Il futuro prossimo delle “concessioni balneari” dopo il Consiglio di Stato: nihil medium est?

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1/2022

Il futuro prossimo delle “concessioni balneari” dopo il Consiglio di Stato: nihil medium est?

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L’analisi ha origine dalle “sentenze gemelle” nn. 17 e 18 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato destinate ad incidere sul futuro delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative. A partire dalla conferma dell’illegittimità dell’istituto della proroga automatica, poiché in contrasto sia con l’art. 49 TFUE che con l’art. 12 della Direttiva servizi, si intende soffermarsi, in particolare, sulla questione dell’interesse transfrontaliero. Quest’ultimo è, infatti, definito dai giudici amministrativi quale necessariamente esistente e non da determinare sulla base del contesto. Il che impone una riflessione sull’attività futura delle pubbliche amministrazioni chiamate a predisporre le procedure di aggiudicazione delle concessioni in scadenza sulla base delle prossime indicazioni del legislatore. Le stesse pronunce si fanno creatrici del diritto: non solo esse spostano a fine 2023 gli effetti del giudicato, ma non rinunciano ad offrire al legislatore dei criteri chiari e ben precisati per il riordino della materia.


The forthcoming future of marine state property concessions following the decision of the Plenary Assembly of the Council of State: nihil medium est?
The analysis stems from the judgment n. 17 (and its “twin” n. 18) of the Plenary Assembly of the Council of State concerning the future of state-owned maritime concessions used for touristic and recreational purposes. Starting from the confirmation of the illegitimacy of the automatic extension, as contrary to both Article 49 TFEU and Article 12 of the Services Directive, the key focus of attention is on highlighting how the administrative judges define the cross-border interest of state concessions as necessarily existing and not to be established because of the context. This implies a reflection on the future activity of public administrations called to set up the procedures for the award of expiring concessions, according to the forthcoming indications of the legislator. The judgment itself attempts to create the law: not only does it postpone the effects until the end of 2023, but it offers the legislator clear and established criteria for the reform of the sector.

1. La parola “fine” ad una “lunga vicenda”?

Il 9 novembre sono state pubblicate le “sentenze gemelle” nn. 17 e 18 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[1] riguardanti il futuro del quadro giuridico-amministrativo delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico – ricreative. Le pronunce appaiono degne di nota sotto diversi e complessi aspetti, i quali spaziano dal diritto sostanziale a quello processuale, dal diritto amministrativo al diritto europeo e costituzionale, proiettandosi direttamente sul destino di un intero comparto economico[2]. Esse presentano perciò valore non solo sul piano giuridico, ma si riflettono in maniera determinante sul contesto politico, nonché dei rapporti tra Italia e Unione europea in un periodo storico in continuo mutamento. Non di minore rilevanza, preannunciano un’intensa attività sul versante amministrativo per quanto concerne la necessità di predisporre, da qui a due anni, i bandi di aggiudicazione delle parti di demanio marittimo affidate in concessione ai privati.

Riassumendo brevemente: avendo ravvisato molti profili controversi nella disciplina della materia, il Presidente del Consiglio di Stato ha richiesto la pronuncia dell’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a. al fine di assicurare certezza di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate, nonché uniformità di orientamenti da parte della stessa giustizia amministrativa[3]. Prima di decidere in merito ad una controversia, il Presidente del Consiglio di Stato, anche d’ufficio, può deferire all’Adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di particolare importanza, ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali[4]. Nel caso delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative tali presupposti sono ricorsi entrambi: è fatto notorio il forte clamore mediatico che ha atteso e fatto seguito alla pronuncia. Al contempo, il contenzioso giurisprudenziale ha interessato ogni organo e grado di giudizio, distinguendosi per la forte disparità tra gli orientamenti[5].

In estrema sintesi, dunque, le sentenze hanno cristallizzato tre principi di diritto molto importanti: essi indirizzano il futuro delle concessioni demaniali europee alla luce dell’illegittimità acclarata della proroga. Quest’ultima è stata lo strumento privilegiato dal legislatore per procrastinare sine die un riordino organico della materia nel pieno rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Tra questi si ricorda la diretta applicabilità delle norme dei Trattati dotate di efficacia diretta e delle disposizioni puntuali contenute nella Direttiva 2006/123/CE[6], meglio conosciuta come Direttiva servizi. In primo luogo, i giudici di Palazzo Spada hanno riaffermato come la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, nonché la moratoria (introdotta quale misura correlata all’emergenza Covid-19 nel 2020), risultino in contrasto sia con l’art. 49 TFUE che con l’art. 12 della Direttiva servizi (primo punto del dispositivo). Sicché, tali norme debbono essere disapplicate sia dai giudici, sia dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle loro funzioni[7]. In secondo luogo, ne deriva anche che, qualora siano stati già rilasciati atti di proroga, non si rileva la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari discendente da tali provvedimenti. Essi, per l’appunto, non sono che atti ricognitivi il cui effetto è determinato dalla legge, vale a dire che non presentano carattere volitivo da parte dell’amministrazione[8] (secondo punto del dispositivo). Per contemperare parzialmente alle conseguenze di questa seconda statuizione, i giudici riconoscono, infine, l’esigenza di garantire l’efficacia delle concessioni demaniali marittime in essere fino al 31 dicembre 2023. Perciò, gli effetti prodotti dalle sentenze vengono posticipati di due anni, con l’auspicio che il legislatore sappia, nel frattempo, intervenire a riordinare la materia e permettere, di conseguenza, alle amministrazioni di procedere con gli affidamenti in conformità con i principi di derivazione europea (terzo punto del dispositivo).

Pur nella chiarezza e apoditticità dei principi riassunti, le pronunce sono interessanti in vari passaggi: essi meritano di essere analizzati privilegiando il rapporto tra norme dell’ordinamento europeo e diritto nazionale, alla luce anche dei vari tentativi della dottrina di giustificare il ricorso all’istituto della proroga. Su tale scorta, a parere di chi scrive, è rilevante il ragionamento effettuato sulla valutazione dell’interesse transfrontaliero e il legittimo affidamento del concessionario (§3). In ultimo, non per importanza, il collegio non si sottrae dal fornire una specie di “decalogo” di come dovrebbero e potrebbero essere regolati gli affidamenti ad evidenza pubblica che andranno gestiti direttamente dalle amministrazioni. (§4). L’obiettivo argomentativo finale di questo scritto è ragionare su alcuni punti delle sentenze e porne in rilievo la rilevanza per l’attività materiale delle pubbliche amministrazioni, non solo dal punto di vista della eventuale soluzione palingenetica che potrebbe essere trovata dal legislatore – su cui il dibattito è vivo e aperto proprio mentre questo scritto vede la luce- (§5). Piuttosto, le pronunce ben evidenziano come il paradigma giuridico, in materie ove la forte connotazione economica non è affatto trascurabile, si riveli alquanto permeabile ai solleciti del mondo esterno[9].

2. Le tappe di una “vicenda ormai nota”.

Prima di procedere ad analizzare alcuni dei passaggi più stimolanti dal punto di vista dall’analisi giuridica, è bene ripercorrere brevemente alcune tappe fondamentali che hanno determinato le pronunce dell’Adunanza Plenaria.

