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L’articolo ripercorre l’evoluzione della legislazione italiana relativa alle concessioni demaniali marittime: dal regime transitorio delle proroghe ex lege delle concessioni in essere, adottato sin dagli anni ’90 dal nostro legislatore, sino all’ultimo provvedimento di proroga, valevole sino al 2033, e tenendo conto anche delle prese di posizione in materia della Commissione europea. Si analizza poi la natura e le molteplici funzioni svolte delle concessioni demaniali marittime per usi turistico-ricreativi e, sulla scorta di tale indagine, si indica quali dovrebbero essere gli obiettivi ed i contenuti della emananda riforma organica del settore, finalizzata ad adeguare l’ordinamento interno alla disciplina europea della concorrenza. In particolare, si sottolinea la necessità che la predetta riforma preveda, oltre all’obbligo, per l’amministrazione pubblica, di assegnare le concessioni mediante gara, anche il diritto all’indennizzo dei gestori uscenti e si individuano, altresì, gli effetti pregiudizievoli che tale misura riparatoria dovrebbe ristorare per essere davvero equa, satisfattiva e conforme ai principi di derivazione eurounitaria. Si segnala, inoltre, l’esigenza di procedere ad una integrale revisione dei criteri per la determinazione dei canoni concessori, introducendo il principio di corrispettività, al fine di garantire un sistema effettivamente concorrenziale, efficiente ed economicamente sostenibile per lo Stato.

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Il Consiglio di Stato francese ha deliberato che il pericolo che, attualmente, minaccia la sicurezza nazionale, giustifica la conservazione dei dati. Inoltre, il Giudice amministrativo ha stabilito che la possibilità di accedere ai dati di connessione per contrastare forme di criminalità grave non solo risponde, oggi, ai requisiti costituzionali inerenti la prevenzione delle violazioni della legge penale, ma consente pure il tracciamento di soggetti responsabili della commissione di reati. Dopo aver sindacato la conformità delle norme interne in materia di conservazione dei dati di connessione rispetto al diritto dell’Unione europea, e aver stabilito che il recepimento di quest’ultimo (così come interpretato dalla Corte di Giustizia) non pone a rischio le previsioni costituzionali in tema di salvaguardia della sicurezza, il Consiglio di Stato francese stabilisce però che il Governo è tenuto a rivalutare con regolarità l’esistenza di una minaccia nei confronti della sicurezza nazionale tale da giustificare la conservazione generalizzata dei dati, e, di conseguenza, deve sottoporre alla valutazione di una Autorità indipendente la possibilità di continuare a utilizzare, da parte dei servizi di intelligence, a fini investigativi e probatori gli stessi dati.

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L’autocertificazione è uno dei principali strumenti finalizzati alla semplificazione amministrativa e, in particolare, alla sburocratizzazione del rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadini, in quanto finalizzata alla riduzione degli oneri a carico dei cittadini. La materia, che negli anni è stata oggetto di numerose modifiche legislative, in Italia è stata, di recente, profondamente innovata dalle misure adottate a seguito della situazione di emergenza causata dal Coronavirus, che hanno esteso l’ambito di applicazione del principio anche ai rapporti tra privati. Nonostante i numerosi cambiamenti normativi, tuttavia, la potenziale semplificazione che dovrebbe derivare dall’autocertificazione è ancora fortemente limitata in Italia. Si vedrà quindi come l’autocertificazione – strumento nato per alleggerire l’onere burocratico sui cittadini – invece di rappresentare l’equilibrio tra garanzia, controllo e semplificazione, in alcuni casi abbia prodotto nuovi e pesanti oneri burocratici a danno dei privati, deviando totalmente dallo scopo per il quale l’istituto stesso sarebbe destinato.

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La sfiducia nella scienza e la diffusione di teorie pseudoscientifiche risulta essere uno dei principali fattori che nelle moderne democrazie occidentali minaccia la libertà della scienza. Nell’articolo è posto in evidenza come con la pandemia da CoVid-19 tale pericolo potrebbe addirittura incrementare, anche in ragione di taluni comportamenti assunti dai membri della stessa comunità scientifica. Nel presente lavoro si è quindi cercato di riflettere su quali possano essere le strategie di azione, specie all’interno della comunità scientifica, più idonee a contrastare una tale tendenza e si è sottolineato come in ogni caso, quale che sia la soluzione prediletta, la lotta alla pseudoscienza risulti imporre l’avvio di una seria riflessione sul problema della “demarcazione”, ossia su un classico tema della filosofia della scienza, che è stato però fortemente trascurato negli ultimi decenni.

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Il lavoro, partendo dall’esame del danno ambientale e dalla rilevanza economico dello stesso in relazione alle funzioni ambientali danneggiate, si prefigge di analizzare, così come disciplinato nell’ordinamento francese, la sottocategoria del pregiudizio ecologico. Quest’ultimo, che può essere soggettivo laddove danneggi l’uomo – inteso sia come singolo che come collettività – oppure oggettivo nel caso in cui deteriori la natura, pone rilevanti interrogativi circa le modalità di riparazione del danno. Iniziando dal caso “Erika”, in cui per la prima volta è stata riconosciuta l’esistenza del “pregiudizio ecologico puro”, vengono analizzati gli sviluppi normativi del pregiudizio ecologico a partire dalla trasposizione nel diritto interno francese della Direttiva 2004/35 sino alla legge del 2016 per la riconquista della biodiversità. Infine, con brevi cenni alle soluzioni intraprese in altri ordinamenti nazionali, si tratteggiano, cercando di metterne in luce gli aspetti maggiormente controversi, le tre modalità di riparazione introdotte dalla legge del 2016: primaria, complementare e compensatoria.

