La legge pandemia belga e la HERA europea: legalità ed efficienza nell’emergenza Covid

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2/2022

La legge pandemia belga e la HERA europea: legalità ed efficienza nell’emergenza Covid

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Il contributo evidenzia due diversi approcci nella risposta all’emergenza pandemica. L’A. si concentra sulla “Legge Pandemia” adottata dal Belgio per garantire un quadro legale organico all’interno del quale collocare le azioni amministrative di contrasto alla pandemia. Successivamente, invece, analizza la creazione di una nuova autorità amministrativa nell’ambito dell’Unione europea.


Belgian pandemic law and European HERA: legality and efficiency in the Covid emergency
This contribution analyses two different approaches in responding to the pandemic emergency. The author focuses on the 'Pandemic Law' adopted by Belgium to ensure a comprehensive legal framework for administrative action against the pandemic. He then analyses the creation of a new administrative authority within the European Union.

1. Introduzione

L’emergenza Covid-19 ha messo in luce l’importanza di trovare il punto di equilibrio tra ruolo della scienza nel precisare la situazione di pericolo, il ruolo della politica nell’assumere le decisioni, e il ruolo dell’amministrazione come responsabile della gestione delle decisioni[1]. Gli interventi pubblici in periodo di emergenza sanitaria (Covid) sono stati messi spesso in dubbio

  • sovente sul piano della loro legalità
  • talvolta sul piano della loro efficienza.

In questo contributo si prendono in esame due «soluzioni» adottate per questi due problemi:

  • la «legge pandemia» del Belgio
  • una nuova autorità amministrativa (HERA) per l’Unione europea.

2. La “Legge Pandemia” del Belgio

Quando nei media, nelle comunicazioni politiche, nei seminari accademici si usa la parola “Bruxelles” (come soggetto, oppure preceduta da una preposizione) s’intende l’Unione Europea, o più in generale (benché erroneamente) l’Europa, allo stesso modo in cui in Italia si usa “Palazzo Chigi” per Governo, “Quirinale” per Presidente, oppure negli USA “Casa Bianca” per Presidente americano, e così via di seguito per Matignon, Moncloa, Downing Street, Cremlino eccetera. Ci si dimentica che Bruxelles (dove io vivo da oltre trent’anni) è una città particolarmente interessante[2] capitale del Belgio, un paese la cui Costituzione del 1831 fu un punto di riferimento per tanti Stati del continente, inclusa la nascitura Italia. Eppure, è difficile trovare un saggio, un commento, un’analisi che abbiano come oggetto esperienze di questo paese, anche quando sono particolarmente importanti: ebbene, questa volta m’incarico io di mettere al centro dell’attenzione un’importante esperienza belga, che non esito a definire “faro”, nella speranza di suscitare delle ricerche più approfondite[3]. Si tratta dell’adozione della cosiddetta “Legge Pandemia” adottata nell’agosto 2021, con la quale il Belgio è stato il primo (forse l’unico) Paese che ha avuto come principale preoccupazione quella di costruire un quadro legale chiaro e garante della democrazia in situazione di emergenza sanitaria.

Infatti, come per gli attentati terroristici così gli interventi per contrastare il Covid incidono su un aspetto fondamentale della nostra democrazia: l’equilibrio (fragile) tra libertà e sicurezza. In genere, il rafforzamento della sicurezza si fa a detrimento della libertà, anzi delle libertà (al plurale): anche se le misure sono adottate con la specificazione che saranno limitate nel tempo, è lecito temere che questa “temporaneità” possa essere in verità molto lunga e anche che potrebbe essere irreversibile. Inoltre, con le nuove tecnologie il rischio più grande si trova nella capacità di raccogliere a fini di sicurezza o di tutela della salute i dati personali delle persone, ormai possibile su larga scala (nei due sensi, dei dati raccolti e delle persone coinvolte): il che contrasta con il diritto fondamentale della tutela della privacy, dell’intimità, della confidenzialità. In linea generale i due referenti che dovrebbero impedire una deviazione dai giusti principi sono, da un lato, la decisione del Parlamento su quello che è possibile fare, perché questo implica un dibattito pubblico e trasparente; e, dall’altro lato, che ci sia un’autorità indipendente che controlli l’effettiva applicazione delle decisioni, perché questo evita che tutto il potere sia concentrato nelle mani dell’esecutivo. Fin quando lo Stato agisce nella legalità, in base alla legge, non c’è la percezione del pericolo di deriva autoritaria.

