Emergenza Covid-19 e porti italiani non più “luoghi sicuri”: la decisione – in via cautelare – del Tar Lazio

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2/2020

Emergenza Covid-19 e porti italiani non più “luoghi sicuri”: la decisione – in via cautelare – del Tar Lazio

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Con il decreto n. 3066 del 23 aprile 2020 il Tar Lazio, sez. III, ha respinto in via cautelare la richiesta di sospendere l’efficacia del decreto interministeriale del 7 aprile 2020, con il quale è stato stabilito che, a causa dell’emergenza Covid-19, i porti italiani non rappresentano più un “Place of safety” ai sensi della convezione SAR.


Covid-19 emergency and italian ports no longer “safe places”: the decision - as a precautionary measure - of the Tar Lazio
With the decision no. 3066 of 23 April 2020, Tar Lazio rejected the request to suspend (precautionally) the effectiveness of the “Decreto interministeriale” of 7 April 2020, which established that, due to the Covid-19 emergency, Italian ports no longer represent a "Place of safety" under the SAR convention.

1. Premessa

Il 23 aprile 2020 il Tar del Lazio, III sez., con il decreto n. 3066 ha respinto la richiesta di sospendere in via cautelare l’efficacia del Decreto Interministeriale del 7 aprile 2020, con il quale è stato stabilito che i porti italiani non rappresentano più un “luogo sicuro” (Place of Safety) ai fini dello sbarco di migranti soccorsi in mare da unità navali che battono bandiera straniera (al di fuori dall’area SAR italiana).

Si intende qui ricostruire – seppure in maniera non esaustiva – il contesto normativo nel quale è intervenuto il decreto, quanto deciso dal Tar Lazio e accennare poi qualche osservazione conclusiva (seppur provvisoria, data la sommarietà del giudizio cautelare, per giunta monocratico).

2. Il contesto normativo

Il 7 aprile 2020 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Salute, dell’Interno e degli Affari Esteri ha promulgato un decreto dove, all’art. 1, viene stabilito che «per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus COVID-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca e salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana».[1]

Per comprendere che cosa si intenda con l’espressione “Place of safety” bisogna far riferimento a quanto previsto dalla Risoluzione dell’Organizzazione Marittima Internazionale, in base alla quale è un “porto sicuro” quel luogo dove si ritiene che le operazioni di salvataggio avranno conclusione, poiché è garantito che le persone soccorse in mare non saranno più a rischio e avranno accesso ai servizi essenziali.[2]

Di fatto, secondo il presente decreto, per una serie di ragioni richiamate in apertura i porti italiani non sarebbero più in grado di assicurare gli standard richiesti per la qualifica di “Place of Safety”. Fra le varie motivazioni addotte sono diverse, si segnalano soprattutto le seguenti:

  1. secondo il decreto, in primo luogo, «non risulta allo stato possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di luoghi sicuri, senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19»;
  2. si deve poi tener conto del fatto che «alle persone eventualmente soccorse, tra le quali non può escludersi la presenza di casi di contagio Covid-19, deve essere assicurata l’assenza di minaccia per la propria vita, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico», requisiti che, a quanto pare, l’emergenza dovuta al Covid-19 mette a repentaglio;
  3. è necessario, per contrastare il diffondersi dell’emergenza epidemiologica, «disporre misure straordinarie di prevenzione del rischio di contagio con riferimento ai casi di soccorso effettuati da parte di unità battenti bandiera straniera che abbiano condotto le operazioni al di fuori dall’aera SAR italiana»;
  4. e, infine, che è non meno necessario che «le attività assistenziali e di soccorso da attuarsi nel “porto sicuro” possano essere assicurate dal paese di cui le unità navali battono bandiera laddove abbiano condotto le operazioni al di fuori dall’area SAR italiana».

Andrà anzitutto osservato che il decreto si riferisce ai casi in cui il soccorso avvenga fuori dall’area SAR da parte di navi che non battono bandiera italiana: all’interno dell’area, invece, il nostro paese è comunque tenuto a intervenire, benché il rischio dovuto all’emergenza Covid-19, se esistente, non sia diverso in questo secondo scenario.[3]

Non si può inoltre comprendere appieno il testo del decreto se non lo si legge contestualmente a un’altra fonte, il decreto n. 1287 adottato dalla Protezione Civile il 12 aprile, il quale, integrando il precedente, dispone che è comunque necessario «provvedere all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo». E aggiunge, con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro), che possono essere utilizzate navi per il periodo di sorveglianza sanitaria necessario.[4]

Il che del resto è coerente con quanto previsto agli artt. 4 e 6 del d.l. del 17 marzo 2020 n. 18, che consentono alle regioni di attivare aree sanitarie temporanee proprio al fine di «ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare».[5]

3. La decisione

In questo contesto è intervenuta la decisione del Tar del Lazio, che ha respinto l’istanza di misure cautelari monocratiche volte a ottenere la sospensione dell’efficacia del decreto interministeriale in esame.[6]

La decisione, per quanto chiaramente sommaria, è interessante per almeno due ordini di motivi. In primo luogo perché sembra non escludere ragioni sanitarie tali da giustificare l’impossibilità di fornire un “luogo sicuro” ni a chi viene soccorso in mare. Secondo il giudice, infatti, «in considerazione di un bilanciamento degli interessi contrapposti tipico della presente fase (e riservato l’approfondimento del fumus del ricorso, con particolare riferimento alla dedotta violazione delle normative internazionali sul diritto del mare e il diritto di asilo, in sede di trattazione collegiale), non sussistono i requisiti di estrema gravità ed urgenza previsti dalla norma da ultimo menzionata, poiché l’atto impugnato è motivato mediante argomentazioni non implausibili circa l’attuale situazione di emergenza da COVID-19, e la conseguente impossibilità di fornire un “luogo sicuro”, senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti COVID-19».

