L’accesso civico ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013 e la materia dei contratti pubblici. Ordinanza 8501/2019 di rimessione all’Adunanza Plenaria

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1/2020

L’accesso civico ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013 e la materia dei contratti pubblici. Ordinanza 8501/2019 di rimessione all’Adunanza Plenaria

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Il contributo analizza l’ordinanza n. 8501/2019 di rimessione all’Adunanza Plenaria della questione circa la possibilità per un soggetto, anche non direttamente titolare di un interesse concreto, di richiedere la visione dei documenti appartenenti alle PA attraverso l’istituto dell’accesso civico generalizzato ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013. Nel caso qui trattato si fa riferimento alla possibilità di utilizzare l’istituto dell’accesso civico generalizzato nella materia degli appalti pubblici.


Civic access ex Art. 5, c. 2, Legislative Decree 33/2013 and Public contracts: The order n. 8501/2019 of Referral to the Plenary Session
This paper analyzes the order n. 8501/2019 of Referral to the Plenary Session about the possibility for a subject, even if not direct holder of a concrete interest, to request the viewing of documents belonging to the PA, through the generalized civic access ex art. 5, c. 2, Legislative Decree 33/2013. In the case here analyzed, reference is made to the possibility of using the tool of generalized civic access in public procurement.

L’accesso civico c.d. generalizzato ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013[1] è stato introdotto dall’articolo 6 c. 1 del d. lgs. 97/2016[2].

La ratio dell’intervento novellatore è stata quella di favorire forme lo sviluppo di forme diffuse di controllo sull’operato della PA e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Per far ciò è stato creato un sistema dove l’accesso ai documenti delle PA, oltre a quelli già oggetto di pubblicazione, fosse garantito a “chiunque” indipendentemente da un interesse manifesto. Ciò ha creato diversi problemi interpretativi in molte materie come quella degli appalti pubblici.

L’articolo 53 del d.lgs. 50/2016[3] prevede che “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241[4].

Le limitazioni ex art. 5 bis c. 3 d.lgs. 33/2013[5] sono state utilizzate dalle PA per giustificare i dinieghi alla concessione dell’accesso civico ex art. 5, c. 2[6], in materia di contratti pubblici.

La giurisprudenza non ha mai reso interpretazioni univoche in materia, rendendo necessaria la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria per un intervento nomofilattico risolutivo.

Rimessione avvenuta con l’ordinanza n. 8501/2019[7] pronunciata nel ricorso proposto da Diddi s.r.l. contro l’Azienda USL Toscana Centro, per la riforma della sentenza del Tar Toscana, sez. III, 577/2019[8].

Il Collegio ha sottoposto all’Adunanza Plenaria tre quesiti. In merito all’accesso civico generalizzato ci soffermeremo sul quesito “c” con il quale viene chiesto di definire “l’applicabilità, o meno, della disciplina del diritto di accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013 nel settore dei contratti pubblici dei lavori, servizi o forniture, con particolare riguarda alla fase esecutiva delle prestazioni[9].

Il Collegio prima di procedere all’analisi delle differenti tesi a favore e contro l’applicazione dell’art. 5, c. 2 d.lgs. 33/2013 alla materia dei contratti pubblici, ha svolto un’analisi del rapporto tra gli istituti dell’accesso civico generalizzato e quello ordinario e la disciplina dell’accesso nei contratti pubblici.

La definizione di tale rapporto è fondamentale. Questa si risolve nell’individuazione di due indirizzi ermeneutici che si riveleranno la base delle tesi elaborate dalla giurisprudenza circa la possibilità o meno di estensione dell’accesso ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013 ai contratti pubblici.

Il primo indirizzo tende “ad una più netta definizione della linea di confine” tra le due fonti normative e si basa sulla tesi che “i due sistemi normativi coesistano” e siano “finalizzati a regolare due istituti autonomi, muniti di propri elementi caratterizzanti[10], con il comune scopo di mettere al centro il destinatario del servizio pubblico, ed eliminando il superato principio di chiusura dei meccanismi decisionali di chi fornisce il servizio[11].