È per questo che gli interventi pubblici in periodo di emergenza sanitaria (Covid) sono stati messi spesso in dubbio sul piano della loro legalità. Il Belgio è il primo paese a dotarsi di una legge organica per far fronte, in futuro, a situazioni come quella vissuta col Covid-19 e evitare una conflittualità giuridica permanente (o latente). Molte sono state, in questo paese, le occasioni d’intervento sul piano giuridico e più precisamente giurisdizionale. Qualche esempio. Il tribunale di Liegi ha dichiarato illegale il copri-fuoco “allargato” rispetto a quello nazionale adottato nelle province della Regione vallone. Il tribunale di Bruxelles ha giudicato illegale la chiusura dei ristoranti e le sanzioni penali previste: il giudice riteneva il ministro dell’Interno non abilitato a prendere tali misure. In appello il giudice ha ritenuto che le basi legali fossero sufficienti, ma che necessitavano di una verifica sulla loro costituzionalità. Il giudice del tribunale di Namur ha invece dichiarato illegale l’utilizzazione del Covid Safe Ticket (insomma, il Green Pass) e la sua obbligatorietà, da un punto di vista della protezione dei dati. E così via.

Tutto questo ha accelerato la spinta verso l’adozione di una legge quadro per situazioni come quella del Covid, ma ci è voluto un po’ di tempo, parecchi mesi: la necessità di avere un dibattito politico ampio e trasparente in sede parlamentare e la necessità di avere un parere chiaro e preciso del Consiglio di Stato, che è intervenuto ben quattro volte, erano le ragioni della relativa lungaggine.

Alla fine la legge è stata adottata il 14 agosto 2021 e pubblicata il 20 agosto[4]: in sostanza la legge prevede che il Governo federale può adottare misure di “polizia amministrativa” in caso di situazione di urgenza epidemica. Con questa espressione si intende una minaccia grave, esistente o potenziale, dovuta alla presenza di un agente infettivo nell’uomo:

  • che colpisce o può colpire un grande numero di persone nel paese incidendo gravemente sulla loro salute
  • che ha come conseguenza un grave sovraccarico nel settore dei servizi alla salute, che devono essere rafforzati e sostenuti
  • che richiede la distribuzione massiva di medicine e altri dispositivi medici di protezione individuale
  • che implica la necessità di far intervenire e coordinare specialisti competenti
  • e che è riconosciuta come situazione d’emergenza a livello internazionale (OMS) o di Unione europea.

A me pare che questa definizione dettagliata e soprattutto precisa abbia un grandissimo pregio, quello di stabilire esattamente in quali circostanze ci si possa considerare in emergenza, non lasciando quindi grande discrezionalità all’esecutivo nel decidere di dichiarare lo stato di emergenza.

Le misure di “polizia amministrativa” dice la legge devono essere:

  • necessarie
  • adeguate
  • proporzionate all’obiettivo
  • e adottate con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri.

Anche in questo caso io vedo un grande pregio della normativa nel limitare il potere di azione: nel definirle necessarie, adeguate e proporzionate all’obiettivo la legge impone una valutazione attenta prima dell’azione e, d’altro lato, offre i parametri per giudicare senza grande discrezionalità sul piano giurisdizionale.

Queste misure possono essere di condizionamento, o limitazione, o chiusura, o divieto di attività produttive, luoghi di accesso pubblico, vendita di beni e servizi, assembramenti, spostamenti, modalità di lavoro ecc.

Anche le autorità locali possono adottare delle misure “rafforzate” rispetto a quelle nazionali, previa concertazione a livello federale (salvo urgenza). Si può anche arrivare a requisire le persone, ma è necessario un decreto nazionale che lo autorizzi.

