Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effet utile

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4/2020

Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effet utile

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L’annullamento d’ufficio degli atti della P.A. concorre con la funzione giurisdizionale a garantire l’effet utile. Da qui la funzionalizzazione dell’autonomia procedurale al principio di effettività delle norme UE. Ciò, tuttavia, non può andare a detrimento del principio comunitario della certezza del diritto (e della tutela del legittimo affidamento). Donde, la necessità di risolvere il conflitto tra la certezza e la giustizia attraverso una sintesi dei contrapposti interessi tramite il principio di proporzionalità conformato al principio di legalità.


The legality and Legal Certainty and Withdrawal of Unlawful Acts: as Interpreted in the Light of the Principle of Effectiveness
The withdrawal of unlawful acts of public administrations aids the judicial function to guarantee effet utile. It follows the functionalization of procedural autonomy to the principle of effectiveness of EU rules. This, however, cannot go against the Community principle of legal certainty and the protection of legitimate expectations. Hence, the conflict between certainty and justice must be resolved through a synthesis of the opposing interests by the application of the principle of proportionality which conforms to the principle of legality.

1. L’annullamento d’ufficio quale strumento alternativo alla tutela giurisdizionale

L’autotutela decisoria[1] è indubitabilmente conformata dal diritto e dai principi UE[2]: primo tra tutti quello dell’effetto utile dell’effetto diretto delle norme comunitarie (effet utile). Lo è, perlomeno, con riguardo a quella sua manifestazione (l’annullamento d’ufficio) che è funzionale alla tutela della legalità[3], e si pone, dunque, quale strumento di garanzia alternativo alla tutela giurisdizionale[4]. Nella logica dell’effet utile, è, invero, senz’altro preferibile la teorica di Benvenuti che ebbe a definire l’autotutela decisoria come attività amministrativa «materialmente giurisdizionale»[5], piuttosto che il prevalente orientamento di dottrina, oggi inteso a ricondurre l’annullamento d’ufficio all’esercizio di una potestà di amministrazione attiva[6] [7].

Quale che sia la qualificazione dogmatica dell’atto di autotutela provvedimento di amministrazione attiva/atto materialmente giurisdizionale), ciò che assume un ruolo centrale nella prospettiva comunitaria è come si risolve l’ineludibile tensione tra la legge e il diritto[8], esteso quest’ultimo sino a ricomprendervi i principi, e tra essi la buona fede[9] e la tutela del legittimo affidamento[10], quali espressioni del principio di certezza del diritto[11]. È, invero, qui centrale proprio il ruolo che la buona fede e la tutela del legittimo affidamento (principi ancillari a quello di certezza del diritto) assumono a contrastare il principio di legalità[12]: perché in tanto si può sostenere un interesse qualificato di un cittadino a conservare una situazione in contrasto con la legge, in quanto si possa richiamare a regolare il contrasto un principio (la buona fede) di valore quantomeno pari a quello di legalità[13]. In questa prospettiva, l’interesse pubblico che deve sempre giustificare l’atto di autotutela non è l’obiettivo (la finalità) del provvedimento di autotutela decisoria (come lo intende Benvenuti con l’affermazione che «l’autotutela è sempre in funzione nell’interesse dell’amministrazione»)[14]. Quell’interesse pubblico (ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità violata) serve solo a giustificare la prevalenza del principio di legalità comunitaria sul principio (di rilevanza comunitaria) di certezza del diritto, come esito di una valutazione impostata sul principio di proporzionalità (idoneità, necessarietà, adeguatezza)[15].

Donde, ai fini di assicurare l’effet utile delle norme UE (ma anche dei principi comunitari e tra essi, appunto, quello di certezza del diritto), è da ritenere che, con riguardo ai provvedimenti che incidono negativamente sugli interessi dei destinatari, non vi sia alcun affidamento da tutelare[16]. Sicché, non essendovi qui la necessità della tutela di un incolpevole affidamento antagonista alla legalità, l’annullamento diviene, con riguardo agli atti sfavorevoli, doveroso, a garanzia dell’uniforme applicazione delle norme comunitarie (che è un principio fondante della UE come comunità di diritto). Ciò sempreché il provvedimento, nel restringere le facoltà di un privato, non abbia altresì ad ampliare quella di altri privati, emergendo altrimenti (alla presenza di un controinteressato), anche con riguardo ai provvedimenti sfavorevoli, un incolpevole affidamento da considerare nella valutazione comparativa del legittimo affidamento con l’obiettivo del ripristino della legalità[17].

Questo, in coerenza con la proposta di codificazione del procedimento amministrativo europeo di cui al Codice ReNEUAL[18], positivamente valorizzata dal Parlamento europeo[19].

2. L’autotutela doverosa

Quantunque l’atto di autotutela – per inveterata tradizione ma ora anche per chiaro precetto normativo[20] – sia senza dubbio atto discrezionale, la giurisprudenza ha, nondimeno, individuato talune ipotesi nelle quali l’annullamento d’ufficio diviene doveroso[21], ma meglio sarebbe dire necessitato[22] o vincolato[23], perché conseguirebbe inevitabilmente al riscontro dell’illegittimità dell’atto[24].

Ciò, anzitutto, nella ricorrenza di particolari vicende, nelle quali si ritiene che l’interesse pubblico all’autotutela sia in re ipsa[25]. Quindi, quando: (i) il destinatario del provvedimento non sia in buona fede, avendo egli piuttosto tratto in inganno la P.A. con una falsa rappresentazione della realtà[26]; (ii) sia decorso un breve lasso di tempo dall’adozione del provvedimento che si intende annullare[27]; (iii) l’oggetto dell’annullamento d’ufficio sia un provvedimento non definitivo[28]. Ma, a ben vedere, queste ipotesi che (nell’improprio richiamo a un c.d. interesse pubblico in re ipsa) sono definite di annullamento doveroso sono piuttosto fattispecie di esercizio discrezionale della potestà di autotutela, caratterizzate, semmai, dal fatto che il confronto comparativo tra l’interesse pubblico all’annullamento e l’interesse privato alla stabilità del rapporto è qui reso più semplice dal fatto che la tutela del legittimo affidamento è irrilevante[29].

Si è ritenuto da taluno doveroso l’annullamento d’ufficio che interviene su di un atto vincolato. Ma così non è, perché anche il provvedimento vincolato è suscettibile di generare affidamenti degni di tutela, atti a rendere l’atto illegittimo insuscettibile di un ripensamento da parte della P.A., quantunque nel ripristino della legalità violata. E, infatti, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’autotutela è discrezionale anche quando interviene su di un atto di carattere vincolato[30].

La doverosità dell’atto di autotutela s’imporrebbe, secondo altri, là dove emergano nella vicenda interessi sensibili, espressione di valori preminenti dell’ordinamento, com’è, per quelli ambientali, paesaggistici, della salute e della pubblica sicurezza, che già sottostanno a un regime amministrativo diverso da quello generale[31]. Perciò, si è talvolta affermato che l’interesse pubblico all’annullamento del provvedimento lesivo di quegli speciali interessi pubblici sarebbe in re ipsa[32]. Sennonché, l’affermazione dell’esistenza di un elemento della fattispecie a prescindere dalla sua dimostrazione è semplicemente un deprecabile artifizio argomentativo a semplificare l’onere motivazionale, ma non può finanche espungere dalla fattispecie quel suo elemento che è dato per sussistente (sia pure senza dimostrarlo)[33]. Sicché, il richiamo a un interesse pubblico in re ipsa null’altro è che un disimpegno del giudice rispetto al suo obbligo (costituzionale) di motivare il provvedimento giurisdizionale[34]. Una prassi anomala che, dunque, non può assurgere a teorica dell’annullamento d’ufficio.

Altri ancora configurano come doveroso l’annullamento d’ufficio ogniqualvolta vi sia da evitare un esborso di danaro da parte della P.A[35]. Si tratta di vicende nelle quali vi sono state ingiustificate erogazioni di danaro pubblico ai privati o l’attribuzione di determinati status da cui consegue un impegno di spesa continuativo[36], e rispetto alle quali si è ritenuto recessiva la disciplina dell’annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 rispetto a quella relativa alla ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.[37]. Al proposito era, peraltro, intervenuta persino una norma specifica (l’art. 1, comma 136, della legge n. 311/2004)[38] a tenore della quale «al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso». Ciò che peraltro (nel richiamo alla mera possibilità dell’atto di autotutela: «può sempre essere disposto»)[39] induceva, semmai, a escludere, anche in questo ambito, la doverosità dell’annullamento d’ufficio[40] [41]. Da ultimo, il legislatore ha configurato un obbligo di autotutela, con riguardo al procedimento per danno erariale, prevedendo all’art. 52 del codice della giustizia contabile (d.lgs. n. 174/2016) che «Resta fermo l’obbligo per la pubblica amministrazione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione». Ma anche qui è da escludere che la norma (in effetti, la piana applicazione del principio codificato nell’art. 1227, comma 2, c.c., che esclude il risarcimento del danno che il danneggiato «avrebbe potuto evitare») abbia reso doveroso l’annullamento d’ufficio, costituendo l’iniziativa di emenda semmai un onere (al fine di esercitare il diritto risarcitorio)[42], l’adempimento del quale è subordinato alla fattibilità dell’intervento di autotutela («ove possibile») secondo gli ordinari principi che presiedono al suo esercizio (la discrezionale comparazione degli interessi in gioco, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990).

Si è, poi, sostenuta la doverosità dell’atto di autotutela, ogniqualvolta l’invalidità del provvedimento sia stata dichiarata con atto inoppugnabile (una sentenza del giudice ordinario che abbia affermato l’illegittimità dell’atto amministrativo agli effetti dell’art. 4 dell’Allegato E della legge n. 2248/1865, l’annullamento in sede giurisdizionale o amministrativa di atti presupposti, l’esito negativo di un procedimento di controllo)[43].

Ma si è al proposito obiettato che in questi casi non viene meno la valutazione discrezionale, bensì essa si caratterizza per il fatto che, in simili vicende, l’interesse pubblico non serve a giustificare l’annullamento, bensì, semmai, a evitarlo[44].

In sintesi, nessuna delle ipotesi descritte dalla giurisprudenza e dalla dottrina come di annullamento d’ufficio doveroso sfugge alla ineludibile caratteristica dell’istituto dell’essere atto di discrezionalità amministrativa. Nondimeno, in questi casi la discrezionalità, indubbiamente, si atteggia in modo particolare, talvolta elidendo sino quasi ad annullare (mai però per intero) il margine di scelta della P.A., impostato sulla valutazione comparativa (secondo il principio di proporzionalità) degli interessi coinvolti nell’esercizio della potestà di autotutela decisoria.

Quantunque, come vedremo, l’autotutela conformata all’effetto utile dell’effetto diretto delle norme UE sia caratterizzata da una discrezionalità (che si definirà come orientata) a valorizzare l’interesse pubblico esclusivamente in chiave demolitoria (essendo la conservazione piuttosto la conseguenza della valorizzazione dell’interesse del privato, antagonista a quello pubblico, in misura comparativamente superiore), così da doversi escludere un rifiuto dell’annullamento giustificato (anziché dalla prevalenza della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento) da un prevalente interesse pubblico alla conservazione dell’atto illegittimo, l’argomento è utile a evidenziare che non si tratta, in questi casi, di escludere la discrezionalità, bensì di ridurla entro più ristretti limiti valutativi.

Eppure, altra ipotesi di annullamento doveroso (obbligato, vincolato o necessitato, che dir si voglia) è stato rinvenuto da parte della dottrina[45] e della giurisprudenza[46] proprio nell’annullamento di provvedimenti contrastanti con le norme comunitarie. Ma – come si dirà – non esiste nella giurisprudenza della Corte di giustizia alcun appiglio a giustificare questo arbitrario assunto. Non è proprio il caso di dire che «lo squarcio della legalità comunitaria, che è interesse supremo, “azzera” la discrezionalità, rendendo l’annullamento doveroso»[47]. E, anzi, proprio la giurisprudenza comunitaria esclude la possibilità di interpretare le disposizioni nazionali nel senso della doverosità dell’annullamento[48], da taluno invocata (al proposito degli atti comunitari) con riguardo al disposto dell’art. 43 della legge n. 234/2012, là dove si impone agli enti pubblici di adottare «ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi derivanti dalla normativa dell’Unione europea»[49].

In conclusione, è dunque da escludere che esistano, nel diritto interno, fattispecie di annullamento d’ufficio doveroso[50], atteggiandosi sempre l’atto di autotutela come provvedimento discrezionale, sia pure con diversi gradienti di discrezionalità in funzione del differente grado di rilevanza costituzionale degli interessi pubblici a tutela dei quali quell’atto interviene[51], potendosi al più immaginare che, in particolari vicende, vi sia una presunzione (iuris tantum) della ricorrenza di un interesse pubblico alla rimozione prevalente rispetto a quello che milita per la sua conservazione[52].

Escluso quindi che vi siano nel nostro ordinamento fattispecie di annullamento doveroso, altro è a dirsi con riguardo alla doverosità intesa (non già quale obbligo di annullare l’atto illegittimo ma) piuttosto come obbligo di provvedere[53] sull’istanza di autotutela proveniente dal privato, eventualmente anche per respingerla[54]. L’obbligo di provvedere sull’istanza del privato, in effetti, parrebbe coerente con i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.[55]. Donde, la necessità, quantomeno, di procedere a una sommaria delibazione sulla richiesta di riesame[56]. E, questo, ora anche in ragione di quanto disposto dal comma b-quater dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, introdotto dalla novella del 2014, a mente del quale «rimangono ferme le responsabilità connesse … al mancato annullamento dell’atto illegittimo»[57]. Ma di ciò si dubita ancora in dottrina[58], e, come vedremo, non è questo l’orientamento della giurisprudenza[59], ché anzi la Corte costituzionale ha statuito che «Se questa Corte affermasse il dovere dell’amministrazione tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, aprirebbe la porta (ammettendo l’esperibilità dell’azione contro il silenzio, con la conseguente affermazione del dovere dell’amministrazione di provvedere e l’eventuale impugnabilità dell’esito del procedimento che ne deriva) alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo. L’autotutela finirebbe quindi per offrire una generalizzata “seconda possibilità” di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo»[60]. Vi è, tuttavia, più di una ragione per dubitare della correttezza della conclusione[61], ancor più (come vedremo) con riguardo agli atti di amministrazione comunitaria indiretta, quando cioè l’operato della P.A. nazionale è in funzione dell’esecuzione di una norma UE.

