Gli animali selvatici e la loro tutela tra novità normative e antichi problemi

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3/2023

Gli animali selvatici e la loro tutela tra novità normative e antichi problemi

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La Sezione I del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria in una recente sentenza ribadisce la natura non vincolante del parere reso dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) sul calendario venatorio predisposto dalla Regione in attuazione delle previsioni della legge n. 157 del 1992, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. La sentenza fornisce l’occasione per una riflessione sullo stato della tutela giuridica degli animali selvatici a livello nazionale ed eurounitario anche alla luce della riforma costituzionale e di recenti interventi normativi.


Wild animals and their protection: between new regulations and ancient problems
Section I of the Regional Administrative Court for Umbria in a recent case reaffirms the non-binding nature of the opinion of the national Institute for Environmental Protection and Research on the hunting calendar drafted by the Region under the provisions of law n. 157 of 1992, Rules for the protection of warm-blooded wildlife and for hunting. The ruling provides an opportunity to reflect on the state of legal protection of wild animals at national and EU level, in light of constitutional reform and recent regulatory amendments.
Summary: 1. Premessa.- 2. La causa: modifiche ai periodi per l’esercizio dell’attività venatoria e parere dell’ISPRA.- 3. Gli animali selvatici e la loro tutela.- 4. L’attività venatoria nella legge.- 5. Caccia, aree protette e controllo venatorio: la legge di bilancio 2023.- 6. Animali selvatici e biodiversità: la normativa europea.- 7. Altre normative a tutela degli animali selvatici: gli animali da pelliccia, gli animali nei circhi e gli animali nei bioparchi.- 8. Conclusioni.

1. Premessa

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione I)[1], su richiesta di alcune associazioni ambientaliste[2], deve pronunciarsi sulla legittimità della deliberazione con cui la Giunta regionale adottava il calendario venatorio per la stagione 2022/2023, in attuazione delle previsioni della l. n. 157/1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) (c.d. legge “Quadro”).

Il calendario era stato adottato previo parere positivo dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che indicava però talune criticità, riferite, tra l’altro, all’apertura generale della caccia per tutte le specie in un’unica data, nonché alle date di chiusura dell’attività venatoria per alcune specie.

Le parti ricorrenti impugnano la determinazione regionale perché non avrebbe seguito le condizioni indicate dall’ISPRA, così violando la normativa nazionale ed eurounitaria.

Il Collegio rigetta il ricorso, riaffermando la natura non vincolante del parere reso dall’ISPRA sul calendario venatorio e ritenendo l’obbligo motivazionale in capo alla regione soddisfatto.

La sentenza, pur non rappresentando un’importante novità giurisprudenziale, ci fornisce l’occasione per richiamare la disciplina della tutela degli animali selvatici a livello nazionale ed eurounitario, sia quella più risalente, che le più recenti novità, e per poi concludere con alcune riflessioni.

2. La causa: modifiche ai periodi per l’esercizio dell’attività venatoria e parere dell’ISPRA

Con il primo motivo di ricorso, viene affermata la illegittimità della deliberazione regionale nella parte in cui prevede l’apertura generale ed indifferenziata della caccia in un’unica data, al 18 settembre 2022, disattendendo le indicazioni contenute nel parere reso dall’ISPRA, secondo cui si sarebbe dovuta posticipare l’apertura generalizzata, al fine di garantire «un più completo sviluppo degli ultimi nati per alcune specie con fine periodo riproduttivo ritardato» (…) e così «favorendo un più efficace svolgimento della vigilanza sull’attività venatoria»[3].

Il primo motivo di ricorso è dichiarato improcedibile, in linea con la precedente giurisprudenza[4], per sopravvenuta carenza di interesse, essendo lo stesso rivolto a contestare unicamente la data di apertura della stagione venatoria «rispetto alla quale il Calendario venatorio impugnato ha cessato di produrre effetti»[5].

Con il secondo motivo di ricorso, viene censurata la scelta regionale di prevedere la chiusura generalizzata della caccia al 30 gennaio 2023; questa scelta, seppure in linea con l’art. 18 della l. n. 157/1992, articolo che, come vedremo a breve, elenca le specie cacciabili ed i tempi di caccia, si discosta però dalle indicazioni contenute nel parere dell’ISPRA.

Quest’ultimo, tenuto conto delle date di inizio della migrazione degli uccelli fissate dal documento della Commissione europea, Key concepts 2021[6], aveva indicato una serie di date differenti a seconda delle specifiche esigenze delle specie e, comunque, anticipate rispetto a quanto previsto dalla legge e dalla determinazione regionale, per non coincidere con il periodo del ritorno al luogo di nidificazione (c.d. “migrazione pre-nuziale”).

I giudici ricordano che l’art. 18 della l. n. 157/1992, dopo aver individuato, al comma 1, per singola specie, i periodi dell’esercizio venatorio, al comma 2, dà facoltà alle Regioni, di modificare tali periodi per determinate specie e in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali.