La “legge pandemia” ha carattere repressivo: delle ammende o condanne penali possono essere impartite secondo la gravità della situazione, tuttavia le condanne saranno eliminate dal casellario giudiziale dopo tre anni.

La legge è stata adottata per dare una solida base sia giuridica sia organizzativa in situazioni simili a quella che stiamo vivendo ormai da più di due anni[5].

La HERA (Health Emergency Preparedness and Response Authority) dell’Unione europea.

Anche l’UE ha messo in opera un dispositivo destinato a preparare l’Europa per affrontare le prossime pandemie, la HERA[6]: tassello strategico nel progetto di una “Europa della Salute” (esistono già l’EMA, medicine, e l’ECDC, prevenzione e controllo delle malattie). Ma a differenza della legge quadro belga, qui si tratta di una soluzione all’interno dell’amministrazione, una soluzione di tipo operativo finalizzata a rendere più “efficaci e efficienti” gli interventi dell’Unione.

La nuova struttura si basa su due pilastri:

  • la prevenzione, che mira a rendere l’UE in grado di prevenire, individuare e contrastare nuove crisi sanitarie: valutazione della situazione, modelli di previsione, sostegno alla ricerca, scambio di dati e informazioni, orientamento dell’industria del settore
  • l’urgenza, che mira ad assicurare lo sviluppo, l’approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione dei trattamenti sanitari necessari: decisioni rapide, attivazione immediata dei fondi per l’urgenza, negoziazione per l’acquisizione di medicinali e materiali.

Amministrativamente è una struttura interna della Commissione, che lavorerà in contatto con le agenzie specializzate, le imprese e i partners internazionali. Il Consiglio di HERA è composto da rappresentanti della Commissione e da rappresentanti degli Stati Membri. Il PE è solo osservatore, cosa che ha fatto insorgere critiche sulla mancanza di un controllo parlamentare più serrato, incluso sui finanziamenti che ammontano a 6 miliardi di euro su sei anni. La “governance” globale include: il Consiglio, il Network e l’Advisory Forum, più un Consiglio di Crisi se la pandemia è in corso.

Il principio di precauzione

Ecco cosa hanno in comune le due risposte di Belgio e UE appena descritte:

  • la volontà di porre una chiara base legale
  • la volontà di preparare l’amministrazione
  • la volontà di agire con precauzione.

Ed infatti il principio di precauzione è uno dei fattori chiave nella lettura dell’intervento pubblico in (questo) periodo di emergenza[7]. Tale principio si caratterizza per la sua flessibilità, che però contiene un rischio di friabilità, quindi è necessario riportarlo a unità pur nella molteplicità degli elementi. Il principio di precauzione richiede l’adozione della prudenza e della prevenzione. Il principio di precauzione significa la capacità di anticipazione dei rischi, che devono essere oggettivi e concreti (non supposti). Ciò richiede:

  • la valutazione da parte degli esperti
  • la valutazione da parte dei decisori

in entrambi i casi c’è bisogno di considerare l’incertezza che esiste. Esempi della nostra epoca sono la Protezione dell’ambiente, la Protezione della salute pubblica, lo Sviluppo sostenibile.

Quanto alla valutazione di carattere scientifico è necessario:

  • per gli esperti: una chiara separazione tra esperti e decisori, la loro interazione può mettere in gioco la validità dell’azione. La separazione dev’essere sia funzionale sia istituzionale
  • per gli esperti: chiara indipendenza, inclusa la trasparenza nella dichiarazione di interessi e nel finanziamento delle loro attività
  • per l’expertise: trasparenza nel processo di analisi.

Quanto alla presa in conto della valutazione scientifica è necessario

  • per l’obbligo di diligenza: esame dell’expertise
  • per l’obbligo di motivazione: considerazione degli elementi scientifici
  • per la proporzionalità: valutazione di condizioni e impatto
  • e ovviamente il bilancio costi e benefici.