3. L’annullamento d’ufficio nella giurisprudenza della Corte di giustizia (con riguardo all’amministrazione comunitaria diretta)

La Corte di giustizia si è occupata dell’autotutela decisoria[62] sin dagli esordi della sua giurisprudenza.

Nella celeberrima sentenza Algera [63], essa ha statuito che «Circa la possibilità di revoca di tali atti, trattasi di un problema di diritto amministrativo ben noto nella giurisprudenza e nella dottrina di tutti i Paesi della Comunità, ma per la cui soluzione il Trattato non contiene alcuna norma giuridica. La Corte, per non denegare giustizia, è pertanto tenuta a risolvere tale problema informandosi alle leggi, alla dottrina ed alla giurisprudenza dei Paesi membri». Da qui, la conclusione di dovere «accoglie[re] il principio della revocabilità di atti amministrativi illegali, almeno entro un limite di tempo ragionevole», in coerenza, appunto, con il «diritto oggettivo di tutti gli Stati membri». Sicché, non solo vi è coerenza di regime tra l’autotutela sugli atti dell’amministrazione europea e quella nazionale, ma addirittura l’istituto nasce, a livello comunitario, su modello (anche) del nostro.

Come bene evidenziato dall’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer[64] la sollecitazione centrifuga cui i principi UE (legalità, buona fede, certezza del diritto) sottopongono l’autotutela è bene riassumibile nell’aforisma di Goethe: «Preferisco l’ingiustizia al disordine». E, in effetti, quello è il «dilemma di ogni ordinamento giuridico: il conflitto tra il desiderio di giustizia da un lato e l’esigenza di certezza dall’altro». Così che, nella prospettiva comunitaria, la discrezionalità è imprescindibile tratto dell’esercizio della potestà di autotutela, giacché quel «conflitto dialettico» tra opposti (e cogenti) principi generali del diritto UE («valori costitutivi dello Stato di diritto») non può essere risolto attraverso un astratto giudizio di prevalenza, bensì all’esito di una valutazione comparativa degli interessi in concreto coinvolti nel ripensamento delle istituzioni comunitarie sulla correttezza del proprio operato. In altre parole, i principi UE di legalità e di certezza del diritto escludono (a fortiori non lo impongono) che la revoca (l’equivalente del nostro annullamento d’ufficio) consegua per mero automatismo all’accertamento del vizio dell’atto[65].

Nella sentenza SNUPAT[66], la Corte di giustizia ha, invero, statuito che «il principio della certezza del diritto, per quanto importante sia, non va applicat[o] in modo assoluto, ma in concomitanza col principio di legittimità [e] La decisione se l’uno o l’altro di detti principi debba prevalere nel caso singolo dipende dal confronto fra l’interesse pubblico e gli interessi privati in contrasto». L’autotutela decisoria è, dunque, da sempre tratteggiata dalla giurisprudenza pretoria della Corte di giustizia quale potere decisamente discrezionale. Donde, vi è sempre da operare un rigoroso bilanciamento tra gli interessi in gioco, anche in una prospettiva temporale: (i) sia con riguardo al termine trascorso dall’adozione del provvedimento illegittimo; (ii) sia in relazione all’obbligo di calibrare gli effetti nel tempo dell’annullamento d’ufficio, essendo possibile farlo retroagire solo nella ricorrenza di particolari situazioni di fatto (come per esempio la malafede del soggetto pregiudicato dall’atto di autotutela)[67].

Nella sentenza Alpha Steel[68], la Corte di giustizia ha, infatti, affermato che, secondo la sua giurisprudenza, «la revoca di un atto illegittimo è consentita entro un termine ragionevole e se la Commissione ha adeguatamente tenuto conto della misura in cui [il beneficiario] ha potuto eventualmente fare affidamento sulla legittimità dell’atto», escludendo nel caso concreto che vi fosse un affidamento da tutelare perché il privato era consapevole dell’errore commesso dalla istituzione comunitaria. Allo stesso modo, nella sentenza De Compte[69] si legge che, «Secondo una giurisprudenza costante, se bisogna riconoscere ad ogni istituzione comunitaria che accerta che un atto da essa appena emanato è viziato da illegittimità il diritto di revocarlo con effetto retroattivo entro un termine ragionevole, tale diritto trova un limite nella necessità di rispettare il legittimo affidamento del beneficiario dell’atto, che ha potuto far affidamento nella legittimità di quest’ultimo». Il tratto discrezionale della potestà di autotutela è, dunque, ius receptum nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

Nella sentenza AssiDomän[70] la sollecitazione del tratto discrezionale dell’atto di autotutela è stata portata addirittura oltre, negandosi non solo l’obbligo di provvedere ma altresì quello di procedere sull’istanza del privato, senza accogliere il distinguo al proposito suggerito dall’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer tra la facoltà dell’amministrazione di procedere (che si convertirebbe in obbligo ogniqualvolta vi sia un «serio indizio di irregolarità») e la facoltà di revoca (che consegue sempre a una valutazione di equità delle circostanze del caso concreto), e i corrispondenti diritti al riesame della motivazione dell’atto illegittimo e alla sua revoca[71]. La Corte di giustizia, in questo caso, era stata chiamata a statuire sull’obbligo della Commissione di riesaminare suoi provvedimenti frattanto divenuti inoppugnabili per adeguarsi alla statuizione del giudice comunitario su casi analoghi, in una pretesa applicazione estensiva del disposto dell’art. 266 TFUE, a mente del quale «L’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato … sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea comporta». E, in riforma della sentenza del Tribunale (che aveva dichiarato l’esistenza di un obbligo delle istituzioni comunitarie di estendere gli effetti di una sentenza di annullamento anche a favore di chi non avesse proposto tempestivamente un ricorso di annullamento), la Corte di giustizia ha, appunto, statuito che «Il principio della certezza del diritto … osta pertanto a che, nell’ipotesi in cui più decisioni individuali analoghe che infliggono ammende siano state adottate nell’ambito di un procedimento comune ed in cui solo taluni destinatari abbiano chiesto ed ottenuto l’annullamento in sede giudiziale delle decisioni che li riguardano, l’istituzione da cui esse emanano, su domanda di altri destinatari, sia tenuta a riesaminare, alla luce della motivazione della sentenza di annullamento, la legittimità delle decisioni non impugnate e a valutare se, sulla base di tale esame, si debba procedere ad un rimborso delle ammende versate».

Sicché, la Corte di giustizia ha escluso l’obbligo di procedere/provvedere in autotutela, quantunque nella ricorrenza di una conclamata (dichiarata dallo stesso giudice comunitario) situazione d’illegalità, e per di più con riferimento a provvedimenti sfavorevoli, rispetto ai quali, dunque, non vi era nemmeno la necessità di contemperare la legalità con la tutela di un legittimo affidamento e quindi giustificandosi il diniego di provvedere solo in ragione di obiettive esigenze di certezza del diritto in una prospettiva assai limitata: la buona amministrazione (ciò che per vero costituisce un ossimoro, dovendosi dubitare che quella realizzata attraverso atti illegali sia davvero buona amministrazione).

In sintesi, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, l’annullamento d’ufficio (tale è da intendersi la revoca con effetto retroattivo di un provvedimento illegittimo) è un atto discrezionale che si traduce nella scelta concreta attraverso la valutazione concorrente, da un lato, dell’esigenza di ripristinare la legalità violata, e, dall’altro, di quella di salvaguardare il legittimo affidamento del privato ma anche il solo interesse pubblico alla buona amministrazione, assegnando la prevalenza dell’uno o dell’altro degli antagonisti interessi in gioco sulla base: (i) del ritardo con cui si provvede alla correzione dell’errore; (ii) della consapevolezza dell’errore da parte del privato; (iii) del contributo eventualmente dato dal privato alla commissione dell’errore in conseguenza di false informazioni da lui fornite all’amministrazione; (iv) alla misura del vantaggio attribuito al privato dal provvedimento illegittimo comparata con il pregiudizio per le istituzioni comunitarie nel mantenimento di una situazione illegale, così da escludere che vi sia un legittimo affidamento rispetto a un provvedimento pregiudizievole[72].

In breve, tornando all’aforisma di Goethe («Preferisco l’ingiustizia al disordine»), ben può affermarsi che il conflitto tra giustizia e certezza è risolto dalla Corte di giustizia prevalentemente in una logica conservativa del provvedimento contra legem (a favore della certezza del diritto, dunque), quantunque nel riconoscimento di un ruolo di amplissima discrezionalità in capo alle istituzioni comunitarie, che trova, però, semmai un limite (mai un impulso a procedere/provvedere) nelle rivendicazioni dei privati. Ciò che induce la Corte di giustizia a indebolire le potenzialità dell’autotutela (come ritraibile dalla giurisprudenza degli Stati membri, da cui pure il suo diritto pretorio ha tratto le mosse) a protezione della legalità e, quindi, in funzione dell’effet utile delle norme UE. Questo, però, a valere solo con riguardo agli atti comunitari di amministrazione diretta[73] . E ben sappiamo che non è esigibile alcuna simmetria tra ciò che la Corte di giustizia si attende dalle istituzioni comunitarie (amministrazione diretta) e quanto invece esige dalle amministrazioni nazionali quanto all’esercizio di una pubblica funzione definita da una norma UE (amministrazione indiretta)[74]. Sicché, la questione va indagata anche sotto questo differente profilo, senza azzardare inammissibili commistioni.

4. Segue: con riguardo ai provvedimenti delle amministrazioni nazionali in esecuzione di atti normativi dell’Unione europea (l’amministrazione comunitaria indiretta e la coamministrazione)

Nella sentenza Alcan[75], la Corte di giustizia fu richiesta dal Bundesverwaltungsgericht tedesco di stabilire se le norme comunitarie prevedessero un «obbligo delle autorità nazionali di recuperare un aiuto di Stato illegittimo in presenza di difficoltà derivanti da una normativa nazionale che tutela il beneficiario dell’aiuto». In particolare, si opponeva all’obbligo di ripetizione dell’aiuto di Stato, l’art. 48 del Verwaltungsverfahrensgesetz (la legge tedesca sul procedimento amministrativo), a mente della quale, «Qualora l’autorità amministrativa è a conoscenza di circostanze che giustifichino la revoca di un atto amministrativo invalido, la revoca deve avvenire entro un anno dal momento in cui tali circostanze sono venute a conoscenza della amministrazione». Nella vicenda in contenzioso, infatti, l’atto di autotutela era intervenuto oltre l’anno concesso dalla norma per l’esercizio della facoltà di ritiro dell’atto illegittimo da parte della P.A. Vi era, dunque, da stabilire se la disposizione nazionale rendesse praticamente impossibile l’effetto utile dell’effetto diretto delle norme dei Trattati in tema di aiuti di Stato e dovesse perciò essere disapplicata, secondo i principi della sentenza Rewe[76] (di equivalenza ed effettività) chiamati a conformare l’autonomia procedurale nella logica della sua funzionalizzazione all’effet utile. Ebbene, sulla base di queste premesse, la Corte di giustizia ha affermato che, «sebbene non contrasti con l’ordinamento giuridico comunitario una legislazione nazionale che garantisce la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione, si deve tuttavia rilevare che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. [108 TFUE], le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo. Un operatore economico diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata».

Con ciò è fatta salva l’autonomia procedurale degli Stati membri, giacché la Corte di giustizia dà una risposta coerente all’esigenza di garantire l’effet utile delle norme UE sugli aiuti di Stato con il rispetto della norma nazionale, che viene solo interpretata in modo soddisfacente di quella superiore esigenza (non è in buona fede chi ignora norme di chiara evidenza interpretativa). Questo nell’enfasi dell’obbligo di interpretazione conforme. La vera questione era tuttavia quella posta dal superamento del termine annuale per l’esercizio della potestà di autotutela (termine che nella vicenda in contenzioso era stato superato), non potendosi, in questo caso, conciliare il precetto della norma nazionale con l’effet utile della norma UE. Ma qui la Corte di giustizia è riuscita a far quadrare il cerchio, sia pure con una certa disinvoltura nella definizione della fattispecie. Essa, invero, ha suggerito un’interpretazione della norma nazionale (che, in realtà, è prerogativa esclusiva del giudice nazionale) suscettibile di renderla compatibile con l’ineludibile necessità di recuperare l’aiuto di Stato, nel senso cioè di intendere il termine annuale come strumentale alla tutela del soggetto che si trovi in una situazione di legittimo affidamento («il principio della certezza del diritto impone che si metta fine a questa incertezza allo scadere di un determinato termine»), così da escluderne l’operatività nel caso in cui, invece, la Commissione si sia pronunciata (con provvedimento inoppugnabile) sulla illegalità dell’aiuto di Stato concesso e lo Stato inadempiente sia rimasto nondimeno inerte, omettendo di dare esecuzione (com’era invece obbligato) al provvedimento della Commissione che disponeva il recupero degli importi indebitamente versati. All’esito di questa dilatazione del principio di interpretazione conforme, la Corte di giustizia ha quindi concluso che «l’autorità nazionale competente è tenuta, in forza del diritto comunitario, a revocare la decisione di concessione di un aiuto attribuito illegittimamente, conformandosi alla decisione definitiva con cui la Commissione dichiari l’incompatibilità dell’aiuto e ne ordini il recupero, anche quando abbia lasciato scadere il termine a tal fine previsto dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto»[77].

