2/2023

L’autore si sofferma brevemente sui maggiori problemi della giustizia amministrativa del Terzo Millennio. Nella disamina particolare rilevanza rivestono i temi della digitalizzazione e del ruolo del sindacato del giudice amministrativo sulla decisione amministrativa automatizzata; del rapporto tra ordinamento interno e eurounitario; della concentrazione delle tempistiche dei giudizi amministrativi, che non dovrebbe avvenire a discapito della garanzia del principio di effettività della tutela giurisdizionale e, infine, dell’incertezza delle regole e dello spazio, eccessivo, riservato alla giurisprudenza.


The Problems of Administrative Justice in the Third Millennium
The Author briefly reviews the major problems of administrative justice in the Third Millennium. These include: digitalization and judicial review of automated decisions by administrative judges; the relationships between national and EU law; legal measures to reduce delays in judgments without affecting their effectiveness and the uncertainty of rules and the excessive discretion left to judges.

Sommario. 1. Note introduttive.– 2. Digitalizzazione e sindacato del giudice amministrativo.– 3. Rinvio pregiudiziale e rapporto del diritto interno col diritto eurounitario.– 4. La contrazione delle tempistiche dei giudizi amministrativi e problematiche connesse.- 5. Incertezza delle regole e giurisprudenza creativa.

1. Note introduttive[1]

Preliminarmente ringrazio e rivolgo complimenti sinceri alla Professoressa Galetta e agli organizzatori dell’incontro, complimenti che estendo alla Rivista e al CERIDAP.

Entrando subito in medias res, dato il limitato tempo a disposizione, farò rapidamente riferimento soltanto ad alcune delle problematiche della giustizia amministrativa del Terzo Millennio.

A tale riguardo, credo che i problemi più immediati e le questioni centrali possano essere individuati nei temi di seguito evidenziati, distinguendoli essenzialmente in quattro categorie.

2. Digitalizzazione e sindacato del giudice amministrativo

Un primo tema è quello relativo alla digitalizzazione, elemento che connota fortemente il periodo attuale, tanto da far assumere un rilievo centrale al problema del sindacato del giudice amministrativo sull’atto informatizzato e, quindi, sull’atto c.d. “robotico”.

La giurisprudenza sul punto è orientata non soltanto ad affermare che l’atto vincolato, pienamente sindacabile, può essere robotizzato, ma anche a ritenere che la discrezionalità tecnica può essere regolata ed esercitata attraverso un atto robotico. Conseguentemente, il sindacato giurisdizionale deve essere effettuato non tanto sul contenuto dell’atto – non potendo il giudice comprenderne la portata stante l’elevato tecnicismo che contraddistingue la materia –, quanto, piuttosto, sul contenuto delle decisioni che si trovano “a monte” e hanno individuato i parametri da utilizzare ai fini del concreto funzionamento dell’algoritmo.

Più nel particolare, occorre evidenziare, come ricordato dalla giurisprudenza, che questo tipo di controllo deve essere effettuato sulla base di tre principi: la prevedibilità, che si collega al problema della conoscibilità del ragionamento che sta alla base della scelta algoritmica; la non esclusività della decisione algoritmica, essendo sempre necessario l’intervento umano nell’ambito dei meccanismi algoritmici; e la trasparenza, intimamente connessa con il principio della motivazione e giustificazione della decisione.

Tuttavia, è bene evidenziare che, affinché il giudice possa comprendere e, quindi, sindacare la decisione algoritmica, è necessario introdurre una specifica formazione in tal senso sia per i magistrati che per gli avvocati.

È proprio a questo riguardo che la dottrina è chiamata a svolgere un ruolo primario, dovendo evidenziare il problema e le lacune attualmente esistenti nel nostro sistema, al fine di consentire l’inserimento dell’insegnamento dell’informatica nei corsi di laurea in giurisprudenza per implementare la conoscenza delle nozioni tecniche necessarie in questo settore innovativo.

Un’ulteriore questione problematica concerne, la decisione giurisdizionale algoritmica, tematica che abbiamo affrontato anche con il Professor Massimo Luciani nella lezione conclusiva del mio corso di diritto amministrativo nell’Università di Roma Tre. A tale proposito, ci siamo chiesti se sia più opportuno fidarsi dell’umano o del robot, anche se in quest’ultimo caso, a ben vedere, si scorge comunque la presenza dell’uomo che provvede a impostare il funzionamento algoritmico.

Personalmente, ritengo sia preferibile errare a causa di una decisione promanante dalla mente umana piuttosto che per l’errore espresso in una decisione algoritmica.

