO sul “Flower Thrower”, evidenzia come i vari organi preposti a decidere nei vari contenziosi sui marchi registrati ai sensi del diritto UE (sia relativamente ai ricorsi interni sia relativamente a quelli davanti alle commissioni di ricorso) siano spesso chiamati a prendere decisioni sulla base anche di valutazioni morali[12]. Connaturata a tale decisione vi è la facoltà di esercizio di un potere decisionale delegato dalla Commissione (nei limiti della c.d. dottrina Meroni)[13] e specificato nei regolamenti di settore che, in ogni caso, deve tenere conto non solo del «principio della certezza del diritto» ma anche della necessità di valutare ogni singolo caso nel contesto concreto di appartenenza, sulla base anche della prassi e dell’opinione pubblica[14].

Di conseguenza, ci si chiede se tale attività censoria possa, in qualche modo, contrastare non solo con il rispetto dei diritti fondamentali, ma anche con il «principio del carattere unitario del marchio UE» il quale si prefigge, tra l’altro, di lottare efficacemente contro la contraffazione nell’ottica del completamento e del buon funzionamento del mercato interno. Da qui, discende l’altro punto controverso relativo alla capacità in concreto di far sì che, nel decidere sui ricorsi, si tenga davvero conto del contesto di riferimento, nell’interesse delle parti e della posizione del “terzo”.

2. L’annullamento del marchio di Banksy

La recente decisione di invalidità della protezione dell’opera “Flower Thrower” di Banksy in quanto marchio,[15] adottata dalla “divisione annullamento” EUIPO[16] il 14 settembre 2020 non è stata impugnata davanti alle Commissioni di ricorso di EUIPO e quindi è divenuta definitiva. Avendo la Pest Control scelto di non proporre ricorso davanti alla commissione di ricorso contro la decisione notificata di nullità dei marchi, non è più azionabile un ricorso in via giudiziale: tale passaggio è, infatti, condizione necessaria per poi proporre gravame al Tribunale (ex art. 68 del Regolamento UE 2017/1001) da parte del destinatario della decisione (o meglio dal suo rappresentante legale). Si deve precisare che il Regolamento sul marchio europeo distingue tra casi di «nullità assoluta» e casi di «nullità relativa». Nel primo caso il marchio è dichiarato nullo se è stato registrato con caratteristiche contrarie all’elenco tassativo dei casi di esclusione ex art. 7, nonché qualora venga riscontrato che, al momento del deposito della domanda di marchio, il richiedente abbia agito in «malafede». Nel secondo caso, vale a dire la «nullità relativa», si tratta piuttosto di una richiesta di parte, o di «domanda riconvenzionale»[17] che solleva questioni consolidate già in un tempo anteriore rispetto alla registrazione del marchio stesso. Potrebbe anche trattarsi del caso in cui, prima della registrazione, risulti prevalente il diritto al nome; il diritto all’immagine; il diritto d’autore; il diritto di proprietà industriale, sempre in base alla normativa dell’Unione o al diritto interno che ne disciplina la protezione.

Nel caso del “Flower Thrower”, opera apparsa su un muro di un’abitazione privata di Gerusalemme nel 2005, il titolare del marchio europeo è, come già detto, la Pest Control Office Limited, vale a dire la persona giuridica che gestisce le questioni e gli affari dell’artista anonimo Banksy icona dello street art contemporaneo. La “divisione annullamento” di EUIPO si è pronunciata sulla base della domanda avanzata dalla Full Colour Black Limited, la quale ha manifestato un interesse alla rimozione del marchio ab origine per cause patologiche quali, appunto, la «malafede». EUIPO, ha cercato di dimostrare l’esistenza della «malafede», sulla base di un’analisi dei fatti evidenziati nel corso del dibattimento dalla ricorrente e dal titolare del marchio di Banksy, seppure in assenza di una sua definizione univoca e determinata nel diritto europeo. La nozione di “malafede” può rappresentare un “concetto giuridico indeterminato”[18], caro alla dottrina tedesca. Tali concetti indeterminati sono altresì rintracciabili nel diritto europeo ove sono ripresi dalla teoria giuridica dei diritti nazionali e sulla cui interpretazione sorgono diverse ambiguità. Nel caso della “malafede” «tale disposizione costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione […]e deve essere interpretata uniformemente nell’Unione europea»[19]. Per quanto attiene alla regolazione del marchio, la norma contenuta nell’art. 59 del Regolamento 1001/2017[20], non descrive puntualmente la fattispecie in cui la «malafede» si rivela, necessitandosi di conseguenza un’opera ricostruttiva e integrativa dell’interprete[21]. La “divisione annullamento” evidenzierà, perciò, un “fascio di indizi” per cui la malafede da parte dell’autore dell’opera sarebbe evidente, comportando per quest’ultimo la perdita di ogni diritto al marchio. Innanzitutto, vengono richiamate le conclusioni dell’AG Sharpston che nel 2009 nella causa C-529/07 Chocoladefabrikten Lindt aveva provato a definire il contenuto del concetto[22]. Tuttavia, essendo la giurisprudenza della Corte essa stessa da considerare quale fonte di diritto dell’Unione europea, anche le sentenze di annullamento possono avere effetto ben al di là della questione specifica delle parti perché, appunto, possono fornire un’interpretazione del diritto UE o determinare la validità di un atto[23]. Ad oggi, comunque, la Corte non ha cristallizzato una definizione di malafede “oggettiva”, limitandosi piuttosto a valutare l’esistenza della malafede nel comportamento del richiedente la registrazione del marchio nel caso specifico[24].