Occorre, innanzitutto, ricordare come ad essere oggetto delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative sia «il demanio marittimo» -e per analogia della natura dei rapporti concessori a rilevanza economica anche il «demanio lacuale e fluviale» – quale complesso dei beni appartenenti allo Stato. Il demanio marittimo è tradizionalmente collocato dalla dottrina nel «demanio necessario» appartenente allo Stato o alle Regioni. Ai sensi dell’art. 822 del codice civile e dell’art. 28 del codice della navigazione, fanno parte di esso il lido del mare, le spiagge, i porti, le lagune e le rade, le foci dei fiumi e i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Il demanio è bene inalienabile, il quale non può formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 cc), se non nei modi e nei limiti previsti dalla legge. In altre parole, il venir meno della «demanialità» riguardo ad una delle categorie elencate, può determinarsi a seguito del cessare della destinazione da cui essa deriva, vale a dire la “destinazione pubblica”. L’inalienabilità comporta, perciò, che tali beni non possano essere oggetto di negozi di diritto privato diretti a trasferire la proprietà a persone diverse dallo Stato, o a costituire a favore degli stessi dei diritti reali. Vero è che i beni demaniali sono per loro stessa natura «oggetto di pubblica amministrazione», nel senso che l’attività dispiegata per garantirne l’uso, conservarli, regolarne l’utilizzo da parte dei singoli, è da considerare in tutto e per tutto «attività amministrativa». Di conseguenza, l’atto di concessione sul demanio marittimo ha le caratteristiche proprie di un «provvedimento ampliativo» rispetto al quale il privato è titolare di una posizione di «interesse legittimo pretensivo», al fine di conseguire una utilità – in questo caso trattasi di una remunerazione – per il cui soddisfacimento è necessaria l’intermediazione dei pubblici poteri. L’ordinamento riconosce, perciò, la possibilità alla pubblica amministrazione di trasferire in capo al privato stesso la posizione giuridica soggettiva di cui essa stessa sarebbe, invece, titolare, con l’intento di garantire alla collettività un migliore perseguimento degli interessi pubblici. L’essenza primaria del rapporto concessorio sta nel riconoscimento della possibilità di un perseguimento degli interessi generali in modo più efficiente ed efficace, attraverso l’affidamento ai privati dell’attività svolta sul bene oggetto dell’affidamento. In altre parole, l’attività privata esercitata dal concessionario è tenuta a valorizzare la «natura oggettivamente pubblica» del bene.

È poi risaputo come la riforma del Titolo V abbia aggiunto complessità al quadro regolatorio delle concessioni, rendendo talvolta controversa la titolarità di rilascio di queste sul demanio marittimo. Infatti, l’art. 1 del decreto-legge 400/1993 ha introdotto «una tipizzazione delle concessioni demaniali marittime» tra cui rientrano anche gli stabilimenti balneari. La legge 135/2001 volta a riformare la normativa sul turismo, ha rimesso alle Regioni la disciplina del loro rilascio. Anche perché, stante il significato non solo letterale degli elenchi di materie, il «demanio costiero» non è più materia esclusiva dello Stato ma rientra nel «governo del territorio», ove la competenza è concorrente (art. 117 c. 3 Cost.). Ne consegue che gran parte delle funzioni operative spettano ai Comuni, nel rispetto del quadro legislativo statale; gli stessi Comuni esercitano poi le varie funzioni amministrative (ex art. 118 Cost). Si aggiunga anche che la potestà legislativa, a tutti i livelli, deve tenere conto dei «vincoli imposti dall’ordinamento comunitario» (art. 117 c.1 Cost.). Ecco che i principi di libera circolazione sanciti nei Trattati e – successivamente – i vari interventi normativi di secondo grado del legislatore europeo, quali ad esempio la Direttiva servizi, impattano in maniera non trascurabile sull’attività materiale delle pubbliche amministrazioni, incidendo sulla formazione e sugli esiti dell’attività provvedimentale ad esse affidata. L’adozione di atti amministrativi nel settore riguarda inevitabilmente anche la materia della «tutela della concorrenza» riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (ex. art. 117, c. 2 Cost) e la materia «turismo», quest’ultima a competenza residuale.

In sintesi, anche nell’attività di affidamento ai privati di un bene non si può ignorare come la «nozione giuridica di servizio» (ex art. 57 TFUE), intesa come «ogni attività fornita dietro retribuzione», faccia sì che oggetto della concessione a livello sostanziale sia la facoltà di esercitare un’attività economica su un’area demaniale (p.to 47 Promoimpresa). Poco rileva se per il diritto italiano vi sia una differenza consolidata nel nomen iuris tra «autorizzazione» e «concessione», né tantomeno siano ravvisabili dissomiglianze tra la «concessione di beni» e la «concessione di servizi». Proprio l’erompere dei principi di liberalizzazione di matrice comunitaria ha progressivamente reso sempre più impalpabile la distinzione tra concessione e autorizzazione, laddove ogni attività di impresa è tendenzialmente libera, ma necessariamente soggetta al rispetto delle procedure competitive. Sotto questo profilo – dalla prospettiva del diritto europeo – è importante capire se l’attività che viene esercitata abbia o meno rilevanza economica e, in caso affermativo, essa deve essere accessibile a tutti i potenziali prestatori presenti nel mercato. Nel caso specifico, la spiaggia quale oggetto della concessione comincia dove finisce il lido e si estende verso terra per una larghezza variabile, dipendente dalla natura dei luoghi. Ne consegue che le procedure di affidamento debbono rispettare i principi di pubblicità e trasparenza al fine di assicurare l’imparzialità delle procedure: solo così sarà permesso il reale esercizio delle libertà di circolazione, quale presupposto di un mercato dei servizi senza restrizioni. Tuttavia, l’effettività di tali principi è volta a permettere la tutela di tutti gli operatori, sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta. Occorre anche dar conto del fatto che il concessionario assume su di sé non solo il rischio legato alla corretta gestione del servizio, ma anche quello economico derivante da squilibri che possono essere generati – anche in questo frangente – sia sul lato della domanda, sia sul lato dell’offerta.

A tutto quanto premesso, si aggiunga che le disposizioni puntuali della Direttiva servizi, nata con l’intento di rimuovere gli ostacoli comuni agli Stati membri per l’esercizio delle libertà di circolazione nel mercato dei servizi, hanno posto lo Stato italiano di fronte alla necessità di gestire con la Commissione UE una procedura di infrazione. Il «diritto di insistenza» previsto dall’art. 37 c.2 del Codice della navigazione nella sua formulazione originaria del 1942 era, infatti, in contrasto con l’ordinamento UE, laddove esso accordava un regime di preferenza in favore del concessionario uscente nell’assegnazione del bene in questione. Il diritto di “insistere”, vale a dire di essere preferito tra i vari aspiranti concessionari, sarebbe stato giustificato in virtù degli investimenti effettuati nel corso del rapporto concessorio giunto al termine. Non solo, per loro natura, le concessioni in questione sono «sempre temporanee ed onerose», ma l’illegittimità di un regime di “preferenza” è chiaramente evidente dalla preclusione alla contendibilità effettiva del bene, sulla base di un aprioristico riconoscimento della necessità di ammortamento degli eventuali investimenti fatti. Tale procedura di infrazione sarà poi chiusa con la legge comunitaria del 2010 (art. 11 L. 217/2011) e l’abrogazione consequenziale del diritto di insistenza. In seguito a tale pre-contenzioso con la Commissione UE, il quale ha chiaramente creato un precedente in relazione all’adeguatezza della normativa nazionale rispetto agli obblighi imposti dell’ordinamento comunitario, il legislatore avrebbe dovuto porsi il problema di come disciplinare le concessioni a scadenza al 31 dicembre 2009 (data dell’entrata in vigore delle disposizioni della Direttiva servizi). Benché l’art. 16 del d.lgs. 59/2010 abbia recepito in maniera pedissequa l’art. 12 della Direttiva, in realtà, i vari Governi hanno sempre preferito procedere a prorogare la durata delle concessioni in essere attraverso decreti-legge, poi confermati dal Parlamento in sede di conversione. Ecco che, eludendo di fatto il problema dell’incompatibilità del sistema nazionale di affidamento delle concessioni balneari con il diritto europeo, veniva disposta la proroga ex lege di tutte le concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo al 31 dicembre 2012. I successivi interventi normativi hanno poi semplicemente spostato in avanti il termine della proroga: dapprima al 2015, successivamente al 2020 e infine al 2033, reiterando «dietro lo schermo giustificatore della transitorietà» per un periodo chiaramente molto dilatato il ricorso a tale strumento. Tale atteggiamento del legislatore deriva in primis dalla difficoltà del potere politico di affrontare questioni che hanno un effetto diretto sul consenso: tale incertezza si riverbera anche nella stasi del Parlamento. E’ evidente come l’adeguamento alle disposizioni europee non è mai stato avvertito come un dovere necessitato dall’appartenenza all’UE, quanto come «una valutazione di opportunità lasciata alla discrezionalità del legislatore» , sia statale, sia regionale .Va anche aggiunto come, dal canto suo, la Commissione UE non abbia poi più riaperto procedure di infrazione fino alla recente lettera di messa in mora inviata all’Italia lo scorso 3 dicembre 2020 , dal momento che tale facoltà è espressione di un potere del tutto discrezionale dell’istituzione europea.