Nella sentenza Alcan, dunque, l’obbligo di disapplicazione della norma nazionale sugli atti di autotutela in contrasto con le norme e i principi UE (primo tra tutti quello dell’effetto utile dell’effetto diretto) resta sullo sfondo: quale mera ipotesi di intervento, nel caso in cui il giudice nazionale non aderisse all’interpretazione conforme già delineata (sia pure con una certa forzatura del suo ruolo, che sarebbe di interprete della sola norma UE) dalla Corte di giustizia[78]. E, in effetti, la società Alcan ha poi proposto un giudizio di legittimità costituzionale, ritenendo violati dalla sentenza della Corte di giustizia i suoi diritti fondamentali[79], ma il Bundesverfassungsgericht ha escluso che vi fosse stata una violazione del principio del legittimo affidamento e di certezza del diritto, essendo stati correttamente comparati gli interessi confliggenti (certezza del diritto/legalità) dandosi priorità al ripristino della legalità comunitaria. Ma ha, pure, affermato che ciò giustificava la disapplicazione dell’art. 48 Verwaltungsverfahrensgesetz, sia pure a valere non quale regola di generale applicazione bensì a tutela della competenza esclusiva della Commissione in materia di aiuti di Stato, in virtù di quanto ora disposto dall’art. 108, paragrafo 2, TFUE, così escludendo che si potesse giungere al medesimo risultato attraverso l’interpretazione conforme[80], come invece suggerito dalla Corte di giustizia.

Nella sentenza Delena Wells[81], la High Court of Justice ha chiesto alla Corte di giustizia se vi fosse l’obbligo di provvedere in autotutela sul rilascio di una concessione mineraria per lo sfruttamento di una cava senza che fosse stata effettuata la valutazione di impatto ambientale conformemente alla disciplina comunitaria. Qui, la risposta del giudice comunitario è stata più rispettosa del principio di autonomia procedurale (anche nel senso di lasciare al giudice nazionale la piena latitudine interpretativa della norma di diritto interno)[82]. Questa, invero, è stata la statuizione della Corte di giustizia: «le autorità competenti hanno l’obbligo di adottare, nell’ambito delle proprie attribuzioni, tutti i provvedimenti, generali o particolari, atti a rimediare alla mancata valutazione dell’impatto ambientale di un progetto [ma] Le modalità processuali applicabili in tale contesto rientrano nell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro in forza dell’autonomia procedurale degli Stati membri [sicché] spetta al giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda la possibilità di revocare o di sospendere un’autorizzazione già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto ad una valutazione dell’impatto ambientale». L’atto di autotutela è, dunque, definito come discrezionale, anche a protezione di una situazione giuridica soggettiva definita da una norma UE. Si tratta, però, di una discrezionalità conformata (funzionalmente orientata) all’effet utile, nel senso che la Corte di giustizia richiama a risolvere l’inevitabile tensione tra legalità e certezza del diritto il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa (nel riferimento a «tutti i provvedimenti necessari» richiesti alle autorità competenti di uno Stato membro)[83], piuttosto che un indefinitivo criterio di equità. Il riferimento è chiaramente alla seconda delle tre valutazioni (idoneità, necessarietà, adeguatezza) attraverso cui si realizza il giudizio di proporzionalità di una scelta amministrativa. Qui, il vaglio di proporzionalità si atteggia, tuttavia, in una particolare prospettiva: non è inteso (more solito) a consentire una scelta discrezionale in pregiudizio del privato che discende da una autonoma sintesi degli interessi in gioco, bensì a rendere obbligatoria una azione (la revoca dell’atto illegittimo) che consegue direttamente come atto doveroso dal principio di legalità (l’effet utile della norma UE). La proporzionalità non è dunque, qui, intesa quale limite all’esercizio di una potestà discrezionale, bensì piuttosto quale presupposto dell’emanazione di un atto dovuto. Così che, a giustificare l’atto di autotutela (e a renderlo, anzi, doveroso) è sufficiente che la revoca sia l’unica misura idonea a garantire l’effet utile della norma UE (non ve ne sia dunque una meno gravosa per il beneficiario dell’atto) e sia altresì adeguata (cioè non eccessivamente gravoso rispetto al vantaggio perseguito). Senza che a tal fine sia necessario anche individuare un differente interesse pubblico a sorreggerla.

Nella sentenza Kühne & Heitz[84] il giudice olandese (College van Beroep voor het bedrijfsleven) ha chiesto alla Corte di giustizia se il principio di leale cooperazione (art. 4 TUE) imponesse a un organo amministrativo l’obbligo di provvedere in autotutela a eliminare un suo provvedimento inoppugnabile quando diviene evidente, in esito a una successiva pronuncia pregiudiziale del giudice comunitario, il suo contrasto con le norme UE. La Corte di giustizia ha, anzitutto, precisato che «la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario. Il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo». Così che è categoricamente smentita la teorica della doverosità dell’atto di autotutela di un provvedimento in contrasto con la norma UE, che secondo taluno s’imporrebbe proprio in ragione della giurisprudenza della Corte di giustizia. Nondimeno, fatta questa premessa di carattere generale, la Corte di giustizia ha poi concluso che «il principio di cooperazione derivante dall’art. [4 TUE] impone ad un organo amministrativo, investito in una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto dell’interpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora: (i) disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; (ii) la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; (iii) tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita a titolo pregiudiziale alle condizioni previste all’art. [267 TFUE], e (iv) l’interessato si sia rivolto all’organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza». Nell’apparente rispetto del principio di autonomia procedurale, la Corte di giustizia traduce, quindi, una mera facoltà in un obbligo di provvedere, sia pure nella ricorrenza di particolari circostanze. Ciò, tuttavia, sempre nel rispetto del principio di autonomia procedurale («qualora disponga, secondo il diritto, nazionale del potere di ritornare su tale decisione»), sia pure funzionalizzata all’effet utile attraverso la codificazione di un invasivo obbligo di interpretazione conforme. In questo caso, tuttavia, vi era da preservare l’effet utile dell’art. 267 TFUE (piuttosto che della norma UE di diritto sostanziale), e, dunque, la trasformazione della facoltà di autotutela in un obbligo di autotutela era senz’altro necessaria al corretto funzionamento del meccanismo da cui dipende la definizione dell’Unione europea quale comunità di diritto. E, comunque, con riferimento a un provvedimento sfavorevole (rispetto al quale non vi era, dunque, da considerare un legittimo affidamento antagonista al ripristino della legalità violata). Sicché, non se ne può derivare che l’atto di autotutela sia sempre doveroso ogniqualvolta sia stata violata una norma UE, bensì che lo fosse in quella particolare circostanza (caratterizzata dal fatto che il privato leso si era attivamente adoperato per far valere il suo diritto, così come riconosciuto dal diritto comunitario), giacché l’ingiustizia, nella particolare vicenda, era “semplicemente insopportabile”. Come sarà poi chiarito dalla stessa Corte di giustizia nella sentenza i-21[85].

5. L’autotutela funzionalizzata all’effet utile della norma UE (l’annullamento d’ufficio a discrezionalità orientata)

Le tre citate sentenze Alcan[86], Delena Wells[87] e Kühne & Heitz [88] non mettono direttamente in discussione il rapporto tra l’effet utile della norma UE e il principio di autonomia procedurale degli Stati membri che esse invero rispettano[89], bensì risolvono – quantunque forzando l’obbligo di interpretazione conforme – il problema (che è anche e soprattutto di coerenza interna tra principi e norme di diritto UE) della ineliminabile tensione tra effettività della norma e certezza del diritto[90]. Come bene evidenziato dall’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle sue conclusioni nella causa i-21[91], in questi casi,  «La Corte deve … soppesare gli imperativi della certezza del diritto e della legalità comunitaria per valutare se il primo rappresenti sempre una barriera insuperabile o se in alcune circostanze debba soggiacere al secondo». È, invero, innegabile che il principio della «invulnerabilità degli atti definitivi, anche irregolari, assurge allora a regola generale giacché nessun sistema tollera che la validità dei rapporti giuridici sia discussa all’infinito», nondimeno vi è altresì da considerare che «il suddetto principio può diventare un ostacolo per l’uniforme e corretta applicazione del diritto comunitario».

Sono, dunque, proprio le norme e i principi UE a escludere che si possa caratterizzare come doveroso l’atto di autotutela[92], potendo l’organo amministrativo revocare un proprio atto inoppugnabile solo quando ciò risulti necessario al perseguimento dell’effet utile di una norma UE, all’esito di una valutazione degli interessi coinvolti nel caso concreto secondo l’accorto utilizzo del canone di proporzionalità (idoneità, necessarietà, adeguatezza). Donde, è da escludere che si possa applicare agli atti di amministrazione comunitaria indiretta e di coamministrazione l’affermazione della Corte costituzionale nel senso che «in via di principio, il momento discrezionale della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale»[93]. Invero, non solo la giurisprudenza della Corte di giustizia non impone alle autorità amministrative nazionali la rimozione d’ufficio degli atti amministrativi viziati per contrasto alle norme UE, ma nemmeno lo consente[94]. E, comunque, l’affermazione è criticabile anche in una prospettiva nazionale, giacché la discrezionale è funzionale alla tutela dell’affidamento e alla certezza del diritto, che sono indubbiamente valori di rilevanza costituzionale[95].

Quindi, non è sotto questo profilo (la discrezionalità dell’atto di autotutela) che si ha uno scarto tra diritto nazionale (rettamente inteso) e diritto comunitario.

Il diritto UE non è tuttavia neutro rispetto all’esercizio della potestà di autotutela su atti coinvolgenti situazioni giuridiche di rilevanza comunitaria. Esso impone, infatti, che la discrezionalità sia qui funzionalizzata primariamente al perseguimento di due fondamentali obiettivi (la legalità comunitaria e la certezza del diritto), dovendosi, in questa prospettiva, tutti gli altri interessi coinvolti nell’esercizio della potestà di autotutela spostare in secondo piano. Sicché, la funzionalizzazione dell’autotutela decisoria all’effet utile della norma UE, quale inevitabile conseguenza dell’obbligo di leale cooperazione (inteso come obbligo di interpretazione conforme), pur nel rispetto di come l’istituto è definito dalla norma nazionale (l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990) in aderenza a secolare tradizione dogmatica e giurisprudenziale, cambia tuttavia l’intima essenza dell’istituto. Invero, non è più sostenibile che l’autotutela sia esercitata nell’interesse principale della P.A.[96]. Donde, è da rimettere in discussione, probabilmente, anche la conseguenza che Benvenuti traeva da quel suo postulato: l’esercizio, per sua natura, parziale (nell’interesse dell’autore) di quella potestà. A distinguere, così, l’autotutela decisoria dalla «tutela giurisdizionale [che] è sempre, per definizione, imparziale, neutra o di terzo»[97]. Così che si amplifica la dimensione giustiziale dell’autotutela decisoria[98], che, nel «nuovo paradigma» normativo[99] perde indubitabilmente la sua connotazione di privilegio della P.A., divenendo invece strumento per affermare della legalità, che è, al contempo, tutela della certezza del diritto e del legittimo affidamento. E, invero, la sintesi (secondo il principio di proporzionalità) di quei contrapposti interessi serve solo a corroborare il giudizio di prevalenza del principio di legalità (che sollecita l’annullamento del provvedimento illegittimo) rispetto a quello di certezza del diritto (che induce, di contro, alla conservazione degli effetti del provvedimento, quantunque in violazione della legalità comunitaria e, dunque, in violazione altresì del fondamentale principio di uniforme applicazione delle norme UE)[100]. L’interesse pubblico può valere (se comparativamente superiore) a vincere l’affidamento incolpevole del destinatario dell’atto illegittimo, per consentire il ripristino della legalità a detrimento del principio di certezza del diritto. Non pare (quantomeno nell’obbligo di interpretazione conforme della norma nazionale all’effet utile delle norme UE), invece, che quell’interesse pubblico possa essere brandito dalla P.A. a giustificazione del mantenimento in essere di un provvedimento illegittimo, sol perché utile alla collettività, ancorché (illecitamente) in pregiudizio di un privato che ne soffra le negative conseguenze all’interno della sua sfera giuridica (quantunque a vantaggio di un indistinto numero di persone nel cui interesse l’ente pubblico agisca)[101]. Quindi, la funzionalizzazione della potestà di autotutela (per come definita dalla norma nazionale) all’effet utile della norma UE costringe a scartare quelle teoriche che, invece, nell’esegesi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, giungono ad affermare finanche la «sostanziale emarginazione dell’interesse al ripristino della legalità»[102], perché altri sarebbero gli interessi prevalenti che condizionerebbero l’esito della valutazione discrezionale che presiede all’esercizio dell’autotutela decisoria.

Di più, la prospettiva comunitaria induce ad abbandonare la configurazione del legittimo affidamento in senso oggettivo (com’è inteso da tradizionale orientamento giurisprudenziale)[103] con la conseguente irrilevanza della buona fede del destinatario del provvedimento, perché diviene, invece, qui centrale la situazione soggettiva del destinatario del provvedimento illegale, che può contrastare l’effet utile della norma UE solo se sia caratterizzata come di affidamento incolpevole[104]. In tanto l’affidamento rileva (e giustifica la violazione della norma comunitaria), in quanto consegua all’incolpevole ignoranza dell’illegittimità del provvedimento da parte del suo destinatario; dovendo in ogni altro caso (di consapevolezza del destinatario del provvedimento della situazione di illegalità) prevalere senz’altro l’effet utile, a rendere doveroso (o, se si preferisce, vincolato) l’annullamento d’ufficio.

La diversa prospettiva è, dunque, in effetti rivoluzionaria[105], ma senz’altro rispettosa della lettera del disposto dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che va però riletto (obbligo di interpretazione conforme) secondo i principi Rewe (di effettività e di equivalenza)[106] che consentono il pieno dispiegarsi dell’effet utile della norma UE nel rispetto dell’autonomia procedurale degli Stati membri.

