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Il presente contributo analizza in chiave critica la disciplina europea dell’appalto congiunto transfrontaliero, un istituto giuridico volto a raggiungere l’interesse pubblico grazie al soddisfacimento (transfrontaliero) dei fabbisogni di amministrazioni pubbliche dislocate nei vari Paesi membri. Obiettivo, tuttavia, che pare (almeno parzialmente) contraddetto dall’alto livello di complessità della norma e della sua attuazione. Aspetto che, unitamente alla presenza di fattori critici sul piano concreto, conduce le amministrazioni aggiudicatrici a preferire il ricorso ad altre procedure di affidamento.

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La Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS) rappresenta un percorso partecipativo multidisciplinare finalizzato a consentire ai decisori pubblici di acquisire le conoscenze sugli effetti che politiche, piani, programmi e progetti possono avere sulla salute della collettività. Negli ultimi anni, nell’ordinamento italiano, lo strumento ha trovato ripetute applicazioni, con diverse varianti terminologiche, in ambito regionale e comunque ad un livello amministrativo. Sul piano normativo nazionale, invece, l’istituto ha trovato riconoscimento in una serie di recenti novelle al testo unico delle norme di protezione ambientale, con specifico riguardo alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale e attraverso una configurazione che appare distante dal modello internazionale dell’Health Impact Assessment (HIA) e che invece dispiega i suoi effetti lungo due ridotte traiettorie: onerare il privato dell’istruttoria sugli specifici impatti sulla salute; garantire l’amministrazione nella prospettiva che l’istruttoria sulla componente salute, in sede di valutazione di impatto ambientale, sia svolta in un quadro procedimentale definito dalla pubblica amministrazione

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Lo scritto si occupa dei mobili confini tra autonomia privata, legge, amministrazione e giurisdizione e prende sommariamente in esame i fenomeni dell’amministrazione per legge, della semplificazione e della sostituzione dell’amministrazione ad opera del giudice amministrativo, con un approccio laico che, senza considerare la separazione dei poteri alla stregua di un dogma intangibile, mira a ricercare le coordinate concettuali entro le quali possano ritenersi accettabili, in termini di misura e di misurabilità, gli sconfinamenti degli altri poteri nello spazio “naturalmente” amministrativo.

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Il presente contributo propone una comparazione del processo di digitalizzazione della sanità in Italia e Germania, concentrandosi su due strumenti principali: il fascicolo sanitario elettronico e la regolazione della mHealth. Nonostante le differenze strutturali tra gli ordinamenti, i due paesi presentano un livello di digitalizzazione simile e se la Germania ha di recente introdotto una normativa all’avanguardia in tema di cure digitali, l’Italia mostra invece un più avanzato livello di implementazione del FSE. L’analisi verte quindi sulle problematiche emerse nei due ordinamenti e sulla complementarità delle soluzioni adottate.

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Il presente contributo analizza le concezioni, le componenti e gli elementi contingenti che hanno definito quella evoluzione dello stato di diritto che ha dominato la pratica giuridica e giudiziaria per oltre un decennio, soprattutto in Europa. Naturalmente, in un'impresa di questo tipo, la selezione degli elementi pertinenti e, soprattutto, le considerazioni che ne derivano non sono immuni a una prospettiva strettamente in linea con le funzioni di un giudice della Corte di giustizia dell'Unione europea. Data la particolare rilevanza dei recenti sviluppi relativi allo stato di diritto in paesi terzi, e più precisamente negli Stati Uniti e in Israele, è parso opportuno includere anch’essi nell'analisi.

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Il contributo si propone di fornire un’analisi critica dell’impatto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul giudizio di legittimità costituzionale italiano. La ricostruzione dei più recenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale, con il riconoscimento della natura sostanzialmente costituzionale della Carta e dell’ampia sovrapponibilità delle garanzie da essa previste con quelle contenute nella Costituzione repubblicana, consentirà di mettere in luce le dinamiche del dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia, nonché lo spirito di collaborazione che ne connota i rapporti in linea di massima. Il lavoro evidenzia altresì il ruolo cruciale svolto dalle due Corti nella definizione dei contenuti dell’identità nazionale e delle tradizioni costituzionali comuni anche in riferimento alla cd. dottrina dei controlimiti.

