Il Dibattito pubblico nel nuovo codice degli appalti: tra democrazia partecipativa, tempo e risultati

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Il Dibattito pubblico nel nuovo codice degli appalti: tra democrazia partecipativa, tempo e risultati

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Il dibattito pubblico ha vissuto in Italia una storia complessa: dagli esperimenti compiuti in assenza di una disciplina normativa si è passati a una prima regolazione a livello regionale e poi al definitivo assesto nel codice dei contratti pubblici. Di conseguenza, la disciplina dell’istituto è stata oggetto di modifiche in virtù dell’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti introdotto con il d.lgs. 36/2023. Il presente lavoro si occupa di analizzare l’evoluzione del dibattito pubblico. Dalle origini della partecipazione in materia ambientale nelle convenzioni internazionali, al modello francese che ha ispirato il nostro ordinamento, per arrivare alla disciplina attuale e ai suoi tanti aspetti problematici, con un’attenzione particolare al ruolo che in generale possono svolgere gli strumenti partecipativi nel settore delle opere pubbliche.


Public Debate and the new Public Procurement Code: the Intersection of Participatory Democracy, Time Issues, and Results
The history of public debate in Italy is multifaceted: it began with initiatives conducted in the absence of a regulatory framework, progressed to a preliminary regulation at the regional level, and ultimately culminated in the new public contracts Code. Legislative Decree no. 36/2023 implemented modifications to the regulatory framework. This paper deals with the evolution of public debate. From the origins of participation in environmental matters in international conventions, to the French model that inspired our legal system, to the current discipline and its many problematic aspects, with a particular emphasis on the potential of participatory tools in the public works sector.
Sommario: 1. Dibattito pubblico e appalti.- 2. Le origini della partecipazione nelle grandi opere: la convenzione di Aarhus.- 2.1. Il dibattito pubblico in Francia e in Europa.- 2.2. Il dibattito pubblico in Italia e le leggi regionali.- 3. Il dibattito pubblico nell’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016.- 4. Dibattito pubblico e PNRR.- 5. L’articolo 40 del nuovo codice dei contratti pubblici.- 5.1. Due aspetti critici: l’opzione zero e la commissione nazionale.- 5.2. Il responsabile del dibattito pubblico, e le differenze rispetto al coordinatore del dibattito pubblico.- 5.3. I soggetti partecipanti.- 5.4. La legittimazione ad agire degli enti portatori di interessi diffusi e l’oggetto del sindacato giurisdizionale in caso di violazione della disciplina del dibattito pubblico.- 6. Conclusioni.

1. Dibattito pubblico e appalti

Il dibattito pubblico, la cui disciplina è stata recentemente modificata dal nuovo codice dei contratti pubblici, può essere assunto come riferimento per saggiare il rapporto tra cittadini e amministrazione nella declinazione della partecipazione dei privati all’attività amministrativa[1]. Lo strumento in questione, infatti, nasce per permettere agli abitanti dei territori individuati per la realizzazione di grandi infrastrutture[2], di essere informati e coinvolti attivamente nella progettazione dell’opera[3].

La scarsa fiducia nell’attuale assetto politico-amministrativo[4], d’altronde, ha fatto inevitabilmente crescere nei cittadini la volontà di essere maggiormente partecipi dei processi decisionali della pubblica amministrazione.

Si è di conseguenza assistito ad una larga diffusione delle tecniche di “democrazia partecipativa”[5], di cui il dibattito pubblico è un esempio. Queste tecniche consistono in forme di intervento dei privati nelle decisioni pubbliche secondo prospettive invero diverse dalla “partecipazione procedimentale” della l. n. 241/1990. Infatti, il modulo partecipativo tradizionale permette ai soggetti privati, titolari di una situazione giuridica qualificata e differenziata, di intervenire in un procedimento che tale situazione possa pregiudicare, al fine di garantire la legittimità della decisione e salvaguardare la propria sfera giuridica[6].

La democrazia partecipativa, invece, ha il diverso obbiettivo di «sondare gli umori diffusi nella società in ordine ad una scelta pubblica»[7], così da creare un’interazione tra gli ordinaries citizen e le istituzioni chiamate alla decisione pubblica, con lo scopo di maturare una decisione quanto più possibile vicina ai cittadini e dagli stessi accettabile. In questi casi, dunque, l’amministrazione «fa entrare il privato nel suo processo di decisione»[8], rinunciando alla esclusività dei suoi poteri, ovvero al modello DAD, decidi, annuncia, difendi, che ha storicamente caratterizzato la sua azione.

Per questa via, quindi, si tenta di instaurare un dialogo che prescinde da una situazione giuridica soggettiva da tutelare e che si innesta, invece, sulla necessità di condividere con il “pubblico” una determinata scelta[9].

Tuttavia, gli entusiasmi verso questi modelli di democrazia partecipativa spesso si scontrano con la loro scarsa applicazione e i modesti risultati ottenuti[10]. È il caso anche del dibattito pubblico. La nuova disciplina dell’istituto, in conseguenza dell’avvicendamento dei due codici degli appalti del 2016 e del 2023[11], alimenta gli interrogativi sulla sua capacità di realizzare un’armoniosa sintesi tra interessi dei cittadini e amministrazione. Prima di affrontarne gli aspetti più problematici, per meglio comprendere i fini e la natura del dibattito pubblico, può essere utile ripercorrere le tappe che hanno portato alla sua nascita.

2. Le origini della partecipazione nelle grandi opere: la convenzione di Aarhus

Il tema della partecipazione nelle procedure di realizzazione delle grandi opere si sviluppa in materia ambientale e fuori dai confini italiani.

È la dichiarazione di Rio, nel 1992, ad enunciare il principio della partecipazione pubblica nelle decisioni impattanti sull’ ambiente[12], con l’idea che solo con il coinvolgimento delle comunità locali è possibile attuare davvero uno sviluppo sostenibile[13].

Tale principio assume ancor più rilievo, poi, nel 1998 con la Convenzione di Aarhus. Adottata dalla Commissione Nazioni Unite per l’Europa (Unece), coinvolge attualmente 47 parti tra cui l’Italia e l’Unione europea[14].

L’articolo 6 della convenzione fissa l’obbligo per gli stati di garantire ai soggetti interessati l’informazione e la partecipazione nei procedimenti volti ad adottare decisioni impattanti sull’ambiente. L’obbiettivo di questa disposizione, come specificato nelle linee guida[15], è realizzare una partecipazione effettiva che permetta ai soggetti interessati di incidere con un contributo concreto sulla scelta finale, dotandola quindi di una maggiore legittimazione democratica[16].

Nonostante il dibattito pubblico non sia espressamente nominato nel testo di Aarhus, è qui che l’istituto trova la sua origine e il suo scopo.

Infatti, gli strumenti partecipativi come il dibattito pubblico sono nati proprio dallo sviluppo del principio di partecipazione effettiva come descritto dalla convenzione e hanno come principale funzione quella di garantirne la piena attuazione[17].

2.1. Il dibattito pubblico in Francia e in Europa

Il dibattito pubblico è stato introdotto e ha avuto una prima compiuta disciplina in Francia. Nel 1995, la legge «relative au renforcement de la protection de l’environnement», più comunemente nota come “Loi Barnier”, ha disciplinato proprio il rapporto tra la realizzazione delle grandi opere e la tutela dell’ambiente, nell’ottica di garantire un intervento dei cittadini nel processo decisionale con uno strumento, il débat public, che permette la partecipazione nella fase inziale della procedura di progettazione di un’opera pubblica[18].

L’intera organizzazione del dibattito è affidata alla Commission nationale du débat public[19], alla quale, nel 2002, è stata riconosciuta la natura di Autorità amministrativa indipendente[20].

La scelta sul se procedere o meno al dèbat public, infatti, spetta proprio alla Commission nationale. Qualora venga indetto il dibattito, è la stessa autorità a nominare un’ ulteriore speciale sotto-commissione che ha il compito di curarne interamente lo svolgimento, fissando un calendario di incontri e indicando le modalità di partecipazione. Terminati i lavori, in un tempo massimo di due mesi, il presidente della commissione nazionale rende noti i risultati del dibattito con un resoconto finale. A questo punto, il committente dell’opera, entro tre mesi dalla pubblicazione del resoconto finale, deve prendere la sua decisione e, qualora confermi il progetto iniziale, è tenuto a chiarire nella motivazione, perché i rilievi emersi con il dibattito non hanno portato a modifiche[21].

L’esperienza francese è rimasta isolata per un ampio lasso di tempo.