Secondo Alessandra Donati[8], nella gestione del Covid-19 c’è stata cattiva e tardiva applicazione del principio di precauzione, nonostante sia il principio evocato per prendere le misure restrittive adottate dalle autorità: dopo i segnali chiari della situazione in Cina, si è piuttosto atteso che il virus circolasse prima di prendere delle misure e cercare di anticipare, cosicché mancanze di mascherine e di materiali per il settore sanitario, difficoltà nei test hanno caratterizzato la prima parte della prima ondata. Ma anche nella seconda ondata (ottobre 2020) ci sono stati ritardi dovuti alla speranza che con l’estate il virus si ritirasse. Insomma, la precauzione come anticipazione non sarebbe stata un grande successo e ha così portato all’urgenza.

Il ruolo della “Scienza” tra politica e amministrazione

Sulla base di tutti gli elementi offerti nei paragrafi precedenti (Legge Pandemia belga, HERA, principio di precauzione) qualche riflessione s’impone sul ruolo degli esperti e della scienza in generale. È vero che il Covid-19 ha moltiplicato per mille la necessità di collaborazione fra esperti e politici, collaborazione che c’è sempre stata ma in tono moderato, mentre in questo caso è emersa come essenziale e permanente, qualcuno sostiene “forzata”. Ciò ha creato tensioni e accuse reciproche di non comprensione. Dopo due anni di misure duramente restrittive, come mai sono state prese dopo la seconda guerra mondiale, il politico considera che il modello del confinamento non regge più, la gente riduce progressivamente il rispetto delle regole restrittive e alimenta il proprio sconcerto o sconforto, con l’effetto di ridurre la fiducia verso le istituzioni. Credo in realtà che abbiamo assistito ad un fenomeno di grande disponibilità da parte dei cittadini ad accogliere le (dure) misure adottate dal pubblico potere; ma questa disponibilità evolve con l’evolvere della situazione e il passare del tempo, anch’esso fattore determinante. Il politico decide sulla base dei suoi valori, della congiuntura, della sua posizione politica, ma anche delle conseguenze psicologiche, economiche, sociali, senza contare l’attenzione all’elettorato, e così via.

Questo ragionamento però porta al rischio di dividere i politici, che si dichiarano più flessibili, dagli esperti, che sono definiti rigidi: alla fine si scarica su questi ultimi la responsabilità di scelte cui si oppongono le categorie sociali interessate. Le cose si complicano nella comunicazione: purtroppo abbiamo assistito e assistiamo a una grande confusione nella comunicazione, sia attraverso i media tradizionali sia attraverso le nuove tecnologie, con un accavallarsi di messaggi sia da parte degli esperti sia da parte dei politici, che crea (ha creato) grandissimo disorientamento. Questo aspetto determina conflittualità e incomprensione nella relazione tra esperti e politici.

Gli esperti sostengono, da parte loro, che i dati sono quelli che sono, che il loro ruolo è di comunicarli ai politici e ai cittadini, anche se non piacciono. Il ruolo dello scienziato, dell’esperto, nel chiarire al politico gli aspetti tecnici di un dossier, sulla base delle conoscenze recenti è un fatto accertato e accettato. Il problema sorge quando l’esperto si sostituisce al politico nella decisione: la storia mostra che questa confusione è estremamente deleteria[9]. Ormai sono molti i settori dove il politico ha bisogno dell’esperto, dello scienziato per avere gli elementi necessari a una decisione: per esempio ricorso all’energia nucleare, inquinamento, cambiamento climatico, ecc.

È ben vero che il ricorso alla scienza non può essere un dogma, uno” scientismo”, anche perché il carattere della scienza è il dubbio e la ricerca. Eppure, il politico si ritrova a far ricorso alla scienza per uscire dall’imbarazzo in cui si trova nel non sapere cosa fare, impantanato davanti a un nemico sconosciuto. Oppure fa ricorso alla scienza per approfittarne e rinforzare le sue capacità di controllo sugli individui, quella che Michel Foucault chiamava la “biopolitica”: per alcuni è quello che accade in emergenza Covid[10].