L’approvazione della Direttiva servizi può essere, dunque, considerata alla stregua del casus belli nel settore turistico – balneare, in ragione del fatto che tale atto legislativo ha tentato di raggiungere una maggiore integrazione nel mercato dei servizi. Quest’ultimo era caratterizzato da molte asimmetrie e dalla persistenza di molti ostacoli alla libera circolazione che non garantivano, oltretutto, un’adeguata tutela del consumatore. In quest’ottica, la Direttiva ha provveduto a fissare alcuni principi e obiettivi comuni volti a permettere la libertà di impresa anche nei servizi. A questi le legislazioni nazionali non possono derogare seppure possano rimanere tra loro differenti. Di conseguenza le varie discipline nazionali, rilevanti direttamente o indirettamente per il mercato unico dei servizi, non potevano più risultare contrastanti con il diritto europeo. Come però ricordano bene anche i Giudici di Palazzo Spada – già in virtù di quanto dettato dall’art. 49 TFUE sulla libertà di stabilimento- la disciplina italiana presentava numerosi profili di incompatibilità, necessitando una disapplicazione della legge nazionale in contrasto con le disposizioni del diritto europeo direttamente applicabili. E, come verrà chiarito in seguito, la concessione del demanio marittimo rientra viepiù nella nozione di autorizzazione ai sensi dell’art. 12 della Direttiva. Anche perché il considerando 39 della Direttiva medesima afferma come «La nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni […] L’autorizzazione può essere concessa non solo in base ad una decisione formale, ma anche in base ad una decisione implicita […]». Sulla scorta di ciò, laddove è manifesto che le concessioni demaniali siano da ricondurre al campo di applicazione della Direttiva servizi, il Consiglio di Stato sentenzia come sia ormai un «tentativo di confutazione» fine a sé stesso da parte del dibattito dottrinario insistere sulla difficoltà di inquadramento giuridico delle concessioni demaniali. Sulle differenze di interpretazione tra i giudici dell’Adunanza Plenaria e la dottrina, di cui si sono avvalse anche le parti appellanti in giudizio, si tornerà nel paragrafo §3 per la rilevanza di alcune argomentazioni proposte.

L’approvazione della Direttiva servizi può essere, dunque, considerata alla stregua del casus belli nel settore turistico – balneare, in ragione del fatto che tale atto legislativo ha tentato di raggiungere una maggiore integrazione nel mercato dei servizi. Quest’ultimo era caratterizzato da molte asimmetrie e dalla persistenza di molti ostacoli alla libera circolazione che non garantivano, oltretutto, un’adeguata tutela del consumatore. In quest’ottica, la Direttiva ha provveduto a fissare alcuni principi e obiettivi comuni volti a permettere la libertà di impresa anche nei servizi. A questi le legislazioni nazionali non possono derogare[10] seppure possano rimanere tra loro differenti. Di conseguenza le varie discipline nazionali, rilevanti direttamente o indirettamente per il mercato unico dei servizi, non potevano più risultare contrastanti con il diritto europeo. Come però ricordano bene anche i Giudici di Palazzo Spada – già in virtù di quanto dettato dall’art. 49 TFUE sulla libertà di stabilimento – la disciplina italiana presentava numerosi profili di incompatibilità, necessitando una disapplicazione della legge nazionale in contrasto con le disposizioni del diritto europeo direttamente applicabili. E, come verrà chiarito in seguito, la concessione del demanio marittimo rientra viepiù nella nozione di autorizzazione ai sensi dell’art. 12 della Direttiva. Anche perché il considerando 39 della Direttiva medesima afferma come «La nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni […] L’autorizzazione può essere concessa non solo in base ad una decisione formale, ma anche in base ad una decisione implicita […]». Sulla scorta di ciò, laddove è manifesto che le concessioni demaniali siano da ricondurre al campo di applicazione della Direttiva servizi, il Consiglio di Stato sentenzia come sia ormai un «tentativo di confutazione»[11] fine a sé stesso da parte del dibattito dottrinario insistere sulla difficoltà di inquadramento giuridico[12] delle concessioni demaniali. Sulle differenze di interpretazione tra i giudici dell’Adunanza Plenaria e la dottrina, di cui si sono avvalse anche le parti appellanti in giudizio, si tornerà nel paragrafo §3 per la rilevanza di alcune argomentazioni proposte.

3. L’Adunanza Plenaria: il diritto nazionale alla luce del diritto europeo

Nel pronunciarsi sui diversi profili della materia, i giudici del Consiglio di Stato hanno anche ribadito come non fosse necessario operare un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (ex art. 267 TFUE) seguendo la “c.d. giurisprudenza Cilfit”, riaffermata anche di recente nella causa Consorzio Italian Management[13]. Dal canto loro, i principi già espressi dai giudici europei nella pronuncia Promoimpresa del 2016 non lasciano margini per nuovi e ragionevoli dubbi. Inoltre, tali disposizioni sono state già più volte recepite dalla giurisprudenza nazionale, a partire da quella costituzionale[14] la quale, a sua volta, ha arginato il perpetuarsi di applicazioni del diritto interno in contrasto coi principi europei[15]. Sicché, una lettura sistematica delle norme interne, volta a dare la massima efficacia al diritto europeo, può essere bastante a fugare ogni dubbio interpretativo in relazione alla diretta applicabilità dell’art. 12 della Direttiva servizi, «demandando al giudice nazionale solo il compito di accertare il requisito della scarsità della risorsa naturale»[16].

Tuttavia, il perdurante e vivace dibattito dottrinale animatosi negli anni vista la rilevanza sul piano economico, sociale e politico della questione in oggetto[17], non è stato confinato ad una mera diatriba tra giuristi sull’istituto della concessione o sul rinnovato interesse per una “teoria dei beni comuni”[18], la quale si rivelasse in grado di legittimare le pretese di un uso collettivo su beni pubblici o privati; né tantomeno è parsa relegata al sostanziale problema del libero accesso al mare attraverso il passaggio nella “spiaggia affidata ai privati”[19]. Piuttosto, ha indotto una riflessione sul destino di un intero comparto alla luce dell’incertezza del quadro normativo. In tal senso va anche considerato il dibattito, seppur senza seguito significativo, sulla base giuridica sulla quale si fonda la Direttiva. Va poi ricordato che gli obiettivi propri del mercato interno (ex art. 26 TFUE), sono poi completati da basi giuridiche più precise[20]: in questo caso la base giuridica è quella prevista dall’art. 114 TFUE. In tal senso, non può essere condiviso il richiamo operato da parte della dottrina alla base giuridica prevista dall’art. 115 del TFUE[21], in quanto essa si riferisce alle disposizioni «che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno». Essa prevede, in aggiunta, che sia necessario raggiungere l’unanimità in Consiglio per atti il cui obiettivo sia l’armonizzazione delle legislazioni nazionali. Il che, non rientra tra gli obiettivi della Direttiva attenendosi già alla lettura testuale del Considerando 7. A maggior ragione, poi, il ragionamento previsto per l’art. 115 TFUE vale anche per l’art. 195 TFUE: quest’ultima base giuridica, la quale prevede competenze di completamento dell’Unione rispetto all’azione degli Stati membri nel settore turismo, non può prevalere sul 114 TFUE poiché, nel caso delle concessioni demaniali marittime non ci si trova davanti solo alla materia «turismo».

