Corte di cassazione, Sez. unite, 6 aprile 2023, n. 9479

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Corte di cassazione, Sez. unite, 6 aprile 2023, n. 9479

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Il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo non impugnato può essere rimesso in discussione attraverso l’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c., opportunamente interpretato al fine di consentire la rimessione in termini del debitore che non sia stato avvertito delle possibilità di contestare le clausole abusive del contratto concluso con il consumatore.


Res judicata in orders for payment may be challenged by means of late appeals against payment orders under Article 650 of the Italian Code of Civil Procedure (CPC): a consistent interpretation of art. 650 CPC allows a debtor who has not been warned of the possibility of contesting the unfair terms of the contract to take legal action when finally informed of his rights.

Con la sentenza oggetto di segnalazione, la Cassazione esercita la sua funzione nomofilattica (nella sua espressione più pura, essendo qui in esame l’affermazione di un «principio di diritto nell’interesse della legge» ai sensi dell’art. 363 c.p.c.) per mettere chiarezza su una questione centrale nel rapporto tra l’effettività del diritto UE e l’autonomia procedurale degli Stati membri: il giudicato anticomunitario.

La sentenza è didascalica e tratteggia un quadro esaustivo dell’acquis comunitario sull’autonomia procedurale: (i) l’efficacia erga omnes delle sentenze interpretative del giudice comunitario nel rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE (Corte di giustizia, 27/3/1963, causa 28/62, Da Costa); (ii) la definizione del giudice nazionale quale «giudice comunitario di diritto comune»; (iii) la giurisdizione esclusiva del giudice nazionale nell’interpretazione del diritto nazionale conformemente al diritto UE; (iv) il (non agevole) distinguo tra autonomia procedurale e competenza sulla forma e sui mezzi ex art. 288 TFUE nei processi armonizzati ai sensi degli artt. 114 e 115 TFUE; (v) i principi di equivalenza e di effettività (Corte di giustizia, 16/12/1976, causa 33/76, Rewe) a definire l’autonomia procedurale nei termini di una meno lata competenza procedurale funzionalizzata (qui definita «complementarietà funzionale»); (vi) l’uniformazione del diritto UE al principio della certezza del diritto e all’autorità di cosa giudicata che ne è espressione, ancorché in pregiudizio dell’effetto utile dell’effetto diretto (effet utile) della norma UE (Corte di giustizia, 9/6/1964, cause riunite 79/63 e 82/63, Reynier); (vii) la sussidiarietà della disapplicazione (non applicazione) rispetto alla interpretazione conforme, quale tratto tangibile dell’obbligo di leale cooperazione ex art. 4 TUE; (viii) la definizione dell’Unione europea come comunità di diritto secondo la definizione della sentenza Parti écologiste Les Verts (Corte di giustizia, 23/4/1986, causa 294/83); (ix) l’uniformazione del diritto UE alle tradizioni costituzionali degli Stati membri (Corte di giustizia, 25/7/2002, causa C-50/00, Unión de Pequeños Agricultores); (x) la declinazione del principio di effettività in una regola del caso concreto definita attraverso la ponderazione nella particolare vicenda processuale dei principi della tutela dei diritti della difesa, della certezza del diritto e del regolare svolgimento del procedimento (Corte di giustizia, 14/12/1995, causa C-430/93, Val Schijndel); (xi) la funzionalizzazione del principio dispositivo alla emersione delle violazioni del diritto UE imponendo l’intervento officioso del giudice a introdurre nel giudizio la norma comunitaria da applicare alla fattispecie oggetto di causa (Corte di giustizia, 14/12/1995, causa C-312/93, Peterbroeck).

Insomma, la sentenza è una sorta di bignami del diritto amministrativo europeo (se non fosse che l’accostamento rischia di svilire l’elevato livello dogmatico dell’approccio).

E già solo per questo meriterebbe d’essere segnalata.

Non meno interessante è la dilatazione dell’obbligo di interpretazione conforme sino a lambire il limite (insuperabile nella prospettiva del giuspositivismo, anche inclusivo) della discrezionalità giurisdizionale, oltre il quale ci si avventura nel deprecabile creazionismo giudiziale.

La Suprema Corte ha infatti (re)interpretato l’art. 650 c.p.c. («opposizione tardiva»), operando sulla disposizione normativa attraverso l’interpretazione conforme (ha dilatato i concetti giuridici indeterminati di «caso fortuito»/«forza maggiore» sino a proteggere una situazione di «deficit informativo» sull’esistenza di un diritto definito da una norma UE tutelabile in giudizio) e, al contempo, attraverso l’uso selettivo della disapplicazione (non ha applicato il termine di decadenza di dieci giorni dal primo atto di esecuzione prescritto dal codice di rito per l’esercizio dell’opposizione tardiva e colmando il vuoto normativo che ne deriva attraverso l’applicazione analogica dell’art. 641 c.p.c. che assegna al debitore intimato il termine di quaranta giorni per far valere in giudizio la sua opposizione, facendo decorrere quel termine dall’informazione che il giudice dell’esecuzione dà al debitore esecutato della possibilità di fare accertare l’eventuale abusività delle clausole del contratto).

Sorge dunque il dubbio che il giudice della nomofilachia si sia spinto in realtà troppo oltre la norma processuale. Il dubbio che sorge è, cioè, se questo (ingegnoso) intervento di ortopedia giudiziaria, per adeguarla al principio di effettività della norma UE. non superi il confine tra creatività (ammissibile) e creazionismo (inammissibile).

Quanto porrebbe (l’uso del condizionale è d’obbligo in una segnalazione che non ha la pretesa d’essere un commento a prima lettura) l’affermazione del giudice della nomofilachia oltre il perimetro dell’obbligo di interpretazione conforme, come definito dalla Corte di giustizia, che è assolutamente rispettosa del principio di autonomia processuale (competenza processuale funzionalizzata), essendosi la giurisprudenza comunitaria da tempo consolidata nell’insegnamento che «nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE [e] include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva [ma] non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale» (Corte di giustizia, 19/4/2016, causa C‑441/14, Dansk Industri).

Luci e ombre, dunque, di una sentenza che, comunque, farà molto discutere e, quale che sarà il futuro esito del confronto, segna senz’altro un passo importante (ancorché probabilmente oltre le righe della disposizione normativa) nell’adeguamento della nostra giurisprudenza all’effetto utile dell’effetto diretto (effet utile) della norma UE, perché in essa si definisce un metodo interpretativo sicuramente condivisibile, quantunque possa forse essere opinabile il risultato ermeneutico.

Massimo Giavazzi

Adjunct Professor at the University of Milan. Lawyer at the bar of Bergamo.