Il grande scienziato Axel Kahn ci ha ricordato che la “Scienza” non è mai stata il Bene in sé: se Socrate affermava che la Verità della Scienza portava al Progresso e al Bene, Protagora sosteneva che il Bene si può raggiungere solo con un insegnamento di ordine morale[11]. Sebbene abbiamo certo bisogno della Scienza, questa non può essere senza la giustizia, l’attenzione per il prossimo, la prudenza. La Scienza non conduce necessariamente al Bene, anzi può condurre al Male. Secondo alcuni osservatori siamo in presenza di un incremento della diffidenza e anche della sfiducia nei confronti della Scienza[12]: è un fenomeno che comincia già con la Seconda Guerra Mondiale, quando la scienza ha messo a disposizione strumenti distruttivi, incluse le bombe atomiche lanciate sul Giappone. Oggi il fatto che i prodotti della scienza siano all’origine dell’inquinamento e del riscaldamento climatico, ha rafforzato l’atteggiamento negativo: ci si chiede se lo scienziato che sviluppa nuove tecnologie per un’impresa che le commercializza lavora per l’interesse pubblico o per gli azionisti dell’impresa? O ancora se lo scienziato che mette a punto armi distruttive molto sofisticate, lavora per un gruppo industriale o per uno Stato, se fa l’interesse dell’umanità? Tuttavia, ci ricorda ancora Kahn, la Scienza trova spesso le soluzioni per risolvere grossi problemi, come quelli derivanti dalla pandemia Covid-19.

La Scienza evolve con una rapidità prodigiosa, molto più rapidamente delle mentalità, dei modi di vedere le cose, o più in generale della saggezza che invece evolve molto lentamente. Su tale gap evolutivo si discute molto. La scienziata (“molto mediatizzata”, parole sue) Ilaria Capua ha messo in luce la mancanza di saggezza nella società sostenendo[13] che è “surreale” che le soluzioni salvifiche contro la pandemia, che pure ci sono, siano ignorate o rifiutate da cento milioni di europei: questo mostra, secondo la scienziata, che nel futuro tutte le soluzioni vanno cercate in una stretta collaborazione delle scienze naturali e biomediche con le scienze sociali, cioè c’è bisogno di una più ampia permeabilità delle discipline umanistiche in generale. La pandemia Covid ha infatti dimostrato che la complessità dei problemi creati dalla pandemia richiede un approccio multidisciplinare: se c’è un rifiuto delle soluzioni scientifiche, quelle soluzioni non funzionano.

La stessa preoccupazione sulla mancanza di saggezza emerge in altre forme, come nel caso del film Don’t Look Up[14], che denuncia il fatto che la scienza, gli scienziati sono inascoltati anche di fronte a minacce globali distruttive per il nostro pianeta, a causa della combinazione degli interessi fra affari e politica, che sollecitano creduloni e complottismi. Il film parla di una cometa in rotta di collisione con la Terra, ma è un’allegoria sulla crisi ambientale: il punto essenziale del film è che l’opinione pubblica è distratta dalla verità, gli scienziati avvisano dei rischi ma non li ascoltiamo. L’ispirazione cinematografica viene dagli scienziati ambientali che cercano di comunicare l’urgenza dell’argomento, ma sono relegati tra le notizie meno importanti.

Qualche riflessione conclusiva (o piuttosto di passaggio)[15]

Cosa possiamo trarre dall’analisi fin qui proposta? A me pare che ci siano spunti per una riflessione non occasionale ma piuttosto di prospettiva: più che concludere mi pare che si possa imboccare il sentiero di un lungo cammino per contribuire a fare tesoro dell’esperienza Covid in maniera solida e nel lungo periodo. Forse, anche per alimentare quella saggezza di cui c’è bisogno e che probabilmente è il giusto miscuglio di adattabilità e lungimiranza, basate sull’esperienza pratica.