Alla luce della vivace diatriba dottrinaria e giurisprudenziale, il Consiglio di Stato fissa alcuni punti per cercare di mettere ordine anche al rapporto tra le fonti. Dapprima, infatti, pone un punto fermo in relazione alla natura dell’art. 12 della Direttiva servizi, ribadendone la caratteristica di norma self-executing, la quale è stata spesso contestata in una serie di pronunce giurisprudenziali soprattutto ad opera del Tar Lecce. Detto tribunale ha più volto messo in discussione le implicazioni derivanti dall’obbligo di disapplicazione[22], il quale incombe anche a «tutti gli organi dell’amministrazione»[23]. Sicché, smentendo tale impostazione fuorviante[24], l’Adunanza Plenaria riconosce in capo all’amministrazione l’obbligo di non applicare la norma interna in contrasto con quella europea in quanto «approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale». Del resto, tale aspetto era già stato già ben chiarito a partire dalla sentenza F.lli Costanzo[25], nonché dalla giurisprudenza interna, sia della Corte Costituzionale, sia del Consiglio di Stato.

Sull’opinabilità o meno del carattere self-executing della Direttiva servizi si innesta anche l’altro punto su cui il Consiglio di Stato fa chiarezza in modo alquanto laconico. Secondo gli orientamenti maggioritari dei giudici amministrativi di primo grado e di molti commentatori, la Direttiva servizi lascerebbe alla discrezionalità dello Stato membro di determinare la “certezza” dell’interesse transfrontaliero. La stessa dottrina ha spesso guardato oltre confine per evidenziare le notevoli differenze fra le legislazioni degli Stati membri che si affacciano sul mare quali Spagna, Portogallo, Francia, Grecia e Croazia, con l’intento di far risaltare le differenze fra le varie normative nazionali nel recepimento della Direttiva[26]. Si è così spesso confidato che la Direttiva potesse incidere solo sulle norme di settore delle imprese e non sui titoli di occupazione del demanio, quale invece è la concessione[27]. Il Tar Lecce, inoltre, facendo propria l’interpretazione della mancanza di natura auto-esecutiva dell’art. 12 della Direttiva, ha più volte sostenuto che la qualificazione dell’interesse transfrontaliero e la verifica dell’effettiva scarsità delle risorse naturali sarebbero state da riservare caso per caso agli «organi di amministrazione attiva»[28]. Gli esempi a sostegno di tale tesi sono rappresentati dalle concessioni demaniali marittime ubicate in zone costiere caratterizzate da bassa redditività, aventi ad oggetto stabilimenti balneari a conduzione familiare[29]. Queste ultime – è quasi inutile sottolinearlo – hanno di certo patito gli effetti maggiori della crisi economica conseguente al fenomeno pandemico degli ultimi due anni.

A parere di chi scrive, per quanto riguarda la determinazione dell’interesse transfrontaliero, nelle sentenze gemelle qui analizzate, l’Adunanza Plenaria ha addirittura inverato alcuni passaggi della Corte di giustizia nella pronuncia Promoimpresa[30]. I giudici del Lussemburgo, infatti, richiamando la giurisprudenza Belgacom[31]in materia di appalti, avevano nel 2016 rimarcato come l’interesse transfrontaliero fosse da determinare caso per caso, «tenuto conto in particolare della situazione geografica del bene e del valore economico di tale concessione»[32]. Siffatto indirizzo era stato seguito dallo stesso Consiglio di Stato nella sentenza di appello n. 1219 del 2018[33] proposta dai titolari della società Villa Olmo, ove era stata ritenuta pienamente legittima la disapplicazione della normativa nazionale operata dal TAR Lombardia con la pronuncia n. 959 del 2017[34] per contrasto con l’articolo 12 della Direttiva servizi, atteso che la concessione in esame integra pienamente le caratteristiche previste dalla norma. Difatti, la concessione in questione veniva prefigurata come un provvedimento erogabile in numero limitato a causa della scarsità delle risorse naturali della costa lacuale[35]. Nella fattispecie, poi, il TAR Lombardia aveva ritenuto sussistenti tutti gli estremi volti ad evidenziare l’interesse transfrontaliero manifesto della concessione del compendio immobiliare “Lido di Villa Olmo[36]. La sua rilevanza è, infatti, facilmente desumibile da due peculiarità del complesso gestito in virtù della concessione in questione: la collocazione vicino al confine nazionale, nonché l’indiscutibile pregio naturalistico e turistico, attribuitogli dalla collazione sulle rive del lago di Como. È chiaro che in certi frangenti l’interesse transfrontaliero non possa essere negato, mentre a livello astratto, valutate le condizioni specifiche del contesto oggetto del contenzioso, il giudice possa stabilire che tale interesse transfrontaliero non vi sia. Ciò non sarebbe in contrasto con lo stesso diritto europeo laddove l’interesse transfrontaliero, da qualificare sulla base del contesto di riferimento, potrebbe determinare anche una qualche forma di «legittimo affidamento» del concessionario. Tale principio assume carattere dinamico, imponendo alle pubbliche amministrazioni di tutelare situazioni giuridiche consolidatesi, nel caso in cui emerga una contrapposizione tra interessi della collettività e interessi dei privati[37]. Dal canto suo, l’Adunanza Plenaria ravvisa, invece, l’esistenza di un interesse transfrontaliero di «carattere indistinto» sul piano nazionale, definibile a priori sulla base della potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale. Indi, «un artificioso frazionamento» del patrimonio costiero determinerebbe possibili disparità di trattamento[38] sul territorio, consentendo solo per alcuni operatori la sopravvivenza del regime della proroga ex lege. Ecco che, se l’interesse transfrontaliero risulta quale un dato a sé stante, la proroga generalizzata è chiaramente contrastante già con gli artt. 49 e 56 del TFUE ed equivale, nella sostanza, ad un rinnovo automatico delle concessioni stesse, accordando oltremodo un vantaggio al prestatore uscente il quale però è espressamente vietato dall’art. 12 par. 2 della Direttiva. Da qui, a parere di chi scrive, l’importanza granitica di tale passaggio.