Con riferimento a questa tematica, vi sono innumerevoli esempi concreti esemplificativi degli errori che possono manifestarsi nella realtà per effetto della eccessiva valenza data all’informatica. Tra i molti, vi è il caso di un giudice amministrativo che ha respinto un’istanza cautelare monocratica che, in realtà, non era stata mai presentata. Il problema originava dal fatto che la segreteria dell’avvocato, per errore, aveva “flaggato” la voce “istanza monocratica” e, nonostante il ricorso non recasse alcuna istanza di decisione monocratica, il giudice, dopo averlo esaminato, ha respinto l’istanza mai scritta, ma esclusivamente “flaggata”, perché “non motivata”

3. Rinvio pregiudiziale e rapporto del diritto interno col diritto eurounitario

La seconda tematica di assoluta centralità che assurge in questo periodo a massimo rilievo concerne il rapporto del diritto interno con quello eurounitario, e il correlato problema del rinvio pregiudiziale.

Come noto, la Corte di giustizia dell’Unione europea, investita a più riprese dai nostri giudici di ultima istanza, ha evidenziato che non rientra tra le sue attribuzioni né la decisione se il mancato rinvio pregiudiziale da parte di un giudice amministrativo debba essere sindacato dalla Corte di cassazione, né tantomeno se esso possa rappresentare un motivo di revocazione.

Sul tema, sono state segnalate e annotate importanti pronunce sul sito della rivista Giustizia insieme e io stessa vi ho pubblicato vari scritti sul tema.

A ogni modo, i giudici del Consiglio di Stato, al fine di non incorrere in responsabilità, anche erariali, per il danno che l’Italia potrebbe essere costretta a risarcire a causa della violazione del diritto eurounitario, ha più volte interrogato la Corte di giustizia sui canoni della necessità del rinvio.

Inoltre, sempre per scongiurare rischi di responsabilità, la V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria talune questioni interpretative in tema di revocazione, tenuto conto anche dei numerosi casi di contrasto che frequentemente si verificano rispetto alle pronunce della Corte di giustizia.

Sul tema, come noto, la riforma del codice di procedura civile non soccorre, se non per ciò che concerne la CEDU.

4. La contrazione delle tempistiche dei giudizi amministrativi e problematiche connesse

Un terzo tema rilevante nell’ambito della giustizia amministrativa del Terzo Millennio è quello relativo alla contrazione delle tempistiche di giudizi amministrativi.

Alla base di tale tendenza si rinvengono anche le critiche strumentalmente rivolte al giudice amministrativo, ingiustamente considerato “colpevole” di sospendere o annullare gli atti della pubblica Amministrazione e di frenare l’economia. Di fronte a questa preoccupazione – che riporta però indietro nel tempo agli editti dello Stato assoluto francese che sancivano il divieto dei giudici di “disturbare” le attività del Governo, trascurando di considerare che solo una economia “sana”, garantita dal rispetto delle regole, può realmente implementare lo sviluppo del Paese – sia il legislatore, sia, a volte, la stessa giurisprudenza, tendono a proiettarsi, di fatto, verso un sistema di diniego sostanziale di tutela.

Non c’è tempo per approfondire il tema, al quale ho del resto dedicato molti scritti. Richiamo, però, per tutti, l’improvvido art. 12 bis del d.l. n. 68/2022 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), conv. con modificazioni dalla l. n. 108/2022 (già art. 3 del d.l. n. 85/2022), che, con riferimento ai giudizi relativi ad attività finanziate in tutto o in parte con il PNRR (non solo, quindi, per quelli relativi ad atti preordinati alla realizzazione delle grandi opere pubbliche, per i quali già dal 2001 il legislatore ci aveva abituato a rinunciare a una piene ed effettiva tutela giurisdizionale), prevede una sorta di corsia preferenziale, imponendo l’adozione della decisione giurisdizionale in tempi strettissimi, incompatibile con un adeguato studio delle questioni sottese, nonché l’obbligo del giudice di motivare le misure cautelari e le decisioni di annullamento con specifico riferimento alle esigenze di rispettare i tempi previsti dal PNRR.

È, quindi, evidente che, per come costruita tale normativa, se ne dovrebbe dedurre che le rigorose tempistiche del PNRR e gli impegni assunti con le istituzioni europei attraverso tale strumento sarebbero sostanzialmente idonei a giustificare un diniego di tutela in concreto contro gli atti che ne perseguono l’attuazione. In evidente spregio del disposto degli artt. 24 e 113 Cost.

Questa tendenza rappresenta un problema gravissimo, ulteriormente aggravato dalla circostanza che le disposizioni della richiamata novella processuale si profilano estremamente incerte anche dal punto di vista della forma espositiva, creando una serie di problemi applicativi che, evidentemente, non è questa la sede per illustrare.