In primo luogo bisogna costatare che la pressione dell’emergenza non impedisce alla società e ai destinatari delle misure pubbliche di essere reattivi: nelle nostre democrazie liberali il perno del sistema è l’individuo con i suoi diritti, non lo Stato che invece ha dei poteri ben definiti e limitati di fronte all’individuo e questo si fa sentire. Nei (fin qui) oltre due anni di pandemia non sono mancate le critiche all’azione dei pubblici poteri, sia sul piano giuridico per via giurisdizionale, sia sul piano dell’attuazione. Come si è visto, ci sono state due risposte interessanti, dal Belgio e dalla UE, ai problemi sollevati sul piano della legalità e sul piano dell’efficacia degli interventi: una legge quadro e un’autorità amministrativa. A me pare che siano due casi di benchmark cui altri soggetti possono riferirsi, anzi direi che i due esempi dovrebbero essere fusi in un unico approccio contestuale che agisca su regole e amministrazione.

In secondo luogo mi pare che si dovrebbe porre una più grande attenzione al principio di precauzione nella definizione dell’azione dei pubblici poteri, politico o amministrativo che sia: forse, infatti, si tratta di un principio molto valorizzato sul piano teorico, ma molto meno sul piano pratico. Il livello di precauzione che c’è stato e, con esso, il livello di proporzionalità delle misure adottate meriterebbero, secondo me, un’analisi approfondita ex-post al fine di migliorare il futuro: nessun intento polemico o aprioristico dovrebbe caratterizzare una siffatta analisi perfettamente tecnica.

In terzo luogo, mi pare che il fenomeno della presenza degli esperti nella gestione della cosa pubblica sia emerso in maniera eclatante: un loro ruolo è sempre esistito, ma ora appare chiaro che il peso è molto superiore che nel passato. E non solo in situazioni di emergenza pandemica, ma anche in politiche fondamentali come l’inquinamento, il clima, lo sviluppo sostenibile, l’energia e altro ancora. Appare chiaro che molti sono i nodi da sciogliere su questo aspetto: diffidenza e fiducia verso la scienza, la chiara definizione del soggetto decisore, i conflitti nella comunicazione, la manipolazione.

Infine, per quanto riguarda il ruolo dei decisori, mi pare che emerga senza dubbio che la responsabilità della decisione sul da farsi ricade interamente sul livello politico che deve agire in maniera trasparente. Il livello politico deve però: a) adottare un atteggiamento cauto ma lungimirante; b) tener conto degli input degli esperti; c) attrezzarsi adeguatamente per l’attuazione delle decisioni. Ed è proprio su quest’ultimo punto che mi pare opportuno chiudere la presente riflessione: la gestione dell’attuazione appartiene all’amministrazione pubblica che offre i suoi servizi ai cittadini, ma offre i suoi servizi anche ai decisori nella preparazione delle decisioni da adottare. Quello che la “gestione” dell’emergenza Covid ha chiaramente messo in luce è che all’amministrazione pubblica si chiede qualcosa in più della tradizionale attività attuativa: – valutare, filtrare, adattare le informazioni (della scienza) e proporre (alla politica) un equilibrio sulla base delle necessità; – applicare le imposizioni, motivare le decisioni, favorire la fiducia, costruire la resilienza; – garantire il funzionamento della macchina democratica in tutti i suoi aspetti. In tale contesto l’adattabilità (non solo la flessibilità) dell’organizzazione amministrativa è la chiave di volta dell’intera costruzione.

