Il Consiglio di Stato chiarisce che, nell’ambito delle procedure di selezione degli avvocati esterni, la Pubblica Amministrazione deve verificare che il prezzo offerto sia rispettoso dell’equo compenso, atto a tutelare la categoria forense da fenomeni anticoncorrenziali e ad assicurare la qualità della prestazione.


The Council of State clarifies that during the selection procedures for external lawyers, the Public Administration must verify that the price offered is respectful of the principle of fair remuneration (“equo compenso”), which can protect the legal profession from anti-competitive practices and ensure the quality of the service.

All’esito di una procedura di selezione per l’affidamento di un incarico di rappresentanza legale, l’Amministrazione comunale individuava quale professionista da incaricare quello che – tra i tre soggetti selezionati – aveva presentato il preventivo più conveniente. In particolare, il professionista selezionato aveva indicato un importo complessivo di 3.172,00 euro (tra compenso professionale e oneri di legge) per l’attività di assistenza legale nell’ambito di un contenzioso pendente avanti il T.A.R. Lombardia – Brescia, promosso da un operatore avverso l’aggiudicazione di una gara per l’affidamento di lavori pubblici del valore di 305.921,77 euro (oltre IVA).

Uno dei due professionisti che avevano formulato e trasmesso il proprio preventivo di spesa (meno conveniente per l’Amministrazione comunale) si è rivolto al T.A.R. Lombardia, Brescia impugnando la determinazione del Responsabile del Settore con cui veniva conferito l’incarico al collega. In particolare, le censure sollevate erano incentrate (i) sulla violazione da parte dell’Amministrazione comunale del principio del c.d. “equo compenso” di cui all’art. 13-bis della L. 247/2012; (ii) sulla violazione dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità da parte del Comune, che aveva palesato solo alla conclusione della selezione che la comparazione delle offerte era avvenuta sulla base del solo criterio del prezzo più basso.

Con riferimento all’equo compenso, il ricorrente evidenziava che il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro da svolgere, nonché alle caratteristiche della prestazione legale; inoltre, il ricorrente rilevava che il preventivo del soggetto a cui il Comune aveva conferito l’incarico risultava in violazione dei parametri tabellari di cui al D.M. n. 55/2014, che conducevano ad un’offerta minima di 6.888,00 euro (al netto dei contributi previdenziali e dell’IVA).

Il T.A.R. Lombardia, Brescia respingeva il ricorso promosso con la sentenza n. 1088 del 20 dicembre 2021. In particolare, il giudice offriva una ricostruzione complessiva dell’istituto del c.d. “equo compenso”, all’esito della quale riteneva di scartare l’interpretazione letterale della previsione di cui all’art. 19-quaterdecies, comma 3, D.L. n. 148/2017, secondo cui «La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». A tal proposito, il giudice di prime cure evidenziava che la disposizione in esame avrebbe dovuto essere interpretata tenendo conto della ratio dell’equo compenso, da cui si evincerebbe che l’Amministrazione sarebbe tenuta al rispetto dello stesso nei soli casi in cui, a causa della propria preponderante forza contrattuale, vi sia una definizione unilateralmente della misura del compenso spettante al professionista (con imposizione senza alcun margine di contrattazione). A sostegno della conclusione, il Collegio citava precedenti analisi giurisprudenziali sul tema (tra cui quelle svolte da T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 29 aprile 2021, n. 1071 e da T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27 agosto 2021, n. 9404), rilevando che (i) nel caso di partecipazione ad una procedura selettiva, il professionista non accetta un compenso predeterminato dall’Amministrazione; (ii) in ogni caso, il criterio dell’equo compenso deve essere interpretato tenendo conto anche delle esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Il giudice di primo grado respingeva anche la censura relativa alla mancata informazione ex ante ai professionisti coinvolti della scelta dell’offerta sulla base del solo criterio del prezzo più basso. A tal proposito, il T.A.R. rilevava che l’Amministrazione non aveva bandito una procedura concorsuale, ma si era limitata a condurre un’indagine di mercato finalizzata ad un affidamento diretto. Di conseguenza non vi era alcun obbligo di esternare preventivamente il criterio in base al quale si sarebbe operata la scelta del professionista.

