Appalti pubblici

Il contributo analizza come la c.d. “cultura del sospetto” ostacoli l’attività contrattuale della pubblica amministrazione. La “cultura del sospetto” consiste nella percezione che ogni procedura negoziale sia foriera di reati e/o di “cattiva amministrazione”. Gli effetti di questa c.d. “cultura del sospetto” consistono in immobilismo e inerzia, dal momento che inibiscono il pieno ricorso ad azioni discrezionali ed efficienti, facendo sì che i funzionari evitino scelte rischiose, in termini di responsabilità penale, civile ed erariale. In tale contesto il tema della centralizzazione della committenza può acquisire un rilievo decisivo. Questo perché l’attribuzione ad un unico soggetto della competenza ad acquistare beni e servizi sul mercato, oltre a conseguire positive “economie di scala”, è in grado di accrescere le professionalità dei funzionari, che operano all’interno della centrale di committenza, e favorire la trasparenza delle procedure di gara. Il contributo si sofferma altresì su un’analisi critica dell’odierna disciplina normativa, nazionale ed europea, in tema di centrali di committenza e a vagliarne e proporre necessarie riforme e miglioramenti.

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Le sfide che discendono dal complesso sistema di riforme messo in campo dall’Italia come risposta alla pandemia portano a chiedersi quale sia l’attuale ruolo svolto dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nel contesto dei contratti pubblici, soprattutto alla luce delle disposizioni del PNRR, della disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici e della legge delega n. 78/2022 che ne prevede una revisione ancora in atto. Lo scritto si propone di riflettere su questo interrogativo, evidenziando criticità e prospettive evolutive delle competenze dell’ANAC al tempo dell’innovazione, con particolare riferimento alla qualificazione delle stazioni appaltanti.

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Il presente contributo ha l’obiettivo di ripercorrere il processo di digitalizzazione degli appalti pubblici, partendo dalle previsioni contenute nel Codice dei Contratti di cui al d.lgs. n. 50/2016 fino al Decreto digitalizzazione appalti di cui al D.M. 12 agosto 2021 n. 148, adottato con oltre 4 anni di ritardo rispetto alle previsioni, attraversando l’amplissima produzione giurisprudenziale in materia di gare d’appalto telematiche. Il decreto, infatti, si innesta in uno scenario in cui la giurisprudenza ha ampiamente affrontato le tematiche relative alla digitalizzazione delle gare, provando a far propria questa massiccia stratificazione giurisprudenziale, non senza contraddizioni e importanti novità.

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Il contributo affronta in chiave giuridica il rapporto che intercorre fra sviluppo sostenibile e sistema degli appalti pubblici. Dopo aver esaminato l’applicazione della strategia del Sustainable Public Procurement nei c.d. appalti “tradizionali”, l’analisi approfondisce i vantaggi che possono derivare, sul piano della sostenibilità, dal ricorso, da parte delle stazioni appaltanti, ai c.d. appalti “innovativi”.

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L’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice degli Appalti prevede l’esclusione dell’operatore economico da una procedura di gara laddove la stazione appaltante dimostri, «con mezzi adeguati», che lo stesso si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. La ratio della norma – oggetto di recente modifica da parte del legislatore – è l’«esigenza», da parte della pubblica amministrazione, «di assicurare l’affidabilità di chi si propone quale contraente» (vedi Consiglio Stato, sezione V, sentenza 11 aprile 2016, n. 1412), sicché poter valutare l’integrità dell’operatore economico attraverso un adeguato processo valutativo. La discrezionalità di tale disposizione – nel punto in cui prevede l’esclusione dell’operatore economico per gravi illeciti professionali sulla base di un qualsiasi mezzo ritenuto dalla stazione appaltante adeguato – è stata oggetto di recente trattazione da parte del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, che, con sentenza del 3 ottobre 2022 n. 646, ha chiarito come tale valutazione presupponga un iter logico basato su due livelli, uno oggettivo e uno relativo, che tenga conto tanto dell’oggettiva gravità dell’illecito professionale posto in essere dall’operatore, quanto dell’effettivo pregiudizio che lo stesso possa apportare allo specifico contratto oggetto di affidamento.

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