Il legislatore comunitario, infatti, ha adottato un approccio più generale per garantire la partecipazione dei cittadini nei progetti di interventi impattanti sull’ambiente. Così, partendo dalle coordinate di Aarhus, sono state emanate due direttive e un regolamento: la direttiva 2003/4/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, e la direttiva 2003/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003, rispettivamente sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e sulla partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale. Con il regolamento 1367/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006, invece, sono stati disciplinati l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia nei confronti delle istituzioni e degli organi comunitari[22].

La normativa europea, quindi, non disciplina in nessun modo il dibattito pubblico né dispone alcun obbligo per gli Stati membri di prevedere nella normativa interna tale strumento, lasciando grande spazio e discrezionalità agli stessi[23], che restano liberi di decidere se dotarsene o meno.

2.2. Il dibattito pubblico in Italia e le leggi regionali

Prima della codificazione del dibattito pubblico da parte del codice dei contratti pubblici del 2016, in assenza quindi di una disciplina generale, non sono mancati in Italia casi di coinvolgimento dei cittadini per la progettazione di grandi opere[24].

Ad esempio, nel 2009 per la realizzazione del tratto autostradale tra Voltri e Genova, la cosiddetta gronda di ponente, i contributi dei partecipanti riuscirono ad incidere sulla decisione finale di Autostrade per l’Italia, che per la realizzazione della gronda individuò una soluzione difforme rispetto a quella originaria, tenendo conto proprio delle osservazioni presentante dai cittadini[25].

Le prime forme di regolazione dell’istituto si rinvengono in leggi regionali[26].

La regione più veloce a dotarsi di una normativa è stata la Toscana, con la l. n. 69/2007, «Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali»[27]. È stato poi il turno, tra le altre, dell’Emilia-Romagna, con la l. n. 3/2010[28], dell’Umbria, con la l. n. 14/2010[29]. La stessa regione Toscana è poi intervenuta nuovamente in materia con la l. n. 46/2013, «Dibattito pubblico regionale e promozione delle partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali».

Le leggi appena elencate costruiscono modelli diversi di partecipazione, alcune di esse si concentrano maggiormente sull’integrità dei soggetti responsabili della procedura del dibattito, alcune si sforzano di ampliare in misura massima il novero dei soggetti partecipanti, altre ancora puntano sull’effettività della partecipazione, disegnando strumenti che vadano oltre la mera consultazione e obblighino l’amministrazione a tenere conto delle risultanze emerse[30]. Al di là delle scelte proprie di ogni regione, senza dubbio le leggi regionali hanno offerto e offrono un importante laboratorio di analisi e sviluppo dell’istituto in questione.

3. Il dibattito pubblico nell’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016

Come anticipato, e come è noto, la prima regolazione a livello nazionale della disciplina del dibattito pubblico è stata introdotta dal codice dei contratti pubblici del 2016[31], sul modello della normativa d’oltralpe ma con profonde differenze.

La legge delega n. 11/2016 all’articolo 1, co. I, lettera qqq, prevedeva espressamente l’obbligo per il legislatore delegato di introdurre una disciplina dedicata al dibattito pubblico che veniva quindi disciplinato dall’art. 22 del d.lgs. n. 50/2016. Al momento della sua introduzione l’istituto venne accolto con particolare favore.

Il Consiglio di Stato, con il parere n. 855/2016, ebbe modo di definire il dibattito come uno «strumento essenziale di coinvolgimento delle collettività locali nelle scelte di localizzazione e realizzazione di grandi opere»[32]. Ugualmente la Corte costituzionale lo ha ritenuto un «prezioso strumento della democrazia partecipativa» e una «fondamentale tappa nel cammino della cultura della partecipazione»[33].

Nella realtà applicativa, però, questo strumento partecipativo non ha avuto il successo auspicato.

La vecchia disciplina del dibattito pubblico è stata oggetto di numerose analisi[34], tuttavia occorre operare una veloce disamina delle sue principali caratteristiche al fine di evidenziare, in seguito, differenze e analogie con le nuove disposizioni che regolano l’istituto nel nuovo codice dei contratti pubblici.

Dunque, in base all’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016, i committenti erano tenuti a pubblicare nel proprio profilo «i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse».

Inoltre, al fine di monitorare l’applicazione dell’istituto, era stata istituita una Commissione Nazionale del dibattito pubblico, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici in corso di svolgimento o conclusi, e di proporre raccomandazioni per lo svolgimento del dibattito pubblico sulla base dell’esperienza maturata.

Era stato emanato poi, anche se con ritardo, un regolamento attuativo: il d.P.C.M. n. 76/2018[35].

Tale decreto prevedeva l’obbligatorietà dell’indizione del dibattito pubblico soltanto per la realizzazione di opere a grande impatto sul territorio che superassero determinate soglie dimensionali[36]. Invece, nei casi di opere comprese tra la soglia del dibattito obbligatorio e i due terzi della stessa, la procedura poteva essere richiesta solo da soggetti qualificati[37]. Negli altri casi il dibattito era facoltativo e la decisione ricadeva sull’amministrazione procedente.

Con l’avvio della procedura spettava alla stazione appaltante trasmettere alla commissione il progetto di fattibilità, con gli obbiettivi e le caratteristiche dello stesso, ed un dossier motivato.

Il compito di curare in concreto lo svolgimento del dibattito, invece, era affidato alla figura del coordinatore del dibattito pubblico[38], il quale doveva indicare in un documento di progetto i temi, il calendario degli incontri e le modalità di partecipazione.

Il dibattito pubblico iniziava con la pubblicazione del dossier ad opera del soggetto aggiudicatore e si concludeva nei quattro mesi successivi. Entro 30 giorni dalla scadenza di detto termine il coordinatore inviava all’amministrazione una relazione conclusiva.

A questo punto, entro i successivi due mesi, l’amministrazione aggiudicatrice elaborava un dossier finale che veniva pubblicato sul proprio sito e sul sito della commissione.

Del dossier finale e delle considerazioni emerse in sede di dibattito pubblico l’amministrazione aggiudicatrice era obbligata a tenere conto nella decisione finale sulla predisposizione del progetto definitivo e le stesse dovevano essere discusse in sede di conferenza di servizi relativa all’opera da realizzare[39].

4. Dibattito pubblico e PNRR

Nel fermento legislativo della pandemia, con il d.l. n. 76/2020, «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale»[40], il dibattito pubblico ha subito una serie di modifiche. Precisamente, al fine di semplificare e velocizzare la realizzazione di opere di elevata rilevanza sociale, le nuove disposizioni permettevano alle pubbliche amministrazioni aggiudicatrici di richiedere alle Regioni direttamente l’autorizzazione a procedere agli studi di prefattibilità tecnico-economica e alle successive fasi progettuali, previo parere favorevole delle amministrazioni provinciali e comunali interessate, evitando così il dibattito pubblico[41].

Come spesso accade con le norme contingenti e di emergenza, i risultati sperati sono stati disattesi[42]. Per cui, il legislatore ha avvertito l’esigenza di intervenire nuovamente sul dibattito pubblico con il d.l. n. 77/2021, nel più ampio contesto della disciplina per le opere finanziate dal PNRR.

La scelta è stata quella di recuperare il momento del dibattito pubblico. Infatti, il decreto ha introdotto prescrizioni volte ad individuare le soglie dimensionali che rendono obbligatorio il dibattito in misura addirittura inferiore a quella prevista dal regolamento attuativo del 2018[43], ampliando i casi in cui è doveroso attivare la procedura.

Ciò nonostante, le innovazioni introdotte sembrano sottolineare come il principale obbiettivo del legislatore sia stato quello di ridurre drasticamente i tempi.

Nello specifico è stato stabilito che, per le opere finanziate in tutto o in parte dal PNRR, il dibattito abbia la durata massima di 45 giorni e tutti i termini siano ridotti alla metà[44].

Non si è voluto rinunciare dunque all’applicazione dell’istituto, ma i tempi strettissimi in cui bisogna svolgere e concludere la procedura rischiano di sacrificarne l’utilità.

Tale problematica è di assoluta attualità in quanto non è stata superata dalle disposizioni del nuovo codice degli appalti che, infatti, fa espressamente salve le disposizioni speciali relative al dibattito pubblico per le opere finanziate dal PNRR.

5. L’articolo 40 del nuovo codice dei contratti pubblici

La ricostruzione dell’evoluzione normativa dell’istituto rende possibile ora analizzare la nuova disciplina del dibattito pubblico contenuta nel codice degli appalti del 2023.

Nello specifico, la legge delega ha richiesto la «Revisione e semplificazione della normativa primaria in materia di […] dibattito pubblico, al fine di rendere le relative scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della comunità, nonché di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure finalizzate al raggiungimento dell’intesa fra i diversi livelli territoriali coinvolti nelle scelte stesse»[45].