6. L’annullamento d’ufficio nella giurisprudenza nazionale

In alcune occasioni, il Consiglio di Stato si è persino spinto ad affermare che «l’eliminazione del contrasto normativo (disapplicazione) e le connesse conseguenze amministrative costituiscono adempimento di un obbligo internazionale dello Stato la cui legittimità è stata ampiamente riconosciuta e di fronte al quale non può non recedere ogni altro interesse pubblico o privato»[107]. Da ciò ne ha derivato che, «in presenza di una illegittimità derivante dalla violazione di norme comunitarie, il concreto ed attuale interesse pubblico al ritiro dell’atto amministrativo è da considerarsi non solo in re ipsa, ma anche prevalente su altri interessi privati militanti a favore della conservazione dell’atto»[108].

Quella deriva (che pretendeva di essere in chiave) comunitaria[109] è stata giustamente abbandonata dal più recente orientamento del Consiglio di Stato. Invero, l’affermazione della prevalenza (in ogni caso e a prescindere da tutto) del principio di legalità comunitaria «su altri interessi privati militanti a favore della conservazione dell’atto» equivarrebbe a violare un principio fondamentale UE (la certezza del diritto, da cui deriva la tutela del legittimo affidamento) per l’affermazione del precetto di una norma europea di diritto derivato (che l’atto d’annullare avrebbe violato). Il che non è ovviamente ammissibile (e, certo, non è l’inevitabile conseguenza del principio del primato della norma UE, né dall’effetto utile dell’effetto diretto di quella medesima norma)[110].

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ora attestata sull’affermazione che «un provvedimento amministrativo … il cui contenuto sia in contrasto con norme o principi comunitari, non possa essere disapplicato dall’amministrazione, sic et simpliciter, ma debba essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui la stessa amministrazione dispone [e] L’esercizio di tali poteri, peraltro, deve ritenersi soggetto, anche in questi casi, ai principi che sono a fondamento della legittimità dei relativi provvedimenti, rappresentati dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, se si tratta di situazioni consolidate o di atti che abbiano determinato un legittimo affidamento in coloro che ne sono interessati, e dalla osservanza delle garanzie che l’ordinamento appresta per i soggetti incisi dall’atto di autotutela, prima fra tutte quella di consentire ai soggetti interessati di partecipare al relativo procedimento»[111].

E in questo modo il Consiglio di Stato si è riportato nel solco dei (cogenti) principi UE che conformano l’esercizio dell’annullamento d’ufficio sugli atti di amministrazione europea indiretta o di coamministrazione[112].

7. Conclusioni

La giurisprudenza della Corte di giustizia non induce a tradurre in un obbligo la facoltà della P.A. di annullare i propri atti illegittimi a tutela di situazioni giuridiche soggettive definite anche attraverso una norma UE, ancorché ciò sia utile a ripristinare la legalità comunitaria, essendo, semmai, il problema al contrario: di giustificare interventi in autotutela in pregiudizio di un principio fondamentale (anche) dell’ordinamento europeo: quello della certezza del diritto (e del collegato principio della tutela del legittimo affidamento). Donde, è da escludere che l’effetto utile dell’effetto diretto delle norme UE (la tutela della legalità comunitaria) conduca a definire la potestà di autotutela come doverosa, essendo, anzi l’annullamento d’ufficio compatibile con i principi dell’ordinamento europeo solo a condizione che l’esercizio di quel potere sia assolutamente discrezionale[113], dovendosi, appunto, valutare, nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità (idoneità, necessarietà e adeguatezza), se le esigenze di uniforme e corretta applicazione del diritto comunitario siano prevalenti rispetto all’esigenza di evitare che la validità dei rapporti giuridici sia discussa all’infinito, a presidio dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento[114]. Dunque, un problema di bilanciamento di opposte esigenze (la legalità comunitaria, da un lato, la certezza del diritto e la tutela del legittimo affidamento, dall’altro)[115], che non può essere risolto ex ante con una scelta predeterminata (la codificazione di un obbligo di autotutela), bensì attraverso un giudizio ex post che abbia a valorizzare quella inevitabile tensione tra antitetici principi, in ragione degli interessi coinvolti nel caso concreto, in una sintesi (basata sul principio di proporzionalità) che è inevitabilmente di carattere discrezionale.

Non vi è, perciò, contrasto tra la conformazione discrezionale dell’atto di autotutela e l’effet utile della norma UE (giacché l’effettività è a presidio anche dei principi UE e tra essi, appunto, quello di certezza del diritto).

Semmai, il problema si pone con riguardo: (i) all’esistenza di un obbligo di procedere al riesame del provvedimento su istanza di parte; (ii) sulla graduazione discrezionale degli effetti nel tempo dell’atto di annullamento[116]; (iii) sulla funzionalizzazione della potestà di autotutela alla legalità comunitaria; (iv) sulla possibilità di configurare una res giudicata amministrativa (una «materielle Rechtskraft»), di per sé ostativa all’atto di annullamento d’ufficio, con il decorso di un termine stabilito che renda intangibile la situazione di vantaggio del privato quantunque contra legem.

Sull’obbligo di procedere, la Corte di giustizia, nella sentenza Kühne & Heitz[117], è tranciante: «l’organo amministrativo è tenuto, in applicazione del principio di cooperazione derivante dall’art. [4 TUE], a riesaminare tale decisione al fine di tener conto dell’interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario frattanto accolta dalla Corte. Il detto organo dovrà stabilire in funzione dei risultati di tale esame se sia tenuto a ritornare, senza ledere gli interessi di terzi, sulla decisione in questione». Sicché, l’atto di autotutela è discrezionale (nella comparazione degli interessi coinvolti) ma l’avvio del procedimento è doveroso[118]. Ciò, tuttavia, sempreché il soggetto che lo richieda si sia attivamente (ma infruttuosamente) adoperato in sede giudiziaria per evitare il consolidarsi degli effetti del provvedimento illegittimo. Donde, l’impossibilità per il privato di coercire la P.A. alla revisione di un provvedimento che avrebbe (ma non ha) tempestivamente impugnato. Vi è, dunque, da registrare un sostanziale scollamento tra l’insegnamento della Corte di giustizia (al quale consegue il valore normativo della sua statuizione con la forza del primato) e la giurisprudenza nazionale, che, quantomeno nell’orientamento prevalente, è invece nel senso che non vi sia un obbligo di provvedere, nemmeno nella sua minore latitudine dell’obbligo di avviare il procedimento per poi concluderlo all’esito di una valutazione ampiamente discrezionale. Ma già si è scritto che l’obbligo di procedere sembra, piuttosto, imporsi già in ragione dell’interpretazione della norma costituzionalmente orientata. E, comunque, è una delle sue possibili interpretazioni. Sicché, la disarmonia è da risolversi attraverso l’interpretazione conforme (alla Costituzione e ai principi UE).

Quanto all’efficacia nel tempo dell’atto di annullamento, l’opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza nazionali sono nel senso che la retroattività degli effetti dell’annullamento d’ufficio sarebbe a esso connaturata, con la sola eccezione dell’impossibilità di eliminare gli effetti irreversibili, secondo il principio factum infectum fieri nequit[119]. Non vi sono, però, obiettivamente ragioni di carattere dogmatico a escludere l’efficacia ex nunc dell’atto di annullamento[120], ma anzi vi sono concorrenti argomenti ritraibili anche dal diritto comparato a indurci a superare questo apparente dogma[121]. Invero, nel diritto tedesco, il § 48, comma 1, alinea 1, VwVfG prevede che «Un atto amministrativo illegittimo può essere ritirato, totalmente o parzialmente, con efficacia ex nunc o ex tunc, anche dopo che sia divenuto inoppugnabile»[122] . E così è anche nel codice ReNEUAL (che come si è dinanzi scritto è la ricognizione dei principi esistenti nell’ordinamento comunitario e in quelli degli Stati membri), che prevede la necessaria retroattività solo per gli atti pregiudizievoli[123], mentre con riguardo a quelli attributivi di vantaggi, opportunamente, prevede che la pubblica autorità debba valutare il legittimo affidamento del privato e in ragione di ciò, non solo decidere se annullare l’atto, ma altresì di stabilire se l’annullamento abbia effetti retroattivi o solo ex tunc.

Quanto alla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio alla legalità comunitaria, la giurisprudenza nazionale semplicemente ignora la necessità di ribaltare la prospettiva (la proporzionalità a rendere doveroso anziché a consentire l’atto di autotutela). Piuttosto, i nostri giudici s’interrogano (prevalentemente giungendo, correttamente, a escluderlo) se l’esigenza di tutela di una situazione giuridica soggettiva definita da una norma UE sia di tale rilevanza da configurare come doveroso l’atto di annullamento d’ufficio di un provvedimento violativo del diritto comunitario. Ma, attraverso questi (inopportuni) slanci in avanti si ha, quindi, in realtà un arretramento rispetto all’obbligo di conformazione della norma interna (l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990) alle norme (prima tra tutte, l’art. 4 TUE sull’obbligo di leale cooperazione) e ai principi del diritto UE (in primo luogo, quello di effettività della norma comunitaria).

Quanto, infine, al termine massimo entro il quale esercitare l’atto di autotutela, l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (come novellato dall’art. 6 della legge n. 124/2015) non consente altra via che la sua disapplicazione, perché pare difficilmente compatibile con la funzionalizzazione dell’atto di autotutela all’effet utile la previsione di un ostacolo alla uniforme applicazione della norma UE che non si giustifichi (all’esito di una valutazione comparata, informata al principio di proporzionalità) in ragione della tutela di un legittimo affidamento.

Nella prospettiva comunitaria, così come è inammissibile un interesse pubblico (in re ipsa) per definizione poziore all’antagonista interesse privato tale da imporre come doveroso l’atto di autotutela a prescindere dalla legittima aspettativa che in tal modo viene delusa; del pari è da escludere che vi sia una legittima aspettativa del privato (tutelata dal principio di certezza del diritto) che, a prescindere da tutto, sia prevalente rispetto all’interesse pubblico, in modo tale da erigersi quale invalicabile limite all’atto di autotutela. In altre parole, nel rispetto dei principi (dell’effet utile, del legittimo affidamento e della certezza del diritto) non è consentito al legislatore nazionale configurare l’atto di autotutela né come doveroso né come vietato, sulla base di astratte considerazioni ex ante, anziché in ragione dei concreti interessi emergenti nella vicenda concreta, da valutarsi ex post ineludibilmente attraverso un giudizio discrezionale improntato al principio di proporzionalità. È proprio la prospettiva comunitaria a configurare inevitabilmente l’atto di autotutela come provvedimento discrezionale (funzionalmente orientato alla tutela della legalità comunitaria), e ciò anche nel suo profilo temporale. L’annullamento d’ufficio può essere rifiutato, nella ricorrenza di un atto amministrativo in contrasto con la norma UE, quando l’interesse del privato alla conservazione del provvedimento (come garantito dalla tutela del legittimo affidamento) prevalga, nella valutazione comparativa, sull’interesse pubblico alla tutela della legalità comunitaria. Ciò che sarà necessario fare, ogniqualvolta la limitazione temporale degli effetti dell’atto di ritiro (efficacia ex tunc dell’annullamento) non sia di per sé sufficiente a rendere il provvedimento di ritiro idoneo, necessario e adeguato (in altre parole, giuridicamente proporzionato) al perseguimento dell’interesse pubblico.

Così che, fermo restando il suo carattere discrezionale, sono radicalmente modificate le caratteristiche dell’atto di autotutela decisoria così come definito dalla tradizione, che diviene nella nuova prospettiva comunitaria: (i) di necessaria attivazione procedimentale (e, quindi, tutelabile anche con il ricorso sul silenzio) quantomeno ogniqualvolta il soggetto leso si sia diligentemente attivato a tutela dei propri diritti conformemente ai canoni di condotta definiti nella sentenza Kühne & Heitz[124], in modo da funzionalizzare l’annullamento d’ufficio alla riparazione di una lesione dell’effettività dei mezzi di tutela del singolo[125] e dunque a completamento del sistema di giustizia comunitario; (ii) teleologicamente orientato alla tutela della legalità comunitaria (con esclusione di ogni rilevanza di un interesse pubblico antagonista alla norma UE); (iii) condizionato nel suo esito alla valutazione comparativa (in base al principio di proporzionalità) dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto con l’interesse privato alla sua conservazione sulla base di un legittimo affidamento, da valutarsi in ragione di un canone di buona fede nella sua dimensione sia oggettiva (la violazione dell’obbligo di non contraddizione) sia soggettiva (la tutela di chi abbia incolpevolmente confidato n.

In altre parole, l’annullamento d’ufficio, nella prospettiva comunitaria è funzionale all’effettività della norma e della tutela giurisdizionale, in coerenza (e a completamento) della funzione assegnata alla «Corte di giustizia dell’Unione europea» (per tale intendendosi il plesso dei giudici comunitari) dall’art. 19 TUE di assicurare, appunto, il «rispetto del diritto» e la «tutela giurisdizionale effettiva». Nel senso, cioè, che, ogniqualvolta il sistema di giustizia europeo (esteso anche al giudice comunitario di diritto comune) nel suo complesso fallisca quei suoi obiettivi, vi soccorre (vi deve soccorrere, salvo che la certezza del diritto e la tutela di un affidamento legittimo vi si oppongano) la P.A. con l’esercizio della sua potestà di autotutela, che, dunque, perde i suoi originari caratteri di privilegio[126] divenendo a tutto tondo funzione. Ma ciò sempre nell’immanenza di una ineludibile qualificazione soggettiva della tutela giurisdizionale (e dell’annullamento d’ufficio che si voglia leggere a completamento di quella tutela in chiave alternativa alla giurisdizione), che, in effetti, solo in larga approssimazione è confacente alle esigenze dell’effet utile (la tutela della legalità obiettiva). Così che è sempre, anche in questo caso, risolutivo il principio ritraibile dalla sentenza Van Gend en Loos[127], nel senso che «La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli [258 e 259 TFUE] affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri». Donde, anche qui (con riferimento alla funzionalizzazione dell’autotutela decisoria all’effetto utile dell’effetto diretto della norma UE) è fondamentale che il soggetto leso dall’attività illegittima della P.A. si attivi diligentemente a tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive definite dalla norma UE, in conformità, appunto, ai principi ritraibili dalla sentenza Kühne & Heitz[128]. Diversamente, anche l’ordinamento comunitario è costretto ad ammettere vuoti di effettività delle proprie norme, a garanzia tuttavia di un principio UE: la certezza del diritto (anche quando quella certezza va a detrimento della legalità).