  1. Si tratta, come è evidente, di una triangolazione che si ispira a Max Weber, cui ho fatto un riferimento più approfondito nei miei lavori G. Vilella, The European Parliament Administration facing the Challenge of eDemocracy, p. 103 ss. (2021) e Being Europeans in Times of Covid, p. 23 ss. (2022), entrambi editi da European Press Academic Publishing, Florence. Tuttavia sul tema qui affrontato si può andare ben al di là del mio approccio weberiano, ed è quello che fa riferendosi ad altri grandi pensatori M. Ramajoli, La gestione dell’emergenza pandemica tra Schmitt e Kelsen, in CERIDAP, n. 2, 2021, p. 99.
  2. Sui caratteri “eccezionali” di Bruxelles vedi G. Vilella, Aurora. Una geografia umanista, Pendragon, Bologna, 2021, pag. 189-190.
  3. In verità, di recente (febbraio 2022) il Belgio ha sorpreso tutti con un’altra azione, che è la firma di un accordo tra governo e parti sociali per l’instaurazione della settimana lavorativa di quattro giorni: anche in questo caso il Belgio, pur in una difficile situazione di crisi sanitaria, ha deciso di uscire dalla buia situazione del lavoro con un salto di qualità in avanti del tutto inaspettato, cui nessuno più pensava in Europa. Spero di tornare a breve sul tema.
  4. Loi relative aux mesures de police administrative lors d’une situation d’urgence épidémique, Moniteur belge, Legislation, 20 Août 2021.
  5. Questo articolo non ha finalità comparative, tuttavia vale la pena ricordare che ovviamente l’Italia ha agito nel rispetto della legalità, ma non sulla base di una legge quadro organica: in Italia si è innanzitutto fatto ricorso agli strumenti già a disposizione (come per esempio, ma non solo, il D.Lgs. 2 gennaio 2018 n. 1 sulla Protezione Civile o il D. Lgs. N. 112 del 1998 in materia sanitaria) poi si è fatto ricorso all’emanazione di decreti legge (fra i più importanti, ma non i soli, il n. 6 e il n. 10 del 2020): bisogna dire che la Corte Costituzionale italiana è stata determinante nel legittimare l’azione statale. Ma non si è sentito il bisogno di lavorare su una legge quadro.
  6. COMMISSION DECISION of 16.9.2021 establishing the Health Emergency Preparedness and Response Authority, Brussels, 16.9.2021 C(2021) 6712 final.
  7. Il paragrafo che segue è interamente ispirato dall’ottimo lavoro di A. Donati, Le Principe de Précaution en Droit de l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2021.
  8. A. Donati, Le Principe de Précaution etc., ult. cit.
  9. H. Deleersijder, Les grandes épidémies dans l’Histoire, Mardaga, 2021.
  10. B. Feltz, La science et le vivant. Philosophie des sciences et modernité, De Boeck/Albin Michel, Paris, 2014.
  11. A. Kahn, Et le bien dans tout ça?, Stock, Paris, 2021.
  12. Sugli effetti di tale diffidenza, siano essi semplici rischi o invece effetti voluti da qualcuno, vedi L. Del Corona, Distrust in science as a threat to scientific freedom. Some considerations in light of CoVid-19 emergency, in CERIDAP, n. 2, 2021, p.1.
  13. Sul Corriere della Sera del 8 dicembre 2021. Tuttavia è importante leggere il suo libro I. Capua, Il dopo, Mondadori, Milano, 2020.
  14. USA, 2021, Regia: Adam McKay
  15. Il tema di questo articolo ha occupato una grande parte del Laboratorio da me diretto presso l’Università degli Studi di Milano, dal 4 al 8 aprile 2022 inclusi, il cui titolo era “Amministrazione e gestione dell’emergenza”. Per quanto inusuale, voglio qui ringraziare sia gli ospiti che hanno animato numerosi dibattiti (N. Pasini, M.E. Borrelli, M. Fratter, S. D’Ancona, G. Babini, P. Sabbatucci) sia gli studenti partecipanti, che hanno arricchito il dibattito con i loro interventi e le loro presentazioni (C. Bellanca, A. El Makhour, A. Marchetti, F. Ancona, M. Olivieri, A. Parisi, L. Parodi, M. Quadraruopolo, M. Lazzeri, A. Piselli, M. Pasti, S. D’Elia, P. Pique, G. Calà Lesina, F. Neli Kotupilagoda Loku, V. Assero). Infatti, grazie ai risultati del laboratorio ho potuto successivamente aggiustare alcuni passaggi dell’articolo e ricalibrarlo tutto.

Giancarlo Vilella

Professore a contratto nell'Università degli Studi di Milano e nell'Università Politecnica delle Marche, già Direttore Generale del Directorate-General for Innovation and Technological Support del Parlamento europeo