In attuazione di tali disposizioni, l’art. 40 del d.lgs. n. 36/2023 disciplina l’istituto del dibattito pubblico.

Nella nuova disciplina si specifica per prima cosa che la stazione appaltante o l’ente concedente possono indire il dibattito, ove lo ritengano opportuno, in ragione della particolare rilevanza sociale dell’intervento e del suo impatto sull’ambiente e sul territorio. La regola generale, dunque, è la facoltatività della procedura.

Quindi, è disposto che il dibattito inizi con la pubblicazione, sul sito istituzionale della stazione appaltante o dell’ente concedente, di una relazione sul progetto dell’opera e l’analisi di fattibilità delle alternative progettuali[46].

Il comma 4, invece, indica tutti i soggetti che possono presentare osservazioni e proposte: le amministrazioni statali che sono interessate alla realizzazione dell’intervento, le Regioni e gli altri enti territoriali interessati all’opera e, infine, i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati che in ragione degli scopi statuari siano interessati all’intervento.

Le proposte e le osservazioni devono essere presentate in un termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della relazione inziale, secondo le modalità individuate dal responsabile del dibattito pubblico.

È il responsabile stesso, poi, a redigere una relazione contenente la sintetica descrizione delle proposte e delle osservazioni con l’eventuale indicazione di quelle ritenute meritevoli di accoglimento.

Il procedimento deve concludersi in tempi brevi, l’articolo 40 stabilisce che la durata del dibattito deve essere compatibile con le esigenze di celerità, comunque non superiore a centoventi giorni dall’inizio della procedura[47].

La relazione conclusiva[48] viene redatta dalla stazione appaltante o dall’ente concedente e pubblicata, sul proprio sito, entro due mesi dalla relazione del responsabile.

Gli esiti del dibattito sono valutati dalla stazione appaltante o dall’ente concedente ai fini dell’elaborazione del successivo livello di progettazione.

Il nuovo codice dei contratti, poi, completa la disciplina del dibattito pubblico con alcune disposizioni attuative contenute nell’allegato I.6, in cui si indicano le soglie dimensionali oltre cui il dibattito è obbligatorio per alcune tipologie di opere: le autostrade, strade ferroviarie di importante grandezza, aeroporti, interporti, opere per il trasferimento e il trattenimento delle acque. Queste soglie di riferimento sono ridotte del 50 per cento se gli interventi ricadono sul patrimonio culturale o naturale dell’UNESCO o nei parchi nazionali e regionali e nelle aree marine protette. Invece, per le opere che si collocano tra la soglia indicata come obbligatoria e i due terzi della stessa il dibattito è indetto solo su richiesta di alcuni soggetti come la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell’opera, i consigli regionali e i consigli comunali, se rappresentativi di almeno centomila abitanti, o almeno cinquantamila elettori nei territori in cui è previsto l’intervento[49].

Sempre nell’allegato sono poi indicate le modalità di partecipazione e di svolgimento del dibattito pubblico, le modalità di individuazione e i compiti del responsabile del procedimento e, infine, gli ulteriori contenuti della relazione iniziale e conclusiva[50].

5.1. Due aspetti critici: l’opzione zero e la commissione nazionale

La nuova disciplina presenta molti profili di criticità.

In primo luogo, sembra non esserci spazio per la cosiddetta “opzione zero”, ovvero per la possibilità che in sede di partecipazione si discuta anche dell’eventualità che l’opera non sia realizzata affatto.

L’“opzione zero” è stato uno dei pilastri che ha portato, anche in Francia, alla nascita dell’istituto in questione[51]. Sarebbe, d’altronde, «impossibile discutere del come costruire un’opera senza prima affrontare il problema del se realizzarla»[52].

La dottrina ha evidenziato come la partecipazione dei privati, nei procedimenti in generale[53], nel dibattito pubblico in particolare, sia sensata solo nel momento in cui sia anche effettiva, traducendosi, altrimenti, solo in un aggravio e appesantimento del percorso decisorio, con il rischio di un utilizzo della stessa come semplice fonte di legittimazione dal basso di decisioni «progettate, se non direttamente pre-definite dall’alto»[54], e il pericolo di logorare ancor di più il rapporto tra p.a. e cittadini, nei quali la sensazione di essere inerti rispetto alle scelte dell’amministrazione non fa che aumentare[55].

La formulazione della vecchia disciplina non escludeva la possibilità di discutere in sede di dibattito pubblico dell’“opzione zero”. Infatti, l’art. 22 disponeva che le osservazioni dei privati fossero «valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo» e «discusse in sede di conferenza di servizi relative all’opera sottoposta al dibattito pubblico».

L’art. 40, invece, al comma sesto, nel precisare gli effetti del dibattito, indica che siano valutate dalla stazione appaltante le osservazioni proposte, ivi comprese le proposte di variazione dell’intervento, ai fini del successivo livello di progettazione.

Per come formulata la norma, sembra non esista spazio per discutere sull’ abbandono del progetto di costruzione dell’opera[56]. Infatti, la misura massima di incisività che possono avere le osservazioni di chi partecipa al dibattito si ferma alla possibilità di proporre “variazioni dell’intervento”.

Altro aspetto di particolare problematicità è l’assenza nell’art. 40 di qualsiasi riferimento alla commissione nazionale del dibattito pubblico. Molti, infatti, sono i dubbi sull’opportunità di questa soluzione.

La scelta di rinunciarvi è di per sé legittima, vista anche la già rilevata assenza di imparzialità che rendeva la commissione per alcuni aspetti poco utile. Meno conveniente sembra, invece, non affidare a qualche altro soggetto le sue funzioni.

Alla commissione erano assegnati una serie di compiti non privi di rilevanza: proporre raccomandazioni al fine di consentire la massima partecipazione, assicurare idonee ed effettive forme di pubblicità, organizzare e raccogliere contributi e osservazioni dei cittadini e presentare ogni due anni una relazione al governo e alle camere indicando criticità ed eventuali misure correttive.

Per cui, si sarebbe potuta valutare una soluzione diversa per evitare il rischio di un vuoto nella governance. Ad esempio, i compiti della commissione si sarebbero potuti trasferire all’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Infatti, benché all’ANAC sia attribuito già un elevato numero di poteri[57], essa rimane l’autorità indipendente preposta alla vigilanza e alla regolazione nel settore dei contratti pubblici e, dunque, il soggetto più adatto a cui affidare il compito di monitorare il dibattito pubblico al fine di promuovere pratiche virtuose.

5.2. Il responsabile del dibattito pubblico, e le differenze rispetto al coordinatore del dibattito pubblico

Ulteriore cambiamento nella nuova disciplina è la modifica della denominazione del coordinatore del dibattito, ora diventato “responsabile del dibattito pubblico”.

Dunque, occorre verificare se a questa modifica formale corrispondano anche effettive diversità sul piano sostanziale tra le due figure. La risposta sembra dover essere negativa sia guardando ai compiti sia ai requisiti di nomina.

L’unica differenza di rilievo si registra apparentemente nei meccanismi di nomina.

Il coordinatore doveva essere nominato dal Ministero competente per materia tra i propri dirigenti e, in via eccezionale, se la stazione appaltante fosse stata un ministero, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tra i dirigenti di un dicastero estraneo alla procedura. Questi meccanismi di nomina garantivano un certo livello di indipendenza al coordinatore del dibattito pubblico[58].

Il responsabile del dibattito, invece, viene nominato dal «responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa», tra i «dipendenti della stessa». Solo eventualmente ed eccezionalmente, su richiesta della stazione o dell’ente concedente, la nomina avviene da parte del Ministero competente tra i suoi dirigenti o, se l’aggiudicatore è un Ministero, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri tra i dirigenti delle pubbliche amministrazioni estranei al Ministero interessato. La disposizione non brilla per chiarezza.

È necessario, infatti, chiarire cosa la norma intenda per «responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa». È noto che, per ogni procedimento, l’articolo 4 della l. n. 241/1990[59] imponga alla p.a. di individuare il responsabile del procedimento cui spetta «la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale»[60].

Per cui, o si ritiene che «il responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa» di cui parla l’articolo 40 sia il dirigente che, nel nominare il responsabile del dibattito pubblico, nomina sostanzialmente un RUP, oppure si deve concludere che «il responsabile dell’unità titolare del potere di spesa» sia il RUP della procedura di evidenza pubblica, il quale nomina un dipendente della sua stessa unità come responsabile del dibattito. In entrambe le circostanze, è evidente che non sussista alcuna separazione tra l’amministrazione e il responsabile del dibattito, con conseguente significativa riduzione dell’indipendenza di quest’ultimo dalla prima[61].