EUIPO, nel suo argomentare, ben evidenzia in primis il fatto che Bansky non abbia richiesto il copyright anche nel caso in cui la legislazione nazionale lo avrebbe permesso[25], deducendo che la richiesta di tutela del marchio europeo sarebbe stata per l’artista una sorta di seconda opzione cui ricorrere per fornire un minimo di tutela alla propria opera. L’assenza di protezione del diritto d’autore, che avrebbe permesso all’artista il riconoscimento dei diritti di utilizzazione economica, dei diritti morali e dei diritti a compenso sull’opera per i 70 anni successivi alla morte dell’autore[26], è conseguenza della volontà esplicita dello stesso di rimanere anonimo e non rivelare al pubblico la propria identità. In tal senso, dunque, il cosciente perseguimento dell’anonimato costituirebbe la “prima prova della malafede”, e non piuttosto la causa della perdita del diritto d’autore. Infatti, nulla avrebbe vietato di registrare l’opera come anonima o pseudoanonima[27]. In concreto, però, Banksy non ha mai fatto valere alcun diritto d’autore, non può perciò goderne proprio perchè egli non può essere identificato come il soggetto proprietario del “Flower Thrower”. Nella decisione si adduce anche che lo stesso luogo ove è stata realizzata l’opera in maniera abusiva, vale a dire un muro in una proprietà privata, metterebbe a rischio qualsiasi diritto sull’opera, laddove questa potrebbe essere riconosciuta addirittura come appartenente al proprietario del muro[28].

In terzo luogo, a provare la malafede (soggettiva) concorrono le stesse parole dell’artista, il quale ha più volte dichiarato come «copyright is for losers»[29], permettendo al contempo al pubblico di scaricare da Internet e utilizzare le sue immagini[30] ma per scopi non commerciali. Nella pratica, però, dopoché la domanda di annullamento presentata dalla Full Color ad EUIPO era stata notificata alla Pest Control, Banksy aveva iniziato ad esporre prodotti raffiguranti le sue opere in un negozio a Londra (non aperto al pubblico) e aveva aperto un negozio on line con vario merchandising, dichiarando che l’intenzione non fosse quella di ritagliarsi una propria porzione di mercato, ma piuttosto quella di dimostrare l’effettivo uso del marchio al fine di «eludere il mancato uso del requisito del segno previsto dal diritto europeo»[31]. Il diritto all’utilizzo del marchio, se rinnovato, è infatti un diritto di cui il titolare può godere a tempo indeterminato; tuttavia non è esaustivo come il diritto d’autore. In tal modo Banksy ha implicitamente ammesso di aver tentato di pregiudicare a terzi l’uso del marchio[32], cercando di ottenere un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli che rientrano nelle funzioni del marchio[33], come nel caso della riproduzione del segno su alcuni prodotti, senza però avere l’intenzione di usare il segno come marchio[34]. Infatti, il marchio europeo ha la finalità di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione dei servizi, nonché di cercare di garantire delle condizioni di mercato ove la concorrenza non venga falsata[35]. Ai fini dell’analisi giuridica, il fatto che la Pest Control non abbia impugnato la decisione, chiude in qualche modo la questione sulla “malafede” riscontrata nel comportamento dell’artista. Si ricorda però come altre opere di Banksy siano già tutelate in quanto marchi UE[36]. In ogni caso, rimangono ad oggi insolute le questioni legate ai diritti di proprietà intellettuale sull’intera produzione dell’artista[37].

3. Le nozioni di “buonafede”, “ordine pubblico” e “buon costume” per la corretta regolazione del marchio nel diritto UE.

Il caso dell’annullamento del marchio di Banksy è, dunque, di interesse per l’opinione pubblica per via della popolarità indiscussa dell’opera e dell’autore. Rappresenta altresì un caso ove la divisione interna di EUIPO si è dovuta cimentare nella delimitazione di concetti indeterminati da adattare al caso concreto, cercando di delimitare i margini di applicabilità e di valenza della nozione di malafede. Il rispetto di tale criterio diventa, perciò, una sorta di condizione imprescindibile per una buona regolazione del marchio nel diritto europeo e per l’esplicarsi della corretta efficacia di tale diritto della proprietà intellettuale, riconosciuto come fondamentale anche dalla Carta di Nizza. La tutela dei diritti fondamentali di proprietà intellettuale (art. 17, par. 2)[38] e il diritto ad una tutela giurisdizionale (art. 47) hanno, innanzitutto, lo scopo di perseguire un interesse superiore dei cittadini, quale quello di accesso e di uso sociale della conoscenza[39]. In tal senso, dunque, il diritto fondamentale della tutela della proprietà intellettuale e con esso il diritto ad a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sono da valutare in rapporto funzionale tra loro. Le varie possibilità di ricorso interno ad EUIPO, una delle poche agenzie del panorama europeo caratterizzate da un potere decisionale effettivo, basato sull’indipendenza a l’alta specializzazione sotto il profilo tecnico[40], costituiscono un primo rimedio per la revisione di una decisione che può essere lesiva dei vari interessi delle “parti” in gioco. Si tratta di procedimenti di “internal review” contro i quali poi si potrà esperire poi il ricorso davanti alle «commissioni di ricorso»[41], le quali possono accogliere o rigettare il ricorso annullando o anche riformando l’atto[42]. Negli ultimi anni la dottrina si è spesso interrogata sulla natura del potere esercitato dalle commissioni di ricorso, dal momento che queste ultime esercitano una funzione quasi-giudiziale[43] e, di conseguenza, anche relativamente all’esistenza di una reale continuità funzionale delle decisioni di revisione con la giurisprudenza della Corte di giustizia[44]. Infatti, è possibile per la parte soccombente impugnare le decisioni della commissione di ricorso davanti al Tribunale -il quale non può comunque pronunciarsi su questioni sulle quali la stessa commissione non si è pronunciata. Successivamente, per questioni meramente di diritto, si può ricorrere davanti alla Corte. A livello giuridico altro motivo di interesse è strettamente correlato al fatto che di tali organismi, è bene ricordare, non fanno parte solo giuristi ma anche esperti della materia specifica di pertinenza dell’agenzia. Nell’applicare la normativa rilevante le commissioni di ricorso sono incentrate soprattutto sulla tutela dei diritti del ricorrente[45], mentre il ricorso giurisdizionale si pone anche l’obiettivo di tutela dell’interesse pubblico. Anch’esse sono poi spesso chiamate a pronunciarsi su casi ove è necessario interpretare concetti giuridici indeterminati.