Infatti, l’accesso civico è caratterizzato dalla “liberazione del relativo potere di impulso da ogni restrizione di carattere soggettivo” ma non bisogna dimenticare che “il suo concreto esercizio deve fare i conti con i limiti posti dall’art. 5, commi 1 e 2, d.lvo n. 33/2013[12].

Impostazione sistematica che trova conferma legislativa nell’art. 5, c. 1, d.lgs. 33/2013 il quale conferma che “restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II, nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241[13].

L’altro orientamento è diretto verso l’ammissione di “forme di osmosi e comunicazione” tra le diverse fonti normative vigenti in materia.

Questa tesi è più liberista e si basa sulla visione che il d.lgs. 97/2016, novellando il d.lgs. 33/2013, ha data al nuovo accesso civico[14].

Il d.lgs. ha novellato l’accesso civico in “chiave liberalizzante”. Esso ha reso unitaria la “materia dell’accesso, la quale troverebbe quindi la sua attuale regolamentazione in un quadro normativo composito”. Il nuovo quadro normativo è “la risultante di un complesso processo di abrogazione-coordinamento-integrazione, affidato essenzialmente all’interprete e frutto dell’atterraggio […] delle nuove […] disposizioni di cui al d.lvo. n. 97/2016 sul terreno normativo “classico” di cui alla originaria l. n. 241/1990”[15].

Questo approccio sistematico non ha “esautorato […] la previgente l. n. 241/1990 né espunto […] le specifiche forme di accesso dalla stessa disciplinate” bensì ha permesso che le forme di accesso previgenti concorrano con quelle di nuovo conio a “un diritto unitario […] la cui ratio […] riposerebbe nella necessità di apprestare strumenti penetrativi differenziati nelle maglie informative della P.A., al fine di meglio calibrare la forza del principio di trasparenza[16].

Il “carattere generale” delle discipline del d.lgs. 33/2013 e l. 241/1990 fa sì che nessuna sia “ancorata ad uno specifico ambito “tematico”.”. Ciò impone che si debba “interpretare la […] clausola di salvezza, recata dall’art. 5 bis, comma 3, d.lvo. 33/2013, in termini che non diano luogo ad una sorta di interpretatio abrogans, di cui farebbe le spese proprio la disciplina più recente in tema di accesso”. Questo effetto lo si avrebbe nel caso in cui “si ritenesse che, tra le “specifiche condizioni, modalità o limiti” fatti salvi dal legislatore, sia inclusa la limitazione soggettiva del diritto di accesso disciplinato dalla l. n. 241/1990[17].

Questa qualificazione soggettiva permarrà nei casi in cui troverà applicazione la sola l. 241/1990. Ciò accade “vuoi perché il richiedente l’accesso faccia valere un “titolo” legittimamente differenziato […], vuoi perché […] la sola disciplina recata dalla l. n. 241/1990 si riveli idonea a garantire il soddisfacimento pieno dell’interesse ostensivo fatto valere, vuoi, infine, perché siano ravvisabili specifiche disposizione che […] prevedano espressamente l’applicazione esclusiva ed indifferenziata (comprensiva cioè, […], di quella limitazione oggettiva) della l. n. 241/1990[18].

Sulla base di questi indici interpretativi il Collegio ha analizzato quale sia “La portata della disciplina contenuta nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici”.

Le soluzioni interpretative espresse dalla giurisprudenza si associano al diverso peso dato “al dato letterale ed a quello funzionale-costituzionale[19]. La prima deriva dall’indirizzo, sopra citato, che tende a creare “una più netta definizione della linea di confine[20] tra le discipline della l. 241/1990 e del d.lgs. 33/2013 mentre il secondo si lega all’indirizzo diretto verso l’ammissione di “forme di osmosi e comunicazione” tra le due fonti normative.

Il Collegio analizza in primo luogo i “rapporti inter-temporali” tra le normative di riferimento.