Le Regioni autorizzano le relative modifiche previo parere dell’ISPRA, e redigendo i piani faunistico-venatori.

Ai sensi, invece, del comma 4 dell’art. 18, le Regioni, sentito l’ISPRA, pubblicano entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria.

Secondo il Collegio, il parere reso dall’ISPRA sul calendario venatorio è un parere obbligatorio[7], ma non vincolante, da cui, quindi, la Regione può discostarsi, purché motivi adeguatamente le scelte difformi compiute rispetto alle specifiche indicazioni dell’organo di consulenza tecnico-scientifica.

In questo senso, a livello giurisprudenziale[8], è stato più volte sottolineato come, il parere ISPRA previsto al comma 2 abbia natura vincolante, mentre «nelle altre ipotesi l’avviso di tale organo può essere disatteso sulla scorta, però, di una congrua motivazione che giustifichi, anche sul piano della logicità e della ragionevolezza, la diversa soluzione privilegiata». Viene specificato, a questo riguardo, che «ciò potrà avvenire essenzialmente per far emergere le peculiarità dello specifico territorio di riferimento sulla scorta di un affidabile monitoraggio delle singole specie o, comunque, su dati mutuati da organismi scientifici accreditati ed obiettivamente verificabili (.…); compete alla Regione, ove voglia discostarsi dal parere ISPRA, dover dimostrare, con propri dati, la sussistenza delle speciali condizioni, predicabili rispetto al proprio territorio regionale, per discostarsi dalle indicazioni prudenziali licenziate dall’ISPRA (…)»[9].

Ancora.

I giudici ricordano come la giurisprudenza amministrativa abbia evidenziato che i Key Concepts della Commissione europea, elaborati sulla scorta dei dati e delle acquisizioni scientifiche che sono alla base della loro formulazione, hanno la funzione di consentire allo Stato membro o alle autorità deputate (in Italia le Regioni) di dimostrare che in determinati periodi non si verifica in concreto la migrazione pre-nuziale della specie considerata[10].

Quindi, la Regione come emerge dalla giurisprudenza indicata, può discostarsi sia dal parere dell’ISPRA che dai Key Concepts, purché offra una adeguata motivazione.

Con riguardo all’adeguatezza della motivazione, il Collegio sottolinea come la Regione resistente abbia assolto il relativo obbligo. Infatti, nel documento istruttorio allegato alla proposta di calendario venatorio, ha puntualmente e specificamente motivato le proprie scelte in ordine alla calendarizzazione della caccia riguardo ciascuna singola specie avvalendosi, per discostarsi dal parere dell’ISPRA, di pubblicazioni scientifiche riconosciute, dati e risultati di monitoraggi sufficientemente aggiornati ed accreditati presso la comunità scientifica, riferiti alla realtà ambientale e climatica del territorio regionale.

L’amministrazione considerata ha adeguatamente dimostrato di aver rispettato i periodi di caccia individuati dal comma 1 dell’art. 18 della legge “Quadro”, nonché i divieti imposti dal successivo comma 1 bis, senza alcuna sovrapposizione tra i periodi di caccia a livello regionale e i periodi di riproduzione o migrazione di ritorno.

Sicché, in conclusione, il secondo motivo di ricorso non viene ritenuto meritevole di accoglimento.

Ad ogni modo, i giudici, operano un chiarimento sulla normativa ed, in particolare, sul comma 1 bis, dell’art. 18, introdotto con la l. n. 96/2010 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009).

Ai sensi del comma 1 bis «l’esercizio venatorio è vietato, per ogni singola specie: a) durante il ritorno al luogo di nidificazione; b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli».

Questa disposizione, in attuazione dell’art. 7, comma 4, della Direttiva “Uccelli”[11], reca, quindi, il divieto di sovrapposizione tra i periodi in cui è praticabile la caccia e quelli della nidificazione e della migrazione di ritorno degli uccelli (c.d. “migrazione pre-nuziale”).

Ad avviso delle parti resistenti, la previsione del comma 1 bis avrebbe come destinatario unicamente il legislatore nazionale, che, per evitare la sovrapposizione con i periodi di cui alle lett. a) e b) sopra citate, dovrebbe intervenire a modificare, per ciascuna specie, i periodi di prelievo consentiti al comma 1 dell’art. 18.

I giudici non sono di questo avviso, infatti, il comma 1 bis è cronologicamente successivo rispetto al primo comma dell’art. 18 e, pertanto destinato a prevalere laddove i periodi venatori indicati da quest’ultimo comportino per le singole specie, una sovrapposizione temporale con i periodi di «ritorno al luogo di nidificazione» o «della nidificazione e delle fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli».

Ciò comporta, in sede di emanazione dei singoli calendari venatori regionali, la necessità di attualizzazione ed eventuale riduzione dei periodi fissati dal primo comma dell’art. 18, laddove tale sovrapposizione si inveri.

3. Gli animali selvatici e la loro tutela

La prima normativa che deve essere considerata con riguardo alla tutela degli animali selvatici è la l. n. 157/1992.