Ad esempio, in merito alla nozione di “buon costume” si può osservare come la Corte di giustizia sia intervenuta ad annullare la sentenza del Tribunale chiamato a pronunciarsi, in appello, sulla decisione della quinta commissione di ricorso EUIPO[46] la quale si era rifiutata di registrare il marchio Fack ju Göthe perché contrario all’art. 7, lettera f) del Regolamento sul marchio e lettera b) sul «carattere distintivo». In questo frangente, la Corte di giustizia viene in ultima istanza chiamata a pronunciarsi su questioni di diritto. Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe violato il «principio dell’esame individuale» cadendo nell’errore di fatto di non considerare il segno costitutivo del marchio così come scritto nella lingua di registrazione (il tedesco), ma di valutare il marchio sulla base dell’evocata lingua inglese ove, appunto, il significato tra le due lingue, a livello scritto, è differente[47]. In poche parole, il pubblico tedesco non percepirebbe in modo identico al pubblico inglese l’espressione Fack ju Göthe, anche perché il marchio richiesto non consiste nell’espressione inglese (letterale) bensì nella sua traduzione fonetica in lingua tedesca.[48] Di conseguenza, l’impedimento alla registrazione dovuto al “cattivo gusto” dello stesso, ragione per cui sarebbe contrario al «buon costume», si basa sulla determinazione dell’“intendimento” che del marchio ne ha il pubblico. Tale valutazione, effettuata in modo assoluto ed astratto, non ha chiaramente tenuto conto degli elementi specifici del caso[49] tra cui la percezione effettiva che il segno denominativo (istitutivo del marchio) riflette sul pubblico di riferimento. Non solo, secondo i giudici della Corte, sia la commissione di ricorso sia successivamente il Tribunale, avrebbero applicato in maniera erronea le norme relative all’onere della prova, non valutando correttamente gli elementi a sostegno del fatto che il pubblico germanofono non sia stato turbato dal marchio richiesto, in quanto in grado di riconoscere nel marchio il titolo di una commedia che aveva riscosso un grande successo nel 2013[50] e utilizzato anche da un istituto culturale a fini pedagogici. La Corte ricorda anche come EUIPO non avrebbe tenuto conto di quanto richiesto dall’art. 76, par. 1 del Regolamento sul marchio[51] in merito all’obbligatorietà dell’esame dei fatti già in sede di registrazione e, successivamente, nei casi di impedimenti agli argomenti e ai fatti presentati dalle parti[52]. Tale negligenza pecca anche di non aver considerato quanto stabilito dalla giurisprudenza pregressa, la quale ribadisce come l’esame del caso vada effettuato con riferimento alla percezione di tale segno al momento del suo uso come marchio, da parte del pubblico interessato situato nell’Unione o in una parte di essa. Tale parte può anche essere costituita da un unico Stato membro[53].

Per completare il quadro sul “ordine pubblico”, nel caso di specie, si possono operare alcune considerazioni. Il concetto di “ordine pubblico”, nel diritto europeo, si ritrova sovente nelle categorie riconducibili all’”interesse generale” per cui possono essere operate a livello degli Stati membri restrizioni alle libertà di circolazione (art. 36 TFUE). Tra esse, perciò, ricade anche la questione se l’uso di un segno sia inammissibile, al di là del rifiuto specifico della protezione del marchio. Come ricorda l’AG Bobek, l’obiettivo della disposizione volta ad evitare che segni contrari all’”ordine pubblico” o al “buon costume” godano dei privilegi derivanti dalla registrazione come marchi, non impedisce di per sé la commercializzazione dei prodotti[54]. La protezione offerta dal marchio europeo è perciò da considerarsi come aggiuntiva ai diritti acquisiti dal bene in oggetto. Non solo, ma un marchio non potrà essere considerato contrario all’ordine pubblico per la sola ragione che esso non è conforme alle disposizioni della legislazione sui marchi, salvo il caso in cui questa disposizione non riguardi essa stessa l’ordine pubblico (anche limitatamente alla legislazione nazionale). È questo il caso ben esemplificato nella pronuncia T‑1/17, La Mafia Franchises, ove, appunto «[il] marchio contestato, considerato complessivamente, rinvia ad un’organizzazione criminale, trasmette un’immagine globalmente positiva di tale organizzazione e, pertanto, banalizza i gravi attacchi sferrati da detta organizzazione ai valori fondamentali dell’Unione»[55].

Si aggiunga anche che l’«ordine pubblico» è un concetto da porre in relazione col ruolo dell’autorità pubblica degli Stati membri che tale ordine sono chiamate a fare rispettare[56]. Nel caso del segno Fack ju Göthe le questioni di “ordine pubblico” e “buon costume” sono state trattate congiuntamente: EUIPO ha poi ravvisato solo l’impedimento connesso al “buon costume”, anche in virtù del fatto che i motivi di ordine pubblico sono ragionevolmente e più agevolmente circoscrivibili in modo “oggettivo”[57].