Infatti, mentre i meccanismi di nomina della vecchia disciplina permettevano al coordinatore di essere in qualche modo un mediatore terzo e imparziale, il responsabile del dibattito sembra essere una figura più vicina (se non coincidente) a quella di un RUP.

5.3. I soggetti partecipanti

Altra riflessione necessaria riguarda i soggetti che hanno diritto di partecipare e presentare osservazioni[62], poiché anche su questo punto la disciplina è stata oggetto di radicali modifiche nel passaggio tra vecchio e nuovo codice degli appalti.

Nell’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016 si faceva un generico riferimento ai «portatori di interessi», senza alcuna altra specificazione. Nemmeno il regolamento attuativo del 2018 forniva ulteriori indicazioni, limitandosi ad indicare in che modo potesse essere avviata la procedura e quali fossero i soggetti che potessero richiederla nei casi di dibattito facoltativo.

Se per un verso risultava complesso capire chi effettivamente fosse legittimato ad intervenire e presentare osservazioni in sede di dibattito[63], la formulazione dell’articolo 22 offriva però un novero dei potenziali partecipanti sicuramente ampio[64]. Potevano certamente partecipare i singoli cittadini[65] ed anche le associazioni e i comitati. Questi soggetti collettivi, per giunta, non necessariamente dovevano essere in possesso dei requisiti di stabilità e rappresentatività richiesti per intervenire nel procedimento amministrativo in base all’articolo 9 della l. n. 241/1990. Infatti, per la partecipazione al dibattito pubblico era sufficiente che si trattasse di una pluralità di individui organizzati in forma lecita, così che potevano partecipare perfino associazioni o comitati “occasionali”[66].

Il nuovo codice, invece, all’art. 40 elenca precisamente i soggetti legittimati a presentare proposte e osservazioni. Si tratta delle amministrazioni statali interessate alla realizzazione dell’intervento, delle Regioni e degli altri enti territoriali interessati dall’opera, nonché dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, che, in ragione degli scopi statutari, sono interessati dall’intervento.

Rispetto alla vecchia disciplina, quindi, il legislatore ha voluto indicare in maniera chiara i soggetti legittimati a partecipare. Lo ha fatto, però, restringendone estremamente il novero. I singoli cittadini sono sicuramente esclusi, così come non possono partecipare le associazioni o i comitati “occasionali”, di cui si diceva prima.

Gli unici soggetti ammessi, oltre ad alcune amministrazioni, quindi, sono i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni, se in possesso dei requisiti di rappresentatività enucleati dalla giurisprudenza[67]. La scelta di diminuire in maniera così drastica il numero dei partecipanti rivela l’obbiettivo del legislatore: anteporre all’ampiezza della partecipazione la velocità nello svolgimento del dibattito. D’altronde nel corpo dell’articolo 40 sono ben due i richiami alla celerità. È sicuramente vero che una partecipazione troppo estesa e indiscriminata, oltre ad aggravare in maniera inaccettabile il procedimento, non è nemmeno funzionale, rischiando di non dare adeguata considerazione alle osservazioni presentate dai partecipanti. Tuttavia, negare ab origine qualsiasi intervento dei singoli cittadini vuol dire contraddire la ratio degli strumenti di democrazia partecipativa, di cui è espressione il dibattito pubblico, che per definizione devono tendere all’inclusione al fine di garantire l’emersione di interessi deboli[68]. Il pericolo, ancora una volta, è svuotare di significato il momento partecipativo del dibattito.

Un’opzione intermedia e più felice poteva essere adottata prendendo spunto dalla legge regionale toscana sul dibattito pubblico, in cui è centrale il ruolo del responsabile del dibattito, essendogli attribuiti ampi poteri nell’ individuare, in base al caso concreto, quali soggetti ammettere a partecipare[69]. Tale disciplina consente, infatti, di modulare la partecipazione secondo le esigenze specifiche della situazione e permette ogni volta un corretto bilanciamento tra esigenze di celerità e garanzie partecipative.

5.4. La legittimazione ad agire degli enti portatori di interessi diffusi e l’oggetto del sindacato giurisdizionale in caso di violazione della disciplina del dibattito pubblico

Connesso al tema dei soggetti legittimati a partecipare è quello della legittimazione ad agire in caso di violazione della disciplina del dibattito pubblico.

Infatti, si è sottolineato in precedenza che, tolte alcune amministrazioni, possono partecipare al dibattito solo gli enti portatori di interessi diffusi, ma la loro legittimazione ad agire è da sempre una questione spinosa[70]. D’altronde, il processo amministrativo nasce storicamente per la tutela di interessi legittimi o diritti soggettivi e, quindi, per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei singoli[71]. Nel corso degli anni, tuttavia, si è ampliata sempre di più la possibilità di far valere gli interessi diffusi in giudizio[72], sulla spinta anche dell’importanza assunta da alcuni di essi che sono stati elevati a veri e propri principi di rango costituzionale[73]. Ciò nonostante, la questione resta molto complessa. Si pensi, ad esempio, che la sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 luglio 2016, n. 3303, aveva addirittura ritenuto che i casi di legittimazione processuale degli enti portatori di interessi diffusi fossero tipici, necessariamente previsti in maniera espressa dalla legge, in quanto forma eccezionale di sostituzione processuale.

Questa conclusione è stata poi smentita dalla sentenza dell’Adunanza plenaria, 20 febbraio 2020, n. 6[74], che ha, per ora, fornito degli elementi più certi.

Secondo l’Adunanza plenaria affinché l’ente esponenziale possa effettivamente agire in giudizio non è per forza necessaria una previsione di legge, ma è sufficiente che sussistano tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza[75]: a) il perseguimento non occasionale di obiettivi corrispondenti all’interesse oggetto del processo; b) la presenza di un adeguato grado di rappresentatività e stabilità; c) la presenza di un’“area di afferenza” ricollegabile alla zona in cui è situato l’interesse che si assume leso, la cosiddetta “vicinitas[76].

In realtà questi tre requisiti erano già stati considerati necessari ai fini della legittimazione a partecipare al procedimento di enti e associazioni portatori di interessi diffusi ex art.9 della l. n. 241/1990[77].

E allora, è necessario chiarire un ulteriore possibile equivoco: la legittimazione procedimentale e quella processuale non coincidono.

La giurisprudenza è chiara nell’affermare che le due cose debbano essere valutate separatamente[78]: la possibilità di intervenire nel procedimento non implica necessariamente la sussistenza della legittimazione processuale, così come la valutazione dell’amministrazione di escludere la partecipazione di un ente non vincola la decisione del giudice che può considerare sussistente la sua legittimazione ad agire[79].

Tutto ciò premesso, occorre indagare, nel caso di illegittimità della procedura di dibattito pubblico, in che modo e per quali vizi gli enti portatori di interessi diffusi possano agire in giudizio. In particolare, è da verificare l’esistenza della legittimazione ad agire di tali soggetti nel caso di omissione del dibattito pubblico obbligatorio, o nel caso in cui sia loro negata la partecipazione al dibattito.

Per questa seconda ipotesi una qualche indicazione si ricava dalla giurisprudenza.

Infatti, il Consiglio di Stato, nel decidere sul momento partecipativo delle procedure di VAS e VIA[80], si è orientato nel senso di ritenere non necessaria, per riconoscere la legittimazione ad agire[81], la dimostrazione di una effettiva lesione dell’interesse ambientale come conseguenza della mancata partecipazione, che anzi sarebbe da considerarsi una probatio diabolica[82], e ha giudicato sufficiente la sussistenza del requisito della vicinitas [83]con l’interesse oggetto del giudizio[84].

Allora, si potrebbe sostenere che, anche nel dibattito, la sola lesione dell’interesse a partecipare di enti e associazioni possa fondare la legittimazione processuale di questi ultimi, senza dover imporre loro di dimostrare ogni volta che dalla mancata partecipazione si sia verificata una effettiva lesione dell’interesse diffuso di cui sono portatori.

Se questo fosse vero, a maggior ragione dovrebbe riconoscersi la legittimazione di enti e associazioni portatori di interessi diffusi nell’ipotesi di illegittima omissione del dibattito obbligatorio, verificandosi, in tal caso, un totale troncamento del momento partecipativo e, dunque, una completa assenza di considerazione delle loro posizioni[85].

In definitiva, sembra doversi concludere che enti e associazioni possano impugnare la decisione finale anche semplicemente perché è stato omesso il dibattito pubblico obbligatorio o sia stata loro negata la partecipazione.

