Dalle riviste cartacee alle riviste online e oltre. Sull’open access per default e le problematiche connesse

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3/2023

Dalle riviste cartacee alle riviste online e oltre. Sull’open access per default e le problematiche connesse

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Partendo dalla domanda relativa a chi pubblica le riviste scientifiche, oggi, e facendo una breve analisi di come è cambiato, negli ultimi due decenni, il panorama delle riviste scientifiche, il contributo giunge alla conclusione che sarebbe necessario investire – direttamente o indirettamente – per sostenere quelle iniziative editoriali di riviste open access diamonds che sono portate avanti da componenti della comunità accademica al servizio di atenei pubblici.


From print Journals to online Journals and beyond. Open access by default and related issues
This article starts with the question of who publishes academic journals today, then briefly analyses how the range of such journals has changed during the last two decades. The article concludes that investment is necessary to support publishing initiatives of open access diamond journals carried out by members of the academic community in public universities.
Summary: 1. Le conseguenze sulle riviste scientifiche derivanti dall’avvento delle TIC e dalla spinta alla internazionalizzazione degli Atenei.- 2. Segue. I conseguenti mutamenti sul mercato dell’editoria.- 3. L’open Access come reazione.- 4. Riflessioni conclusive.

1. Le conseguenze sulle riviste scientifiche derivanti dall’avvento delle TIC e dalla spinta alla internazionalizzazione degli Atenei

Partirei con una domanda[1]: tradizionalmente, chi pubblica le riviste scientifiche[2] e che cosa è cambiato negli ultimi anni (due decenni) nel panorama delle riviste scientifiche (non solo di area 12)?

Iniziamo col dire che, come è evidente a tutti, l’avvento di Internet, e più in generale delle TIC/Tecnologie della Informazione e Comunicazione e la conseguente “digitalizzazione”, hanno cambiato radicalmente il modo di fare ricerca.

Sempre di più, i ricercatori fanno ricorso a documentazione disponibile online e che sia “scaricabile” e conservabile sul proprio PC; o, meglio ancora, nel cloud: e quindi potenzialmente accessibile da qualsiasi luogo, in qualunque momento e con qualsiasi PC o tablet o smart-phone che si abbia a disposizione: a condizione, ovviamente, di avere un accesso alla rete.

La spinta verso la c.d. internazionalizzazione degli Atenei (e della ricerca) ha portato, infatti, da un lato ad una maggiore mobilità degli studiosi, che ora viaggiano e si recano all’estero più sovente anche nell’ambito, tradizionalmente molto “nazionalmente ancorato”, delle scienze giuridiche.

Dall’altro lato, questa maggiore apertura verso “l’esterno” ha creato la necessità per i ricercatori di accedere a materiali bibliografici pubblicati in altre lingue e presenti su libri e riviste pubblicate al di fuori del proprio Paese: per intenderci, non è più l’epoca i cui fare studi di diritto comparato implicava dovere passare settimane intere rinchiusi nelle biblioteche di Atenei stranieri; e rientrare in patria con una valigia colma di libri cartacei e fotocopie!

Questi tre fenomeni, fra loro combinati (1. internet, le TIC e la digitalizzazione; 2. una maggiore mobilità fisica degli studiosi; 3. una maggiore necessità di accesso a risorse bibliografiche pubblicate in altri paesi ed in altre lingue per svolgere le proprie attività di ricerca) hanno portato, come conseguenze indiretta, ma largamente inevitabile, ad un progressivo tramonto dell’idea stessa della rivista su solo supporto cartaceo.

Questa, infatti, presuppone di potere disporre del supporto fisico (il fascicolo) per potere accedere ai relativi contenuti.

Oramai, come è noto, anche le riviste di area giuridica sono infatti sempre più accessibili anche online.

Ma, quando vi è alle spalle della rivista una casa editrice, questo accesso può avvenire di norma solo per il tramite di apposite piattaforme, predisposte e gestite dall’Editore, ed il cui accesso per l’utente è ovviamente a pagamento.

2. Segue. I conseguenti mutamenti sul mercato dell’editoria

Sotto questo profilo, la letteratura di settore avverte sul fatto che l’avvento di Internet e, più in generale delle nuove tecnologie, ha di fatto prodotto un importante cambiamento sul mercato dell’editoria (scientifica)[3].