Da questa analisi una prima tesi sostiene che il d.lgs. 33/2013, in quanto lex posterior, ha abrogato l’art. 53 d.lgs. 50/2016[21].

La prima tesi sostiene che il d.lgs. 33/2013 – come novellato dal d.lgs. 97/2016 – ha abrogato l’articolo 53 del d.lgs. 50/2016. La nuova disciplina sconta quindi un mancato coordinamento con la disciplina vigente ma non per questo l’interpretazione delle novità deve essere statica. Anzi, si dovrà in questo caso valorizzare un’interpretazione conforme ai canoni dell’articolo 97 Cost., valorizzando l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti e non coordinate con il nuovo istituto, ma soltanto da prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, contenute nella normativa stessa[22].

La tesi che si basa sulla lettera dell’art. 5 bis, c. 3, nel senso di non ammettere un ampliamento dell’accesso ex art. 5, c. 2, alla materia dei contratti, sostiene che al fine di considerare l’art. 53 d.lgs. 53/2016 abrogato, si dovrebbe dimostrare perché il legislatore non abbia espressamente abrogato la norma precedente bensì abbia “sancito […] la sopravvivenza delle disposizioni che subordinano l’accesso al “rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”[23].

Questa tesi esclude l’accesso civico nei casi dove esso sia subordinato dalla legge al rispetto di “specifiche condizioni, modalità o limiti”[24]. Vieppiù che l’art. 5 bis, c. 3, è chiaro nello stabilire che quando l’accesso civico è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”, come accade nella materia dei contratti pubblici ex art. 53 d.lgs. 50/2016, questo deve essere escluso[25].

Il Collegio per giustificare la mancata abrogazione espressa, ha sostenuto che il d.lgs. 33/2013 (novellato) reca “un rinvio esterno di carattere “mobile”, tale da imporre l’adeguamento del termine della relatio ai mutamenti legislativi verificatisi nel tempo: tra i quali, […], quello […] rappresentato dalle modifiche apportate al d.lvo. n. 33/2013 dal d.lvo. 97/2016”. Il concetto centrale di tale tesi è quello secondo cui “non si potrebbe attribuirsi all’articolo 53 l’effetto di cristallizzare, in relazione all’accesso nella materia a cui esso si riferisce, la disciplina recata dalla l. n. 241/1990[26]. Questa interpretazione è rafforzata anche dal fatto che il d.lgs. 97/2016 si ispira al c.d. freedom of information act (FOIA) e che quindi l’art. 5 c.2 d.lgs. 33/2013 è nato con un fine ampliativo del principio di trasparenza[27].

Il Collegio conclude questo ragionamento precisando che il “generico riferimento normativo all’accesso”, ex art. 5 bis, c. 3, d.lgs.33/2013, depone “nel senso che il legislatore ha una visione sostanzialmente unitaria dell’istituto dell’accesso” per cui l’art. 5 bis, c. 3 può essere invocato proprio al fine di ribadire che le due discipline in tema di accesso “concorrono in ciascun ambito materiale specifico, restando ferma la necessità di rispettare quelle “specifiche condizioni, modalità o limiti” previsti dalla l. n. 241/1990[28].

Visione che poi è stata confermata anche dal Consiglio di Stato nella sentenza 3780/2019 dove ha sottolineato che la “limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte […] vi possono essere “casi in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità o limiti[29]. Se si considera valida questa tesi sicuramente l’art. 53 ha subito l’influsso innovatore del d.lgs 33/2013 che ha equiordinato l’istituto dell’accesso civico e l’istituto dell’accesso ordinario con lo scopo di ampliare l’applicazione del principio di trasparenza all’azione della PA.

Secondo il Collegio non è poi nemmeno condivisibile quanto osservato dalla giurisprudenza della sezione V del Consiglio di Stato nelle sentenze 5502/2019 e 5503/2019 nella parte in cui queste sostengono che “il perseguimento di buona parte delle finalità di rilevanza pubblicistica poste a fondamento della disciplina in tema di accesso civico generalizzato è assicurato, nel settore dei contratti pubblici, da altri mezzi[30].