Con ricorso in appello, il soccombente in primo grado ha riproposto le proprie argomentazioni, evidenziando contestualmente che il giudice di prime cure aveva frainteso il thema decidendum. Infatti, secondo l’appellante, il T.A.R. si era limitato a valutare la possibilità di applicare il principio del c.d. equo compenso nel caso delle selezioni di avvocati esterni effettuate dalle Pubbliche Amministrazioni, escludendo invece di pronunciarsi sulle censure, da esso sviluppate, relative alla possibilità per il Comune di selezionare il professionista senza tener conto del rapporto qualità/prezzo.

Con la sentenza n. 2084 del 28 febbraio 2023, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha riformato la pronuncia di primo grado dichiarando l’illegittimità della determinazione con cui il Comune aveva conferito l’incarico al collega del ricorrente/appellante (ai fini della futura proposizione dell’azione risarcitoria, dato che nel frattempo l’incarico era stato portato a termine).

In via preliminare, il Collegio ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, fondata sul fatto che l’appellante si era classificato terzo all’esito della procedura selettiva de qua (eccezione riproposta dall’Amministrazione appellata con memoria ex art. 73 c.p.a.). A tal riguardo, il giudice di appello – oltre a rilevare che l’eccezione non era stata oggetto, come necessario, di apposita riproposizione con memoria ex art. 101, comma 2, c.p.a. – ha evidenziato come le contestazioni mosse con il ricorso di primo grado fossero relative al modus procedendi seguito dalla P.A. nella scelta del libero professionista; di conseguenza, non era possibile conferire alcun rilievo ad una presunta graduatoria che, peraltro, risultava inesistente nel caso concreto (dato che il Comune si era limitato a richiedere ai tre professionisti interpellati un preventivo).

Quanto all’accoglimento dell’appello nel merito, il Collegio ha chiarito che risulta possibile non prevedere alcun compenso per lo svolgimento di un incarico professionale di assistenza in giudizio in favore di un’Amministrazione. Infatti, «la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione (l’ulteriore e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto». Partendo da tale premessa, la Sezione ha chiarito che quando per la prestazione difensiva pubblica è previsto un compenso, anche la Pubblica Amministrazione deve «rispettare il criterio dell’equo compenso quale normativamente determinato» e verificare che le offerte ricevute siano rispettose del principio in questione. Infatti, solo così l’Amministrazione può garantire tutela alla categoria forense da fenomeni anticoncorrenziali e, contestualmente, assicurare la qualità della prestazione che verrà resa dal professionista.

A sostegno di tale lettura, il giudice di appello richiama alcune sentenze della Corte di Giustizia UE (cfr. sent. 23/11/2017, in C-427/2016 e C-428/2016; sent. 04/07/2019, n.377, in C377/17; sent. 05/12/2006, in C-94/04 e C-202/04), evidenziando che il giudice comunitario non abbia escluso a priori la possibilità di imposizione di minimi tariffari per le prestazioni rese dai professionisti, dato che gli stessi possono, da un lato, (a) evitare che all’eccessivo ribasso corrisponda un peggioramento della qualità dei servizi forniti e, dall’altro lato, (b) limitare il rischio di (auto)esclusione di quegli operatori che non presenterebbero offerte eccessivamente al ribasso. Infatti, «se è vero che le prestazioni professionali degli avvocati devono essere espletate con professionalità anche indipendentemente dalla misura dell’onorario, non può tuttavia negarsi che l’interesse ad assumere incarichi per l’Amministrazione da parte dei professionisti più qualificati dipenda largamente anche dall’adeguatezza del corrispettivo offerto e dal rispetto della dignità professionale della classe forense».

Infine, quanto ai criteri di scelta del professionista, il Consiglio di Stato ha rilevato che gli stessi devono essere «predeterminati e resi noti agli offerenti», al fine di garantire il rispetto dei principi di imparzialità, buon andamento, efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa. Principi che sono richiamati anche dall’art. 19-quaterdecies, comma 3, D.L. n. 148/2017 e che vengono attuati anche tramite «la corresponsione di tariffe corrispondenti all’equo compenso».

Federico Finazzi

Lawyer at the Bar of Milan