Va altresì segnalato come la Corte sottolinei chiaramente l’errore di diritto basato su una considerazione approssimativa (quanto errata!) operata dapprima dalla commissione di ricorso e, successivamente, avvalorata dal Tribunale nella sentenza oggetto di appello: entrambi hanno infatti sostenuto come il diritto fondamentale alla libertà di espressione non si applichi al settore dei marchi. Su tale punto si deve ricordare innanzitutto che la tutela dei diritti fondamentali garantita nella CDFU, sebbene non estenda in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei Trattati, riguardi il campo di applicazione del diritto europeo. Ragion per cui è errato pensare di limitare la libertà di espressione riconosciuta dall’art. 11 della CDFU solo al settore dell’arte, della cultura e della letteratura. Tale orientamento è altamente fuorviante rispetto alla portata della Carta, sia per quanto stabilito nei Trattati, sia per quanto ribadito dai giudici del Lussemburgo. Ancor di più se si pensa, oltremodo, che la Carta di Nizza è collegata alla CEDU (art. 6, c. 3 TUE), e i diritti fondamentali in essa riconosciuti fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Tra essi si ricorda proprio l’art. 10 della CEDU sulla «libertà di espressione»[58] il quale include il diritto alle proprie opinioni senza interferenze da parte dell’autorità pubblica[59]. Esso si applica a tutte le forme di comunicazione, inclusi i simboli[60]. Le varie modalità di comunicazione possono certamente essere soggette a restrizioni disposte dalla legge nell’interesse della società democratica: tra essi rientrano, appunto, anche l’”ordine pubblico” e il “buon costume”. È altresì inevitabile che, mancando delle definizioni di “valore assoluto” per le nozioni di “buon costume”, “malafede”, bisognerà far sì che le restrizioni siano “proporzionali” rispetto al contesto di riferimento[61]. Il che comporta un necessario bilanciamento tra di essi per statuire sul caso specifico nell’eventualità che vi sia contrasto tra i diritti fondamentali garantiti nel diritto dell’Unione.

Ciò detto, senza pretesa di sviluppare approfonditamente il tema, vale la pena soffermarsi sulla posizione del “terzo” nei casi qui brevemente analizzati[62]. Come già anticipato, oltre agli interessi delle parti nel caso specifico, vi sono interessi qualificabili come rilevanti nel singolo procedimento e che non devono essere trascurati, quali quelli di «chiunque esprima un interesse legittimo al procedimento», oppure «chiunque non abbiano ancora espresso alcun interesse al procedimento»[63]. Quindi, oltre ai vari soggetti che richiedono l’intervento delle varie divisioni di EUIPO, per tutelare interessi di parte – come appunto è il caso della Full Colour Black Limited (i cui interessi sono minati dall’errato utilizzo che la Pest Control ha fatto del marchio), o della stessa Pest Control che si è ritrovata soccombente- sono da tenere in considerazione anche gli interessi più generici dei «consumatori». Non a caso tra le ragioni per cui si richiede la registrazione del marchio vi è quella di tutelare l’origine del prodotto con l’intento finale di garantirne la qualità al consumatore. È innegabile come la nozione di “terzo” muti a seconda del contesto e come questa possa essere riferibile non solo ad un singolo, quale il «consumatore medio»[64] i cui interessi potrebbero venire in rilievo proprio in seguito alla registrazione del marchio (come nel caso del coniglietto pasquale Lindt)[65], ma anche ad un «gruppo di cittadini» o alla «collettività in senso generale» (come nel caso in cui è necessario difendere la sicurezza di un territorio). In astratto, il “terzo” può inoltre riferirsi anche al “cittadino” facente parte del “pubblico”: in questo caso il suo interesse è più difficile da qualificare e circoscrivere, ma di esso l’agenzia tiene implicitamente conto proprio nel cercare di riempire di contenuto le nozioni di “malafede”, “ordine pubblico” e “buon costume” nelle singole decisioni, al fine di tutelare l’interesse generale. A proposito, si segnala come il Regolamento sul marchio preveda per i “terzi” la possibilità di presentare osservazioni scritte nel caso di richiesta di esclusione alla registrazione e opposizione[66], garantendone così la partecipazione.

4. La revisione delle decisioni nelle agenzie dell’Unione: brevi conclusioni

I casi di Banksy e della Constantin film evidenziano il ruolo concreto che viene svolto sia dalle varie divisioni di EUIPO, sia dalle commissioni di ricorso in materia di nullità e ammissibilità del marchio. Di conseguenza, al seguito dell’analisi sui singoli casi, è possibile svolgere considerazioni più a grand’angolo, sulla base delle evidenti implicazioni per il diritto amministrativo europeo in generale. Esse riguardano, innanzitutto, il ruolo della discrezionalità esercitata nei ricorsi amministrativi interni e quelli di revisione davanti alle commissioni di ricorso; nonché di come questa possa risultare determinante, laddove ci si debba pronunciare sulla base di principi che si fondano su concetti valoriali di cui non esiste una “definizione oggettiva statica”. Come ben evidenzia il Regolamento sul marchio, ciò è dovuto anche al fatto che non sempre il dato normativo si premuri di circoscriverla. È altresì chiaro come la stessa giurisprudenza tenda ad aggirare il problema preferendo declinare in concreto il concetto volta per volta attraverso la ponderazione degli interessi coinvolti. Una prima spiegazione di ciò è ravvisabile nella natura ontologica del potere discrezionale riservato alle agenzie tecniche e, in particolare, alle commissioni di ricorso le quali si esprimono, come già detto, nel merito dei contenziosi sulla base di competenze settoriali qualificate. Tale aspetto viene già in luce nei procedimenti di revisione interna a dimostrazione che, laddove EUIPO sia chiamato a porre il caso concreto in relazione ai principi di “buonafede”, alla tutela dell’”ordine pubblico” e del “buon costume” (i quali possono a loro volta essere delineati come canoni discretivi della decisione finale), residua anche un margine di “discrezionalità piena”. A tal proposito, si ricorda anche come il diritto europeo non si interessi più di tanto alla questione dottrinale relativa ai diversi tipi di discrezionalità[67]. Ecco che, laddove si ponga quale necessaria una valutazione basata sulle competenze tecniche, il giudice si limita perlopiù ad esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e delle qualificazioni giuridiche che l’autorità (cui spetta il potere decisionale finale) ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da «errore manifesto» o «sviamento di potere»[68]. Negli esempi qui evidenziati della “malafede di Bansky” e del «grado di decoro del segno Fack ju Göthe» emerge chiaramente come l’accertamento dei fatti concreti sia imprescindibile al fine di poter operare una corretta scelta finale discrezionale; essa sussume sia elementi tecnici sia elementi connaturati al potere di scelta. Come già detto, il potere di revisione amministrativa delle decisioni va esercitato nei limiti della delega conferita ad EUIPO. Tuttavia, si evince dal Regolamento sul marchio come, nel decidere sulle varie controversie, si debba tener conto di “concetti indeterminati” la cui applicazione evidenzia l’utilizzo di un potere discrezionale che non è, in fin dei conti, solo di tipo tecnico[69].