Per quanto riguarda l’oggetto del sindacato giurisdizionale, invece, non esiste in Italia alcuna specifica prescrizione, a differenza della disciplina francese dove ne sono definiti precisamente i confini. In particolare, in Francia può essere impugnata dinanzi al giudice la sola decisione sul se aprire o meno il dibattito pubblico[86]. Ciò in virtù della natura di autorità amministrativa indipendente e terza della “commission nationale” che cura lo svolgimento del dibattito, garanzia di terzietà ed equidistanza rispetto agli interessi in gioco. Questo anche perché nel solco della tradizione costituzionale, dove il potere esecutivo è centrale, incombe perpetuamente il timore che le decisioni dei giudici possano invadere le sfere di competenza della pubblica amministrazione.

La scelta del legislatore italiano di non prevedere invece alcun limite oggettivo al sindacato del giudice sulla procedura di dibattito pubblico pone il pericolo di un eccessivo aumento del contenzioso nei procedimenti di realizzazione delle opere[87]. Infatti, il dibattito pubblico è costruito come un sub-procedimento i cui esiti sono discussi in sede di conferenza di servizi, la cui determinazione finale è ormai sostituiva degli atti di assenso di tutte le amministrazioni[88] ed è immediatamente impugnabile, avendo la natura di atto esoprocedimentale. Per questo motivo, la semplice presenza di una illegittimità nella procedura del dibattito potrebbe determinare a cascata l’illegittimità della determinazione finale della conferenza di servizi sulla realizzazione dell’opera e, dunque, la sua annullabilità in sede giurisdizionale.

6. Conclusioni

L’analisi che precede evidenzia una certa difficoltà del legislatore italiano a strutturare una efficace disciplina del dibattito pubblico.

Ciò che emerge dall’ articolo 40 del nuovo codice dei contratti è un ulteriore arretramento degli spazi di partecipazione dei cittadini nelle decisioni sulla realizzazione di grandi opere.

Si è sottolineata l’abrogazione della commissione nazionale che, seppur priva del requisito dell’indipendenza, svolgeva importanti funzioni di advocacy e di promozione di buone pratiche di partecipazione.

Anche la disciplina sul responsabile del dibattito sembra aver fatto passi indietro in termini di indipendenza rispetto all’amministrazione procedente.

Il dibattito pubblico ha dovuto fare spazio ad altre esigenze più importanti come la velocità nella realizzazione di opere e infrastrutture[89]. Infatti, pur nella concisa formulazione dell’articolo 40, il legislatore ha precisato per due volte (comma 1 e 5) la necessità di garantire un termine “celere” per la conclusione della procedura.

Quando si parla di grandi opere, infatti, non bisogna dimenticare che servono spesso a tutelare interessi costituzionalmente protetti e diritti sociali irrinunciabili[90]. È il caso, ad esempio, dei collegamenti nell’Italia meridionale che sempre di più viene tagliata fuori dal resto d’Europa[91], o ancora, della necessità di sviluppare e utilizzare energie alternative[92] al fine di rispettare i livelli essenziali di sostenibilità ambientale[93].

Le esperienze di partecipazione, però, non devono essere viste come un ostacolo alla realizzazione delle opere: al contrario, potrebbero portare frutti preziosi nella definizione dei progetti. Il contributo di chi abita i luoghi coinvolti permetterebbe di costruire infrastrutture funzionali, nel rispetto del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale[94].

Se ne può ricavare la conclusione per cui il confine tra i benefici e i costi di una partecipazione estesa, nella specie quella offerta dal dibattito pubblico, deve passare per un bilanciamento tra la necessità di realizzare determinate opere e il coinvolgimento nella decisione dei soggetti interessati. Una disciplina del dibattito pubblico che conferisse all’amministrazione il potere di operare questo bilanciamento e, quindi, di tenere adeguatamente conto di queste due esigenze, tra l’altro, sarebbe perfettamente coerente con i principi del risultato e della fiducia di cui si parla negli articoli 1 e 2 del codice dei contratti.

Infatti, il principio del risultato impone la stipula del contratto con il miglior impiego delle risorse e nel più breve tempo possibile.

In base al principio della fiducia, invece, l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore degli appalti deve fondarsi sulla reciproca fiducia nell’azione dell’amministrazione[95], dei suoi funzionari e degli operatori economici. La relazione al codice dei contratti definisce il principio in esame come una svolta rispetto alla logica del “sospetto” che la stratificazione normativa ha creato in questi anni[96]. L’elemento della fiducia, insomma, si ritiene risolutivo rispetto ai problemi della burocrazia difensiva[97] e della paura della firma[98] e, quindi, vero motore per un corretto e pieno esercizio dei poteri discrezionali da parte del funzionario[99].

La sfida per la creazione di un reale clima di fiducia, però, si gioca inevitabilmente sul piano culturale. Oltre all’affermazione del principio, presupposto necessario ma non sufficiente, è indispensabile uno spazio concreto di manovra in cui l’amministrazione per il tramite del funzionario possa esercitare il suo potere discrezionale[100].

Ciò posto, allora, come si è detto, il dibattito pubblico, se costruito adeguatamente, può essere utile strumento di attuazione di questi due principi. Nello specifico, l’amministrazione andrebbe dotata di un dibattito pubblico che sia uno strumento flessibile e da usare con elevata discrezionalità in base alle necessità delle contingenze[101], permettendo, ad esempio, di estendere il novero dei partecipanti se nel caso concreto risulti utile[102].

Infatti, la partecipazione dei soggetti interessati dall’opera potrebbe garantire maggiore completezza alle valutazioni dell’amministrazione al fine di individuare la soluzione migliore, e quindi il raggiungimento del risultato come inteso dal principio di cui all’articolo 1, con la realizzazione dell’opera in tempi rapidi, senza incontrare l’opposizione di chi abita i luoghi, e il miglior impiego possibile delle risorse. D’altro canto, una adeguata partecipazione nella fase di progettazione dell’opera potrebbe portare ad una soluzione condivisa che servirebbe all’amministrazione per decidere più serenamente, con maggiore certezza e consapevolezza sugli interessi pubblici e privati, davvero numerosi, che entrano in gioco quando si tratta di grandi infrastrutture.

A dispetto di ciò, il legislatore non si sia sentito di “fidarsi” dell’amministrazione ed ha creato un modello rigido di dibattito pubblico in cui l’interesse a guadagnare tempo sembra essere l’unico meritevole di tutela.

I difetti di costruzione normativa dell’istituto sono poi accentuati anche dal contesto estremamente difficile in cui si inserisce il dibattito pubblico.

Infatti, in Italia manca una disciplina organica sul lobbying tale da garantire un rapporto funzionale tra potere pubblico e potere economico[103]. Il dibattito pubblico, allora, se strutturato adeguatamente, poteva rappresentare una possibilità per un dialogo chiaro e trasparente tra pubblica amministrazione, poteri privati e cittadini. La scelta del legislatore di ridurre in modo netto il peso del dibattito si è tradotta nella rinuncia ad un confronto potenzialmente molto positivo, anche nell’ottica, ad esempio, di vincere quel sospetto per cui le scelte sulle grandi opere sono sempre indebitamente condizionate dagli interessi economici di grandi gruppi privati.

Non solo, è vero che decisioni di estrema complessità tecnico-scientifica, come quelle sulle grandi opere, sono ontologicamente poco aperte alla partecipazione dei cittadini poiché questi non sono dotati delle giuste competenze. Tuttavia, eliminando qualsiasi contributo dei singoli individui, la decisione non può che ritornare interamente all’amministrazione, la quale però si caratterizza ormai da tempo per l’estrema debolezza dei suoi corpi tecnici[104]. L’assenza di formazione e specializzazione dei dipendenti è causa di procedimenti amministrativi governati da decisori non dotati delle necessarie competenze per ponderare correttamente gli interessi in gioco. In questo quadro, il dibattito pubblico poteva diventare un efficace strumento di individuazione e composizione degli interessi nelle situazioni più complesse e, dunque, snodo cruciale per le decisioni sulle grandi opere.

Probabilmente una scelta orientata più nel senso di dare effettivo peso al momento partecipativo avrebbe consentito di non confondere la “celerità” con la fretta.