In termini a mio avviso assai più apprezzabili, lo Schema del nuovo Codice dei contratti, invece di continuare a tagliare i tempi del processo, si prefigge l’obiettivo di ridurre il contenzioso cercando di evitare giudizi inutili e rinvii delle udienze fissate in tempistiche chiaramente incompatibili con il sistema di gara. Le nuove norme codicistiche ancorano infatti più opportunamente il momento di decorrenza dell’impugnazione al momento in cui l’aggiudicazione acquista efficacia: si evita così l’instaurazione di giudizi che potrebbero perdere interesse all’esito della verifica dei requisiti e che vengano frequentemente “bloccati” in attesa di tale esito. Coerentemente, anche lo standstill procedimentale è posticipato all’efficacia dall’aggiudicazione, il che assicura una tutela giurisdizionale più effettiva.

In questa linea, in attuazione del principio di massima trasparenza enunciato anche dall’art. 3, lo Schema prevede un sistema di accesso automatico dei concorrenti alla piattaforma digitale della gara in cui il committente deve inserire i verbali e le offerte (nelle parti non oscurate) dei partecipanti. Per la precisione, l’accesso integrale a tale piattaforma viene consentito ai primi cinque operatori classificati, nel momento in cui il committente comunica l’aggiudicazione efficace. Il sistema si completa con la costruzione di un giudizio rapidissimo per contestare un eventuale eccessivo o insufficiente oscuramento delle offerte.

Dalla lettura degli artt. 17, 36, 90 e 209 e dall’analisi della Relazione illustrativa dello Schema, che risulta molto importante per comprenderne a fondo il senso, si evince il nuovo sistema che si è voluto creare.

Sempre con riferimento allo Schema del nuovo Codice dei contratti, merita fare un breve cenno alle critiche sollevate da più parti sui principi del “risultato” e della “fiducia” enunciati nei primi due articoli.

Sul tema ci sarebbe molto da dire, soprattutto entrando nel dettaglio delle disposizioni che li contengono. Il breve tempo a mia disposizione non lo consente. Vorrei però sottolineare che esse ben possono – e debbono – essere interpretate in modo coerente al dettato costituzionale, di cui comunque l’art. 1 richiama espressamente i principi di legalità, trasparenza e concorrenza, offrendo così, almeno per il primo principio (ché il principio della fiducia, per come declinato, desta invece più serie preoccupazioni), un quadro meno negativamente impattante di quello che viene prospettato e improvvidamente “declamato” nelle prime notizie di stampa e in alcuni primi commenti. Del resto, il “risultato” perseguito dall’art. 1 è espressamente riferito anche al miglior rapporto “qualità-prezzo” e tale elemento, come l’espresso richiamo ai suddetti principi, è valorizzato anche dalla Relazione, in cui si legge altresì che «il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare». E, ancora, che «il comma 3, recependo gli approdi di numerosi studi sulla c.d. amministrazione del risultato, chiarisce che il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità ed è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’U.E.».

Non mi sembra dunque che dall’art. 1 si possa dedurre che gli enti aggiudicatori possano agire in spregio alla legge e al diritto UE in nome della mera celerità, in applicazione di una inaccettabile regola del “fare per fare”.

5. Incertezza delle regole e giurisprudenza creativa

Il quarto – e per questo intervento ultimo – nodo problematico assolutamente rilevante nell’ambito della giustizia del Terzo Millennio concerne il tema dell’incertezza delle regole e dello spazio eccessivo che viene, di conseguenza, lasciato alla giurisprudenza.

Ve ne sono purtroppo molti esempi, a cominciare dall’ambito dell’edilizia e degli stessi contratti pubblici. Così come vi sono addirittura esempi di giurisprudenza creativa contra legem, come è evidentemente quella che, in spregio ai vari interventi legislativi univocamente diretti a rafforzare l’istituto del silenzio-assenso, ne negano la formazione in assenza dei requisiti e dei presupposti di legge.

Anche nello Schema del nuovo codice contrattuale residuano si riscontrano purtroppo ancora un rischioso margine di incertezza su diverse disposizioni che, a mio modesto avviso, avrebbero richiesto una maggiore chiarezza.

Il tempo a disposizione della Commissione, costretta a lavorare (ovviamente senza compensi), per sottogruppi di sottocommissioni e senza soluzione di continuità da metà luglio a metà agosto, non ha purtroppo sempre consentito i necessari affinamenti e coordinamenti. Per quanto mi riguarda, ho cercato di proporne (e riproporne) alcuni anche in sede governativa.

