Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13 febbraio 2023, n.7

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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13 febbraio 2023, n.7

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La pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, c. 6, del d.lgs. 159/11, non è causa di sospensione ex art.79 c.1 c.p.a. e 295 c.p.c. La sospensione previene solo il contrasto tra giudicati.


The existence of a judicial review pursuant to art. 34-bis, c. 6, of Legislative Decree 159/11, is not a cause of suspension pursuant to art.79 c.1 c.p.a. and 295 c.p.c. The suspension prevents only the contrast between judgements.

A seguito della sottoposizione di una società e del suo amministratore delegato ad un procedimento penale della direzione distrettuale antimafia, la competente prefettura procede emanando un’informativa interdittiva antimafia, sottoponendo la società alla gestione straordinaria e nominando un commissario per la conduzione di alcuni contratti d’appalto già in essere. La società impugna i provvedimenti prefettizi davanti al g.a. chiedendo l’adozione di misure interinali e la sospensione del giudizio amministrativo ex art.79 c.1. c.p.a. e art.295 c.p.c. in attesa della pronuncia del giudice penale sull’applicazione del controllo giudiziario c.d. volontario ex art.34-bis c.6 d.lgs. 159/2011. Ai sensi del successivo c.7 della medesima disposizione, infatti, tale richiesta sospende sia il termine di trenta giorni dalla consultazione della banca dati nazionale unica per il rilascio dell’informazione antimafia (ex art.92 c.2) sia l’effetto ostativo a contrattare con la pubblica amministrazione (ex art.94). Il g.a. non accoglie la richiesta di sospensione e respinge il ricorso. La Sezione terza del Consiglio di stato, investita dell’appello, formula all’Adunanza plenaria (“A.p.”) tre quesiti. Con i primi due chiede se il ricorso al controllo giudiziario sia idoneo a configurare una causa di sospensione necessaria del giudizio amministrativo ex art. 79 c.1. c.p.a. e 295 c.p.c. e del giudizio di impugnazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio per il completamento dell’esecuzione dei contratti pubblici ex art.32 c.10 del d.l. 90/2014. Con il terzo quesito, invece, chiede se la mancata sospensione in primo grado costituisca “error in procedendo” idoneo a imporre la rimessione al giudice di prime cure ex art.105 c.1 c.p.a., o viceversa se ciò sia nel potere del medesimo Consiglio di stato.

Sulla base della ricostruzione del rapporto tra i due istituti offerta dalla Cassazione penale (cfr. SS.UU. n.46898/2019; Sez. VI, n.1590/2021), la Sezione rimettente sostiene la necessarietà della sospensione (cfr. par. 2 del diritto). L’attuale strumentario di prevenzione e contrasto dei reati economici di matrice mafiosa, sarebbe infatti imperniato sul «recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo». L’occasionalità dell’agevolazione dei soggetti pericolosi sarebbe oggetto di una valutazione prognostica – condotta dal tribunale della prevenzione penale – circa le concrete possibilità di riallineamento dell’impresa al mercato. In questa logica secondo il giudice penale il «vincolo genetico della procedura di controllo giudiziario, consistente […] nella pendenza del ricorso contro l’interdittiva antimafia, assumerebbe quindi le caratteristiche di una condizione di procedibilità della procedura, che in tanto può essere definitiva in quanto non sia definitivamente accertata la legittimità dell’atto prefettizio, e dunque il ricorso contro di essa sia respinto». La definizione del giudizio amministrativo sarebbe dunque recessiva e la sua sospensione necessaria sarebbe lo «strumento attraverso cui regolare i rapporti tra i due istituti secondo le rispettive finalità» (par. 4 diritto). Il consolidamento dell’informativa – a seguito dell’eventuale rigetto del ricorso – renderebbe inutile il decorso del termine posto dall’art.84 sull’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione.

L’A.p. si discosta dalla soluzione offerta dalla sezione rimettente sulla base di diversi argomenti di seguito riassunti.

Innanzitutto rileva che la giurisprudenza di legittimità richiamata riguardava fattispecie non corrispondenti a quella in esame, essendosi formata su casi in cui il controllo era stato chiesto e negato dopo il rigetto del ricorso giurisdizionale.

In secondo luogo, secondo il Collegio la connessione tra gli istituti in parola non andrebbe oltre quella genetica richiesta dalla disposizione. L’esame prognostico compiuto dal giudice penale circa il “pericolo concreto di infiltrazioni mafiose» deve presupporre e fondarsi sull’accertamento effettuato dall’organo amministrativo ma non limitarsi ad esso (cf. par.10 diritto).

In terzo luogo, la sospensione necessaria, quale proiezione processuale dell’ordine tra i due giudizi proposto dal giudice ordinario, non avrebbe una base testuale. L’art.34-bis, infatti, si limita a richiedere che l’impugnazione dell’interdittiva preceda la domanda di controllo giudiziario ma nulla dice sulla necessità della sua pendenza «per tutta la durata del controllo». Infatti, sul un piano sistematico – osserva il Collegio – l’interdittiva si fonda su un giudizio retrospettivo e non anche prospettico, come quello sull’applicazione del controllo giudiziario.

Nella parte centrale delle motivazioni l’A.p. inverte il ragionamento svolto nell’ordinanza di rimessione. Il consolidamento dell’interdittiva, infatti, non sarebbe contraddittorio rispetto al termine di sospensione della capacità di contrarre l’amministrazione pubblica. Anzi, questa circostanza consente di accertare definitivamente l’esigenza di risanamento dell’impresa. È sul piano logico-sistematico, dunque, che l’orientamento avanzato dall’ordinanza di rimessione non può essere seguito. Essa condurrebbe a reprimere la funzione di risanamento, svolta dal controllo giudiziario, proprio quando il condizionamento mafioso non è più solo ipotizzato ma anche accertato.

Passando poi ad esporre la ratio della sospensione processuale, il Collegio osserva che essa è «strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, secondo una logica interna all’ordinamento processuale basata sulla sua unitarietà e sul principio di non contraddizione» (par.19 diritto). Il presupposto di pregiudizialità-dipendenza previsto dall’art.295 c.p.c. è tassativo. Sospendere un giudizio al di fuori delle ipotesi normativamente previste costituisce lesione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, sancito anche dall’art.2 c.2 c.p.a. La sospensione non può nemmeno essere intesa come «rimedio a potenziali decisioni sfavorevoli». La sospensione, infatti, veniva richiesta per escludere l’ipotesi del rigetto del ricorso avverso l’interdittiva, non per «impedire decisioni contrastanti».

Infine, rileva il Collegio che quando il legislatore ha ravvisato tra due istituti ragioni di connessione ulteriori rispetto al momento genetico ha espressamente regolato il rapporto tra di essi. È il caso del nuovo art. 94-bis d.lgs. 150/2011, che dispone la cessazione degli effetti delle misure amministrative di prevenzione collaborativa quando l’impresa acceda al controllo giudiziario. Ne deduce a contrario che tra il controllo giudiziario e l’informazione interdittiva sussiste una mera connessione genetica, non proiettabile sul piano processuale. Alla luce degli argomenti sopra sintetizzati l’A.p., assorbito il terzo quesito, espone il seguente principio di diritto: «la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva».

Matteo Palma

PhD student in Public, International and EU (curriculum Administrative Law) at the University of Milan