La questione è più che mai attuale dal momento che EUIPO è chiamato a decidere relativamente al deposito di marchi che possono, o meno, richiamare esplicitamente il Covid-19. Anche in questo caso, sarà interessante vedere come sarà applicato il criterio di «buon costume» per quei segni in cui la parola o il segno del Covid-19 tende ad operare una “banalizzazione” della pandemia, oppure nel caso in cui il richiedente cerchi di arricchirsi attraverso la speculazione sulla crisi economica[70]. La tutela della proprietà intellettuale, in un momento dove necessariamente aumenta anche la richiesta e la fruizione di contenuti on line, è più che mai attuale se si tiene conto anche della prospettiva del “terzo” (sia esso un concorrente del detentore del marchio, un consumatore o un cittadino) brevemente accennata in questo scritto.

Per quanto attiene le commissioni di ricorso, da un lato rimane innegabile che esse operino tendenzialmente sulla base di una logica tecnica e specialistica[71] e che, a differenza del giudice europeo, esercitino poteri di merito inserendosi in maniera perspicua nelle decisioni dell’agenzia[72]. Dall’altro lato, nei fatti, emerge quanto sia arduo per tutti gli attori chiamati a pronunciarsi (a partire dai funzionari di EUIPO), giungere a delle “definizioni oggettive” di concetti quali quello di “malafede”, o anche di “buon costume”, ove la “dimensione soggettiva” non è trascurabile e dove le “ragioni tecniche” diventano dunque marginali. La “malafede di Bansky”, infatti, come giustamente è rilevato nella decisione di EUIPO, si evince dal comportamento perpetuato dall’artista negli anni e non si rileva da ragioni avulse dal contesto; motivo per cui si deduce che la discrezionalità attiene non solo al momento della decisione di annullamento, ma anche al momento logico che la produce. È anche vero che, qualora le commissioni di ricorso si incamminino sul terreno scivoloso delle considerazioni permeate di contenuti “extra-giuridici”[73] per applicare al caso concreto le nozioni di “buon costume” o “ordine pubblico”, il contenuto delle loro decisioni può venire smentito in seconda battuta dai giudici che ne evidenziano le lacune (logiche) o gli errori[74]. Ciò è stato ben dimostrato nella causa Constantin Film. Le possibilità di messa in discussione sono maggiori se l’argomentare che ha portato alla decisione difetta di una valutazione proporzionale dei vari interessi e diritti in gioco, tra cui quelli dei “terzi”. Tale ipotesi suscita interrogativi controversi anche perché le commissioni di ricorso tendono ad essere assimilate sempre di più a dei “tribunali specializzati”[75]. Stando a quanto previsto dall’art. 58-bis dello Statuto della Corte di giustizia, esse possono adottare atti sottraibili allo scrutinio della Corte, a meno che non sia dimostrato che il ricorso rivesta particolare importanza per l’unità, la coerenza e lo sviluppo del diritto dell’Unione[76].

Non da ultimo, è un dato non trascurabile il fatto che il «diritto del marchio» rappresenti un diritto che trasversalmente tocca diversi aspetti, dai rapporti tra privati per ragioni legate alla competizione nel mercato (quindi anche i diritti del “terzo”), ai problemi di tutela della proprietà intellettuale nell’era digitale, fino alla garanzia dei diritti fondamentali.