Tra questi, ancora, l’individuazione del dies a quo per l’impugnazione dell’aggiudicazione, che l’art. 120 c.p.a. continua a identificare nella comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art 79 del codice del 2006, abrogato dal 2016. Lo Schema trasmesso alle Camere dispone che l’onere di impugnazione scatta dalla comunicazione di cui all’art. 90, «oppure dal momento in cui vengono conosciuti gli altri atti e documenti». Per eliminare ogni residuo rischio di – con conseguente incremento di eccezioni e di contenziosi – dopo la parola “momento” occorrerebbe aggiungere l’aggettivo “successivo”.

Infatti, se molto è stato fatto per spostare il momento dell’impugnazione a quello in cui l’aggiudicazione acquista efficace, coincidente con il momento in cui diviene in concreto lesiva, non appare opportuno lasciare il dubbio – che sicuramente verrà avanzato – che l’atto possa dover essere impugnato ancora prima se l’interessato ne ha già acquisito altrimenti la conoscenza.

Restando al contenzioso, sarebbe stato e sarebbe a mio avviso opportuno anticipare l’accessibilità dei verbali di gara almeno al momento di conclusione delle varie fasi della procedura e, comunque, unitamente a quella delle offerte, nel momento della proposta di aggiudicazione, sì da anticipare l’eventuale contenzioso sull’accesso e consentirne la definizione in parallelo alla verifica dei requisiti (salvo, se del caso, rinviare comunque a quest’ultima l’effettiva ostensione delle offerte).

In una prospettiva più allargata sul principio di trasparenza, sottolineerei, poi, che esso dovrebbe, in un corretto bilanciamento dei diversi valori e interessi, limitare quello –apparentemente e pericolosamente indiscriminato – della “fiducia” enunciato dall’art. 2, il quale, a un’attenta lettura, non prende tanto in considerazione il concetto di fiducia reciproca, quanto piuttosto – essenzialmente – quello della fiducia nella (presunta) buona fede del committente.

In altri termini, si “presuppone” che la stazione appaltante (o l’ente concedente) eserciti correttamente il potere discrezionale che le compete. Il che, in termini di dubbia costituzionalità e fuori peraltro da ogni delega, sembrerebbe aprire la strada alla lettura di un ulteriore limite di sindacato al giudice amministrativo, limite rinforzato dal fatto che lo Schema del nuovo Codice prescrive espressamente di tarare l’interpretazione delle nuove regole sui principi enunciati dai primi articoli.

Al principio della fiducia nei confronti dell’ente committente – a ben vedere – legarsi anche la previsione, all’art. 5, comma 3, che la presunzione di colpa dell’aggiudicatario, preclusiva della risarcibilità del danno da provvedimento illegittimo favorevole poi annullato, quando l’illegittimità è agevolmente rilevabile «in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti». In altri termini, mentre l’Amministrazione si presuppone essere sempre in buona fede, e la responsabilità dei funzionari è comunque attentamente circoscritta, per l’aggiudicatario illegittimo si sancisce che, usando la buona diligenza dell’operatore economico, avrebbe dovuto intuire che la sua aggiudicazione era illegittima.

Sul tema dei rapporti tra committente e aggiudicatario, va inoltre rimarcata l’introduzione della previsione – negli artt. 5 e 124 – dell’esperibilità di un’azione di rivalsa da parte dell’amministrazione (condannata al risarcimento del danno a favore del terzo illegittimamente pretermesso nella procedura di gara) nei confronti dell’operatore economico che sia risultato aggiudicatario sulla base di una (sua) condotta illecita.

L’interpretazione che verrà data a questa disposizione sarà particolarmente importante.

Appare evidente, infatti, che, se, da un lato, si rende eccezionale l’adozione delle misure cautelari e si blocca l’effetto della sospensione e dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto e, dall’altro lato, si prevede che l’onere del risarcimento ricade, almeno in parte, sull’aggiudicatario, il sistema che si apre sempre più a una tutela meramente risarcitoria rischia di risultare troppo pregiudizievole per gli operatori economici, nonché molto pericoloso anche sotto il profilo degli eventuali rapporti e strategie poco virtuose che potrebbero stabilirsi tra questi ultimi nelle gare economicamente più rilevanti.

  1. Si tratta della versione scritta dell’intervento presentato alla tavola rotonda “Pubblica Amministrazione e giustizia amministrativa in Italia. Sfide attuali e prospettive future” tenutasi il 15.12.2022, presso l’Università degli Studi di Milano, in occasione dell’Incontro di studio organizzato a tre anni dalla nascita di CERIDAP (Milano, 15-16.12.2022).

Maria Alessandra Sandulli

Professore Ordinario di Diritto Amministrativo, Università degli Studi Roma Tre.