La legge fornisce una prima indicazione riguardo a quali animali siano considerati “selvatici” e, quindi, oggetto della relativa tutela.

L’art. 2, infatti, sancisce che: «fanno parte della fauna selvatica[12] (….) le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale». Si escludono però dall’applicazione della legge alcune specie quali: talpe, ratti, topi, nutrie e arvicole (art. 2, comma 2).

Se in generale, quindi, le specie selvatiche autoctone godono di tutela, le specie alloctone (ossia, non originarie del nostro territorio, ma ivi trasferite dall’uomo) siano esse invasive (ossia potenzialmente dannose per la biodiversità e gli ecosistemi) o meno, devono essere gestite al fine dell’eradicazione o del controllo numerico delle popolazioni (art. 2, comma 2).

In questo senso, si ricorda che, a livello europeo, il Regolamento 2014/1143/UE[13] introduce delle disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive, a livello unionale.

Per “specie esotiche invasive”, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento, si intendono le specie di animali e di piante originarie di altre regioni geografiche, introdotte volontariamente o accidentalmente in un ambiente naturale nel quale normalmente non risiedono, e che rappresentano una minaccia per l’ambiente nel quale vengono a trovarsi.

La normativa in oggetto ha previsto un generale divieto di commercio, possesso, trasporto, allevamento e rilascio in natura di dette specie.

I Paesi membri sono, inoltre, tenuti ad attivare un sistema di sorveglianza per il loro rilevamento precoce e la rapida rimozione in caso di identificazione, ovvero la messa in campo di efficaci azioni gestionali che ne minimizzino gli impatti negativi.

Per adeguare la normativa interna alle prescrizioni del Regolamento, in Italia, è stato adottato il d.lgs. n. 230/2017 (Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento 2014/1143/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive).

Le specie esotiche invasive, essendo i relativi esemplari “esseri sensienti”, ai sensi dell’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, godono, comunque, della tutela generale degli animali garantita dal diritto nazionale ed eurounitario.

Tornando alla l. n. 157/1992, l’art. 1 chiarisce che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale».

In altre parole, questo articolo, di fatto, esclude la rilevanza del singolo animale[14] e sottintende che la protezione degli animali selvatici debba avvenire in un quadro ‘antropocentrico’ di tutela dell’ambiente[15] e della biodiversità; dall’altro, però afferma la sussistenza di un interesse concreto a questa tutela da parte della comunità nazionale e internazionale.

Le disposizioni della l. n. 157/1992 costituiscono un nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, che può essere intensificata da parte delle normative delle Regioni e delle Province autonome, le quali però, a contrario, non possono prevedere un indebolimento della tutela imposta dallo Stato, che ha la relativa competenza (art. 117, comma 2, lett. s, Cost.), nonché l’obbligo di tutelare l’ambiente e l’ecosistema, ovvero di legiferare sulla tutela degli animali (art. 9 Cost.)[16].

In pratica, e a grandi linee, la legge stabilisce che tutte le specie di uccelli e mammiferi viventi sul territorio nazionale (fauna “omeoterma”) sono protette; individua poi le specie cacciabili nell’ambito di periodi determinati.

Disciplina ancora le modalità di cattura e di utilizzo degli uccelli, le cui popolazioni devono essere mantenute ad uno stato di conservazione soddisfacente (articolo 1, comma 1 bis).

Individua l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), oggi Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) quale autorità nazionale deputata a svolgere attività di ricerca nel settore e a fornire consulenza tecnica.

Istituisce il Comitato Tecnico Faunistico Venatorio Nazionale presso il competente Ministero, quale organo tecnico consultivo per tutto quello che concerne l’applicazione delle previsioni normative di settore.

4. L’attività venatoria nella legge

Con riguardo più specificamente all’attività venatoria, la stessa è consentita purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole (art. 1, comma 2).

La l. n. 157/1992 (art. 10 commi 3 e 4) si occupa della relativa programmazione ed esercizio, prevedendo, inter alia, una quota di aree protette[17] (che non può scendere sotto una certa soglia in tutte le Regioni e che viene indicata nei Piani faunistico-venatori) nella quale vige il divieto di abbattimento e cattura degli animali a fini venatori, accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole.

L’articolo 18 della legge elenca le specie cacciabili ed i tempi di caccia; sicché, si possono cacciare solo determinate specie e solo in determinati periodi dell’anno, indicati con i calendari venatori regionali da sottoporre al parere dell’ISPRA ed è vietato cacciare durante le fasi di riproduzione, dipendenza e migrazione prenuziale degli uccelli (articolo 18, comma 1 bis).

Per svolgere l’attività venatoria si deve ottenere il rilascio di una abilitazione all’esercizio venatorio (art. 22); per ottenere l’abilitazione è necessario il superamento degli esami pubblici predisposti dalle commissioni regionali, tesi a verificare la conoscenza della rilevante legislazione in materia.