  1. Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea. Tale Regolamento codifica le varie integrazioni e modifiche del precedente Regolamento (CE) n. 207/2009.
  2. È il caso delle «indicazioni di provenienza o denominazioni d’origine» della Convenzione di Parigi dal 1867, volte a proteggere il consumatore attraverso il riconoscimento “ufficiale” della qualità del prodotto. Tali procedure vedono coinvolte le autorità nazionali che poi trasmettono la domanda alla Commissione per la decisione finale.
  3. Per uno sguardo complessivo sulla proprietà intellettuale (considerando anche le questioni di attualità legate alle responsabilità delle piattaforme online in caso di violazioni) L. Bently, D. Sherman, D. Gangjee, Intellectual Property Law, 5th ed., Oxford University Press, Oxford, 2018.
  4. Convenzione di Berna – art. 2.
  5. Regolamento (UE) n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2012 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria.
  6. Si tratta della Convenzione sul Brevetto Europeo, firmata a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973; essa vede attualmente 38 Stati contraenti.
  7. L’ Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), fondato nel 1994 e conosciuto fino a marzo 2016 come UAMI, ha sede ad Alicante, e si occupa della registrazione di marchi, design e modelli a livello europeo.
  8. Direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2016 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti.
  9. Si segnala una sorta di Babele linguistica sui nomi delle divisioni e delle procedure di EUIPO: nel testo italiano del Regolamento 1001/2017, all’art. 109, si utilizza il termine «decisione di annullamento» per comprendere le procedure di nullità assoluta e relativa (ricordando che per il diritto europeo non vale la distinzione tra annullabilità e nullità tipica del diritto amministrativo italiano). Il testo inglese utilizza invece l’espressione «proceedings for a declaration of invalidity». Il testo francese utilizza, invece, «procédure de nullité». La “decisione sul caso Banksy”, che appunto dichiara la nullità del marchio, è poi assunta dalla «Cancellation Division» (che equivale alla «divisione annullamento» in italiano e alla «division d’annulation» nel testo francese –ex art. 109 c.3-).
  10. ora art. 59 del Regolamento 1001/2017.
  11. Tribunale (Sesta Sezione), Sentenza del 24 gennaio 2018, T- 69/17 Constantin Film, ECLI:EU:T:2018:27.
  12. Entro due mesi dalla ricezione della decisione di EUIPO sul marchio possono essere proposti ricorsi in sede amministrativa di riesame delle decisioni: si tratta delle procedure di opposizione (art. 46), decadenza (58) o nullità (59-60). Si segnala che la procedura di opposizione differisce rispetto alla decadenza e alla nullità perché può portare ad un rigetto della domanda di registrazione, dunque di una decisione relativa all’ «attribuzione del diritto alla registrazione del marchio». Nei casi di decadenza e nullità si tratta piuttosto di una valutazione della registrazione alla luce della situazione fattuale di riferimento. Per approfondimenti su tali strumenti di revisione interna P. Chirulli, L. De Lucia, Rimedi Amministrativi Ed Esecuzione Diretta Del Diritto Europeo, Giappichelli, Torino, 2018, p. 49; N. La Femina, Rimedi amministrativi e tecniche alternative di risoluzione delle controversie nell’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2016, n. 5, pp. 1409-1435.
  13. Nella sentenza Meroni (Corte di giustizia, sentenza 13 giugno 1958, Causa 9-56, Meroni & Co., c. l’Alta Autorità, ECLI:EU:C:1958:7) la Corte di giustizia ha affermato che la delega di potere non può mai eccedere i limiti dei poteri affidati dai Trattati al soggetto delegante e che un potere comprendente un ampio margine di discrezionalità non può essere mai delegato senza limiti poiché implicherebbe anche il trasferimento delle responsabilità verso il soggetto che riceve la delega. C. Harlow, R. Rawlings, Process and Procedure in EU Administration, Oxford University Press, Oxford, 2014, p. 32 (traduzione dall’inglese dell’autore).
  14. Corte di giustizia (Quinta Sezione), sentenza della Corte del 27 febbraio 2020, C- 240/18P Constantin Film, ECLI:EU:C:2020:118, p.to 42.
  15. EUIPO, Decisione N.33 843 C, 14 settembre 2020, rinvenibile ad www.euipo.europa.eu
  16. Art. 63 Regolamento 1001/2017.
  17. Art. 60 Regolamento 1001/2017.
  18. Ex pluribus, E. Ferrero, Concetti giuridici indeterminati e poteri discrezionali delle amministrazioni, in Diritto e processo amministrativo, 2014, n. 3, p. 759-790; D. De Pretis, Discrezionalità tecnica e incisività del controllo giurisdizionale, in Giornale di diritto amministrativo, 1999, n. 12, pp. 1179-1183.
  19. Corte di giustizia (quinta sezione), sentenza del 26 giugno 2013, C-320/12 Malaysia Dairy, ECLI:EU:C:2013:435, p.to 29.
  20. Già presente all’art. 52 del Regolamento 207/2009.
  21. Nei casi qui esposti si nota come sia le commissioni di ricorso, sia i giudici che sono chiamati a sindacare la legittimità delle decisioni frutto di una scelta amministrativa debbano svolgere un’interpretazione della norma che implica anche un’integrazione valutativa della clausola generale contenuta nella norma europea. Sul punto M. Giavazzi, Il processo amministrativo nella prospettiva europea, in D. U. Galetta (cura di), Diritto amministrativo nell’Unione europea, Torino, Giappichelli 2020, p. 187.
  22. AG Sharpston, Conclusioni 12 marzo 2009, C-529/07 Chocoladefabrikten Lindt, ECLI:EU:C:2009:148, p.to 60
  23. Sul punto, J. Ziller, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 626.
  24. Corte di giustizia (Prima Sezione), sentenza dell’11 giugno 2009, C-529/07 Chocoladefabrikten Lindt, ECLI:EU:C:2009:361, p.to 42.
  25. Per una panoramica sul copyright nella prospettiva europea e statunitense, J. C. Ginsburg, Overview of Copyright Law, (July 1, 2016). Forthcoming, Oxford Handbook of Intellectual Property, Rochelle Dreyfuss & Justine Pila, Eds., Columbia Public Law Research Paper No. 14-518, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2811179