  1. Sul rapporto tra amministrazione e privati e la sua evoluzione: M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1950, pp. 259 e ss.; S. Cassese, Il privato e il processo amministrativo, in Arch. giur., 1-2, 1970, pp. 25 e ss.; A. Romano, Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Il diritto amministrativo negli anni ’80, Giuffrè, Milano, 1987; M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in M. Nigro, Scritti giuridici, Milano, 1996, pp. 1412 e ss.; A. Moliterni, Amministrazione consensuale e diritto privato, Jovene, Napoli, 2016; P. Chirulli, I diritti dei partecipanti al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 613 e ss.; M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2022, p. 100 e ss.
  2. Sulle problematiche relative alla realizzazione di infrastrutture A. Macchiati, G. Napolitano, È possibile realizzare le infrastrutture in Italia?, Il Mulino, Bologna, 2009.
  3. Sulle ragioni della nascita dell’istituto e in generale sul ruolo dei privati nelle scelte sulle grandi infrastrutture: A. Averardi, La decisione amministrativa tra dissenso e partecipazione. Le ragioni del dibattito pubblico, in Munus, 2018, pp. 129 e ss.
  4. A. Morelli, La democrazia rappresentativa: declino di un modello, Giuffrè, Milano, 2015, pp. 1 e ss.
  5. A. Averardi, Amministrare il conflitto: costruzione di grandi opere e partecipazione democratica, in Riv. trim. dir. pubbl., 4, 2015, p. 1173.
  6. Sulla partecipazione: R. Villata, G. Sala, Procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino, 1996, pp. 576 e ss.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1996; P. Chirulli, La partecipazione al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2023, p. 399.
  7. Così M. Timo, Gli attori del “dibattito pubblico”, in Giorn. Dir. Amm., 3, 2019, pp. 301 e ss.
  8. Così S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2017, p. 2.
  9. Sulla democrazia partecipativa in questi termini: U. Allegretti, Democrazia partecipativa: un contributo alla democratizzazione della democrazia, in U. Allegretti (a cura di), Democrazia partecipativa: esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 13.
  10. A. Valastro, Gli istituti di partecipazione fra retorica delle riforme e umiltà dell’attuazione, in Costitutizonalismo.it, 1, 2017, pp. 59 e ss.
  11. I codici che si sono susseguiti dal 2006 sono tre: il d.lgs. n. 163/2006, il d.lgs. n. 50/2016 e il d.lgs. n. 36/2023.
  12. F. Cappelli, Ambiente e democrazia: un’integrazione al dibattito, in Riv. giur. ambiente, 1, 2011, p. 41.
  13. United Nations Declaration on Environment and Development, 13 giugno 1992, principio 10: «Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. A livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nelle comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo».
  14. R. Ionta, Il paradigma di Aahurus, Interesse meta-individuale, potere diffuso e processo, in giustamm.it, 5, 2015; M. Prieur, La Convention d’Aarhus, instrument universel de la démocratie environnementale, in Revue Juridique de l’Environnement, numéro thématique: La Convention d’Aarhus, 1999, p. 9-29.
  15. Unece, The Aarhus Convention: an implementation guide, II ed., Ginevra, 2014, pp. 119 e ss.
  16. Sul punto E. Fasoli, Associazioni ambientaliste e procedimento amministrativo in Italia alla luce degli obblighi della Convenzione UNECE di Aahurus del 1998, in Riv. giurd. ambiente, 2012, p. 331.
  17. E. Orlando, Il dibattito pubblico nella Convenzione di Aarhus e nella legislazione europea, in Istituzioni del federalismo, 3, 2020, p. 583.
  18. Riguardo il débat public si veda D. Amirante, Codificazione e norme tecniche nel diritto ambientale. Riflessioni sull’esperienza francese, in Diritto e gestione dell’ambiente, 1, 2002, pp. 9 e ss.; Y. Mansillon, L’esperienza del Débat Public in Francia, in Democrazia e Diritto, 3, 2006, pp. 101-114.
  19. C. Leyrit, Remettre le citoyen au coeur de la décision publique, in La Démocratie participative, Pouvoirs, 4, 2020, p. 224.
  20. J.F. Beraud, Il caso della Francia: la Commission National du débat public, in A. Valastro (a cura di), Le regole della democrazia partecipativa, Jovene, Napoli, 2010, pp. 387 e ss.
  21. Per un’analisi completa del dibattito e in generale della partecipazione in Francia si veda C. Bova, Gli istituti del débat public e dell’enquête public, in G.C. De Martin, D. Bolognino (a cura di), Democrazia Partecipativa e nuove prospettive della cittadinanza, Cedam, Padova, 2010, p. 235.
  22. Per ambiente, pubblica amministrazione e diritto europeo si veda M. Delsignore, Ambiente, in Enciclopedia del diritto, Funzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2022, p. 54.
  23. L. Ferrara, Programmazione economica e pianificazione territoriale. Brevi riflessioni sulla rigenerazione urbana a partire dagli scritti di G. Abbamonte, in G. Leone (a cura di), Scritti in memoria di Giuseppe Abbamonte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2019, pp. 634-635.
  24. Sono davvero molti i conflitti di questo tipo: «Il gasdotto trans-adriatico nel Salento; gli impianti di estrazione di idrocarburi in Val d’Agri; i siti di stoccaggio di scorie nucleari a Scansano Ionico; le centrali a biomassa in provincia di Bologna; la superstrada Bergamo-Treviglio; il parco eolico di Orvieto; il co-generatore di energia elettrica a Oristano; l’elettrodotto italo-albanese sulle coste pugliesi dell’adriatico; la linea ferroviaria Torino-Lione in Val di Susa. Tutte queste infrastrutture, diverse per categoria e per collocazione geografica, condividono il fatto di essere state e, nella maggior parte dei casi, di essere ancora soggette a una intensa opposizione locale rivolta prima nei confronti della loro progettazione e poi della successiva costruzione» così A. Averardi, La decisione amministrativa tra dissenso e partecipazione. Le ragioni del “dibattito pubblico”, cit., p. 129.
  25. L. Bobbio, Il dibattito pubblico sulle grandi opere, il caso dell’autostrada di Genova, in Riv. It. di Pol. Pubb., 1, 2010, pp. 119-146.
  26. M. Brunazzo, Istituzionalizzare la partecipazione? Le leggi sulla partecipazione in Italia, in Istituzioni del federalismo, 3, 2017, pp. 837 e ss.
  27. L. Torchia, Il principio di inclusione nei nuovi processi deliberativi. Il caso della legge n. 69/2007 della Regione Toscana, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, 4, 2011, p. 79.
  28. A. Menegozzi, Prove di democrazia partecipativa: la legge sulla partecipazione dell’Emilia-Romagna, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, 1, 2011, pp. 33 e ss.
  29. G. Sgueo, La democrazia partecipativa nelle Regioni. La legge n.14 del 2010 della Regione Umbria, in Quaderni regionali, 2, 2011, pp. 559 e ss.
  30. Sul punto ancora M. Brunazzo, Istituzionalizzare la partecipazione?, op. cit., in particolare a p. 857 si fa riferimento alla dichiarazione di Brisbane che propone quattro criteri di valutazione della partecipazione. Integrità: presenza di chiarezza e onesta circa l’obiettivo e la portata del processo partecipativo. Inclusione: garanzia che sia attribuita l’opportunità di esprimersi liberamente e di essere ascoltati a un’ampia gamma di valori e prospettive. Deliberazione: garanzia che sia fornita un’informazione sufficiente e credibile per il dialogo e la scelta oltre che margini di manovra per soppesare diverse opzioni, sviluppare una comprensione comune e apprezzare i rispettivi ruoli e responsabilità. Influenza: possibilità che hanno le persone di contribuire a progettare il modo in cui parteciperanno e la possibilità di influenza sulle politiche e i servizi. L’ autore analizza, poi, nelle pagine che seguono, le diverse leggi regionali italiane sul dibattito pubblico in base a questi criteri.
  31. Sul codice del 2016, ex multis: M. Clarich, Commentario al codice degli appalti, Giappichelli, Torino, 2019.
  32. Sulle leggi regionali e sulla sentenza in questione si veda P. Vipiana, La legislazione regionale sul dibattito pubblico, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 235/2018, in Istituzioni del federalismo, 3, 2020, p. 679.
  33. Corte Cost., sent. 14 dicembre 2018, n. 235. In tale Sentenza la Corte dichiarò l’illegittimità della legge della Regione Puglia n. 28/2017, sul dibattito pubblico, nella parte in cui indicava come oggetto del dibattito pubblico regionale le «tipologie di opere nazionali» in ordine a cui la regione è chiamata ad esprimersi e nella parte in cui prevedeva che il dibattito pubblico regionale si svolgesse anche sulle opere nazionali.