Quindi, in sintesi, da una parte il prelievo venatorio è consentito, dall’altra è sottoposto a diverse condizioni, non solo è necessaria una specifica abilitazione, ma la legge prevede specifici limiti e modalità, tra cui quella dell’individuazione delle specie cacciabili.

Ne consegue che le restanti specie sono tutte protette, e alcune tra queste, ossia quelle elencate all’art. 2 comma 1, lett. a) della l. n. 157/1992 (ad esempio, il lupo e l’orso) godono, inoltre, di una particolare protezione, essendone vietata la cattura, e assoggettati l’eventuale abbattimento o detenzione a sanzioni penali.

Un ultimo caveat. La l. n. 157/1992 tutela gli animali a sangue caldo (fauna omeoterma), mammiferi ed uccelli; non si occupa invece degli animali a sangue freddo (eteroterma).

Non esiste una normativa nazionale specifica che si occupi della fauna eteroterma (pesci e anfibi e rettili) alla quale viene invece offerta tutela in alcune leggi regionali, come per esempio quella dell’Emilia-Romagna, l. regionale n. 15/2006 (Disposizioni per la tutela della fauna minore in Emilia-Romagna).

5. Caccia, aree protette e controllo venatorio: la legge di bilancio 2023

La l. n. 157/1992 considera le aree protette in generale quali zone in cui la caccia è vietata tout court (art. 21), salvo prevedere all’art. 19 la possibilità di abbattimenti selettivi, per il controllo della fauna selvatica.

A questo proposito, giova ricordare che la l. n. 394/1991 (legge quadro sulle aree protette) detta i princìpi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, ossia quelle aree, sottoposte ad un particolare regime di tutela e gestione in relazione al rilevante valore naturalistico e ambientale che possiedono.

L’istituzione di queste aree ha, tra gli altri, appunto lo scopo di conservazione di specie animali[18] o vegetali (art. 1, comma 3, lett. a).

All’interno delle aree protette “Parchi nazionali e regionali”, l’attività venatoria è sempre vietata, ai sensi dell’11, comma 3, in base al quale: «nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare, sono vietati: la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali»; sono fatti, comunque, salvi specifici prelievi faunistici e piani di abbattimento selettivi organizzati dall’Ente gestore del Parco al fine di ricomporre eventuali squilibri ecologici (art. 11 comma 4).

Tornando al controllo della fauna selvatica previsto dalla l. n. 157/1992, lo stesso è stato recentemente ridisegnato con il comma 447 dell’art. 1 della l. 197/2022 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), che ha modificato l’art. 19 della legge “Quadro”.

Il nuovo articolo 19 prevede, infatti, che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la tutela della biodiversità, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali e ittiche e per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Qualora i metodi di controllo impiegati si rivelino inefficaci, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, sentito L’ISPRA, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura».

Questi piani «sono attuati dai cacciatori iscritti negli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate, previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale o della provincia autonoma e sono coordinati dagli agenti dei corpi di polizia regionale o provinciale».

Le autorità deputate al coordinamento dei piani possono avvalersi dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani medesimi, purché’ muniti di licenza per l’esercizio venatorio e previa frequenza dei corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti. Possono altresì avvalersi delle guardie venatorie, degli agenti dei corpi di polizia locale, con l’eventuale supporto, in termini tecnici e di coordinamento, del personale del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei carabinieri».

Ad ogni modo, viene specificato che le attività di controllo considerate nella nuova normativa «non costituiscono attività venatoria».

Quindi, la nuova normativa amplia le possibilità di azioni per il contenimento e controllo della fauna selvatica, in quanto si potrà intervenire anche nelle zone vietate alla caccia, aree protette e aree urbane, e nei giorni di silenzio venatorio (martedì e venerdì) ovvero nei periodi di divieto. Inoltre, vengono ampliate le categorie di soggetti che possono operare in questo senso (cacciatori, ecc.).

Sicché, in conclusione, di fatto si introduce, attraverso il pretesto del controllo venatorio, una elusione delle tutele previste dalla l. n. 157/1992, andando in aperto contrasto con l’art. 9 della Costituzione che, non solo impone alla Repubblica di proteggere la biodiversità, ma individua la tutela degli animali come compito pubblico.

Le novità normative si pongono, poi, evidentemente in contrasto con il disposto dell’art. 13 TFUE che qualifica gli animali quali “esseri senzienti”[19] e prescrive che Unione e Stati membri tengano pienamente del loro benessere nella predisposizione e nell’attuazione delle politiche pubbliche[20]; nonché, si pone in contrasto con diverse disposizioni della normativa eurounitaria a tutela della biodiversità di cui si tratterà a breve.

Ancora, la legge di bilancio introduce l’art. 19-ter, che impone ai ministri di Ambiente e Agricoltura, sentito l’ISPRA e d’intesa con la Conferenza delle Regioni, di adottare entro centoventi giorni «un piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, di durata quinquennale».