Mentre in passato sopravvivevano infatti anche molte piccole case editrici, più propense anche a sviluppare e coltivare un rapporto personale e diretto con gli autori, più di recente si è venuta a creare una situazione di vero e proprio oligopolio sul mercato, con alcuni grandi editori (per la maggior parte stranieri, per il caso dell’Italia) che dettano le regole sul mercato.

Questi grossi editori hanno di fatto marginalizzato gli editori minori. In particolare attraverso l’offerta di “pacchetti di abbonamenti” di riviste che sono accessibili (anche) online, sulle loro piattaforme; e per sviluppare le quali hanno inizialmente investito notevoli risorse di tempo e di danaro.

Per l’editoria dell’area giuridica, ad esempio, si è drasticamente ridotta, negli ultimi anni, la quantità di editori presenti sul mercato. E lo stesso vale ovviamente anche per tutte le altre aree della scienza.

Né è facile per c.d. “newcomers” inserirsi su questo mercato: e questo per mille ragioni che non c’è ovviamente tempo qui di analizzare.

In questa situazione, anche le biblioteche hanno poca scelta.

O accettano di sottoscrivere abbonamenti a “pacchetti di riviste” accessibili online, che includono anche riviste non di particolare interesse, oppure possono ottenere accesso a singole riviste, al di fuori dal “pacchetto”, solo a prezzi elevatissimi[4].

Lo stesso vale, in realtà, anche per i volumi resi disponibili dalle case editrici in formato pdf o, più sovente, e-Book (e-pub etc.): che vengono venduti alle biblioteche per lo più solo a “pacchetti”; e la cui accessibilità è sovente garantita all’utente solo per periodi di tempo limitati.

Quello che emerge chiaramente è, dunque, come si sia venuto a creare un regime di concorrenza “drogato” da accordi espliciti o impliciti fra i pochi, per lo più grossi editori rimasti sul mercato (oligopolio appunto).

Il paradosso dunque è che, nonostante le economie consentite dalle TIC, i prezzi di libri e riviste sono aumentati invece di ridursi.

Sicché, per le case editrici rimaste sul mercato – sottratti i costi per l’investimento iniziale, oramai di sicuro ampiamente ammortizzati – le nuove tecnologie hanno di fatto consentito loro un aumento sostanzioso dei margini di profitto.

Il che – come è stato opportunamente sottolineato[5] – è avvenuto essenzialmente a danno dei fondi pubblici: nel senso che si tratta di profitti che si alimentano quasi esclusivamente di fondi pubblici.

Per comprendere cosa questo significhi concretamente, occorre riflettere anzitutto sulla circostanza che, come è ben noto a chi come me è Direttore o fa da tempo parte di comitati di direzione di riviste scientifiche, il personale dipendente da case editrici (e in ogni caso da queste direttamente retribuito) contribuisce, di fatto, poco o nulla all’attività redazionale. E meno che meno a quella editoriale e/o di direzione di Riviste scientifiche.

Le riviste scientifiche più importanti si basano infatti, essenzialmente, sul lavoro volontario e gratuito di accademici: che sono però al 99% dipendenti pubblici a tutti gli effetti, non solo in Italia; e quindi retribuiti con fondi pubblici. E si basa largamente anche sul lavoro di c.d. aspiranti accademici: assegnisti di ricerca, dottorandi di ricerca, collaboratori universitari a vario titolo. Il cui lavoro, una volta di più, è pagato (se non retribuito) essenzialmente con fondi pubblici.

Per aggiungere danno alla beffa, è poi evidente che anche l’aumento dei costi per acquisire la documentazione necessaria per svolgere la ricerca scientifica nelle università è pagato, in ultima analisi, con fondi pubblici.

3. L’open Access come reazione

L’Open Access nasce, dunque, come reazione a questo perverso fenomeno[6].

Attualmente esistono infatti riviste che sono pubblicate in rete, sono totalmente “open access” (si parla di “Open Access Diamond”) e garantiscono facilità di accesso[7].

Mentre le piattaforme delle case editrici, oltretutto, non sempre garantiscono facilità di accesso all’utente.

Riviste di questo tipo garantiscono inoltre un costante “rifornimento”: la pubblicazione di nuovi articoli avviene su base quasi settimanale. Ma garantiscono anche la ottima qualità degli articoli, grazie ad una attenta procedura di peer-review e ad una complessa ed articolata attività editoriale, che viene gestita sulla base degli standard internazionali ed in pieno ossequio delle regole stabilite (per garantire la qualità delle riviste) dalla nostra Agenzia Nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)[8].