  1. L’istituto trova, ancora oggi, la più compiuta sistemazione in F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm.), in Enc. Dir., Milano, 1959, pagg. 537 ss. Più di recente, in termini generali, si vedano, tra gli altri, F. Francario, Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in AA.VV., L’interesse pubblico tra politica e amministrazione, Napoli, 2010, II, pag. 107 ss., R. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (diritto amministrativo), in Enc. Dir., Milano, 2008, pag. 910 ss., A. Gualdani, Verso una nuova unitarietà della revoca e dell’annullamento d’ufficio, Torino, 2016. Per un’analisi di diritto comparato, vi rinvia a A. Cassatella, L’annullamento d’ufficio. Modelli di comparazione, in Dir. e form., 2004, pagg. 241 ss., D. Corletto (a cura di), Procedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento in Europa, Padova, 2007, G. Falcon e D. De Pretis (a cura di), Stabilità e contendibilità del provvedimento amministrativo nella prospettiva comparata, Padova, 2011.
  2. In argomento si è scritto molto. A. Ardito, Autotutela, affidamento e concorrenza, in Dir. Amm., 2008, pag. 631, afferma al proposito che «L’istituto dell’autotutela della pubblica amministrazione ha costituito negli anni un tema centrale costantemente “arato” dalla dottrina». Sul tema, hanno scritto, tra gli altri: F. Caringella, Affidamento e autotutela: la strana coppia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, pag. 425 ss., S. D’Ancona, Interesse pubblico, discrezionalità amministrativa e istanza di parte nell’annullamento d’ufficio: riflessioni sui recenti sviluppi dottrinari e giurisprudenziali tra diritto interno e diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, pag. 537 ss., M. Del Signore, Il ruolo della Pubblica Amministrazione nazionale ai fini dell’effettività del diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, pag. 442 ss., P. De Luca, Sull’obbligo di riesame delle decisioni amministrative contrarie al diritto comunitario, in www.giustamm.it, D. De Pretis, Illegittimità comunitaria dell’atto amministrativo definitivo, certezza del diritto e potere di riesame, in Giorn. dir. amm., 2004, pag. 723 ss., P. Ferrari, Annullamento in autotutela di provvedimenti contrastanti con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, pag. 1286 ss.; D.U. Galetta, Autotutela decisoria e diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, pag. 35 ss., D.U. Galetta, I procedimenti di riesame, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa: saggi ordinati a sistema, Napoli, 2006, pag. 393 ss.; R. Garofoli, Concessione di lavori: discrezionalità del potere di annullamento d’ufficio e vincoli comunitari, in Urb. App., 1998, pag. 1343 ss., G. Gattinara, Il ruolo comunitario delle amministrazioni nazionali alla luce della sentenza Kühne & Heitz, in Dir. com. scambi internaz., 2004, pag. 489 ss., R. Giovagnoli, L’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico e il problema dell’autotutela decisoria, in www.giustamm.it, F. Goisis, L’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo per illegittimità comunitaria, in Dir. amm, 2010, pagg. 439 ss., G. Greco, Illegittimità comunitaria e pari dignità degli ordinamenti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, pag. 514, G. Grüner, L’annullamento d’ufficio in bilico tra i principi di preminenza e di effettività, da un lato, ed i principi di certezza di diritto e dell’autonomia procedurale degli Stati membri, dall’altro, in Dir. proc. amm., 2007, pag. 235 ss., N. Pignatelli, L’illegittimità comunitaria dell’atto amministrativo, in Giur. Cost., 2008 pag. 3635 ss., L. Raimondi, Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra principio di effettività e competenze di attribuzione, in Dir. Un. Eur., 2008, pag. 773 ss., S. Valaguzza, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d’ufficio, in Dir. proc. amm., 2004, pag. 1245 ss.
  3. F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “Trenta” all’“Alternanza”, Milano, 2001, pag. 94, rammenta che «Il potere di ritirare i propri atti viziati è nato come “privilegio” dell’amministrazione» e sostiene che «questa considerazione è sufficiente a escludere che il potere di annullamento sia un istituto dello Stato di diritto, nel senso che dal principio di legalità che regola l’azione amministrativa derivi per l’amministrazione anche l’obbligo id ripristinare la legalità violata». In questo senso, S. Romano, Annullamento (teoria dell’) nel diritto amministrativo, in Nuovo dig. It., Torino, 1937, pag. 475, sosteneva che occorresse valutare di volta in volta se l’annullamento «giovi, nel caso concreto, agli interessi della pubblica amministrazione [perché] la pubblica amministrazione, nelle ipotesi di cui è in parola, non pronuncia l’annullamento per l’imparziale tutela del diritto oggettivo, ma solo se e quanto questa tutela sia un’esigenza della specifica funzione amministrativa che le è affidata». Così anche, F. Benvenuti, Autotutela, cit., che appunto sosteneva che i poteri di autotutela spontanea (escluse dunque le ipotesi in cui l’annullamento consegua ai controlli o ai ricorsi amministrativi) non tendono «alla restaurazione obiettiva dell’ordine giudico violato [bensì] a soddisfare un interesse concreto e immediato della amministrazione». Ma quello che è affermato in una prospettiva storica (statica) non è ostativo a una differente configurazione dell’istituto in una prospettiva dinamica (come esso si è evoluto negli anni). Del resto, V. Romanelli, L’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi, Milano, 1939, sosteneva che il potere di annullamento si giustificava proprio in ragione di «quella norma fondamentale, derivante dalla nozione stessa di Stato giuridico, e che si sintetizza nel principio di legalità a cui deve informarsi la pubblica amministrazione, nell’interesse imprescindibile della sua azione amministrativa». Ciò già negli anni ’30, quantunque esprimendo una posizione minoritaria in dottrina e senza influenza sulla giurisprudenza. Questo a evidenziare che non vi siano mai stati ostacoli d’ordine dogmatico alla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio alla tutela della legalità violata piuttosto che al perseguimento un generico interesse pubblico.
  4. B.G. Mattarella, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, in Relazione al 53° Convengo di studi amministrativi, su Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, Varenna, 2007, afferma che «l’autotutela costituisc[e] una forma di esercizio amministrativo di poteri giurisdizionali». Prima di lui, G. Coraggio, Autotutela (diritto amministrativo), Enc. giur. it., 1988.. aveva definito l’autotutela quale attività paragiurisdizionale, sostitutiva dell’attività del giudice. Anche in ambito civile si è affermato il carattere paragiurisdizionale dell’autotutela, inteso quale strumento volto alla «composizione della lite». Così E. Betti, Autotutela, cit., pag. 529 ss.
  5. F. Benvenuti, Autotutela, cit.., Id., Disegno della amministrazione italiana, Padova, 1996, pag. 276 ss. Si collocano in questa ricostruzione tradizionale E. Cannada Bartoli, Annullabilità e annullamento, in Enc. dir. , II, Milano, 1958, pagg. 544 e 545, F. Cammeo, Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa, I, Ricorsi amministrativi e giurisdizione ordinaria, Milano, 1911, pag. 450 ss.
  6. Come spiegato da R. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado, cit., pag. 913, «la tesi della configurazione di un potere di amministrazione attiva mediante riesame risultava maggiormente conforme al principio di legalità dell’azione amministrativa ed ai principi di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi». In giurisprudenza (a contribuire a questa diversa prospettiva), è stata da tanti notata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 11/11/1977, n. 997, ove si legge: «la revoca di ufficio di un provvedimento amministrativo costituisce l’atto finale di un procedimento in cui l’Amministrazione riesamina alla luce dei fatti sopravvenuti l’assetto dato in precedenza a determinati interessi, concludendo nel senso della necessità di una modifica: con essa l’Amministrazione non si “tutela” in senso tecnico, ma si limita a gestire l’interesse di cui è portatrice né più e né meno di come aveva fatto con l’atto originario». Per questa tesi, tra i tanti, M. Alì, Annullamento d’ufficio, analogo procedimento e principi costituzionali, in Foro amm., 1966, pagg. 152 ss., Id., Osservazioni sull’annullamento di ufficio degli atti amministrativi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1966, pag. 527 ss., G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, G. Coraggio, Autotutela, in Enc. Giur., Roma 1988, pag. 5, A. Paparella, Revoca (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1989, pagg. 204 ss., A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli, 1991, pag. 74, G. Ligugnana, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova, 2004, pag. 116 ss. F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, pag. 843 ss., G. Rossi, Diritto amministrativo. I principi, Milano, 2005, pagg. 370 ss., R. Villata, L’atto amministrativo, in AA.VV. Diritto amministrativo, Bologna, 2005, II, pag. 869, R. Villata e M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, II ed., Torino, 2017, pag. 623.
  7. Vi sono, peraltro, anche posizioni intermedie, nel senso, cioè, che l’annullamento d’ufficio sarebbe un provvedimento di amministrazione attiva, ma nel perseguimento di un interesse pubblico (alla legalità dell’azione amministrativa) differente da quello originariamente perseguito dalla P.A. In questo senso, M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Milano, 1993, pag. 552, in una logica, per così dire, intermedia, sostiene che «La distinzione tra i procedimenti di secondo grado e i procedimenti che intervento in un rapporto amministrativo risiede dunque in questo: che i secondi sono estrinsecazione della stessa potestà dell’amministrazione in base alla quale è stato adottato l’atto costitutivo del rapporto: gli interessi pubblici che si tutelano e si valutano sono gli stessi, anche se con segni diversi (positivo-negativo e con diverse intensità e/o complessità. I primi sono invece manifestazioni di potestà generali che l’amministrazione possiede per dare ordine alla propria attività, ossia di potestà che non sono volte alla cura di questo o di quell’interesse pubblico positivo bensì alla cura di quell’interesse di ambito generale che l’amministrazione ha in ordine ad un corretto, ordinato e pertinente svolgimento della propria attività». Questa è anche la teorica di E. Cannada Bartoli, Annullabilità e annullamento, cit. pag.. 484 ss., il quale ritiene che l’interesse pubblico perseguito con l’atto di annullamento ben possa essere «l’interesse alla legittimità», B.G. Mattarella, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2007, sostiene che «l’autotutela amministrativa è sempre stata uno strumento di affermazione della legge e, più in generale della legalità» (pag. 1) e afferma quindi «La duplice anima dell’autotutela amministrativa, volta all’affermazione del diritto ma anche al perseguimento di un interesse pubblico specifico» (pag. 7), così che «L’annullamento d’ufficio, dunque, rientra a pieno titolo nell’autotutela, perché unisce il profilo del ripristino della legalità violata a quello del perseguimento dell’interesse pubblico specifico, affidato alla cura dell’amministrazione». G. Miele, In tema di annullamento d’ufficio di atti amministrativi illegittimi, in Giur. comp. Cass., 1947, I, pag. 1133, afferma che l’annullamento d’ufficio è «funzione mista di amministrazione attiva e di controllo».
  8. P. Craig, EU Administrative Law, Oxford, 2012, pag. 562, afferma al proposito degli atti di ritiro l’esistenza di una tensione tra legalità e giustizia individuale.
  9. Si deve a F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970, il definitivo superamento della tesi (risalente a E. Guicciardi, Recensione a K.H. Schmidt, Treu und Glauben in Verwaltungsrecht, in Archivio di diritto pubblico, 1936, pagg. 561 ss.) della incompatibilità del principio con la logica del pubblico interesse.
  10. Corte di giustizia, sentenza 3/5/1978, causa 112/77, Töpfer, ha statuito che il principio «il principio [del legittimo affidamento] è parte dell’ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza costituirebbe … “una violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativo alla sua applicazione”», rilevante ai fini di un ricorso di annullamento ex art.263 TFUE. Al proposito della conformazione degli ordinamenti nazionali al principio del legittimo affidamento, si veda R. Caranta, La comunitarizzazione del diritto amministrativo: il caso della tutela del legittimo affidamento, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 439 ss., F. Caringella, Affidamento e autotutela, cit., pag. 425, sostiene che «i sistemi europei coniano il legittimo affidamento, ovvero la legitimate expectation o ancora la confiance légitime (figlia o parente della sécurité juridique) alla stregua di categoria naturale del diritto non scritto».
  11. D.U. Galetta, La tutela dell’affidamento nella prospettiva del diritto amministrativo italiano, tedesco e comunitario: un’analisi comparata, in Dir. amm., 2008, pag. 759, afferma che nella prassi concreta dei tribunali amministrativi tedeschi, «La tutela dell’affidamento rappresenta, cioè, la concretizzazione da una prospettiva di diritto soggettivo, del principio di certezza del diritto ed è posta a salvaguardia della pretesa del cittadino a mantenere od acquisire una situazione per lui favorevole».
  12. F. Merusi, Buona fede, cit., pag. 142 ss.
  13. M. Nigro, Questioni di giurisdizione, cit., pag. 199, nella differente prospettiva del solo principio di legalità, sosteneva, a commento di una sentenza su di un provvedimento di annullamento d’ufficio di un’assegnazione illegittima, affermava: «non vedo in che modo l’interesse del destinatario alla conservazione dell’unità poderale … possa trovare tutela e acquistare giuridica configurazione per effetto delle norme che disciplinavano in funzione dell’interesse generale l’esercizio della potestà di annullamento».
  14. F. Benvenuti, Autotutela, cit.
  15. L. Raimondi, Atti nazionali inoppugnabili, cit., pag. 778, sostiene che «il primato è enunciato con una formula che riconnette automaticamente all’avverarsi di un presupposto (il contrasto tra una fonte comunitaria ed una fonte interna) il determinarsi di una precisa conseguenza (la disapplicazione della fonte interna in favore di quella comunitaria) [sicché] Una regola del genere può essere o meno applicata, ma non si presta ad essere contemperata con principi generali del diritto». Ciò che è vero, nel rapporto tra le fonti, ma che tuttavia non può essere esteso a disciplinare la sorte di un atto amministrativo in contrasto con la norma comunitaria, a rendere il principio del primato (quale specificazione del principio di effettività) non ponderabile con altri fondamentali principi comunitari, come quelli di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento.