  34. Sui problemi che il dibattito pubblico evidenziava dalla sua nascita: A. Averardi, L’incerto ingresso del dibattito pubblico in Italia, in Giorn. Dir. Amm., 4, 2016, pp. 505-551; A. Di Martino, Il dibattito pubblico per la realizzazione delle grandi infrastrutture: quale ruolo per la partecipazione democratica?, in Nuove Autonomie, 3, 2017, pp. 531 e ss.; G. Pepe, Dibattito pubblico e infrastrutture in una prospettiva comparata, in Federalismi.it, 5, 2019, pp. 26 e ss.; A. Averardi, La decisione amministrativa tra dissenso e partecipazione. Le ragioni del dibattito pubblico, cit.; V. Manzetti, Il dibattito pubblico nel nuovo codice dei contratti, in Federalismi.it, 5, 2018, pp. 15 e ss.
  35. V. Molaschi, Il dibattito pubblico sulle grandi opere. Prime riflessioni sul d.P.C.M. n. 76 del 2018, in Rivista Giuridica di Urbanistica, 3, 2018, pp. 386 e ss.
  36. P. Vipiana, La disciplina del dibattito pubblico nel regolamento attuativo del codice degli appalti tra anticipazioni regionali e suggestioni francesi, in Federalismi.it, 2, 2019, p. 20.
  37. a) Presidenza del Consiglio dei Ministri o Ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell’opera; b) un Consiglio regionale o una Provincia o una Città metropolitana o un Comune capoluogo di provincia territorialmente interessati dall’intervento; c) uno o più consigli comunali o unioni di comuni territorialmente interessati dall’intervento, se complessivamente rappresentativi di almeno 100.000 abitanti; d) almeno 50.000 cittadini elettori nei territori in cui è previsto l’intervento; e) almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non più di 100.000 abitanti e per il territorio di comuni di montagna.
  38. Figura introdotta con il regolamento attuativo, d.P.C.M n. 76/2018.
  39. Dubbi sulla formulazione del comma in questione sono evidenziati da G. Di Gaspare, Il dibattito pubblico tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, in Amministrazione In Cammino, 30 settembre 2017, pp. 1-8.
  40. Sugli aspetti problematici del decreto si veda F. Liguori, Il problema amministrativo, aspetti di una trasformazione tentata, Editoriale scientifica, Napoli, 2020.
  41. F. Costantino, Dibattito pubblico e d.l. semplificazioni, in Apertacontrada, 30 giugno 2021.
  42. Sull’importanza di prospettive chiare e di lungo periodo: «se la normalità cessa di essere emergenza diventa allora possibile individuare una chiara direttrice di crescita, stabile e non limitata a settori di intervento o dettata dalla necessità di risolvere crisi, che restituisca fiducia, vero indispensabile vettore di rilancio sociale e di attrazione di capitali ed investimenti». Così R. Spagnuolo Vigorita, Semplificazione e sostituzione dalla legge “Madia” al decreto legge n.76/2020, in F. Liguori (a cura di), Il problema amministrativo, aspetti di una trasformazione tentata, cit., pp. 37 e ss.
  43. «Pnrr: aumentano le opere sottoposte a dibattito pubblico per un maggior coinvolgimento delle comunità locali», in www.mit.gov.it, 12 novembre 2021.
  44. R. Fabbri, Pnrr e dibattito pubblico. Prospettive di applicazione per uno strumento di democrazia deliberativa, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1, 2022, pp. 99-113.
  45. Art. 1, comma 1, n. 2, lettera o), l. n. 78/2022.
  46. Art. 40, comma 3, d.lgs. n. 36/2023.
  47. Che l’articolo fissa nella pubblicazione di cui al comma 3 e, dunque, il termine decorre dalla pubblicazione sul sito istituzionale della relazione contenente il progetto dell’opera e l’analisi di fattibilità delle alternative progettuali.
  48. «La stazione appaltante o l’ente concedente, entro due mesi successivi dalla ricezione della relazione di cui al comma 1, adotta il proprio documento conclusivo, di cui all’articolo 5, comma 1, lettera f), del quale viene data comunicazione mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale e sui siti istituzionali delle amministrazioni locali interessate dall’intervento, nonché al Dipartimento di cui all’articolo 5, comma 1, lettera c)» (art. 7, co. 2, allegato I.6, d.lgs. n. 36/2023,).
  49. Il dibattito è invece escluso, per il settore della difesa e sicurezza, in caso di procedure di somma urgenza e protezione civile, per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauri, adeguamenti tecnologici e completamenti, per le opere già sottoposte a procedure preliminari di consultazione pubblica sulla base di norme europee.
  50. Il comma secondo dell’articolo 40, però, stabilisce una valenza limitata nel tempo dell’ allegato I.6 che, infatti, dovrebbe essere abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un regolamento integralmente sostitutivo, da adottare ai sensi dell’articolo 17, co. 3, l. n. 400/1988, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e il Ministero della cultura.
  51. «il débat consente una consultazione a monte, idonea, nel caso, a impedire la stessa realizzazione di opere pubbliche a elevato rischio ambientale» così F. Gambardella, Le regole del dialogo e la nuova disciplina dell’evidenza pubblica, Giappichelli, Torino, 2016, p. 73.
  52. Così A. Averardi, La decisione amministrativa tra dissenso e partecipazione. Le ragioni del dibattito pubblico, cit., p. 138.
  53. C.E. Gallo, La partecipazione al procedimento, in AA.VV., Lezioni sul procedimento amministrativo, Giappichelli, Torino, 1992, pp. 55-95; S. Cassese, Burocrazia, democrazia, e partecipazione, in Jus, 1, 1958, pp. 81 ss.; F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento e processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 1952, pp. 18 ss.; P. Chirulli, La partecipazione al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, cit.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, cit.
  54. Così M. Della Morte, Potere e partecipazione, in M. Cartabia, M. Ruotolo (a cura di), Enciclopedia del diritto, i Tematici, Potere e Costituzione, Giuffrè, Milano, 2021, in cui si sottolinea l’utilizzo della partecipazione come velo per coprire deficit democratici ed il suo essere «formidabile risorsa narrativa per la composizioni delle contraddizioni del processo di neo-liberalizzazione». Non solo, si evidenzia anche l’utilizzo della partecipazione per «de-politicizzare determinate tematiche perché sensibili o potenzialmente produttive di tensioni».
  55. R. Spagnuolo Vigorita, Il conflitto tra pubblica amministrazione e privati. Modelli per la composizione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 153.
  56. A. Di Martino, Il dibattito pubblico nel nuovo codice dei contratti pubblici: prime considerazioni rispetto ad alcune aporie di sistema, in Passaggi costituzionali, 2, 2023, pp. 248 e ss.
  57. Anche se i poteri dell’ANAC, rispetto al codice del 2016, sembrano aver subito un importante ridimensionamento nel d.lgs. n. 36/2023. Sui poteri dell’ANAC nel codice del 2016 si vedano E. D’Alterio, I nuovi poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione: «post fata resurgam», in Gior. Dir. Amm., 6, 2015, p. 758; F. Di Cristina, La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di appalti pubblici in funzione anticorruzione, in Gior. Dir. Amm., 11, 2014, p. 1023; F. Di Lascio, Anticorruzione e contratti pubblici: verso un nuovo modello di integrazione tra controlli amministrativi?, in Riv. trim. dir. pubbl., 3, 2019, p. 805.
  58. Detta indipendenza era garantita in particolar modo nei procedimenti delle amministrazioni periferiche poiché la nomina del coordinatore avveniva da parte del Ministero, o in seguito ad una gara di appalto indetta dall’amministrazione stessa. L’indipendenza del coordinatore dall’amministrazione era più attenuata, ma comunque garantita, qualora il dibattito pubblico si fosse inserito in una procedura in cui la stazione appaltante fosse stata un Ministero. In tal caso, infatti, la nomina del coordinatore spettava alla presidenza del Consiglio dei Ministri che sceglieva il coordinatore tra i dirigenti di un dicastero estraneo alla procedura.
  59. Su RUP e unità organizzativa si veda R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2021, pp. 559-561.
  60. Art. 5, l. n. 241/1990.
  61. A. Scognamiglio, I contratti della pubblica amministrazione: ascesa e declino del dibattito pubblico, in Dir. Amm., 4, 2023, pp. 777 e ss.
  62. Sulla partecipazione si vedano T. Bonetti, La partecipazione strumentale, Bologna University Press, Bologna, 2022; P. Chirulli, I diritti dei partecipanti al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., pp. 613 ss.; M. De Benedetto, Partecipazione (Dir. amm.), Treccani, diritto on line, 2015; A. Zito, La partecipazione al procedimento amministrativo, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 215 e ss.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, cit.; M. Nigro, Il nodo della partecipazione, op. cit.; M.P. Chiti, Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Pacini, Pisa, 1977; M. D’Alberti, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2000, p. 1 e ss.; R. Caranta, L. Ferraris, S. Rodriguez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 2005.