6. Animali selvatici e biodiversità: la normativa europea

A livello europeo, la Direttiva 2009/147/CE (Direttiva “Uccelli”)[21] e la Direttiva 92/43/CEE (Direttiva “Habitat”)[22] mirano a contribuire alla conservazione della biodiversità in Europa attraverso una legislazione che protegga le specie selvatiche e i loro habitat.

La Direttiva “Uccelli” si prefigge la conservazione di tutte le specie di uccelli selvatici (autoctoni) nell’Unione europea. A tal fine, prevede, da un lato, che gli Stati membri pongano in essere misure atte a preservare, mantenere e ristabilire una sufficiente varietà e superficie di habitat delle specie ornitiche, in particolare, con l’istituzione di zone di protezione speciale (ZPS). Dall’altro, pone una serie di divieti (cattura, uccisione, distruzione dei nidi, detenzione di uova e di esemplari vivi o morti, disturbo ingiustificato o eccessivo).

I divieti sono derogabili a specifiche condizioni. In questo contesto si colloca l’attività venatoria, che è consentita solo ove risulti sostenibile, ossia tale da non pregiudicare la conservazione di specie e popolazioni di uccelli. La stessa, ad ogni modo, non è mai consentita durante le fasi riproduttive e di migrazione pre-riproduttiva.

Gli Stati membri sono, inoltre, chiamati a promuovere studi e ricerche per la protezione degli uccelli ed a co-operare, sia tra loro che con la Commissione europea.

Peraltro, si specifica (art. 14) che quelle previste dalla Direttiva sono misure di protezione minime che lasciano aperta agli Stati membri la possibilità di adottare misure di protezione più rigorose.

Con riguardo alla Direttiva “Habitat”, il relativo obiettivo è di proteggere tutte le specie selvatiche elencate nei suoi allegati e i loro habitat, attraverso la creazione di una rete di zone speciali di conservazione (ZSC). Questa rete, che comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS) individuate ai sensi della Direttiva “Uccelli”, prende il nome di Natura 2000.

Nelle zone denominate ZSC e ZPS, sono applicati i «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)» indicati in Italia dal Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 ottobre 2007. Questi criteri minimi non prevedono un generale divieto dell’attività venatoria, ma misure volte a limitarne la pratica, con lo scopo di preservare le comunità faunistiche e vegetali delle aree interessate.

È evidente che le Direttive summenzionate, pur garantendo tutela agli animali selvatici, non ne garantiscono una protezione diretta riferita al singolo esemplare quale essere senziente, ma indiretta; in altre parole, l’animale è tutelato come parte di un sistema[23].

Tutela indiretta agli animali selvatici viene anche garantita, a livello eurounitario, dal Regolamento 97/338/CE relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio[24]; questo accoglie tutte le disposizioni della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES)[25] e mira ad impedire il commercio internazionale di specie animali e vegetali selvatiche che presentano un rischio critico per la loro sopravvivenza, garantendo gradi diversi di protezione e controllo.

7. Altre normative a tutela degli animali selvatici: gli animali da pelliccia, gli animali nei circhi e gli animali nei bioparchi

Con riguardo al settore della produzione di pellicce, lo stesso è stato oggetto di un recente intervento normativo; la l. n. 234/2021 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024) ai commi 980 e 981 dell’art. 1 ha previsto il divieto di allevamento, riproduzione in cattività, cattura e uccisione di visoni, volpi, cani procioni, cincillà e di qualsiasi altra specie animale allo scopo di ricavarne pelliccia.

Tuttavia, si concede la possibilità, per gli allevamenti autorizzati alla data di entrata in vigore della legge, di continuare a detenere gli animali già presenti nelle strutture per il periodo necessario alla loro dismissione.

Inoltre, viene istituito un fondo finalizzato ad indennizzare gli allevamenti, con delega ai Ministri competenti di individuare, con decreto, i criteri e le modalità di indennizzo e regolare l’eventuale cessione degli animali e la detenzione. Questo decreto interministeriale è stato appunto adottato a dicembre 2022.

È bene ricordare, che precedentemente gli animali utilizzati a scopo di ricavarne pelliccia godevano della tutela prevista dal d.lgs. n. 146/2001 (Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti[26]).

A questa categoria di animali veniva applicato, poi, il Regolamento 2009/1099/CE relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento[27].

Evidentemente queste normative europee continuano a trovare applicazione negli Stati membri in cui non vige il divieto introdotto in Italia nel 2022.

Ad ogni modo, sempre nel 2022, è stata presentata una Iniziativa dei cittadini europei, ai sensi dell’art. 11, comma 4 del TFUE, per invitare la Commissione europea a presentare una proposta per una normativa che imponga il divieto della detenzione e l’abbattimento di animali allo scopo esclusivo o principale di produrre pellicce; nonché, l’immissione sul mercato dell’UE di pellicce di allevamento e di prodotti che le contengono.

