Contratti pubblici

L’articolo analizza l’evoluzione del ruolo politico del pubblico impiego in Polonia mediante un’analisi dei suoi tratti caratteristici, come individuati dalla dottrina europea. Lo scritto illustra una prima comprensiva, e già matura, legge sul pubblico impiego, risalente al 1922, a cui si sono poi richiamate tutte le successive normative democratiche, talvolta con spirito polemico. La seconda parte mostra innanzitutto la dissoluzione, a partire dal 1950, di un pubblico impiego altamente professionale, combinata all’introduzione coatta di modelli di stampo russo, con una nomenclatura di partito attiva in un’amministrazione mal pagata, esecutrice di decisioni adottate nel mondo parallelo del mastodontico apparato partitico. La ricostituzione del pubblico impiego non ha potuto aver luogo fino a dopo il 1989 ed è stata portata avanti sotto la forte influenza della dottrina e della prassi francese, incluso il tentativo di creare un apposito istituto di formazione, la Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione. La conclusione dimostra che la normativa attualmente in vigore – che richiede una riforma – abbassa gli standard occupazionali nel pubblico impiego, deflette dal principio dell’accesso aperto e competitivo ai ruoli apicali della pubblica amministrazione e mina il principio di neutralità.

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Il presente contributo analizza il nuovo testo del Codice dei contratti pubblici con riferimento al principio dello sviluppo sostenibile e alla tutela dell’ambiente, che non risultano espressamente indicati dalle disposizioni dedicate ai principi. L’esame delle disposizioni del nuovo Codice costituisce occasione per ricostruire, sul piano interpretativo, il ruolo attribuito, dal legislatore nazionale e da quello europeo, alle stazioni appaltanti nell’utilizzo degli acquisti pubblici per il perseguimento di obiettivi orizzontali, come quello della sostenibilità ambientale e della neutralità climatica. L’approccio seguito nel nuovo Codice risulta in linea di continuità con quello precedente, di tipo mandatory-rigido. Ciò non toglie che, tenuto conto del principio della fiducia, possano essere adottati correttivi di tipo “funzionale”, volti ad assicurare l’effettiva finalizzazione degli acquisti pubblici al conseguimento di benefici per la collettività che minimizzano i danni all’ambiente e favoriscono l’innovazione.

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Le opere pubbliche costituiscono uno degli oggetti principali e più qualificati della ordinaria disciplina urbanistica ed edilizia, cionondimeno ne sono generalmente sottratte. È a partire dagli anni Settanta del secolo scorso che vengono via via introdotte leggi di settore che attribuiscono ai procedimenti di localizzazione e realizzazione di differenti tipologie di opere pubbliche l’effetto di derogare sia alle previsioni del piano regolatore generale, evitando la procedura ordinaria di variante al piano, sia alla disciplina generale sui titoli abilitativi. Nella stessa direzione si sono mossi i decreti legge n. 77/2021 e n. 36/2022 con riferimento alle opere, agli impianti e alle infrastrutture necessari alla realizzazione di obiettivi strategici dell’Unione europea per la transizione ecologica e energetica del Paese compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). Lo scritto spiega le cause di questa sostanziale “depianificazione” delle opere pubbliche e analizza soprattutto i regimi speciali individuati dal testo unico dell’edilizia.

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Il contributo analizza come la c.d. “cultura del sospetto” ostacoli l’attività contrattuale della pubblica amministrazione. La “cultura del sospetto” consiste nella percezione che ogni procedura negoziale sia foriera di reati e/o di “cattiva amministrazione”. Gli effetti di questa c.d. “cultura del sospetto” consistono in immobilismo e inerzia, dal momento che inibiscono il pieno ricorso ad azioni discrezionali ed efficienti, facendo sì che i funzionari evitino scelte rischiose, in termini di responsabilità penale, civile ed erariale. In tale contesto il tema della centralizzazione della committenza può acquisire un rilievo decisivo. Questo perché l’attribuzione ad un unico soggetto della competenza ad acquistare beni e servizi sul mercato, oltre a conseguire positive “economie di scala”, è in grado di accrescere le professionalità dei funzionari, che operano all’interno della centrale di committenza, e favorire la trasparenza delle procedure di gara. Il contributo si sofferma altresì su un’analisi critica dell’odierna disciplina normativa, nazionale ed europea, in tema di centrali di committenza e a vagliarne e proporre necessarie riforme e miglioramenti.