  16. F. Merusi, Buona fede, cit., pag. 97. È, invero a mio avviso, da escludere che la P.A. possa far valere un proprio interesse alla conservazione di un atto illegittimo, in pregiudizio del contrastante interesse del privato (cui quell’atto è rivolto) all’annullamento. Ciò salvo che il provvedimento nel restringere le facoltà di un privato abbia altresì ad ampliare quella di altri privati, emergendo altrimenti (alla presenza di un controinteressato), anche con riguardo ai provvedimenti sfavorevoli, un incolpevole affidamento da considerare nella valutazione comparativa del legittimo affidamento con l’obiettivo del ripristino della legalità.
  17. Si è, tuttavia, sostenuto che tra gli interessi dei privati coinvolti nella vicenda su cui si interviene in autotutela dovrebbe, piuttosto, esse privilegiato quello del destinatario dell’atto da annullare e che ha tratto vantaggio dal provvedimento illegittimo sulla cui stabilità ha fatto affidamento. Così G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, I, L’attività, Padova, 2005, pag. 179. E, nella nostra prospettiva questa precisazione è senz’altro da condividere.
  18. G. Della Cananea, D.U. Galetta, H.C.H. Hofmann, J.-P. Schneider, J. Ziller (a cura di) Codice ReNEUAL del procedimento amministrativo dell’Unione europea, Napoli, 2016, pag. 120, ove si legge (a commento degli artt. III-35 e III-36) che «[il] ritiro di una decisione può essere in conflitto con la tutela del legittimo affidamento e il principio di certezza del diritto. La tutela del legittimo affidamento è un principio generale del diritto dell’UE accettato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ciò vale soprattutto in relazione a decisioni formali della Commissione. A questo proposito, la Corte di giustizia traccia una differenza tra decisioni legittime e illegittime e tra decisioni favorevoli o decisioni che conferiscono diritto o benefici analoghi, e decisioni sfavorevoli».
  19. Risoluzioni del Parlamento europeo 15/1/2013, recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto dell’Unione europea in materia di procedimenti amministrativi (2012/2024 (INL)), e 9/6/2016, di proposta di regolamento per un’amministrazione dell’Unione europea aperta, efficace e indipendente (2016/2610 (RSP)), ove, con riguardo al tema di interesse si legge (al considerando n. 37) che «Il principio di legalità, in quanto corollario dello Stato di diritto, impone all’amministrazione dell’Unione l’obbligo di rettificare o revocare gli atti amministrativi illegittimi. Tuttavia, considerato che la rettifica o la revoca di un atto amministrativo potrebbe essere in contrasto con la tutela dell’affidamento e il principio della certezza del diritto, l’amministrazione dell’Unione dovrebbe valutare in modo accurato e imparziale gli effetti della rettifica o della revoca sulle altre parti e includere le conclusioni di tale valutazione nella motivazione della rettifica o della revoca».
  20. L’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 statuisce che l’annullamento d’ufficio può essere disposto «sussistendone le ragioni di interesse pubblico … e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati».
  21. L’espressione è ambigua, perché talvolta è intesa quale obbligo di annullare l’atto illegittimo e altre volte come mero obbligo di procedere su istanza di un privato. In questo senso, G. Manfredi, Annullamento doveroso?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2017, pag. 385.
  22. F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio, cit., che ricorda come, a rigore, ogni potere amministrativo sia doveroso, così che a ritenere diversamente che l’annullamento sia facoltativo bisognerebbe escludere la qualificazione dell’annullamento d’ufficio come atto di amministrazione attiva (come ella ritiene). Sulla doverosità dei poteri amministrativi, con rilievi di carattere generale, S. Tucillo, Contributo allo studio della funzione amministrativa come dovere, Napoli, 2016.
  23. G. Manfredi, Doverosità dell’annullamento vs. annullamento doveroso, in Dir. proc. amm., 2011, pag. 321, sostiene che «sarebbe preferibile continuare a parlare di annullamento d’ufficio vincolato, o, magari, di annullamento obbligatorio, come lo definiva la dottrina meno recente». A Travi, Annullamento del provvedimento favorevole e responsabilità dell’amministrazione, in Foro. It., 2011, pag. 298, ritiene, invece, che sia improprio parlare di attività vincolata, giacché la casistica giurisprudenziale in tema di annullamento d’ufficio doveroso riguarda, invece, casi nei quali vi è pur sempre da valutare un interesse pubblico, sia pure non comparabile con altri interessi secondari da contemperare con esso, che nella specifica fattispecie non emergono.
  24. S. Valaguzza, La concretizzazione, cit., pag. 1245 ss., riferisce esaustivamente della casistica giurisprudenziale di annullamento doveroso.
  25. C. Napolitano, Riflessioni sull’autotutela nel diritto procedimentale europeo, in Riv. it. Dir. pubbl. com., 2016, pag. 1531 ss., sostiene che nelle «ipotesi puntuali e oramai tipizzate dal formante giurisprudenziale nelle quali, in realtà, i giudici ritengono l’interesse pubblico … in re ipsa … l’interesse pubblico all’annullamento non scompare, ma s’identifica con quello tutelato dalla norma violata».
  26. T.A.R. Lombardia -Brescia, Sez. II, sentenza 15/1/2013, n. 18. S. D’Ancona, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 83, sostiene che sia errato sostenere, al proposito, la doverosità dell’annullamento d’ufficio, dovendosi piuttosto ritenersi in tal modo assolta la valutazione discrezionale sottesa al quomodo (l’interesse pubblico è qui sicuramente prevalente rispetto a quello del privato) ma essendo sempre consentito alla P.A. di autonomamente (discrezionalmente) determinarsi sull’an, potendo comunque essa preferire la stabilità del provvedimento illegittimo nel perseguimento di un interesse collettivo, ancorché ciò consente a un soggetto in malafede di profittarne.
  27. T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 1/3/2011, n. 585. G. Barone, Autotutela amministrativa, cit., pagg. 209 ss., sostiene che la situazione di affidamento prescinda dal trascorrere del tempo e che invece sorga nell’immediatezza dell’emanazione del provvedimento. Ed è senz’altro così, perché il fattore tempo non è certo elemento costitutivo di una legitimate expectation. Non vi è dubbio, però, che «il passaggio del tempo è un fattore che rafforza e ispessisce la convinzione della spettanza del bene della vita» (F. Caringella, Affidamento e autotutela, cit., pag. 427) e, peraltro, «il compimento di una parte significativa delle attività richieste dal provvedimento si rivela sintomatico di una fiducia riposta dal destinatario dell’atto nella stabilità del medesimo» (A. Ardito, Autotutela, cit., pag. 654. Sicché, il passaggio del tempo irrobustisce, indubitabilmente, il legittimo affidamento, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
  28. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 7/11/2002, n. 6113.
  29. S. Valaguzza, La concretizzazione, cit., pag. 1260, sostiene al proposito che in simili casi «il legittimo affidamento del privato nella prosecuzione del rapporto con il soggetto pubblico manca o è affievolito al punto tale da non avere rilevanza giuridica, almeno non nel contemperamento degli interessi». Altro è dirsi (G. Manfredi, in Annullamento doveroso?, cit., pag. 392) che in questi casi «l’interesse pubblico specifico ad annullare … risulta talmente rilevante da prevalere sempre e comunque su tutti gli altri interessi coinvolti [ciò] che dunque rende superflua ogni forma di ponderazione». Se può, invero, convenirsi sul fatto che talvolta l’interesse alla conservazione dell’atto sia giuridicamente irrilevante com’è quando il destinatario dell’atto è in malafede), altro è invece affermare che vi siano ipotesi in cui la tutela del legittimo affidamento è destinata comunque a soccombere rispetto a un interesse pubblico talmente rilevante in astratto da essere insuscettibile di una comparazione in concreto con l’antagonista interesse del privato.
  30. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16/12/2008, n. 6234.
  31. S. D’Ancona, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 98. Di contro, F. V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 2018, pag. 24, sostiene che «Gli indici normativi offerti dall’ordinamento giuridico, in definitiva, consentono di affermare che gli interessi pubblici alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, pur assumendo una certa preminenza all’interno del dettato costituzionale, della disciplina generale sul procedimento e delle discipline settoriali, e pur potendo essere considerati, per tale ragione, come particolarmente sensibili, non possono essere per ciò solo ritenuti necessariamente prevalenti rispetto all’interesse privato contrapposto».
  32. Consiglio di Stato. Sez. VI, sentenza 4/9/2006, n. 5096.
  33. Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, sentenza 17/10/2017, n, 7, che è di recente intervenuta in argomento a risolvere un contrasto giurisprudenziale con riguardo a una particolare fattispecie ove sono coinvolti i cennati interessi sensibili (l’annullamento di titoli edilizi), affermando che «le generali categorie di annullamento ex officio di atti amministrativi illegittimi trovino applicazione (in assenza di indici normativi in senso contrario) anche nel caso di ritiro di titoli edilizi in sanatoria illegittimamente rilasciati, non potendosi postulare in via generale e indifferenziata un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione di tali atti», osservando che «Una cosa è infatti la tendenziale prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine giuridico rispetto agli altri interessi rilevanti; ben altra cosa è la radicale pretermissione, anche ai fini motivazionali, di tali ulteriori circostanze attraverso una loro innaturale espunzione dalla fattispecie»
  34. G. Manfredi, in Annullamento doveroso?, cit., pag. 392, sostiene che si tratta, semmai, di ipotesi di «dequotazione della motivazione», che si può agevolmente spiegare col fatto che «La pigrizia dei funzionari spesso faceva sì che le amministrazioni si limitassero a motivare solo in ordine alla sussistenza di un determinato interesse ad annullare, senza far cenno alle ragioni per cui esso prevale sugli altri interessi, e i giudici omettevano di censurare i vizi attinenti la motivazione formale perché ritenevano corretta la motivazione materiale, ossia perché ritenevano fondate le (supposte) ragioni effettive della decisione amministrativa».
  35. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 2/11/2004, n. 7072, afferma che «Costituisce un principio ormai consolidato quello secondo cui l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti che comportano l’illegittimo esborso di pubblico denaro non richiede una specifica valutazione sull’interesse pubblico, dal momento che la sua sussistenza si considera in re ipsa». In argomento, G. Barone, L’autotutela a presidio del denaro pubblico. Consiglio per un uso ragionevole, in www.giustamm.it, n. 8/2007. In questo senso, potrebbe altresì valorizzarsi il disposto dell’art. 52 del d.lgs. n.174/2016, a mente del quale «Resta fermo l’obbligo per la pubblica amministrazione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione». Proprio in ragione della necessità di evitare inutili esborsi di danaro, si è ritenuta (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18/4/1996 n. 447) la doverosità dell’annullamento d’ufficio di atti in contrasto con norme UE, con la spiegazione che, in simili casi, «l’interesse pubblico, di elementare evidenza, consiste non già nella semplice restaurazione dell’ordinamento violato, ma nello scongiurare una condanna futura».
  36. In questo senso, tra le tante, Cons. Stato, V, 22/3/2010, n. 167: « l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’illegittimo inquadramento di un pubblico dipendente è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto l’atto oggetto di autotutela produce un danno per l’Amministrazione consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente, né in tali casi rileva il tempo trascorso dalla emanazione del provvedimento di recupero dell’indebito».
  37. Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 28/11/2011, n. 6278.
  38. La disposizione è stata abrogata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 124/2015.
  39. In questo senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27/7/2009, n. 5621, ove appunto si afferma: «come reso evidente al termine può che precede la scelta di disporre dell’annullamento d’ufficio, [la legge n. 311/2004] non fa venire la natura ampiamente discrezionale di detta potestà che non può essere resa coercibile ad iniziativa del destinatario del provvedimento o di un terzo interessato». F. Goisis, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 450, afferma a commento di questa pronuncia che «La giurisprudenza ha offerta della norma un’interpretazione tendenzialmente restrittiva, se non addirittura abrogatrice [ma] Tale lettura non convince. Al contrario, l’uso del termine “può” sembra semplicemente valere ad indicare l’attribuzione di un potere; il quale (e qui sta la novità) non è condizionato (secondo quanto invece normalmente avviene) al riscontro di un interesse pubblico diverso ed ulteriore rispetto a quello alla salvaguardia della legittimità, laddove l’Amministrazione sia esposta a oneri economici in ragione dell’illegittimità».
  40. In questo senso, il Ministero della Funzione pubblica con la direttiva 17/10/2005 aveva chiarito che «la portata delle disposizioni contenute dal comma 136 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004 può essere chiarita alla luce delle disposizioni della legge n. 15/2005 che hanno disciplinato in via generale [l’annullamento] d’ufficio». Su di essa si rinvia a D.U. Galetta, I procedimenti di riesame, in V. Cerulli Irelli, La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 396 ss.
  41. Il legislatore negli anni ’90 aveva previsto un’ipotesi di autotutela vincolata. L’art. 6 della legge n. 127/1997 prevedeva, infatti, che «Entro e non oltre tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge gli enti locali sono tenuti ad annullare i provvedimenti di inquadramento del personale adottati in modo difforme dalle disposizioni del D.P.R. 25/6/1983 n. 347». Si trattava, tuttavia, di fattispecie del tutto particolare, sicché la dottrina la definì «autotutela impropria» (F.G. Scoca, Un’ipotesi di autotutela impropria, in Giur. cost., 2000, pag. 810 ss.)