  26. Art. 1, par. 1 Direttiva 2006/116/CE.
  27. Art. 1, par. 3
  28. EUIPO, Decisione N.33 843 C, p. 9.
  29. Ivi, p. 3.
  30. Banksy ha quindi dato il suo consenso alla copia delle sue immagini, come avviene per un qualsiasi detentore dei diritti di un’opera artistica: «He also allows the general public to download and use his images, but not for a commercial purpose, although the proprietor denied this in its arguments, the website extracts show that Banksy did allow this practice”, ivi, p. 9.Sull’uso legittimo e sul carattere transitorio della riproduzione cfr. art. 5, lett. b) della Direttiva 2001/29/CE e Corte di giustizia (Quarta Sezione), sentenza del 16 luglio 2009, C-5/08 Infopaq, ECLI:EU:C:2009:465.
  31. L’onere di provare l’uso genuino ed effettivo del marchio incombe esclusivamente ed interamente sul titolare del marchio cfr., S. Giudici, La prova dell’uso del marchio: il marchio “Big Mac” è decaduto per non uso?, in Rivista di diritto industriale, 2019, n. 1, 53-56.
  32. C-529/07 Chocoladefabrikten Lindt, p.to 40. In tale contenzioso il fatto di voler registrare il marchio con l’idea di impedire ad un “terzo” di utilizzarlo non può essere giustificata con l’intenzione di garantire al consumatore l’identità di origine del prodotto. Sul ruolo del consumatore, infra, nota 65.
  33. Corte di giustizia, sentenza 29 gennaio 2020, C-371/18, Sky, ECLI:EU:C:2020:45 p.to 81.
  34. «l’intenzione del richiedente al momento pertinente è un elemento soggettivo che deve essere determinato con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie», C-529/07 Chocoladefabrikten Lindt, p.to 42.
  35. Considerando 3, Regolamento 1001/2017.
  36. La “divisione annullamento” rileva che «The registration of the trademarks avoids evidential burdens relating to allegations of copyright infringement and relating to the acquisition of registered trademarks in the United States of America. There has been a pattern of registering (or applying to register) established works of Banksy as EU trademarks and register the corresponding mark in the US as a trade mark claiming the EU rights as basis for obtaining registration», EUIPO, Decisione N.33 843 C, p. 3. Banksy ha, infatti, commercializzato i beni e i servizi specifici per i quali ha ottenuto la registrazione non utilizzando mai come marchio nessuna delle immagini per le quali è stata richiesta, a loro volta, la registrazione, compreso il marchio del “Flower Thrower”. Anche tali registrazioni potrebbero ipoteticamente essere oggetto di ricorsi in futuro.
  37. Sulle differenze e analogie tra copyright nel diritto statunitense e europeo si rimanda supra alla nota n. 26.
  38. Sul punto si deve precisare come tale articolo della Carta abbia «significato e portata identici» alle norme corrispondenti della CEDU, cfr., I. Anrò. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e CEDU: dieci anni di convivenza, in Federalismi.it, 2020, n.19, p. 115.
  39. F. Rotolo, Diritto alla vita privata e tutela della proprietà intellettuale: un bilanciamento ponderato tra gli interessi in gioco, in MediaLaws, 2019, n.1, p. 264.
  40. E. Chiti, An Important Part of the EU’s Institutional Machinery: Features, Problems and Perspectives of European Agencies, in Common Market Law Review, p. 1404.
  41. Si segnala che le commissioni di ricorso nel quadro regolatorio della proprietà intellettuale sono presenti anche in EPO per risolvere controversie sui brevetti. Si tratta di Enlarged Board of Appeal, Legal Board of Appeal e 28 Technical Boards of Appeal che operano a Monaco di Baviera. Si occupano dei ricorsi presentati contro le decisioni prese dai dipartimenti di prima istanza di EPO (Receiving Section, Examining Division, Opposition Division, Legal Division), durante e successivamente la procedura di concessione del brevetto. Le analogie con EUIPO, anche solo a livello terminologico, sono evidenti.
  42. Talvolta la riforma da parte della commissione avviene direttamente in sostituzione all’organo che ha emanato il provvedimento oppure viene a tale organo rinviato; quest’ultimo sarà comunque obbligato a tenere conto del giudizio formulato nell’atto di rinvio: cfr., A. Cassatella, Procedimenti amministrativi europei: il caso del marchio comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2008, n. 3-4, p. 861.
  43. AG Bot, Conclusioni 28 novembre 2013, causa C-530/12P, UAMI c. National Lottery Commission, ECLI:EU:C:2014:186, p.to 93.
  44. Sulle commissioni di ricorso in generale cfr., L. De Lucia, P. Chirulli, Tutela dei diritti e specializzazione nel diritto amministrativo europeo. Le commissioni di ricorso delle agenzie europee, in Riv. it. dir. pubbl. com., n.5, 2015, pp. 1305-1347; G. Greco, Rapporti (sostanziali e processuali) dell’EUIPO con le proprie commissioni di ricorso, in Eurojus.it, 2019, n. 4, pp. 143-144.
  45. P. Chirulli, L. De Lucia, Tutela dei diritti e specializzazione nel diritto amministrativo europeo, cit., p. 1313.Nel caso di EUIPO, inoltre, si aggiunga anche la possibilità per le parti di seguire la strada della mediazione.
  46. Tribunale (Sesta Sezione), Sentenza del 24 gennaio 2018, T- 69/17 Constantin Film, ECLI:EU:T:2018:277
  47. C-240/18 P Constantin Film, p.to 48.
  48. Ivi, p.to 68.
  49. Ivi, p.ti 40 e 43.
  50. p.ti 50 e 60.
  51. ora art. 95 Regolamento 1001/2017.
  52. Art. 27, Regolamento delegato (UE) 2018/625 della Commissione, del 5 marzo 2018, che integra il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio sul marchio dell’Unione europea e abroga il Regolamento delegato (UE) 2017/1430.
  53. Tribunale (Quarta Sezione), sentenza del 20 settembre 2011, T-232/10 Couture Tech Ltd, ECLI:EU:T:2011:498 p.to 50.
  54. AG Bobek, Conclusioni 2 luglio 2019, C‑240/18 P Constantin Film, p.to 64.