Non da ultimo, tale argomentare, supera ogni tentativo da parte degli studiosi e operatori del diritto volto ad individuare l’interesse generale che potrebbe giustificare il fatto di privilegiare il concessionario uscente, quali (tra i tanti) la difesa del patrimonio culturale, oppure la tutela dell’ambiente[39]. Sebbene si sia al cospetto di un mercato ove le dinamiche concorrenziali sono state ingessate e limitate a causa della lunga durata delle concessioni, è pur vero che le limitazioni alla libertà di circolazione imposte per il governo della pandemia hanno avuto ripercussioni tutt’altro che trascurabili anche sul mercato dei servizi. Ebbene, non pare corretto, per un gioco ad armi pari nel contesto odierno fluido e globalizzato, sottovalutare le istanze dei destinatari quali “utenti” dei servizi[40]. In altri termini, alle amministrazioni in fase di aggiudicazione è richiesta una valutazione globale degli interessi coinvolti, contrappesando il principio di primazia del diritto comunitario con la necessità di salvaguardare il legittimo affidamento dei concessionari, nonché la certezza del diritto. Tale aspetto sarà ripreso anche nel proseguo della trattazione. Per quanto riguarda, invece, l’obbligo di ricorso all’evidenza pubblica, come sottolinea per inciso l’Adunanza Plenaria, quest’ultimo è indipendente dall’interesse transfrontaliero, ed è connesso alla diretta applicabilità, appunto, dell’art. 12 della Direttiva.

I giudici di Palazzo Spada specificano anche come, tra gli effetti della proroga, non si possa porre una vera e propria questione di autotutela amministrativa sui provvedimenti adottati in virtù di tale previsione normativa. In altre parole, l’atto di proroga altro non sarebbe che «un atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto automaticamente dalla legge»[41]. Riprendendo la prospettiva del rapporto tra le fonti, sono dunque le dinamiche proprie derivanti dall’obbligo di disapplicazione della fonte primaria, chiamata a regolamentare la durata del rapporto di diritto pubblico, a determinare l’effetto di mancato rinnovo delle concessioni. Il potere di regolamentazione dell’interesse pubblico sotteso alla gestione del demanio attraverso l’istituto della concessione è avocato a sé dal legislatore; un provvedimento di secondo grado in via di autotutela non può perciò avere ad oggetto una disciplina puntualmente – ed esclusivamente – contenuta nella legge. Pertanto, l’Adunanza Plenaria altro non può aggiungere, se non invitare le varie amministrazioni a provvedere «a rendere pubblica l’inconsistenza oggettiva dell’atto ricognitivo e comunicarla al soggetto cui è stato rilasciato detto atto»[42], privandole di fatto dei poteri previsti dall’art. 21-nonies della L. 241/90[43]. Le disposizioni legislative con le quali si è previsto un rinnovo automatico delle concessioni, non possono essere considerate quali fonti giuridiche di un ipotizzato provvedimento amministrativo tacito – peraltro non tipizzato dalla legge – ma incidono sugli effetti giuridici di provvedimenti amministrativi già emanati, senza la necessità che l’amministrazione eserciti alcun potere[44]. Anche perché, eventualmente, gli effetti generati debbono sempre risultare compatibili con il diritto europeo. La conseguenza finale è, dunque, quella del venire meno degli effetti della concessione, sia nei casi in cui siano stati adottati atti formali di proroga da parte delle pubbliche amministrazioni, sia nel caso in cui sia intervenuto un giudicato favorevole[45].

Dacché il Collegio riconosce la perdurante inerzia del legislatore sul tema delle concessioni demaniali di fronte alle numerose pressioni esercitate a livello europeo, esso ritiene tuttavia di dover «modulare gli effetti temporali della propria decisione». Anzi, offre un termine ultimo per sollecitare l’intervento del legislatore e, fino ad allora, congelare lo status quo. Ritiene perciò congruo prevedere un intervallo di tempo funzionale a svolgere le procedure di evidenza pubblica, destinato a cessare al 31 dicembre 2023.

4. L’Adunanza Plenaria: amministrazioni e criteri di aggiudicazione

Il ricorso al principio dell’evidenza pubblica per assegnare le concessioni demaniali appare necessario per tutte le ragioni già esposte, quale conseguenza della diretta applicabilità delle disposizioni riguardanti i regimi di autorizzazione contenute nella Direttiva servizi: non solo l’autorizzazione deve avere sempre una durata limitata e sono vietate forme di rinnovo automatico, ma essa può essere negata solo quando vengano in rilievo interessi pubblici prevalenti che ne giustificano l’utilizzo[46]. Il tema dell’accesso e della fruibilità da parte della collettività del bene è un tema estraneo all’ambito di applicazione della Direttiva[47], ma risulta preminente la connotazione transazionale del servizio svolto. Seguendo tale prospettiva, non è possibile permettere al singolo Stato membro una regolazione discrezionale di tali istituti autorizzatori proprio per evitare distorsioni del mercato[48]. Ciò posto, rimane inevitabile il superamento del rinnovo automatico di cui le concessioni in scadenza hanno di fatto beneficiato anche successivamente all’abolizione del diritto di insistenza. Ecco che, nel corso degli anni, complice anche un’interpretazione dell’art. 37 del codice della navigazione volta a legittimare un’attività meramente discrezionale da parte dell’amministrazione[49], il concessionario prescelto è stato colui il quale offriva maggiori garanzie di proficua utilizzazione; quindi, colui il quale assumeva maggiori garanzie di tutela dell’interesse pubblico. Tale prassi, di conseguenza, ha introdotto nel dibattito dottrinario e politico il problema dell’«indennizzo in favore del concessionario uscente». Chiaro è, infatti, che una delle ragioni per cui il legislatore ha tergiversato in una riforma organica del settore, è legata anche al fatto che il concessionario uscente edifica o investe in migliorie volte alla valorizzazione del demanio marittimo. Egli diventa anche titolare di «un autonomo e separato diritto di superficie per effetto dello ius aedificandi sul tratto di arenile» a lui affidato in concessione[50]. In ragione del legittimo affidamento che detti concessionari hanno maturato in merito al rinnovo della stessa, e in virtù della complessa interpretazione dell’art. 49 del codice della navigazione volta a garantire coloro i quali hanno avuto la gestione del bene in concessione da decenni, essi confidano di mantenere la proprietà dei beni accessori. In tale scenario, il «principio dell’accessione gratuita» dovrebbe, ovviamente, ritenersi quale disposizione eccezionale e da rendere effettiva solo nel momento della concreta cessazione – e non alla mera scadenza – del rapporto concessorio, onde evitare di penalizzare gli investimenti che contribuiscono alla valorizzazione del demanio[51].

Se si osserva, dunque, lo stato delle concessioni balneari in vigore, si enumerano le numerose attività economiche esercitate su di esse, oppure si pensa al possibile subentro di un nuovo gestore, è inevitabile interrogarsi sulla necessità di una qualche forma di ristoro per le attività svolte dal concessionario uscente, al fine di rispettare anche il principio di certezza del diritto[52], nonché di tutelare il diritto fondamentale alla proprietà privata previsto anche dall’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU firmato nel 1952. D’altro canto, la tutela dell’affidamento degli operatori è conseguente alla corretta applicazione della libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, come ribadito anche nella Direttiva sugli appalti[53]. Ecco che, una sostanziale espropriazione senza indennizzo dell’impresa avviata sul suolo demaniale[54], comporterebbe un trasferimento di ricchezza ingiusto e privo di causa[55] i cui effetti non possono essere ignorati, né dal punto di vista del contenzioso giuridico che ne deriverebbe, né sul piano economico e sociale.