Ancora, a livello europeo, esiste, poi, una normativa che disciplina specificamente l’utilizzo delle foche: il Regolamento 2009/1007/CE sul commercio dei prodotti derivati dalla foca[28], la cui immissione sul mercato è autorizzata solo quando essi provengano dalla caccia eseguita da comunità indigene qualora si tratti di attività tradizionale, praticata per il sostentamento della comunità e con modalità che rispettino il benessere degli animali. In linea con questo Regolamento, in Italia, è stato introdotto il comma 2 bis all’articolo 2 della l. n. 189/2004 (Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate), che sanziona chiunque produca, commercializzi, esporti o introduca nel territorio nazionale qualunque prodotto derivato dalla foca.

Con riguardo agli animali utilizzati negli spettacoli circensi[29], deve ricordarsi che, in Italia, la disciplina dei circhi equestri e spettacoli viaggianti è contenuta nella l. n. 337/1968, che non prevede specifiche norme di tutela degli animali.

Ad ogni modo, diversi Regolamenti comunali, nel corso del tempo, hanno tentato di legare la concessione delle aree demaniali disponibili per le installazioni circensi, alla condizione che gli spettacoli non prevedessero l’utilizzo di animali.

Questa tipologia di Regolamenti è stata ritenuta illegittima dai Tribunali amministrativi[30], sull’assunto che la potestà locale in materia, delineata dalla legge del 1968, è limitata all’individuazione delle aree destinate alle attività ed alla determinazione delle modalità di concessione di dette aree, non potendo invece il comune disporre il divieto assoluto e generalizzato di utilizzo di animali.

Ancora, seppure attraverso la redazione di mere linee guida per il mantenimento di animali nei circhi e nelle mostre viaggianti, il Ministero dell’Ambiente e alla commissione scientifica CITES[31], nel 2000 e nel 2006 hanno individuato delle forme di tutela minima degli animali utilizzati negli spettacoli.

Partendo da questo contesto, la l. n. 106/2022 (Delega al Governo e altre disposizioni in materia di spettacolo) si occupa direttamente del tema, richiamando, innanzitutto, i criteri previsti dalla precedente l. n. 175/2017 (Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia). Quest’ultima aveva disposto il graduale superamento dell’utilizzo degli animali nelle attività circensi. Infatti, l’art. 2, comma 4, lett. h) sanciva la «revisione delle disposizioni nei settori delle attività circensi e degli spettacoli viaggianti, specificamente finalizzata al graduale superamento dell’utilizzo degli animali nello svolgimento delle stesse». Ad oggi i decreti delegati non sono ancora stati approvati.

Con riguardo alla normativa europea, il Regolamento 2005/1739/CE della Commissione[32] stabilisce un regime sanitario speciale, derogatorio delle norme generali sulla circolazione degli animali per gli animali utilizzati nei circhi operanti tra gli Stati membri.

Passando alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, a livello europeo, la stessa è disciplinata, in primis, dalla Direttiva 1999/22/CE[33], che ha lo scopo di favorire la protezione e la conservazione della fauna selvatica, rafforzando il ruolo dei giardini zoologici nella salvaguardia della biodiversità; a questo fine, introduce a livello nazionale, un sistema di licenze ed ispezioni, destinato a garantire che i giardini zoologici attuino le misure di conservazione e protezione indicate dalla stessa Direttiva.

L’articolo 3 stabilisce, infatti, una serie di requisiti per i giardini zoologici, incentrati sulla promozione di programmi di conservazione, sull’istruzione e sulla sensibilizzazione del pubblico, sul benessere degli animali, sulla prevenzione di fughe e rischi ecologici, nonché su un’adeguata tenuta di registri degli animali ospitati.

In altre parole, la Direttiva sancisce, in termini normativi, la trasformazione del giardino zoologico, da semplice luogo di puramente destinato all’esposizione, a centro dove vengono intrapresi programmi di istruzione, ricerca, allevamento in cattività e reintroduzione; tutte attività ispirate e caratterizzate da un sempre crescente interesse per le esigenze degli animali e la tutela del loro habitat.

Ancora. Il Regolamento 97/338/CE relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio[34], vieta (art. 8) l’esposizione al pubblico per scopi commerciali di determinate specie (all. A), salvo deroga specifica accordata per fini didattici, di ricerca o di allevamento.

L’Italia ha attuato la Direttiva summenzionata emanando il d.lgs. n. 73/2005 (Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici) che è stato successivamente oggetto di modifiche ed integrazioni.

8. Conclusioni

La l. n. 157/1992 detta la normativa generale sulla gestione e la protezione degli animali selvatici in Italia, con un’attenzione particolare ai limiti e alle condizioni dell’attività venatoria.

Naturalmente, non si tratta dell’unica normativa che si occupa degli animali selvatici; abbiamo visto come, soprattutto sulla base degli input a livello europeo, gli animali selvatici siano indirettamente tutelati come parte della biodiversità; in altri casi, gli animali selvatici sono tutelati quando utilizzati per la produzione di pellicce; ancora, gli animali selvatici sono oggetto di specifiche normative quando sono utilizzati negli spettacoli circensi, ovvero sono tenuti presso bioparchi.