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Dopo un’analisi della codificazione, da parte del d.lgs. 36/2023, dei nuovi principi in materia di appalti pubblici e della loro gerarchia, l’Autore si sofferma sul rapporto tra principio di buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, per studiare gli effetti giuridici che il primo esercita sulla seconda. In particolare, l’autore afferma che l’art. 5 c. 2 del nuovo Codice prosegue il processo di "civilizzazione” del diritto amministrativo, ampliando l’ambito di risarcibilità delle situazioni giuridiche coinvolte nelle procedure di gara. Tale processo, però, rischia di incontrare un ostacolo nel successivo c. 3, il quale qualifica come «colpevole» l’affidamento ingeneratosi a fronte di una illegittimità «agevolmente rilevabile».

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Il primo decennio del sistema anticorruzione italiana permette di cogliere una serie di elementi, positivi e negativi, emersi dall’esperienza delle pubbliche amministrazioni. Questa analisi, però, viene effettuata anche sotto il profilo dell’integrità pubblica. Si tratta di una visione più ampia del sistema di buon governo, dove la prevenzione della corruzione dev’essere sviluppata all’interno di un quadro strategico ed organizzativo complessivo. Il contributo prova a fare una riflessione sull’anticorruzione italiana, cercando di rispondere ad una serie di domande. È giusto continuare ad insistere sulla necessità della politica della prevenzione della corruzione? Quali potrebbero essere le necessarie correzioni da apportare a questo modello? Dopo un breve excursus iniziale sull’evoluzione dell’impianto normativo, si cerca di analizzare i punti di forza e di debolezza di questa politica, che sono desumibili dalla bilustre attività pratica delle pubbliche amministrazioni. La seconda parte si concentra sul tema dell’integrità pubblica, con particolare attenzione all’integrità come principio giuridico del settore pubblico. Nella parte finale, si cerca di capire qual è il grado di relazione tra il sistema italiano di prevenzione della corruzione e quello dell’integrità pubblica.

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Nella Strategia Europea per i dati, la Commissione formula le sue proposte su come l’UE possa creare uno «spazio unico europeo dei dati». Il progetto è quello di rendere l’Europa leader di una società “guidata dai dati”, creando un mercato unico per questi ultimi, che permetta loro di fluire liberamente all’interno dell’UE, e tra i vari settori: tutto ciò a vantaggio delle imprese, dei ricercatori e delle amministrazioni pubbliche. Un elemento centrale dello «spazio unico europeo dei dati» è la creazione di meccanismi di governance degli stessi, in modo tale che risultino chiari e affidabili. Concentrandosi sui dati pubblici, il contributo analizza le strutture amministrative create dalla Direttiva “Open Data”, dal “Data Governance Act (DGA)”, e del primo spazio settoriale dei dati proposto dalla Commissione, vale a dire lo “Spazio europeo dei dati sanitari (EHDS)”. L’interrogativo che costituisce il focus del contributo è se la struttura amministrativa sviluppata dall’UE negli ultimi decenni, in termini di “amministrazione composita europea”, sia in grado di raggiungere l’obiettivo di una governance dei dati chiara e affidabile.

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Il saggio, relativo alla tutela della libertà di espressione nell’ordinamento UE, si propone di individuare i limiti e le possibili restrizioni a tale diritto fondamentale, a partire da un fatto di attualità: la reazione dell’Unione europea alla propaganda di regime promossa da diverse emittenti russe per giustificare l’attacco all’Ucraina. In particolare, lo scritto si dirama in tre direzioni volte a rispondere ad altrettante questioni: in primo luogo, valutare se le limitazioni alla libertà di informazione, contenute nelle sanzioni dell’UE, rappresentino una novità nel diritto europeo e comportino un’assunzione di maggiori competenze da parte dell’Europa in materia di diritti umani; in secondo luogo, evidenziare quali siano le tendenze recenti della giurisprudenza europea in materia di tutela della libertà di espressione (anche alla luce dei due fenomeni dell’hate speech e delle fake news), verificando se queste siano confermate dal recente intervento sanzionatorio del Consiglio europeo; infine, verificare se il Tribunale europeo, chiamato a valutare la legittimità di tali sanzioni, abbia seguito il processo argomentativo di regola applicato per verificare che la compressione della libertà di espressione sia giustificata.

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