  42. C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1979, 426.
  43. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, I, pag. 494 ss., V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2006, pag. 498 s., R . Villata e M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., pag. 633.
  44. G. Manfredi, Doverosità dell’annullamento, cit., pag. 322.
  45. C. Napolitano, Riflessioni, cit., pag. 1531 ss. M. Macchia, Legalità amministrativa e violazione dei diritti non statali, Milano 2012, pag. 361 ss., M. Sinisi, La doverosità dell’esercizio del potere di autotutela in presenza di un atto amministrativo contrastante con regolamenti comunitari, in Foro Amm. – TAR, 2007, pag. 3265 ss., G. Barone, Autotutela amministrativa, cit., pag. 689 ss., sostiene che «Ragionando diversamente avverrebbe che, dopo aver affermato la prevalenza della normativa comunitaria, ce ne si potrebbe discostare emanando atti amministrativi con questa contrastanti, che rimarrebbero in vita per proteggere “l’affidamento” o “salvaguardare le situazioni consolidatesi”».
  46. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenze nn. 54/1996 e 918/1998. G. Massari, L’atto amministrativo antieuropeo: verso una tutela possibile, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, pag. 643, pag. 666 dà contezza della incertezza della giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla questione, «Basti pensare all’andamento altalenante del Consiglio di Stato nel corso di dieci anni, a partire dalla decisione del 1996, che riconosceva la doverosità dell’annullamento ex officio per anticomunitarietà dell’atto, fino ad arrivare a una sentenza del 2006, che categoricamente la negava, passando per altri due pronunciamenti di segno opposto tra loro».
  47. G. Massari, L’atto amministrativo antieuropeo, cit., pag. 673.
  48. C. Napolitano, L’autotutela amministrativa, cit., pag. 118, pur aderendo alla teorica della doverosità dell’annullamento d’ufficio dell’atto anticomunitario, evidenzia, tuttavia, che questa conclusione «genera però una distonia difficilmente componibile. Infatti, per un verso afferma e consolida il primato di una legalità europea; trascura tuttavia, per l’altro, la rilevanza che lo stesso diritto europeo annette a un altro principio fondamentale, quello del legittimo affidamento».
  49. Argomento questo sostenuto da F. Goisis, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 453, con riferimento all’analogo disposto dell’art. 16 bis della legge n.11/2005.
  50. L’unica fattispecie di annullamento vincolato era quella prevista dall’art. 211 del d.lgs. n. 50/2016, che appunto prevedeva che «Qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara, invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni». In questo senso era stata intesa dalla gran parte della dottrina. Così, tra gli altri, da F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di ANAC, in Dir. proc. amm., 2017, pag. 429. La norma (assai criticata) è però stata abrogata dalla novella del 2017.
  51. G. Manfredi, Doverosità dell’annullamento, cit., pag. 323, sostiene che nella stragrande maggioranza di ipotesi di c.d. annullamento doveroso «sembrano scontare una certa dose di empirismo: leggendo le pronunzie ascrivibili ai relativi filoni giurisprudenziali pare intendersi che i giudici per lo più non hanno voluto affermare che in questi casi la pubblica amministrazione è senz’altro obbligata a procedere all’annullamento, ossia che il potere di annullamento è vincolato nell’an (beninteso in astratto), quanto piuttosto che qui si ravvisa un qualche interesse pubblico specifico ad annullare talmente rilevante da prevalere senz’altro sugli interessi dei privati».
  52. A. Cassatella, Una nuova ipotesi di annullamento doveroso?, nota a Trga Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, in Foro amm. TAR, 2010, pag. 824.
  53. M. Monteduro, Sul processo come schema di interpretazione del procedimento: l’obbligo di provvedere su domande inammissibili o manifestamente infondate, in Dir. amm., 2010, pag. 125, attribuisce al sintagma «obbligo di provvedere» tre differenti significati: (i) l’obbligo di procedere (di verificare cioè se vi siano i presupposti per avviare il procedimento e nel caso di avviarlo e proseguirlo); (ii) l’obbligo di rispondere (il diritto del cittadino all’emanazione di un provvedimento espresso a prescindere dal suo contenuto); (iii) l’obbligo di provvedere in senso stretto (il vincolo a carico della P.A. di concludere il procedimento con una decisione sostanziale sulla fondatezza della domanda).
  54. G. Manfredi, Annullamento doveroso, cit., pag. 385, secondo il quale l’espressione annullamento doveroso «non è del tutto priva di ambiguità, in particolare perché … pare che con essa a volte si voglia intendere che la pubblica amministrazione è tenuta a procedere d’ufficio ad annullare i provvedimenti illegittimi, e altre volte invece che è obbligata a procedervi su domanda di un privato: per cui sembra che nel primo caso la doverosità venga considerata principalmente funzionale a esigenze di legalità obiettiva e/o del buon andamento dell’azione amministrativa, e nel secondo caso invece a esigenze di tutela degli interessi dei privati pregiudicati dal provvedimento». Sicché, «bisogna … distinguere tra discrezionalità del provvedere e doverosità del provvedere», (M. Del Signore, Il ruolo della Pubblica Amministrazione, cit., pag. 451).Si tratta di un distinguo su cui si è espressa anche la dottrina straniera, a evidenziare come sia un tratto connaturale all’approccio. F. Becker, Application of community law by member states’ public authorities: between autonomy and effectiveness, in CMLR 2007, pag. 1039, precisa, infatti, che «The authority has to reach two decisions. First, it has to decide whether the whole issue is to be revisited in the first place – notwithstanding that there is already a final administrative decision (albeit an illegal one). If this decision is affirmative, secondly, the authority then has to consider whether the original decision is to be revoked and may be replaced with a new one», anche se poi conclude (in senso contrario a quanto qui sostenuto) che «the mere finality per se of an existing decision is an important aspect and it is generally not a wrongful exercise of discretion if the authority reuse (in a first and last step) to re-open the case purely because there is a final decision in place». Vi è però che anche in questa prospettiva è evidente che si pone una inevitabile tensione con il primato del diritto UE, giacché, «At first glance, the supremacy of Community law seems to clash (at least indirectly) with domestic procedural law insofar as the concept of finality applies to administrative decisions that are illegal … from a Community point of view».
  55. G. Manfredi, Doverosità, cit., pag. 316. In questo senso si sono espressi anche M. Renna, Commento all’art. 2 della legge n. 241/1990, in AA.VV., Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, Roma, 2010, pag. 132 ss., e S. D’Ancona, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 59. Questo trova conferma in quanto affermato, in termini generali, da F. Ledda, Il rifiuto del provvedimento amministrativo, Torino, 1964, pag. 128, secondo cui «la facoltà di scelta discrezionale … non riguarda mai l’agere in se stesso (anche l’apprezzamento discrezionale è un’operazione dovuta) [giacché] se così non fosse, lo stesso scopo del riconoscimento di una facoltà di determinazione discrezionale verrebbe ad essere frustrato, poiché restando l’amministrazione inerte, verrebbe a mancare proprio quella valutazione di interessi cui questa facoltà è preordinata». Sostiene, invece, che non vi sia obbligo di rispondere alle domande di annullamento presentate dai privati A. Contieri, Il riesame, cit., pag. 41 ss. In una prospettiva, per vero, originale, M. Immordino, I provvedimenti amministrativi di secondo grado, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2008, pag. 323, sostiene che «il principio di risarcibilità dell’interesse legittimo per l’illegittimo esercizio del potere, obbliga ormai l’amministrazione, a fronte di una istanza di ritiro di un provvedimento da parte dell’interessato, a verificarne la legittimità, compiendo una prognosi delle eventuali conseguenze della rimozione dell’atto illegittimo sulla quantificazione da parte del giudice amministrativo del danno risarcibile».
  56. G. Morbidelli, Il tempo del procedimento, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 121 ss., rileva che la stessa giurisprudenza «impone di procedere quantomeno ad una prima sommaria deliberazione, dalla quale semmai nascerà il procedimento d’ufficio a seguito di denunce o esposti».
  57. F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità dei rapporti, in Federalismi.it, n. 8/2017, secondo cui «se il mancato annullamento è fonte di responsabilità, è evidente che in tal modo si qualifica come doveroso l’esercizio del potere di autotutela e si ritiene vi sia quindi un obbligo di provvedere in tal senso». Ad analoghe conclusioni giungono, altresì, G. La Rosa, Il nuovo volto dell’autotutela decisoria a seguito della l. 164/2014: il privato è davvero più tutelato dal pentimento dell’amministrazione? in Giustamm.it, n. 5/2015, e P.L. Portaluri, Note sull’autotutela dopo la l. n. 164/2014 (qualche passo verso la doverosità?) in M.A. Sandulli (a cura di), Gli effetti del decreto-legge Sblocca Italia convertito nella legge 164/2014 sulla legge 241/1990 e sul Testo Unico dell’Edilizia, supplemento al fascicolo 6/2015 della Riv. giur. ed.
  58. Nel senso che la richiesta di riesame in via di autotutela costituirebbe un mero interesse semplice in capo al privato richiedente, D.U. Galetta, I procedimenti di riesame, cit., pagg. 398 ss., B. Baccari, Poteri della pubblica amministrazione e natura dell’interesse degli altri soggetti in relazione ai rapporti giuridici estinti, in Rass. Avv. Stato, 1966, pag. 1003 ss. S. D’Ancona, Interesse pubblico, cit., pag. 538, sostiene, invece, che «nella fattispecie dell’annullamento d’ufficio è ammissibile ritenere la sussistenza di interessi legittimi pretensivi (o quantomeno di situazioni soggettive procedimentali qualificate) e di un relativo obbligo di procedere da parte dell’Amministrazione», specie quando si versi in una ipotesi di atto anticomunitario.
  59. M.T.P. Caputi Jambrenghi, Il principio del legittimo affidamento, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, pag. 176., afferma che «non sembra che le riflessioni del giudice amministrativo in tema di doverosità dell’esercizio dell’autotutela siano giunte alla individuazione di una regola univoca, posto che spesso si procede sul tema seguendo un metodo “case by case” ».
  60. Corte costituzionale, sentenza 13/7/2017, n. 181.
  61. M. Allena, La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio: un “fossile vivente” nell’evoluzione dell’ordinamento amministrativo, in Federalismi.it, 2018, n. 8, pag. 4, afferma che «l’impostazione riportata appare non condivisibile sotto molteplici punti di vista e, innanzitutto, perché difficilmente giustificabile alla luce dell’ordinamento costituzionale e amministrativo vigente».
  62. D.U. Galetta, Autotutela decisoria e diritto comunitario, in Riv. ital. dir. pubbl. com. 2005, pag. 37, evidenzia come vi sia un problema «di non coincidenza linguistica tra la terminologia utilizzata dalla Corte di giustizia e le categorie concettuali ad essa corrispondenti negli ordinamenti nazionali cui la stessa Corte fa riferimento. Il giudice comunitario, infatti, utilizza quasi sempre il termine di revoca. E questo sia con riguardo a veri e propri provvedimenti di revoca, che con riguardo a provvedimenti che – per il diritto italiano, così come per quello francese e tedesco – andrebbero piuttosto classificati come provvedimenti di annullamento d’ufficio o di mero ritiro».
  63. Corte di giustizia, sentenza 12/7/1957, cause 7/56 e 3/57 a 7/57.
  64. Conclusioni dell’Avvocato generale Damaso Ruiz-Jarabo Colomer nella causa C-310/97, AssiDomän
  65. Così ancora l’Avvocato generale Damaso Ruiz-Jarabo Colomer.
  66. Corte di giustizia, sentenza 22/3/1961, cause 42/59 e 49/59.
  67. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 39.
  68. Corte di giustizia, sentenza 3/3/1982, causa 14/81.
  69. Corte di giustizia, sentenza 17/4/1997, causa C-90/95.
  70. Corte di giustizia, sentenza 14/9/1999, causa C-310/97.
  71. Conclusioni dell’Avvocato generale Damaso Ruiz-Jarabo Colomer nella causa C-310/97, AssiDomän.
  72. Il Tribunale UE nella sentenza 10/7/1997, causa T-227/95, ha, invero, statuito che la giurisprudenza della Corte di giustizia sull’annullamento d’ufficio di atti illegittimi «si applica a fortiori nella fattispecie in cui la decisione di cui trattasi di limiti ad imporre oneri al singolo o, come nel caso in esame, ad infliggerli sanzioni. Infatti, in tale fattispecie, considerazioni relative alla tutela del legittimo affidamento e dei diritti quesiti del destinatario alla decisione non ostano a che la Commissione revochi quest’ultima».
  73. C. Napolitano, L’autotutela amministrativa, cit., pag. 15, evidenzia che «la Corte di giustizia è più incline a conservare i provvedimenti UE in ragione della tutela del legittimo affidamento, serbando invece un atteggiamento più rigoroso nei confronti delle Amministrazioni nazionali, alle quali imporrebbe il ritiro del provvedimento anticomunitario per garantire l’efficace attuazione del diritto UE».
  74. D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost?, Torino, 2009, 31, afferma al proposito che questa asimmetria di impostazione «è solo il risultato della assenza [nell’ordinamento comunitario] delle preoccupazioni inerenti ad effetto diretto e primato del diritto comunitario». Questa impostazione è, per vero, criticata in dottrina da G. Greco, A proposito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, pagg. 1 ss., il quale ha invece preteso di informare l’autonomia procedurale degli Stati membri a un c.d. criterio di «equivalenza verticale», dando tuttavia atto che «il criterio proposto non esiste tra quelli dichiaratamente utilizzati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ai fini dell’applicazione del principio di leale cooperazione», donde la sua è (dichiaratamente) una «prospettiva dogmatica».
  75. Corte di giustizia, sentenza 20/3/1997, causa C-24/95.
  76. Corte di giustizia, sentenza 16/12/1976, causa 22/76.
  77. Secondo G. Grüner, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 241, il caso Alcan non è rilevante «perché il principio di diritto in essa enunciato opera con esclusivo riferimento alle ipotesi in cui una decisione della Commissione abbia previamente dichiarato l’incompatibilità dell’aiuto con il diritto comunitario e ne imponga quindi il recupero alle competenti autorità nazionali».