L’Open Access Diamond” si riferisce a un modello di pubblicazione accademica in cui riviste e piattaforme non richiedono contributi economici di nessun tipo, né agli autori, né ai lettori.

Le riviste scientifiche pubblicate in “Open Access Diamond” rappresentano, infatti, iniziative di pubblicazione guidate e possedute dalla comunità accademica.

Secondo un’approfondita analisi svolta fra il 2020 e il 2021 – ed i cui risultati sono riportati in un interessante studio pubblicato nel 2021, il “OA Diamond Journals Study[9] – si tratta di un assai ampio e complesso “ecosistema”.

Le riviste in “Open Access Diamond” in tutto il mondo sono infatti state stimate essere ormai oltre le 20.000 e rappresentare una componente essenziale della comunicazione accademica, che pubblica oramai l’8–9% del volume totale di articoli e il 45% delle pubblicazioni in Open Access (dati del 2021).

Il modello del “Open Access Diamond” ha avuto particolare successo nelle riviste con sede in America Latina, a seguito dell’emergere di grandi piattaforme supportate da fondi pubblici.

Tuttavia, come lo stesso studio a cui mi riferivo poc’anzi ben sottolinea, l’Open Access Diamond è ostacolato da sfide che sono legate: 1) alla capacità tecnica necessaria per portarle avanti; 2) al peso derivante dai “costi” (diretti ed indiretti) connessi alla loro gestione; 3) alla necessità di costante “visibilità” (grafica, accessibilità sito etc.).

In poche parole, vi è un problema di sostenibilità delle riviste in Open Access Diamond e delle relative piattaforme sul medio e soprattutto lungo periodo[10]. Come dimostra la vicenda relativa alla piattaforma SSRN (Social Science Research Network), che nel 2016 è stata acquisita dall’editore olandese Elsevier[11].

Al riguardo, un commentatore ha sarcasticamente osservato che è un po’ come se Monsanto avesse comprato la nostra cooperativa biologica preferita[12].

Quel che è certo è che, attraverso questa acquisizione, Elsevier ha attenuto accesso ai 2 milioni di membri di SSRN e 300.000 autori ivi presenti[13]. Con tutte le conseguenze del caso.

In questo senso, vale la pena di richiamare la Raccomandazione dell’UNESCO del 2022 sulla scienza aperta, la quale si limita a statuire che «infrastrutture che garantiscono la “scienza aperta” dovrebbero essere organizzate e finanziate sulla base di una visione essenzialmente no-profit e a lungo termine, che favoriscano pratiche di “scienza aperta” e garantiscano accesso permanente e senza restrizioni a tutti, nella massima misura possibile»[14]. Ma anche le recentissime conclusioni (approvate il 23 maggio 2023) del Consiglio dell’Unione europea, su di «Una pubblicazione accademica di alta qualità, trasparente, aperta, affidabile ed equa» che «rimarca che l’accesso aperto immediato e senza restrizioni dovrebbe essere la norma nella pubblicazione della ricerca che coinvolge fondi pubblici»; e sottolinea come «l’accesso aperto alle pubblicazioni accademiche compreso il loro riutilizzo è uno degli elementi centrali di un sistema di scienza aperta e che occorre intervenire per garantire che la pubblicazione accademica sostenga tali obiettivi»[15].

In questo senso è senz’altro positivo che molti Atenei nazionali (e l’Ateneo di Milano in primis) si siano organizzati per creare archivi della ricerca open access intesi a garantire la stabilità dell’archiviazione dei dati della ricerca svolta nei propri Atenei, così come la sua visibilità e disseminazione[16].

4. Riflessioni conclusive

Per sostenere lo sviluppo di forme non commerciali di pubblicazione – non collegate a Case Editrici commerciali, ma basate sulla comunità scientifica di riferimento – è tuttavia necessario fare di più.

Per come la vedo io sarebbe necessario investire[17] – direttamente o indirettamente – per sostenere quelle iniziative editoriali di riviste open access diamonds che sono portate avanti da componenti della comunità accademica al servizio dei singoli Atenei.

Chissà – ed è una proposta volutamente provocatoria – che non sia dunque arrivato il tempo di “raffreddare un poco” sulle c.d. attività di terza missione delle università; per rifocalizzare invece l’attenzione sulla prima e la seconda missione.