Con riguardo nello specifico all’attività venatoria, la legge nazionale ed anche europea la consente pur sottoponendola a limiti e condizioni. Si tratta, evidentemente, di materia molto sensibile, nell’ambito della quale devono essere contemperati interessi di varia natura; l’interesse dei cacciatori a svolgere una attività ludica e considerata anche di tipo tradizionale e culturale, interessi economici e financo politici.

Espressione di questa continua ricerca di un faticoso equilibrio è la sentenza indicata, che da una parte legittima il calendario venatorio predisposto dalla Regione, in non completa adesione con il parere ISPRA, dall’altra fornisce un’interpretazione estensiva dell’applicazione della norma di tutela prevista all’art. 18 bis consentendone l’applicazione anche a livello regionale.

In realtà, nella sentenza e ovviamente nella legislazione vigente in materia, l’interesse che viene in definitiva pretermesso è quello dell’animale alla propria vita ed integrità fisica; la legislazione, pur sottoponendo la caccia a limiti e condizioni, di fatto la legittima, facendo nettamente prevalere gli interessi umani, come peraltro emerge chiaramente dagli ultimi interventi normativi che consentono l’uccisione di animali anche da parte di privati quale attività di interesse pubblico alla gestione della fauna selvatica.

Le normative che si occupano a vari livelli della tutela degli animali selvatici, oltre ad essere in alcuni casi palesemente insufficienti, sono evidentemente concentrate sulla tutela degli interessi ‘umani’ quali quello della garanzia della biodiversità e degli ecosistemi, raramente si focalizzano sulla tutela del singolo animale.

Come abbiamo visto, sia a livello nazionale che europeo le cose stanno lentamente cambiando (seppure non mancano gli interventi di segno opposto), in linea peraltro con le più recenti riforme costituzionali[35], che hanno individuato la tutela del singolo animale quale valore che la Repubblica deve tutelare, in continuità con l’art. 13 TFUE[36] e della copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia[37] che ha chiarito come l’interesse dell’animale a vedere garantito il suo benessere (e quindi almeno la vita e l’integrità fisica) devono essere necessariamente presi in considerazione e comparati con gli altri interessi in gioco meritevoli di tutela.

Nell’ambito di questo contesto, appare evidente la necessità di una riflessione sulla legittimità dell’attività venatoria ludica[38], come anche sulle altre forme di sfruttamento degli animali per il mero divertimento dell’essere umano.

Gli operatori del diritto, il legislatore, i giudici e gli interpreti sono chiamati a riflettere appunto su un nuovo bilanciamento di interessi in materia, che abbia come punto centrale il fatto che gli animali sono esseri viventi senzienti e come tali necessitano di una particolare tutela, in linea peraltro con il mutato sentire collettivo.