  78. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 43, ritiene, invece, che la sentenza Alcan «pone chiaramente in evidenza l’assenza di qualsivoglia margine di apprezzamento discrezionale in capo alla Pubblica Amministrazione nazionale».
  79. In dottrina, R. Scholz, Zum Verhältnis von europäischem Gemeinschaftsrecht und nationalem Verwaltungsrecht, DÖV, 1988, pag. 264, sostiene che la sentenza Alcan sia un atto ultra vires.
  80. Bundesverfassungsgericht, 17/2/2000, (2000) EuZW, 445, con commento di F. Hoffmeister, in CMLR, 2000, pagg. 791 ss.
  81. Corte di giustizia, sentenza 7/1/2004, causa C-201/02.
  82. G. Grüner, L’annullamento d’ufficio, cit., pag. 243, afferma al proposito che «il principio di leale cooperazione può essere in concreto vanificato dalla disciplina … dei provvedimenti amministrativi di riesame prevista dai singoli ordinamenti».
  83. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 49.
  84. Corte di giustizia, sentenza 13/1/2004, causa C-453/00.
  85. Corte di giustizia, sentenza 19/9/2006, cause C-392/04 e C-422/04.
  86. Corte di giustizia, sentenza 20/3/1997, causa C-24/95.
  87. Corte di giustizia, sentenza 7/1/2004, causa C-201/02.
  88. Corte di giustizia, sentenza 13/1/2004, causa C-453/00.
  89. Anche D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 52, afferma che «in queste pronunce non si rinviene certamente alcun vulnus al principio di autonomia procedurale degli Stati membri».
  90. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 50, in un approccio analitico di quella descritta tensione tra principi, afferma che da un lato (su un piatto della bilancia) abbiamo il principio dell’effetto utile, cui si accompagnano i principi di equivalenza e di effettività e di leale cooperazione (con i due corollari dei principi di legalità comunitaria e del primato del diritto UE, mentre sull’altro piatto della bilancia troviamo il principio della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento (cui va ricondotto l’obbligo di osservanza dell’autorità di cosa giudicata).
  91. Conclusioni dell’Avvocato Generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer, cause C-392/04 e C-422/04.
  92. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 51, sostiene al proposito che «si debba evitare l’errore di pensare che la Corte di giustizia comunitaria, con le sentenze richiamate, abbia in qualche modo imposto (o inteso imporre) alla Pubblica Amministrazione nazionale un vero e proprio obbligo di eliminare l’atto amministrativo comunitariamente invalido facendo uso di quegli strumenti che noi definiamo di autotutela decisoria».
  93. Corte costituzionale, sentenza 22/3/2000, n. 75.
  94. Sicché, non si può convenire con G. Gardini, Rinvio pregiudiziale, disapplicazione, interpretazione conforme: i deboli anticorpi europei e la “forza sovrana” dell’atto amministrativo inoppugnabile, in Dir. amm., 2014, pag. 259, ove egli, in una prospettiva de iure condendo, sostiene l’opportunità di modificare l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 prevedendo «la doverosità dell’annullamento d’ufficio in autotutela nelle ipotesi di violazione del diritto europeo», e con M. Macchia, Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in Giorn. dir. amm., 2015, pag. 637, che al proposito della mancata previsione di una simile fattispecie nella riforma Madia ha scritto di una «occasione mancata».
  95. G. Manfredi, Doverosità, cit. pag. 324.
  96. F. Benvenuti, Autotutela, cit.
  97. F. Benvenuti, Autotutela, cit.
  98. C. Napolitano, L’autotutela amministrativa, cit., pag. 139.
  99. Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 15/3/2016, ove si legge che il legislatore nazionale, con la novella del 2015, ha introdotto un «nuovo paradigma» nei rapporti tra cittadino e P.A., con una netta inversione di prospettiva realizzata attraverso «una nuova “regola generale” che sottende al rapporto tra il potere pubblico e i privati: una regola di certezza dei rapporti, che rende immodificabile l’assetto (provvedimentale-documentale-fattuale) che si è consolidato nel tempo, che fa prevalere l’affidamento. Una regola speculare – nella ratio e negli effetti – a quella dell’inoppugnabilità, ma creata, a differenza di quest’ultima, in considerazione delle esigenze di certezza del cittadino (mentre l’inoppugnabilità considera, da decenni, quelle dell’amministrazione, con un termine nove volte più breve)».
  100. S. Valaguzza, La concretizzazione, cit., pag. 1266, sostiene che «Non basta cioè, in questo contesto, un’adeguata motivazione in ordine all’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo, come accade spesso nel nostro ordinamento interno; tale motivazione è comunque recessiva rispetto all’affidamento posto dal privato nella legalità dell’azione amministrativa e nella stabilità del rapporto creatosi in seguito alla decisione assunta dall’autorità».
  101. A. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., pag. 505, sostiene, invece, che l’interesse pubblico specifico possa consentire di evitare l’eliminazione dell’atto, anche nelle ipotesi eccezionali in cui l’annullamento d’ufficio si caratterizzerebbe come doveroso, quando a esempio vi era da far seguito a una sentenza del giudice ordinario di declaratoria dell’illegittimità di un atto amministrativo (ipotesi nelle quali «quello di annullare gli atti amministrativi veniva configurato come un vero e proprio dovere giuridico dell’autorità che avesse posto in essere gli atti stessi»)
  102. G. Manfredi, in Annullamento doveroso?, cit., pag. 390.
  103. D.U. Galetta, La tutela dell’affidamento, cit., pag. 762, la quale segnala che questa logica è completamente differente da quella del diritto amministrativo tedesco (che ha condizionato la giurisprudenza comunitaria) «dove il principio di tutela dell’affidamento si collega al principio di certezza del diritto nella sua connotazione soggettiva: inteso, cioè, come affidamento dell’ordinamento giuridico e stabilità delle posizioni giuridiche del singolo».
  104. F. Merusi, L’affidamento, cit., pag. 120, sottolinea che, «nell’ordinamento italiano, esistono due concetti positivamente rilevanti di buona fede: il comportarsi secondo buona fede e l’essere in buona fede sono due cose profondamente diverse che hanno in comune, per un accidente linguistico una medesima espressione. Si tende pertanto a distinguere una nozione di buona fede oggettiva che esprime una regola di condotta, da una buona fede soggettiva che si riferisce a una situazione psicologica di ignoranza o di errore tutelata, in determinati casi, dall’ordinamento giuridico». In un caso (buona fede in senso oggettivo) ciò che rileva è la condotta della P.A (l’inerzia). in epoca successiva alla deliberazione del provvedimento illegittimo, nell’altro (buona fede in senso soggettivo) ciò che il principio tutela è la condizione psicologica ingenerata dall’amministrazione con l’emanazione del provvedimento. Sul tema, si veda altresì D.U. Galetta, La tutela dell’affidamento, cit., pagg. 757 ss., e F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio, cit., pagg. 843 ss., S. Antoniazzi, La tutela del legittimo affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione, Torino, 2005, Id., Recenti conferme della Corte di giustizia circa la ricostruzione di un principio fondamentale di tutela del legittimo affidamento nell’ordinamento comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2002, pagg. 1130 ss.
  105. Si consideri al proposito che la dogmatica tradizionale si riconosce nell’affermazione di Santi Romano, Annullamento, cit., pag. 332, il quale la P.A. si dispone all’annullamento di un proprio atto, «non per imparziale tutela del diritto oggettivo, ma solo se e quando questa tutela sia un’esigenza della specifica funzione amministrativa che le è affidata o, almeno, non sia contraria ai propri interessi».
  106. Corte di giustizia, sentenza 16/12/1976, causa 22/76.
  107. Consiglio di Stato, Sez. IV, 18/1/1996, n. 54.
  108. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5/6/1998, n 918, in Urb. e appalti, 1998, con nota di R. Garofoli, Annullamento di un atto amministrativo contrastante con norma CE self executing.
  109. F. Goisis, L’annullamento d’ufficio cit., pag. 445 afferma che «Questa giurisprudenza (non a caso risalente agli anni 90) sembra debitrice di una visione estrema della primazia comunitaria».
  110. S. Valaguzza, La concretizzazione, cit., pag. 1267.
  111. Consiglio di Stato, Sez. V, 8/9/2008, n. 4263, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2009, pag. 443, con nota di M. Del signore, Il ruolo della Pubblica Amministrazione, cit.. Analogamente, Consiglio di Stato, Sez. VI, 3/3/2006, n. 2006, ove si legge «Non sussiste l’obbligo per la P.A. di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere il ritiro di un provvedimento amministrativo ormai divenuto inoppugnabile … anche se l’impulso al riesame proviene da un soggetto preposto alla cura di interessi pubblici e sia volto a far valere un originario vizio di violazione del diritto comunitario». Con il che, nell’affermazione che non sussista, oltre che l’obbligo di annullare, nemmeno quello di provvedere, si realizza, a mio avviso, una interpretazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 trasgressiva dell’obbligo di interpretazione conforme.
  112. R. Villata e M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., pag. 635, sostengono che “Quest’ultima giurisprudenza appare maggiormente in linea con l’ordinamento fatto proprio dai giudici europei in tema di ritiro di un proprio atto amministrativo illegittimo, inteso a dare sempre rilievo agi interessi privati delle parti coinvolte».
  113. Non si può, invero, convenire con quanto sostiene G. Massari, L’atto amministrativo antieuropeo: cit., pag. 643 ss., la quale afferma che «il diritto dell’unione non impone alle autorità amministrative nazionali di procedere alla rimozione d’ufficio del provvedimento viziato … Non imporre, tuttavia, non significa vietare. Ove uno Stato decidesse di istituire un vincolo di tal fatta, non incontrerebbe certo preclusioni dalla Corte del Lussemburgo; al contrario, contribuirebbe a rendere effettivo il rispetto della disciplina sovranazionale e aggiungerebbe un tassello al processo di integrazione europea, che la stessa Corte mira a realizzare».
  114. Nella logica comunitaria «non riesce facile immaginare altre ipotesi nelle quali l’amministrazione possa omettere l’annullamento dell’atto incompatibile senza violare l’obbligo di leale cooperazione» (L. Raimondi, Atti nazionali inoppugnabili, cit., pag. 788). Sicché, in questa prospettiva, pare da escludersi la possibilità di rifiutare l’annullamento d’ufficio di un atto anticomunitario, nel perseguimento di un interesse pubblico alla conservazione di una situazione di fatto in contrasto con la norma e con i principi UE.
  115. D.U. Galetta, I procedimenti di riesame, cit., pagg. 398 ss., riassume così la giurisprudenza comunitaria: «In estrema sintesi, in tema di autotutela decisoria i principi richiamati dalla Corte comunitaria sono, da una parte, il principio dell’effetto utile, il principio di equivalenza e il principio di effettività; nonché, con un peso di gran lunga più consistente, il principio di leale cooperazione ex art. 10 CE (che si manifesta qui sotto forma di obbligo di eliminare le conseguenze derivanti dalla violazione del diritto comunitario e che trova, perciò, due essenziali corollari nel principio di legalità e in quello del primato del diritto comunitario, che in questo contesto sono strettamente connessi fra loro). Sull’altro piatto della bilancia troviamo, invece, il principio della certezza del diritto e il principio di tutela del legittimo affidamento, a cui va ricondotto anche l’obbligo di osservanza dell’autorità di cosa giudicata».
  116. D.U. Galetta, Autotutela decisoria, cit., pag. 54, sostiene al proposito che la giurisprudenza comunitaria induce a rimettere in discussione alcuni assunti della giurisprudenza: (i) la configurazione dell’annullamento d’ufficio necessariamente con modalità retroattive; (ii) la negazione di un obbligo di riesame (salvo la ricorrenza di speciali fattispecie).
  117. Corte di giustizia, sentenza 13/1/2004, causa C-453/00.
  118. L. Raimondi, Atti nazionali inoppugnabili, cit., pag. 788, afferma al proposito che «la Corte di giustizia impone all’amministrazione nazionale l’obbligo di riesaminare l’atto illegittimo ma non anche di annullarlo in modo automatico».
  119. M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Milano, 1993, pag. 552, E. Cannada Bartoli, Annullabilità e annullamento, cit., pag. 489, P. Virga, Diritto Amministrativo, II, Milano, 1987, pag. 133. M. Romanelli, L’annullamento, cit., pag. 363, sosteneva, invece, che la retroattività dovesse essere mitigata «facendo cadere quegli atti e quei rapporti che sono incompatibili con la creazione della nuova situazione».
  120. G. Falcon, Questioni sulla validità e sull’efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo, in Dir. amm., 2003, pag. 37, sostiene che l’analisi comparata degli atti di ritiro induce ad affermare che «l’eventuale estensione di tali effetti al passato non corrisponde ad una ineluttabile natura dell’atto, ma ad eventuali esigenze di pubblico interesse concretamente riscontrato [sicché] non si vede perché escludere – soprattutto in relazione all’affidamento dei privati – la possibilità di eliminare l’atto per il futuro, senza toccarne gli effetti passati». Alla stessa conclusione giungono, tra gli altri. G. Barone, Autotutela amministrativa, cit., pag. 209 ss., A. De Valles, Annullamento d’ufficio, cit., pag. 228 ss..
  121. D.U. Galetta, I procedimenti di riesame, cit., pagg. 398 ss.,
  122. Così nella traduzione di D.U. Galetta, La legge tedesca sul procedimento amministrativo, Verwaltungsverfahrensgesetz, Milano, 2002.
  123. Art. III-35 Codice ReNEUAL.
  124. Corte di giustizia, sentenza 13/1/2004, causa C-453/00.
  125. L. Raimondi, Atti nazionali inoppugnabili, cit., pag. 801.
  126. M. Sinisi, La doverosità, cit., pag. 3266 sostiene, invece, che «L’amministrazione … non è tenuta a dar corso al procedimento di secondo grado laddove sia il privato a richiederlo, e ciò in virtù del patto che esso costituisce piuttosto una sua prerogativa». Così che, una volta che sia escluso che l’autotutela sia un privilegio della P.A., ne consegue anche il venir meno della giustificazione dell’affermazione dell’inesistenza di un obbligo di «dar corso al procedimento».
  127. Corte di giustizia, sentenza 5/2/1963, causa 26/62.
  128. Corte di giustizia, sentenza 13/1/2004, causa C-453/00.

Massimo Giavazzi

Adjunct Professor at the University of Milan. Lawyer at the bar of Bergamo.