Si tratta, essenzialmente, di continuare a privilegiare quella funzione tipica delle università (pubbliche), di creare conoscenza attraverso attività di ricerca libera e “di base” (non ricerca applicata e finanziata con fondi privati) svolte presso gli Atenei, con fondi pubblici. E di continuare a garantire che il frutto di questa essenziale ricerca di base, finanziata con fondi pubblici, sia diffuso in termini di pubblicazioni scientifiche (in libri e riviste rese disponibili in open access diamond), ma anche in termini di quella didattica di qualità (di livello accademico), che è nostro dovere primario impartire agli studenti dei nostri Atenei.

  1. Si tratta della versione scritta della relazione da me presentata al Convegno dal titolo “Le Riviste di area 12, in un contesto di nuove tecnologie e vecchie burocrazie: un futuro possibile?”, che si è volto il 26 maggio 2023 presso l’università degli Studi di Milano (https://ceridap.eu/eventi/le-riviste-di-area-12-in-un-contesto-di-nuove-tecnologie-e-vecchie-burocrazie-un-futuro-possibile/).
  2. A questo proposito si veda una interessante pronunzia del Tribunale di Milano del 6 ottobre 2002, che si diffonde sulla essenziale distinzione tra pubblicazione scientifica e pubblicazione, invece, meramente divulgativa e di tipo giornalistico.
  3. Si veda al riguardo l’interessante volume M. Guerrini e G. Maridi (a cura di), Via verde e via d’oro. Le politiche open access dell’Università di Firenze, Firenze University Press, Firenze, 2015 e in particolate il contributo di F. Dessì Fulgheri, Open access e riviste scientifiche, p. 65 ss.
  4. Cfr. F. Dessì Fulgheri, Open access e riviste scientifiche cit., p. 66 ss.
  5. F. Dessì Fulgheri, Open access e riviste scientifiche cit., p. 66 ss.
  6. Cfr. P. Grandesso, M. Vignocchi, AlmaDL Journals: sfide e opportunità di un servizio editoriale ad accesso aperto, in Bibliothecae.it, 7(2), 2018, p. 398 ss. V. anche I. Pellizzone, Open Access Publication and Academic Freedom in the Field of the Social Sciences and Humanities from a Constitutional Law Perspective in Italy, in M. Seckelmann, L. Violini, C. Fraenkel-Haeberle, G. Ragone (a cura di), Academic Freedom under Pressure? A Comparative Perspective, Springer, Heidelberg, 2021, p. 175 ss. e dottrina ivi richiamata; P. Galimberti, Open Access: principali ostacoli per un’ampia diffusione in Italia, in Informatica e diritto, 2, 2009, p. 161 ss.
  7. E certamente il caso della ventennale Federalismi: https://www.federalismi.it/. Ma anche della più recente CERIDAP, di cui sono Direttore: https://ceridap.eu/
  8. https://www.anvur.it/
  9. V. OA Diamond Journals Study. Part 1: Findings, (9 March 2021), in https://zenodo.org/record/4558704.
  10. V. Action plan for diamond open access, March 2022, in https://www.scienceeurope.org/media/t3jgyo3u/202203-diamond-oa-action-plan.pdf.
  11. G. H. Pike, Elsevier Buys SSRN.com: What It Means for Scholarly Publication, (July 1, 2016). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2963709 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2963709
  12. Così C. Doctorow, sul Boing Boing blog: http://boingboing.net/2016/05/18/elsevier-buys-ssrn.html
  13. G. H. Pike, Elsevier Buys SSRN.com: What It Means for Scholarly Publication cit., p. 4.
  14. «Open science infrastructures should be organized and financed upon an essentially not-for-profit and long-term vision, which enhance open science practices and guarantee permanent and unrestricted access to all, to the largest extent possible». Così in UNESCO Recommendation on Open Science, pubblicata l’8 settembre 2021 e reperibile in https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000378841. La traduzione è mia.
  15. https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-8827-2023-INIT/it/pdf
  16. A questo riguardo si rinvia alle Relazioni annuali sulla scienza aperta pubblicate dall’Università degli Studi di Milano sin dal 2017 (l’ultima è del 2022) in: https://www.unimi.it/it/ricerca/dati-e-prodotti-della-ricerca/scienza-aperta
  17. Cfr. in tal senso le conclusioni del Consiglio dell’Unione europea del 23.05.2023 (cit. nota 15), in cui il Consiglio incoraggia espressamente in tal senso gli Stati membri e la Commissione.

Diana-Urania Galetta

Full Professor of Administrative Law at the University of Milan and Editor in Chief of CERIDAP