Subordinare, in una materia delicata come quella degli appalti pubblici, il principio di trasparenza a mezzi che non garantiscono una conoscibilità dei documenti così ampia come invece permette l’accesso ex art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013, sarebbe una limitazione “difficilmente spiegabile” specialmente in un settore dove “si manifesta la necessità di assicurare la massima espansione” del controllo sulle attività delle PA[31].

Principio non solo affermato dal Consiglio di Stato, sez. III, 3780/2019[32], ma anche avvallato della Commissione Europea nella relazione al contrasto della corruzione in ogni ambito e sul quale si è poi ispirato anche il Piano Nazionale Anticorruzione dal 2016 in poi.

Come si è appena visto, trovandosi dinanzi a un quadro interpretativo non univoco, il Collegio ha ritenuto necessario sottoporre la questione al vaglio dell’Adunanza Plenaria al fine di chiarire quale sia la portata dell’art. 5, c. 2, d.lgs. 33/2013 in materia di contratti pubblici.

  1. D.lgs. n. 33/2013 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni)
  2. D.lgs. n. 97/2016 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).
  3. D.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici).
  4. Art. 53, d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici).
  5. Art. 5 bis, c. 3, d.lgs. n. 33/2013: “Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241del 1990”.
  6. Art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013: “Alla scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetti di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis”.
  7. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501.
  8. T.A.R. Toscana (sezione III), sentenza del 17 aprile 2019, n. 577.
  9. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 12.
  10. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501.
  11. Cons. St., parere del 18 febbraio 2016, n. 515.
  12. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 25.
  13. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 27.
  14. Si veda Cons. St., parere del 18 febbraio 2016, n. 515.
  15. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 27.
  16. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 27-28.
  17. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 29.
  18. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 29-30.
  19. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 31.
  20. T.A.R. Emilia Romagna – Parma (sezione I), sentenza del 18 luglio 2018, n.197; T.A.R. Lombardia – Milano, sez. I, sentenza del 25 marzo 2019, n. 630; T.A.R. Lazio (sezione II), sentenza del 14 gennaio 2019, n.425; Cons. St., 2 agosto 2019, n. 5502; Cons. St., 2 agosto 2019, n.5503.
  21. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 31.
  22. Si vedano Cons. St., parere del 18 febbraio 2016, n. 515; Cons. St., 5 giugno 2019, n. 3780; T.A.R. Lombardia – Milano (sezione IV), sentenza del 11 gennaio 2019, n. 45; T.A.R. Toscana (sezione I), sentenza del 25 marzo 2019, n. 422; T.A.R. Toscana (sezione I), sentenza del 26 aprile 2019, n. 611.
  23. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 32.; si vedano anche T.A.R. Lombardia – Milano, sez. I, sentenza del 25 marzo 2019, n. 630; T.A.R. Lazio (sezione II), sentenza del 14 gennaio 2019, n. 425.
  24. T.A.R. Toscana (sezione III), sentenza del 17 aprile 2019, n. 577.
  25. Si veda T.A.R Emilia Romagna – Parma (sezione I), sentenza del 18 luglio 2018, n. 197.
  26. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 32.
  27. Si veda Cons. St., parere del 18 febbraio 2016, n. 515; Cons. St., 5 giugno 2019, n. 3780; T.A.R. Lombardia – Milano (sezione IV), sentenza del 11 gennaio 2019, n. 45; T.A.R. Toscana (sezione I), sentenza del 25 marzo 2019, n. 422; T.A.R. Toscana (sezione I), sentenza del 26 aprile 2019, n. 611.
  28. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 37.
  29. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 37-38.
  30. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 39
  31. Cons. St., 16 dicembre 2019, n. 8501, p. 42.
  32. Cons. St., 5 giugno 2019, n. 3780.

Giacomo Pisani

Graduated in Jurisprudence and Subject expert in Administrative Law at the University of Milan