  1. T.A.R. Umbria (sezione I), sentenza del 10 gennaio 2023, n. 8.
  2. Riconosciute a norma degli artt. 13 e 18, comma 5, l. n. 349/1986 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), mediante appositi decreti del Ministero dell’ambiente, che svolgono attività volte alla conservazione della natura e alla protezione degli animali.
  3. T.A.R. Umbria (sezione I), sentenza del 10 gennaio 2023, n. 8.
  4. Cfr. Cons. St., 23 marzo 2021, n. 2484; T.A.R. Veneto (sezione I), sentenza del 21 gennaio 2022, n. 155.
  5. T.A.R. Umbria (sezione I), sentenza del 10 gennaio 2023, n. 8.
  6. Ovvero il documento che fissa il periodo di inizio migrazioni e di riproduzione delle specie di uccelli selvatici che vivono in Europa, ai fini della determinazione dei calendari venatori dei singoli Stati membri, in attuazione della Direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici, come successivamente modificata dalla Direttiva 2009/147/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
  7. Per una recente disamina dell’attività consultiva, cfr. M. Occhiena e N. Posteraro, Pareri e attività consultiva della pubblica amministrazione: dalla decisione migliore alla decisione tempestiva, in Il diritto dell’economia, 3, 2019, p. 27.
  8. Cons. St., 22 giugno 2018, n. 3852; T.A.R. Lombardia – Milano, (sezione IV), sentenza del 11 ottobre 2021, n. 2203; T.A.R. Piemonte (sezione II), sentenza del 20 novembre 2017, n. 1235; T.A.R. Umbria, sentenza del 26 maggio 2022, n. 341. In argomento, cfr. P. Brambilla, La natura dei pareri dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ex INFS, in materia venatoria, in ambientediritto.it.
  9. T.A.R. Umbria (sezione I), sentenza del 10 gennaio 2023, n. 8.
  10. Cons. St., 22 ottobre 2019, n. 7182; Id., 22 giugno 2018, n. 3852.
  11. Direttiva 79/409/CEE, cit.
  12. In argomento, cfr. N. Lucifero, La fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato: evoluzione storica, fonti normative e configurazione giuridica del patrimonio faunistico tra bilanciamento degli interessi e tutele differenziate, in N. Lucifero (a cura di), I danni all’agricoltura dalla fauna selvatica prevenzione e responsabilità, Giappichelli, Torino, 2015, p. 50.
  13. Regolamento 2014/1143/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014 recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive.
  14. Sulla soggettività animale, cfr. F. Rescigno, I diritti degli animali. Da res a soggetti, Giappichelli, Torino 2005; C.M. Mazzoni, La questione dei diritti degli animali, in S. Castiglione e L. Lombardi Vallauri (a cura di), La questione animale, in S. Rodotà e P. Zatti (diretto da), Trattato di biodiritto, Giuffrè, Milano, 2011, p. 281; G. Spoto, Il dibattito sulla soggettività giuridica degli animali e il sistema delle tutele, in Cultura e diritti, 1/2, 2018, p. 61.
  15. Su questa tematica, cfr. M.V. Ferroni, La protezione degli animali nell’ambiente, in P. Dell’anno e E. Picozza (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. III, Cedam, Padova, 2015, p. 447.
  16. Ci sia consentito rinviare sul punto a M. Lottini, La tutela degli animali in Costituzione: riflessioni e prospettive, in CERIDAP, 3, 2022, p. 56.
  17. Cfr. infra.
  18. Sugli animali nelle aree protette, cfr. G. Colaiacono, Dignità e libertà dell’animale selvatico nelle aree protette, in D. Buzzelli e M. Palazzo (a cura di), Animali e diritto: i modi e le forme di tutela, Pacini, Pisa, 2023, p. 213.
  19. Cfr., sulla questione, E. Sirsi, Il benessere degli animali nel Trattato di Lisbona, in Riv. di dir. agrario, 2, 2011, p. 220.
  20. D. Ryland e A. Nurse, Mainstreaming after Lisbon: advancing animal welfare in the EU internal market, in European energy and environmental law review, 22, 3, 2015, p. 101.
  21. Direttiva 79/409/CEE cit.
  22. Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
  23. Su questa questione, cfr. V. Pocar, Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Laterza, Bari 1998.
  24. Regolamento 97/338/CE del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio.
  25. Convenzione per il commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, sottoscritta a Washington il 3 marzo 1973 ed entrata in vigore nel nostro Paese a mezzo di ratifica avvenuta con l. n. 874/1975.
  26. Direttiva 98/58/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 riguardante la protezione degli animali negli allevamenti.
  27. Regolamento 2009/1099/CE del Consiglio del 24 settembre 2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento.
  28. Regolamento 2009/1007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 sul commercio dei prodotti derivati dalla foca; il Regolamento 2015/1775/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 ottobre 2015 che modifica il regolamento 2009/1007/CE sul commercio dei prodotti derivati dalla foca e che abroga il regolamento 2010/737/UE della Commissione.
  29. In argomento, cfr. D. Siclari, Riflessioni sulla tutela dell’identità culturale del circo alla luce dell’animal welfare, in Nuove autonomie, 3, 2019, p. 415.
  30. T.A.R. Marche (sezione I), sentenza del 12 febbraio 2020, n.117; T.A.R. Puglia, Lecce (sezione I), sentenza 7 febbraio 2014, n. 358.
  31. L’Autorità Scientifica italiana per l’applicazione della CITES.
  32. Regolamento 2005/1739/CE della Commissione del 21 ottobre 2005 che stabilisce norme sanitarie per la circolazione degli animali da circo tra gli Stati membri.
  33. Direttiva 1999/22/CE del Consiglio del 29 marzo 1999 relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici.
  34. Cit.
  35. Per delle riflessioni relative all’impatto della riforma sulla tutela degli animali, cfr. F. Rescigno, Animali e Costituzione prodromi della soggettività giuridica?, in D. Buzzelli e M. Palazzo (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, Pacini, Pisa, 2023, p. 13. Ci sia consentito rinviare, anche, a M. Lottini, La tutela degli animali in Costituzione: riflessioni e prospettive, cit., p. 56.
  36. F. Barzanti, La tutela del benessere degli animali nel Trattato di Lisbona, in Diritto dell’Unione europea, 1, 13, p. 49; M. Kotzur, Article 13-horizontal clause: protection of animals, in R. Geiger, D.E. Khan, M. Kotzur (diretto da), European Union Treaties, Beck/Hart, München, 2015, p. 225.
  37. Ci sia consentito rinviare sul punto a M. Lottini, Il benessere degli animali e il diritto dell’Unione Europea, in Cultura e diritti, 1/2, 2018, p. 11 e alla giurisprudenza ivi citata.
  38. La dottrina fa rilevare come un interesse meritevole di tutela, tale da pretermettere quello del singolo animale, può considerarsi l’interesse al controllo della fauna selvatica per la conservazione dell’ecosistema. Su questa riflessione, cfr. D. Buzzelli, La caccia dopo la riforma dell’art. 9 della Costituzione: spunti civilistici, in D. Buzzelli e M. Palazzo (a cura di), Animali e diritto. I modi e le forme di tutela, Pacini, Pisa, 2023, p. 210.

Micaela Lottini

Associate Professor of Administrative Law at the University of Roma Tre