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Il contributo delinea le caratteristiche della comunicazione della Banca centrale europea (BCE) dalla sua fondazione ad oggi, con un’attenzione specifica alle attività poste in essere durante la presidenza di Mario Draghi. A partire da alcuni cenni storici sulla comunicazione delle banche centrali, ne vengono esaminate le ragioni, i gradi e i possibili problemi. Vengono poi delineati i soggetti che si fanno carico della comunicazione, “chi comunica”, e i contenuti che vengono veicolati, “cosa si comunica”, nonché gli effetti della comunicazione e il suo rapporto con i temi della trasparenza e dell’accountability. Per quanto concerne specificamente la Banca centrale europea, viene altresì offerto un approfondimento su quanto contenuto in tema di comunicazione nei Rapporti annuali dal 1998 al 2019. Infine, alla luce di quanto ricostruito circa la comunicazione delle banche centrali e in particolare della BCE guidata da Mario Draghi, vengono delineate alcune deduzioni circa la comunicazione del Governo Draghi.

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Alla luce di un ordinamento dell’Unione Europea sempre più diversificato e complesso, le amministrazioni degli Stati membri sono chiamate a compiere un costante sforzo di adeguamento. La gamma degli interventi richiesti in sede di trasposizione del diritto dell’Unione Europe spazia, nelle diverse prassi nazionali, da adattamenti puntuali a un sostanziale ripensamento delle regole procedurali e organizzative. L’ “europeizzazione” dei diritti nazionali assume quindi innumerevoli connotazioni che variano tipologicamente dalle modifiche direttamente riconducibili al diritto sovranazionale a quelle che assimilano nell’ordinamento interno le trasformazioni indotte dall’integrazione europea pur in assenza di una specifica prescrizione normativa. L’analisi, effettuata nell’ambito del progetto di ricerca recentemente conclusosi al German Research Institute of Public Administration (Speyer) sull’ “europeizzazione e internazionalizzazione delle amministrazioni nazionali in chiave comparata”, esamina, prendendo a paradigma la trasposizione delle direttive in materia ambientale, le diverse strategie di implementazione messe in atto dagli Stati membri dell’UE. I risultati di questo studio comparato mostrano un quadro eterogeneo e difficilmente riconducibile ad un modello comune di implementazione.

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L’incessante produzione normativa per la gestione dell’emergenza pandemica costituisce un interessante banco di prova per verificare la tenuta del nostro sistema tradizionale di tutela degli interessi generali che si identifica nel binomio legge generale, astratta e durevole nel tempo, da un lato, e provvedimento amministrativo tipico e puntuale, dall’altro. Le ordinanze di necessità e urgenza rivestono valore fortemente simbolico e carattere emblematico, perché mostrano un problematico rapporto tra diritto e potere. Per trovare un punto d’equilibrio tra regola ed eccezione occorre raffinare la tecnica del ricorso ai principi generali (principio di leale collaborazione, principio di supremazia dello Stato, principio di sussidiarietà, principio di ragionevolezza, principio di proporzionalità, principio di precauzione e principio di solidarietà). Gli eccessi -di centralismo, di regionalismo, di autoritarismo, di individualismo- sono sempre pericolosi.

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Questo articolo indaga le diverse e molteplici ripercussioni della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR), che potrebbero influenzare la libertà dell'attività di ricerca scientifica, influenzandone metodi, oggetto, grado di approfondimento e canali di diffusione. Il contributo distingue tra gli effetti che influenzano le istituzioni e i dipartimenti nel loro insieme e gli effetti che influenzano direttamente gli autori dei prodotti di ricerca valutati. L'analisi si concentra poi in particolare sul rapporto tra i risultati della VQR e la classificazione delle riviste scientifiche di classe A in Italia, evidenziando i potenziali effetti distorsivi sia in termini di maggiore o minore accessibilità alle riviste di classe A da parte dei contributi da autori che non partecipano alla VQR, e in termini di temi di ricerca.

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I campi nei quali l’Unione Europea opera tramite la cd. esecuzione diretta sono in costante aumento e le questioni concernenti le conseguenze dei vizi procedurali stanno acquisendo una rilevanza sempre maggiore. Dallo studio della giurisprudenza sembra emergere che vi sono ipotesi in cui a fronte di vizi nelle procedure amministrative i giudici tendano a dichiarare l’irrilevanza degli errori, o ritengano gli stessi passibili di correzione. Con il presente contributo si procederà ad una analisi della giurisprudenza europea avente ad oggetto la valutazione di irrilevanza ovvero la correzione delle violazioni delle norme procedimentali. Nelle valutazioni effettuate dalle Corti, esse tendono a valutare: se il provvedimento oggetto di impugnazione esiti allo svolgimento di attività vincolata o discrezionale e quale sia il suo contenuto sostanziale; quale sia il significato, “il peso”, della norma violata e quanto effettivamente grave sia la violazione fonte del vizio procedurale; se le conseguenze degli errori “rendano effettivamente giustizia” a tutti gli interessi coinvolti nella procedura amministrativa e, infine, quali ripercussioni possano produrre le proprie decisioni sugli errori procedurali sulle ulteriori e future, decisioni dell’amministrazione. La comparazione tra le soluzioni individuate dalla Corti europee e quelle previste in alcuni degli Stati membri mostra che gli organi giurisdizionali dell’UE non si ispirano ad un modello specifico, ma tendono a rifarsi a criteri simili a quelli adottati nei vari Paesi aderenti all’Unione.

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