Proprio al fine di evitare conseguenze difficilmente governabili, l’Adunanza Plenaria, giustifica la decisione di blindare le concessioni in essere fino al 31 dicembre 2023, non rinunciando a offrire al legislatore dei criteri di cui tenere conto nel riordino della materia. Tra le prerogative «in grado di veicolare la discrezionalità del legislatore»[56] possono essere richiamati i «motivi imperativi di interesse generale» identificati nell’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la necessità di tutelare la salute pubblica o l’ambiente, invocati per imporre dei limiti o restrizioni alla libera circolazione dei servizi da parte di uno Stato membro, ovviamente nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità. Tali esigenze possono spaziare dagli obiettivi di politica sociale e del lavoro (dal momento che l’obiettivo di un’economia sociale di mercato innerva i Trattati europei), alla necessità di valorizzare l’ambiente e il patrimonio storico culturale. Su tutti questi motivi di interesse generale, quali possibili deroghe ex art. 12 c.3 della Direttiva servizi, la dottrina ha già ampiamente riflettuto: sia consentito solo di sottolineare come, indipendentemente dalla possibile evoluzione e non tassatività di tale nozione ad opera della Corte di giustizia[57], il contesto del mercato dei servizi è fortemente mutato rispetto al 2006. Per tali ragioni, chi scrive, non condivide il riferimento riportato nelle sentenze riguardo alla moratoria generalizzata al ricorso alla gara per le concessioni. Secondo i giudici essa sarebbe disincentivante per nuovi investimenti. In realtà si deve ricordare come tale moratoria sia stata prevista dal d.l. n. 34 del 2020 proprio per far fronte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria e inserita in un decreto-legge volto a sostenere il settore turistico nel suo complesso. L’intero settore dei servizi legati al turismo si trovava, dopo la prima ondata di contagi, al cospetto di una stagione estiva quanto più incerta perché strettamente connessa all’andamento del virus e subordinata al rispetto di rigidi protocolli in materia di prevenzione[58]. Ecco che, in tal specifico caso, in un bilanciamento dei vari interessi, le ragioni di tutela della salute – come la pandemia ci ha ben insegnato – prevalgono ampiamente sulle varie libertà di circolazione.

In ogni caso, sebbene i giudici invitino il legislatore a non dimenticare di inserire disposizioni volte a permettere di premiare l’esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi «tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale»[59], saranno tuttavia le amministrazioni aggiudicatrici nella stesura del bando di gara (e nella scelta della procedura selettiva)[60] a dover tenere conto di tutte le criticità concrete del settore tra cui, appunto, rientrano anche i requisiti soggettivi di partecipazione[61]. L’obiettivo ultimo rimane quello di offrire una qualche forma di tutela agli operatori del settore, proteggendo il demanio dalle conseguenze di un’apertura senza regole che possa favorire grandi potentati economici, o peggio ancora, soggetti riferibili alla criminalità organizzata.

Nello specifico, le possibilità di avvalersi della discrezionalità amministrativa sono sicuramente riservate alla fase di determinazione dei criteri dell’offerta, vale a dire le caratteristiche specifiche dei servizi offerti ai destinatari/utenti. Nella predisposizione del bando di gara si esplica infatti la potestà normativa della pubblica amministrazione, ove quest’ultima non esegue solo il diritto ma, nel rispetto dei principi dell’attività amministrativa, può creare delle norme le quali, solo in parte, sono riproduttive di quelle legislative, mentre restano in parte norme “autonome” [62]. Ecco che, in tal caso, dopo aver ricercato elementi di similitudine tra i servizi già svolti dal soggetto partecipante rispetto alle attività connaturate alla concessione, l’amministrazione sarà chiamata a valutare il contenuto dell’offerta comparando le varie proposte, ed essendo legittimata a premiare chi davvero valorizza la specificità del servizio prestato, oppure incontra maggiormente le esigenze del destinatario identificato con il «consumatore medio»[63].

È possibile prevedere che, nel rispetto dell’equilibrio ragionevole tra i vari interessi in gioco, tra cui (non da ultimo) vi sia il pieno sfruttamento del reale valore del bene demaniale oggetto della concessione[64], siano previste modalità particolari di erogazione del servizio. Ecco che, come anche evidenziato dal Tar Lecce[65], l’amministrazione non potrà prescindere dalla necessità di salvaguardare davvero un’offerta che incontri le più diverse esigenze dei destinatari, le quali non son mai avulse dalla peculiarità del contesto, e perciò non trascurabili. Almeno, ciò vale nel caso di rilascio del provvedimento ampliativo (non di un suo eventuale diniego) laddove la motivazione della concessione sarebbe rivolta non solo alla comunità locali ma, soprattutto, agli altri aspiranti concessionari esclusi[66].

5. Verso la riforma del settore: giudici e amministrazioni “creatrici”

Analizzato il contenuto delle pronunce gemelle dell’Adunanza Plenaria, e avendolo posto in relazione con le vicissitudini che affliggono il settore balneare sin dal 2006, la domanda previa riguarda il futuro prossimo delle concessioni demaniali: quale sarà il loro avvenire dal momento che è stata sì ribadita l’illegittimità della proroga, ma è stata riconosciuta la necessità di slittarne in avanti nel tempo gli effetti? Tale scelta operata dal collegio è generata dalla consapevolezza della complessità della materia, sia dal punto di vista normativo, sia dal punto di vista sociopolitico. Il legislatore è chiamato perciò al riordino: in questo contesto, più che mai, il diritto positivo si caratterizza per una sua penetrabilità da parte dei fenomeni sociali, e per la facile cattura da parte degli interessi di parte, non riuscendo a rimanere distante dal mondo extra-giuridico. Come già sottolineato, il potere legislativo ha dato prova di non seguire una direzione precisa, ma di adattarsi alla contingenza ignorando i principi e gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE. Il ricorso all’istituto della proroga non è stata una scelta laica, bensì dettata dalla precisa volontà di non legiferare sulla materia, proprio perché ogni scelta normativa dispiega i suoi effetti e orienta la successiva azione amministrativa.

In tale scenario, il giudice non rinuncia, perciò, ad esercitare lui stesso una «funzione nomofilattica» andando di fatto ad indirizzare il legislatore quanto al contenuto delle norme da promulgare. D’altro canto, tale possibilità, prevista proprio dall’art. 99 c.p.a[67], è volta ad assicurare l’uniforme applicazione del diritto «da parte di quel giudice che quel diritto è chiamato ad applicare, cioè dal giudice munito di giurisdizione» sulla controversia, proprio perché la nomofilachia deve essere intesa quale «attributo interno alla giurisdizione»[68]. Tale esercizio da parte di giudici amministrativi muove dalla lucida consapevolezza del cambiamento socioeconomico[69], il quale si riverbera anche nell’eterogeneità dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione[70] e aspirerebbe a garantire l’unità del diritto oggettivo, cercando di offrire una qualche forma di stabilizzazione al diritto vivente. Quest’ultimo, come ben emerge nello specifico caso delle concessioni demaniali, si contraddistingue per una “imprevedibilità giuridica” alquanto spiccata. Seguendo questa scia, l’Adunanza Plenaria detta perciò alcuni criteri di cui tenere conto in sede di aggiudicazione rendendo sempre più labile il confine tra attività di mera interpretazione e attività di “creazione” da parte del giudice[71]. I passaggi delle sentenze che si spingono in questa direzione non sono nuovi da parte dei giudici amministrativi[72] i quali hanno più volte sottolineato quanto occorra la tempestiva approvazione di una normativa «che preveda, oltre ad una preliminare proroga tecnica delle concessioni in atto per almeno un triennio, regole uniformi per l’intero territorio nazionale», al fine di porre un freno alla discrezionalità evidente con la quale agiscono le amministrazioni locali in un quadro giuridico incerto. Tali precisazioni, avanzate dai giudici, sollecitano in chi scrive due spunti di riflessione tra loro intrecciati: la questione della determinazione dell’interesse transfrontaliero e il bilanciamento dei vari interessi da parte delle amministrazioni.