D’altro canto, ed è essenziale sottolinearlo, la decisione conclude che non sussistono sufficienti elementi per accertare il periculum in mora proprio in ragione del fatto che resta fermo un obbligo di prestare assistenza ai soccorsi in mare, e di garantir loro accesso ai servizi essenziali necessari, sanitari e non.[7]

4. Note conclusive

Con il decreto in esame il Tar Lazio ha quindi sì respinto l’istanza cautelare, rimandando alla trattazione collegiale l’analisi dell’eventuale violazione delle norme di diritto internazionale a cui si è fatto riferimento al par. 2, ma ha altresì sottolineato che non sussistono elementi sufficienti ad accertare il periculum in mora, requisito della fase cautelare, proprio in ragione del fatto che vi è un obbligo di garantire comunque assistenza alle persone soccorse in mare.

Ecco allora che una lettura combinata del decreto in esame e di quello adottato il 12 aprile dal Capo Dipartimento della Protezione Civile (tenuto conto anche delle norme introdotte dal d.l. 18/2020) consentono di meglio comprendere i presupposti e i confini dell’obbligo di garantire assistenza a cui il decreto del Tar Lazio, nel negare tutela cautelare, fa riferimento, in attesa naturalmente della trattazione collegiale e della decisione di merito.

  1. Decreto del 7 aprile 2020 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Salute, dell’Interno e degli Affari Esteri. Sulla più precisa collocazione di questa norma nel quadro giuridico internazionale si veda quanto osservato da F. Munari, Il decreto interministeriale per gestire l’emergenza covid-19 nell’ambito degli obblighi dell’Italia ai sensi della convenzione Sar: l’insostenibile “intermittenza” del luogo sicuro per i migranti diretti verso l’Italia, in SidiBlog, 16 aprile 2020; in particolare si rimanda alle perplessità sollevate dall’Autore sulla facoltà di un singolo Stato aderente a una convenzione internazionale di limitarne unilateralmente la portata.
  2. «A location where rescue operations are considered to terminate. It is also a place where the survivors’ safety of life is no longer threatened and where their basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met. Further, it is a place from which transportation arrangements can be made for the survivors’ next or final destination»  Resolution 167(78), IMO Maritime Safety Committee, par. 6.12. Si veda inoltre l’Allegato alla Convenzione Sar: «Parties shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from these obligations does not further endanger the safety of life at sea. The Party responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such co-ordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the [International Maritime] Organization. In these cases, the relevant Parties shall arrange for such disembarkation to be effected as soon as reasonably practicable». Per una ricostruzione più completa della disciplina in materia si veda I. Papanicolopulu, Le operazioni di search and rescue: problemi e lacune del diritto internazionale, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2, pp. 507 e ss.
  3. É stato anche osservato come, in realtà, uno Stato abbia il dovere di fornire un “Place of Safety” fuori dalla zona SAR solo in presenza di tre condizioni: «i) se c’è un accordo con lo Stato che sarebbe altrimenti competente; (ii) se ha assunto volontariamente la funzione di Rescue Coordinating Centre (RCC) ai sensi della Convenzione e del Manuale IAMSAR; ovvero (iii) se vi sono situazioni emergenziali ai sensi della pag. 3.1 del predetto Manuale IAMSAR»: F. Munari Il decreto interministeriale per gestire l’emergenza covid-19 nell’ambito degli obblighi dell’Italia ai sensi della convenzione Sar: l’insostenibile “intermittenza” del luogo sicuro per i migranti diretti verso l’Italia, op. cit.
  4. Decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 1287 del 12 aprile 2020. «Nomina del soggetto attuatore per le attività emergenziali connesse all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi in mare ovvero giunti sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi nell’ambito dell’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili».
  5. Art. 6 co.7 del d.l. del 17 marzo n. 18 «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19».
  6. Si tratta di una richiesta di misure cautelari monocratiche ex. art. 56 c.p.a. Si noti comunque che, durante l’emergenza dovuta al Covid-19, la tutela cautelare collegiale ex art. 55 c.p.a è stata sostituita da una tutela cautelare monocratica. Si veda quanto osservato da De Nictolis: «In concomitanza con l’estensione delle misure più restrittive a tutto il territorio nazionale, è stata prevista una generalizzata sospensione di tutti i termini processuali, dapprima dall’8 al 22 marzo 2020 (art. 3, d.l. n. 11/2020) e poi dall’8 marzo al 15 aprile 2020 (art. 84 d.l. n. 18/2020), combinata con la possibilità della tutela cautelare monocratica, del passaggio delle cause di merito in decisione sull’accordo delle parti a partire dal 6 aprile 2020, e soprattutto con la possibilità di misure più restrittive in sede locale in coordinamento con l’autorità sanitaria regionale, e segnatamente la possibilità di differire le udienze a dopo il 30 giugno 2020. In questa fase la tutela cautelare collegiale, fino al 15 aprile, è stata sostituita da una tutela cautelare monocratica, da confermarsi dal collegio dopo il 15 aprile: una tutela cautelare, dunque, bifasica, con una doppia chance ravvicinata, per le parti processuali». R. De Nictolis, Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, in federalismi.it.
  7. «Tenuto inoltre presente, per quanto concerne la valutazione del periculum in mora, che resta comunque fermo l’obbligo di garantire assistenza alle persone eventualmente soccorse in mare, assicurando l’assenza di minaccia per le loro vite, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico».

Giulia Pinotti

PhD in Administrative Law at the University of Milan