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Le sfide che discendono dal complesso sistema di riforme messo in campo dall’Italia come risposta alla pandemia portano a chiedersi quale sia l’attuale ruolo svolto dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nel contesto dei contratti pubblici, soprattutto alla luce delle disposizioni del PNRR, della disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici e della legge delega n. 78/2022 che ne prevede una revisione ancora in atto. Lo scritto si propone di riflettere su questo interrogativo, evidenziando criticità e prospettive evolutive delle competenze dell’ANAC al tempo dell’innovazione, con particolare riferimento alla qualificazione delle stazioni appaltanti.

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Il presente contributo ha l’obiettivo di ripercorrere il processo di digitalizzazione degli appalti pubblici, partendo dalle previsioni contenute nel Codice dei Contratti di cui al d.lgs. n. 50/2016 fino al Decreto digitalizzazione appalti di cui al D.M. 12 agosto 2021 n. 148, adottato con oltre 4 anni di ritardo rispetto alle previsioni, attraversando l’amplissima produzione giurisprudenziale in materia di gare d’appalto telematiche. Il decreto, infatti, si innesta in uno scenario in cui la giurisprudenza ha ampiamente affrontato le tematiche relative alla digitalizzazione delle gare, provando a far propria questa massiccia stratificazione giurisprudenziale, non senza contraddizioni e importanti novità.

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L’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice degli Appalti prevede l’esclusione dell’operatore economico da una procedura di gara laddove la stazione appaltante dimostri, «con mezzi adeguati», che lo stesso si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. La ratio della norma – oggetto di recente modifica da parte del legislatore – è l’«esigenza», da parte della pubblica amministrazione, «di assicurare l’affidabilità di chi si propone quale contraente» (vedi Consiglio Stato, sezione V, sentenza 11 aprile 2016, n. 1412), sicché poter valutare l’integrità dell’operatore economico attraverso un adeguato processo valutativo. La discrezionalità di tale disposizione – nel punto in cui prevede l’esclusione dell’operatore economico per gravi illeciti professionali sulla base di un qualsiasi mezzo ritenuto dalla stazione appaltante adeguato – è stata oggetto di recente trattazione da parte del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, che, con sentenza del 3 ottobre 2022 n. 646, ha chiarito come tale valutazione presupponga un iter logico basato su due livelli, uno oggettivo e uno relativo, che tenga conto tanto dell’oggettiva gravità dell’illecito professionale posto in essere dall’operatore, quanto dell’effettivo pregiudizio che lo stesso possa apportare allo specifico contratto oggetto di affidamento.

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Nell’attuale situazione emergenziale il legislatore nazionale tenta di gestire l’invarianza dell’equilibrio contrattuale nei rapporti negoziali con la Pubblica Amministrazione attraverso la codificazione di regole analitiche di meccanica applicazione. Il caos normativo che si è venuto in questo modo a realizzare (in una continua – non sempre coerente – riformulazione delle regole) rende preferibile la gestione dell’emergenza attraverso concetti giuridici indeterminati (la buona fede, anzitutto), che meglio assolvono alla funzione omeostatica dell’ordinamento.

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Il presente contributo mostra come l’introduzione di strumenti elettronici e banche dati a disposizione delle stazioni appaltanti, qual è Brescia Infrastrutture S.r.l., come il portale e-procurement “Tutto Gare”, abbia portato ad una sostanziale semplificazione delle procedure di affidamento, consentendo l’aggiudicazione di gare anche nel periodo di lockdown causato dalla pandemia da COVID-19. Il percorso che porta alla digitalizzazione degli appalti pubblici non può tuttavia ancora dirsi concluso. L’auspicio è che presto tutte le informazioni riguardanti gli operatori economici e le procedure di gara possano essere reperite su database uniformi e centralizzati (come il c.d. Fascicolo dell’Operatore Economico ex art. 81, c. 4, d.lgs. n. 50/2016), a beneficio tanto delle stazioni appaltanti nella scelta dell’aggiudicatario, quanto degli stessi operatori economici.

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Il contributo si propone di riflettere sui vani e ripetuti tentativi del legislatore di semplificare la normativa e le procedure per l’affidamento dei contratti pubblici, principalmente mediante discipline emergenziali che, spesso, generano maggiori incertezze di quelle che vorrebbero risolvere, e che comunque contribuiscono ad accrescere le difficoltà interpretative ed applicative. Si suggerisce perciò di perseguire in primo luogo la stabilità della disciplina, e in secondo luogo una sua effettiva semplificazione mediante la valorizzazione della discrezionalità, professionalità e responsabilità delle stazioni appaltanti.

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