  55. Tribunale (Nona Sezione), sentenza del 15 marzo 2018, T‑1/17 La Mafia Franchises, ECLI:EU:T:2018:146
  56. Cfr. art 4 TUE in cui si afferma come l’Unione «[…]Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale».
  57. Conclusioni C‑240/18 P Constantin Film, p.to 78.
  58. Per l’art. 11 della CDUE vale quanto precisato supra alla nota 38.
  59. Art. 10 CEDU- «The right shall include freedom to hold opinions and to receive and impart information and ideas without interference by public authority and regardless of frontiers».
  60. Vainai c. Ungheria, 33629/06 dell’08 luglio 2008, p.to 47. Cfr., J, Ziller, Liberté d’expression, une perspective de droit comparéeConseil de l’Europe, in Etude, EPRS du Parlement européen, ottobre 2019, in particolare pp. 5-16 e giurisprudenza ivi citata.
  61. Vale a dire che agli Stati nazionali è lasciato un margine di apprezzamento rispetto alla possibilità di limitare la libertà di espressione su cui comunque la Corte di Strasburgo opera un controllo di proporzionalità. Cfr. Goodwin c. Regno Unito, 17488/90 del 27 marzo 1996, p.to 39.
  62. Sul ruolo del “terzo” si rimanda a J. Ziller, Protecting Third Parties to Eu Administrative Procedures: Rules in Adjudication and Institutional Design, in R.L. Weaver, D. Fairgrieve, S.I. Friedland (eds.) Administrative Law, Administrative Structures and Administrative Decisionmaking: Comparative Perspectives, Carolina Academic Press, North Carolina, 2018, pp. 47-54; A. Monica, I “terzi” e l’attività di valutazione tecnico-scientifica, Torino Giappichelli, 2020, pp. 97-100.
  63. J. Ziller, Conclusioni, in N. Bassi, J. Ziller (a cura di), La formazione procedimentale della conoscenza scientifica ufficiale: il caso dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), Torino, Giappichelli, 2018, p. 167.
  64. Sulla partecipazione del consumatore ai procedimenti in quanto “terzo” cfr., A. Monica, I “terzi” e l’attività di valutazione tecnico-scientifica, cit., pp. 115-119.
  65. Case R 1332/2005-4, Decision of the Fourth Board of Appeal of 11 June 2008, in cui si contesta la mancanza del «carattere distintivo del marchio» della forma tridimensionale del coniglietto Lindt per tutti i paesi UE. A tal proposito la commissione di ricorso rileva che: «this (…)gives these economic operators a considerable incentive to distinguish their goods from those of the competition in particular by their appearance and the design of their packaging, in order to attract the attention of consumers. Accordingly, it must be assumed that the average consumer is entirely capable of recognising the shape of the packaging of these products as an indication of their trade origin, inasmuch as this shape has sufficient characteristics to attract their attention», p.to 34.
  66. Art. 45 Regolamento UE 1001/2017.
  67. Cfr., Corte di giustizia (Quinta sezione), sentenza del 21 gennaio 1999, C-120/97, Upjohn Ltd, ECLI:EU:C:1999:14, p.to 34.
  68. Per approfondimenti sul sindacato del giudice europeo in caso di esercizio di competenze tecniche si rimanda alla sentenza T-13/99 Pfizer, 11 settembre 2002, ECLI:EU:T:2002:209.
  69. Per un tentativo di distinzione nel diritto europeo tra attività pienamente discrezionale o vincolata dai fatti cfr., A. Monica, I “terzi” e l’attività di valutazione tecnico-scientifica, cit., pp. 78-79.
  70. Per qualche informazione sul punto, V. Debernardi, The EUIPO’s approach to ‘Covid-19’ trade mark applications, 03 dicembre 2020, Maastricht University Blog, https://www.maastrichtuniversity.nl/blog/2020/12/euipo%E2%80%99s-approach-%E2%80%98covid-19%E2%80%99-trade-mark-applications
  71. «Le decisioni che le commissioni di ricorso dell’EUIPO devono adottare, in forza del regolamento 207/2009, relativamente alla registrazione di un segno come marchio dell’Unione europea, rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non di un potere discrezionale», T‑1/17, La Mafia Franchises, cit., p.to 49.
  72. L. De Lucia rileva come in materia di marchi, seppure ai sensi dell’art. 65, c.2 del Regolamento 207/09 la Corte possa riformare la determinazione contestata, il giudice interpreti in modo limitativo tale possibilità nella prassi, cfr., I ricorsi amministrativi nell’Unione europea, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2013, n. 2, p. 345.
  73. S. Piva, Concetti giuridici indeterminati, sindacato del Giudice amministrativo e principi CEDU, in Federalismi.it, 2017, n. 4, p. 3. L’autrice sostiene anche che: «La sinergia maggiore tra diritto e tecnica si vede proprio a proposito dei concetti giuridici indeterminati, dal momento che la discrezionalità tecnica è la chiave di volta per affrontare i rapporti tra diritto e mercato, in quanto, da una parte, si ha l’esigenza di salvaguardare le regole relative alla libertà del mercato e, dall’altra, l’esigenza di eliminare le distorsioni dello stesso», p. 2.
  74. Cfr. Tribunale (Quinta Sezione), sentenza dell’8 maggio 2018, T-283/15 Esso Raffinage, ECLI:EU:T:2018:263, p.ti 46 e 47.
  75. Sul punto, si rimanda a L. De Lucia, L’evoluzione della tutela dei diritti nei confronti delle agenzie europee. A proposito della recente modifica dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 3-4, 2020, pp. 335-356; J. Alberti, A new era for EU Agencies’ Boards of Appeal? A Preliminary Assessment of the Recent Reform of CJEU’s Statute and its Implication on EU Administrative Adjudication, in G. Della Cananea, M. De Bellis, M. Conticelli, EU Executive Governance: Agencies and Procedures, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 204-232.
  76. La ratio di tale previsione è quella di ridurre il contenzioso davanti alla Corte, proprio in virtù di ciò la dimostrazione della cogente necessità di appellarsi è subordinata ad un’esigenza rilevante. Cfr. A. Monica, I “terzi” e l’attività di valutazione tecnico-scientifica, cit., p. 150-151.

Alessia Monica

Researcher type A in Administrative Law at the University of Milan.