Procedendo con “l’interesse transfrontaliero” sotteso alle concessioni demaniali marittime, le pronunce statuiscono come esso debba esistere in modo aprioristico: risulta perciò quasi “ridondante” accertare, di volta in volta, se la sua sussistenza sia necessariamente certa al di là del contesto. Ne consegue che tale assunto impone di capire, in sede di aggiudicazione della concessione, quale possa essere davvero lo spazio per il legittimo affidamento del concessionario in un mercato dei servizi turistici molto penetrabile ad ogni pressione socioeconomica e ove, di conseguenza, è necessario un bilanciamento proporzionale dei vari interessi in gioco[73]. Questi ultimi sono, infatti, anch’essi caratterizzati dalla dinamicità, proprio perché il mercato dei servizi odierno è strutturalmente diverso rispetto a quello fotografato nel 2006. Ciò è uno tra i tanti esiti prodotti dalla globalizzazione, nonché della maggiore apertura dei mercati incentivata anche dall’utilizzo delle tecnologie digitali[74].

Venendo alla questione del bilanciamento, le posizioni dei concessionari non sono da tenere in considerazione solo per quanto riguarda la durata del rapporto concessorio, ma anche per quanto concerne la questione dell’indennizzo. Nella predisposizione delle procedure ad evidenza pubblica si tratta, dunque, di riequilibrare costantemente i vari interessi, tra i quali non va tralasciato di considerare, ad esempio, la sostenibilità ambientale e la qualità dei servizi offerti. Il tema della qualità del servizio, se ricollegato alla questione della capacità tecnica dell’aspirante concessionario, può impattare in modo non irrilevante sull’esercizio della discrezionalità amministrativa: le amministrazioni possono, infatti, operare delle scelte in relazione al quando e al quomodo tale capacità tecnica debba essere determinata[75]. Ovverossia, la qualità dell’offerta è anticipatrice della qualità del servizio finale erogato ai destinatari. È pur probabile che, con riferimento alla determinazione della capacità tecnica del concessionario, l’amministrazione decida di ricorrere a valutazioni o apprezzamenti tecnici i quali, a seconda del caso di specie, possono dare luogo a risultati opinabili e tra di loro differenti[76].

Per ritornare al “futuro prossimo” del settore, giova ricordare che l’Autorità garante della Concorrenza e del mercato (AGCM) il 23 marzo 2021 ha inviato una segnalazione al Governo contente le proprie proposte ai fini della redazione del disegno di legge annuale sulla concorrenza (ex. art. 43 legge 99/2003)[77]. È stato così osservato come porre in essere procedure competitive consenta la valorizzazione delle coste italiane quali «elemento strategico per il sistema economico del Paese». È stata anche evidenziata la necessità che la determinazione dei canoni demaniali[78] sia oggetto della procedura competitiva di modo che l’esito dell’aggiudicazione rifletta il valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene. L’Autorità ha anche rilevato come sia auspicabile intervenire sull’art. 45-bis del Codice della navigazione limitando a casi eccezionali e per periodi limitati le possibilità di sub-concessione, in quanto quest’ultime sono spesso utilizzate dal concessionario per realizzare ingenti rendite di posizione. Coerentemente col suo ruolo, l’AGCM è orientata a garantire la massima apertura del mercato, ponendosi spesso in contrasto (e fuori dal coro) rispetto alle determinazioni delle amministrazioni[79]. Ovviamente, anche procedure di gara di facciata caratterizzate, o da un eccesso di trattativa coi privati, o addirittura dal ricorso all’affidamento diretto, sono da intendersi come anti-competitive[80] e volte ad ostacolare l’accesso di prestatori provenienti da un luogo diverso rispetto a quello ove è situata la concessione[81].

Nella prassi, la tendenza a “creare” diritto da parte del giudice, sostituendosi così esso stesso al legislatore, è stata legata alla presenza di un c.d. “vuoto normativo” in materie che toccano da vicino questioni etiche e i diritti fondamentali[82]. Di fatto, «il creazionismo giudiziale può così muovere per inesplorate “avventure del giuridico”»[83]. A partire dalla funzione del Consiglio di Stato di “unificazione” della giurisprudenza, questa confusione di ruoli rischia però – come nel caso delle concessioni demaniali – di far sì che il legislatore finisca col rinunciare del tutto al suo ruolo lasciando poi alle amministrazioni il ruolo di “creatrici”, a loro volta, del diritto. In altre parole, l’eccessivo determinismo rinvenibile nelle sentenze volto a definire come le gare “dovrebbero” essere, porta ogni potere a fare ciò che non spetta a quel potere, dal momento in cui chi vi è legittimato si astiene dall’esercizio del potere stesso. Tale prospettiva potrebbe avere i suoi aspetti positivi laddove anche la norma autonoma posta dalla amministrazione nella definizione del bando di gara, sia espressione del contenuto della legge (futura). D’altra parte, la legge stessa – a sua volta – definisce il perimetro della sua determinazione[84] poi assolta da «norme interne»[85], senza però inficiare la discrezionalità delle amministrazioni, vale a dire la possibilità di scegliere tra più opzioni (nessuna delle quali puntualmente vincolata dalla legge, ma nel rispetto dei principi del procedimento amministrativo). E qui si innesta – nuovamente – il problema del bilanciamento tra i vari interessi contrapposti, soprattutto nell’evenienza in cui sia possibile prevedere un margine per valorizzare peculiarità specifiche del territorio, o del servizio stesso. In definitiva, essendo proprio atti quali i «bandi di gara» chiamati ad indirizzare nel concreto l’esercizio della discrezionalità amministrativa[86], sarebbe più auspicabile che il contenuto della legge[87] (che li prevede) fosse il risultato di un dibattito tra le forze politiche in sede parlamentare nazionale, e di un dialogo aperto e franco con la Commissione UE, piuttosto che una riproduzione di quanto indicato dai giudici[88]. In caso contrario, non si può che continuare a constatare come la giurisprudenza, seppure a volte nella sua contraddittorietà, intercetti – anche con grande incisività – le urgenze reali[89], provando ad offrire una qualche forma di certezza e tutela dell’affidamento. Nel caso delle concessioni demaniali, ciò vale non solo per i concessionari uscenti e gli aspiranti affidatari, ma anche per i destinatari dei servizi, nonché per le pubbliche amministrazioni chiamate a regolare l’accesso alle varie attività economiche in un mercato unico dei servizi in continua mutazione.