    Sulla partecipazione in materia ambientale M. Calabrò, Potere amministrativo e partecipazione procedimentale, Il caso ambiente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2004.

  63. Così N. Posteraro, Grandi opere partecipazione democratica: alcune riflessioni sul dibattito pubblico italiano “à la française”, in Istituzioni del federalismo, 3, 2020, p. 618.
  64. G. Manfredi, Il regolamento sul dibattito pubblico: democrazia deliberativa e sindrome nimby, in Urbanistica e appalti, 8, 2015, pp. 604 e ss.
  65. L’articolo 8 del regolamento attuativo dichiarava: «il dibattito pubblico […] consiste in incontri di informazione, approfondimento, discussione e gestione dei conflitti, in particolare nei territori direttamente interessati, e nella raccolta di proposte e posizioni da parte di cittadini, associazioni, istituzioni». La raccolta di proposte e posizioni dei singoli individui era limitata perciò ai soli cittadini.
  66. M. Briccarello, Art. 40. Dibattito pubblico, in F. Caringella (diretto da), Nuovo codice dei contratti pubblici, Giuffrè, Milano, 2023.
  67. Sulla legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste si veda F. Giglioni, La legittimazione processuale attiva per la tutela dell’ambiente alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, in Dir. proc. amm., 1, 2015, p. 413; M.C. Romano, Interessi diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro amm. CDS, 6, 2012, p. 1691.
  68. M. Timo, Gli attori del dibattito, op. cit., p. 6.
  69. Nella legge regionale Toscana è previsto che possano partecipare sia i soggetti residenti nel territorio su cui insiste l’opera, sia «le persone che lavorano, studiano o soggiornano nel territorio le quali hanno interesse al territorio stesso o all’oggetto del processo partecipativo». In questo secondo caso, però, la partecipazione non è indiscriminata, spetta al responsabile del dibattito individuare nel caso concreto quali soggetti ammettere al dibattito.
  70. Sulla legittimazione ad agire G. Tropea, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Dir. proc. amm., 2, 2021, p. 447.
  71. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 180 e ss.
  72. C. Tonola, L’interesse diffuso e la legittimazione ad agire degli enti collettivi, in njus, 2022.
  73. Si pensi alla protezione dell’ambiente e del paesaggio di cui all’art.9 della Costituzione.
  74. In tema di tutela dell’ambiente la giurisprudenza già qualche anno prima era giunta alla conclusione per cui la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste prescindesse da un’espressa previsione di legge, il riferimento è in particolare alle sentenze Cons. St., 31 luglio 2013, n. 4034 e Cons. St., 16 aprile 2013, n. 2095.
  75. Cons. St., 16 febbraio 2010, n. 885.
  76. Per una ricostruzione più completa della vicenda si veda R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, op. cit., pp. 155-160.
  77. M. Ramajoli, Art. 9 della legge n. 241 del 1990, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., pp. 598-612.
  78. Cons. St., 4 settembre 1992, n. 724.
  79. Cons. St., 11 aprile 2023, n. 3639.
  80. Per i rapporti tra partecipazione nelle procedure di valutazione di impatto ambientale e dibattito pubblico si veda E. Frediani, Le garanzie partecipative nella valutazione di impatto ambientale: strumenti tradizionali e dibattito pubblico, in Istituzioni del federalismo, 3, 2020, pp. 657 e ss.
  81. F. Cortese, La partecipazione procedimentale e la legittimazione processuale in materia ambientale, in Gior. Dir. Amm., 5, 2010, pp. 458 e ss.
  82. Cons. St., 31 maggio 2012, n. 3254; Cons. St., 16 settembre 2011, n. 5193.
  83. Cons. St., 9 novembre 2020, n. 6862.
  84. R. Leonardi, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, in Riv. giur. edilizia, 1, 2011, p. 3.
  85. L’omissione del dibattito pubblico obbligatorio, d’altronde, è considerata anche dall’Autorità Nazionale Anticorruzione come una circostanza particolarmente grave. Infatti, la delibera ANAC n. 268 del 20 giugno 2023, al Capo III, art. 6, co.2, lettera d), ha ricompreso il mancato svolgimento del dibattitto pubblico obbligatorio tra le gravi violazioni del codice dei contratti pubblici. In queste ipotesi di gravi violazioni al codice l’Autorità può emettere, ai sensi dell’art. 220, comma 3, d.lgs. 33/2023, un parere motivato con cui chiede alla stazione appaltante di porre rimedio alla violazione. In caso di mancata conformazione della stazione appaltante al parere motivato, all’ANAC è riconosciuta la legittimazione ad agire in giudizio per contestare la grave violazione al codice. L’ANAC, dunque, potrebbe essere legittimata ad agire in giudizio anche per l’ omesso svolgimento del dibattito pubblico obbligatorio.
  86. Conseil d’Etat, 17 maggio 2002, n. 236202 e Conseil d’Etat, 25 aprile 2004, n. 254774.
  87. In questo senso A. Averardi, L’incerto ingresso, cit., p. 510.
  88. S. Tranquilli, G.B. Conte, La conferenza di servizi, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, cit., pp. 512 e ss.
  89. G. Vesperini, Semplificazione amministrativa, in S. Cassese (a cura di), Diz. dir. pubbl., Giuffrè, Milano, 2006, pp. 5479 ss.
  90. Sull’importanza della costruzione di grandi opere: M.A. Venchi Carnevale, Diritto pubblico dell’economia, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, vol. XXIX, I, Cedam, Padova, 1999, pp. 5 e ss.
  91. S. Screpanti, Le politiche infrastrutturali, in S. Cassese (a cura di), La nuova costituzione economica, Laterza, Roma-Bari, 2021, pp. 35 e ss.; S. Cassese, Dallo sviluppo alla coesione. Storia e disciplina vigente dell’intervento pubblico per le aree insufficientemente sviluppate, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2018, pp. 579 ss.
  92. A. Clo, Energia e clima, Il Mulino, Bologna, 2017.
  93. «la tutela del paesaggio, e più in generale del patrimonio culturale, è stata considerata, per alcuni anni, dal Consiglio di Stato, “totalizzante” rispetto a tutti gli altri interessi pubblici, ivi compresa la tutela dell’ambiente» così S. Amorosino, La “compressione” del governo del territorio tra infrastrutture strategiche, energie rinnovabili e tutela del paesaggio, in Urbanistica e appalti, 4, 2023, p. 430.
  94. Sull’importanza della partecipazione già dalla pianificazione territoriale F. Borriello, Motivata, partecipata, integrata. Le nuove frontiere della pianificazione urbanistica, in Riv. Giur. Urb., 1, 2023, pp. 72 e ss.
  95. Sulla burocrazia difensiva, in particolare nei contratti pubblici, M. Cafagno, Contratti pubblici, responsabilità amministrativa e “burocrazia difensiva”, in Il diritto dell’economia, 3, 2018, pp. 625-657.
  96. F. Cintoli, Per qualche gara in più. Il labirinto degli appalti pubblici e la ripresa economica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020.
  97. Su burocrazia difensiva e paura di amministrare: S. Tuccillo, Potere di riesame, amministrazione semplificata e “paura di amministrare”, in Nuove autonomie, 3, 2020, pp. 725 e ss.; A. Battaglia, S. Battini, A. Blasini, V. Bontempi, M. Pilade Chiti, F. Decarolis, S. Mento, A. Pincini, A. Pirri Valentini, E.G. Sabato, “Burocrazia difensiva”: cause, indicatori e rimedi, in Riv. trim. dir. pubbl., 4, 2021, pp. 1295-1316; S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2019, pp. 1 e ss.
  98. La giurisprudenza parla di fuga dalla decisione, Cons. St., parere del 24 febbraio 2016, n. 515.
  99. M.A. Sandulli, Prime considerazioni sul nuovo schema dei contratti pubblici, in giustiziainsieme.it, 21 dicembre 2022.
  100. In questo senso R. Spagnuolo Vigorita, La fiducia nell’amministrazione e dell’amministrazione: riflessioni intorno all’articolo 2 del nuovo codice dei contratti pubblici, in Federalismi.it, 17, 2023, pp. 271 e ss.
  101. C. Contessa, P. Del Vecchio, Codice dei contratti pubblici, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, p. 135.
  102. Come nel modello di dibattito pubblico della legge regionale toscana, analizzato nel paragrafo 5.3.
  103. In argomento: R. Spagnuolo Vigorita, Potere amministrativo, poteri e interessi privati, in CERIDAP, 2, 2024; E. Carloni, Regolazione del lobbying e politiche anticorruzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2017, p. 371. Sul progetto di legge in materia N. Cottone, Progetto di legge sulle lobby, ecco le novità: dal registro dei rappresentanti all’agenda degli incontri, in Sole 24 ore, 10 gennaio 2022.
  104. L. Fiorentino, I corpi tecnici nelle amministrazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 2013, pp. 479 e ss.

Benedetto Marsili

Dottorando di Ricerca in Diritto Amministrativo, nell’Università degli Studi di Napoli Federico II.