  1. Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza nn. 17 e 18, 9 novembre 2021.
  2. Il peso del settore turistico è dell’11% circa sul PIL e del 12,5% sull’occupazione; il comparto balneare coinvolge ben 15 Regioni italiane per un totale di 7.458 Km di costa distribuiti in 651 territori comunali e rappresenta, per molte di queste, l’offerta turistica principale. Cfr., Ministero del Turismo, Piano Strategico del Turismo 2017-2022, https://www.ministeroturismo.gov.it/il-piano-strategico-del-turismo/
  3. In particolare, il decreto 160/2021 del Presidente del Consiglio di Stato richiama l’appello presso la V sez., n.1975/2021, proposto dal Comune di Lecce, avverso il signor Andrea Caretto e l’Associazione federazione imprese demaniali e l’appello, pendente presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, iscritto con il r.g. n. 311/2021, proposto dalla Comet s.r.l., nei confronti della Autorità di sistema portuale dello Stretto e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  4. Nonostante le pronunce della Corte di giustizia, sez. V, sentenza 14 luglio 2016, cause riunite Promoimpresa e sig. Melis, C-458/14 e C-67/15, ECLI:EU:C:2016:558 avrebbero dovuto chiarire ai giudici nazionali come dirimere controversie in merito alla proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali marittime dichiarata illegittima, i vari tribunali -a cominciare da quelli amministrativi cui si dà preferenza in questo scritto-, si sono contraddistinti per l’utilizzo di approcci ermeneutici per quanto riguarda l’effetto automatico di tale illegittimità. Ex pluribus, il T.A.R. Campania, Sez. VII, sentenza 14 febbraio 2017, n. 911 sostiene la necessità di ricercare il «giusto equilibrio» tra diritto interno e diritto comunitario»; oppure il T.A.R. Sardegna, Sezione I, sentenza 1 marzo 2017, n. 149, ritiene legittimo l’esercizio del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione concedente in relazione al ricorso o meno allo strumento della proroga. Per ulteriori approfondimenti sull’istituto della proroga, infra, §3.
  5. Nel prosieguo, si darà rilevanza alle più recenti disparità di orientamenti propri della giustizia amministrativa, quali ad esempio il Tar Lecce e il Tar Toscana. Si può, in sintesi, affermare come l’orientamento del Tar Lecce si contraddistingua per un favor spiccato verso il concessionario uscente e le varie situazioni giuridiche consolidatesi; mentre il Tar Toscana predilige un approccio volto a valorizzare i principi di libera concorrenza necessariamente applicabili anche al settore delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico -ricreative. Cfr., infra, nota n. 41 e nota n. 53.
  6. Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.
  7. Sul dovere, ad opera delle pubbliche amministrazioni, di disapplicazione della norma interna contrastante con la norma di diritto europeo, infra, nota n. 54.
  8. Si tratta, quindi di un atto pressoché dichiarativo, basato su un mero accertamento di determinati fatti e dati, che incide su una situazione giuridica preesistente, vale a dire il rapporto del concessionario rispetto allo sfruttamento economico del bene pubblico affidatogli, rafforzandola. Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, XI ed., Giuffrè, Milano, 2009, p. 356. Ciò è anche diretta conseguenza del fatto che la titolarità della proprietà dei beni pubblici trova la sua fonte primaria nella legge. Su questo specifico aspetto si rimanda a V. C. Irelli, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Cedam, Padova, 1983, p. 418-420.
  9. M. Zanichelli, Introduzione. Per un diritto in ascolto, in M. Zanichelli (a cura di), Il diritto visto da fuori, Franco Angeli, Milano, 2020, p. 12-15.
  10. Cfr. T.A.R. Toscana, I sez., sentenza 10 novembre 2017, n. 1368.
  11. Ad. Plen., p.ti 18-19.
  12. Il diritto UE conosce infatti due tipologie di provvedimenti amministrativi rilasciabili dalla PA in favore dei privati al fine di erogare un servizio: il «contratto di appalto» per l’erogazione di servizi pubblici e il «provvedimento di concessione amministrativa». La concessione di beni demaniali non è equiparabile alla figura europea della «concessione amministrativa per la fornitura di servizi pubblici» ai sensi della direttiva 2014/23/CE. Stando infatti al considerando 15 «taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico […], mediante i quali l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi della presente direttiva». Ecco che la «concessione di beni demaniali» rappresenta perciò un tertium genus rispetto ai «contratti di appalto» – i quali tra l’altro, non trasferiscono nessun rischio operativo poiché questo permane in capo all’ente aggiudicatore – e alle «concessioni di servizi europei». Sul punto D. D’Amico, in Natura giuridica e riparto di giurisdizione delle concessioni pubbliche: in particolare, delle concessioni di beni pubblici, cit.
  13. Corte di giustizia, sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit, ECLI:EU:C:1982:335; Corte di giustizia, sentenza 06 ottobre 2021, C- 561/19, Consorzio Italian Management, ECLI:EU:C:2021:799. Per una sintesi della giurisprudenza Cilfit, si veda J. Ziller, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 218.
  14. Cfr., di recente, Corte Cost., sentenza 07 giugno 2018, n. 118.
  15. D. Paris, Il parametro negletto. Diritto dell’Unione europea e il giudizio in via principale, Giappichelli, Torino, 2018. «L’esempio della giurisprudenza costituzionale sulle concessioni demaniali testimonia l’importanza che può assumere il giudizio in via principale per prevenire violazioni del diritto europeo. Di fatto, in questo caso, lo Stato non fa altro che muovere nei confronti delle leggi regionali le stesse censure che la Commissione opererebbe in una procedura di infrazione», p. 115.
  16. Ad. Plen., p.to 18
  17. Una sistematica ricostruzione dell’intera vicenda fino alla rimessione il ricorso all’esame dell’Ad. Plen del Consiglio di Stato è presente in B. Caravita, G. Carlomagno, La proroga “ex lege” delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma, in Federalismi.it, n. 20, 2021, pp. 1-20.
  18. Il dibattito scientifico è stato riaperto in seguito alla pubblicazione dell’opera di U. Mattei, E. Reviglio, S. Rodotà, Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, Il Mulino, Bologna, 2007. Era stata anche istituita una Commissione, la c.d. Commissione Rodotà con il compito di portare ad una riforma del Titolo II del Libro III del Codice civile del 1942 non più incentrata sul regime del bene, quanto piuttosto sull’utilità che questo produce sul singolo o sulla collettività, superando l’antica dicotomia tra pubblico e privato. Per approfondimenti, M. Renna, Le prospettive di riforma delle norme del Codice civile sui beni pubblici, in G. Colombini, I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali, cit., p. 15-29.
  19. Si tratta, per l’appunto, di beni considerati «di proprietà collettiva». Cfr. I. Ciolli, Sulla natura giuridica dei beni comuni, in Diritto e società, n. 3, 2016 p. 457-482. «Dal punto di vista politico i beni comuni rappresentano, perciò, una risposta al tentativo di monetizzare o assegnare un valore economico a beni che in passato non erano considerati merci di scambio, ma la cui scarsità e o importanza riconosce loro un valore di mercato», ivi, p. 459.
  20. Per approfondimenti, J. Ziller, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, cit., p. 150-152.
  21. Cfr., F. Capelli, Evoluzione, splendori e decadenza delle direttive comunitarie. Impatto della direttiva CE n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari, Napoli, Editoriale Scientifica, 2021. L’autore analizza nello specifico i motivi che escludono o rendono illegittima l’applicazione della direttiva 2006/123/CE alle concessioni balneari, a partire proprio dalla questione della base giuridica non idonea.

    È giusto precisare che, proprio a partire da questa lettura interpretativa, qualora la direttiva comportasse un’armonizzazione, essa non potrebbe essere applicata alle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreativa dal momento che, in materia di turismo ai sensi dell’art. 195 TFUE, l’Unione non ha una competenza piena, ma solo di coordinamento e sostegno rispetto all’azione degli Stati membri. Tale punto di vista non può essere condiviso poiché per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri l’art. 114 TFUE introdotto con l’Atto unico europeo prevale sull’art. 115 TFUE, già presente nel Trattato di Roma con eccezione rispetto «a disposizioni fiscali, a quelle relative alla libera circolazione delle persone e a quelle relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti». Va da sé che le concessioni demaniali marittime non rientrano in nessuna di queste tre categorie.

  22. Il Tar Lecce, e in particolare la sez. I negli ultimi anni, ha sposato una “tesi minoritaria” per quanto riguarda la diretta applicabilità dell’art. 12 della Direttiva servizi, cercando di offrire una lettura delle norme europee e nazionali inerenti al settore delle concessioni demaniali marittime, volta a favorire gli operatori balneari. Si ricordano, a tal proposito, le sentenze 1321 e 1322 del 2020 con cui il tribunale, I sez., ha annullato il diniego di proroga di una concessione da parte del comune di Castrignano del Capo; successivamente il tribunale è ritornato sul tema della proroga anche nelle successive sentenze nn. 71, 72, 73, 74 e 75 del 15 gennaio 2021 e nella sentenza n. 268 del 15 febbraio 2021; nella sentenza n. 347 del 3 marzo 2021; nella sentenza n. 881 del 12 maggio 2021. Da ultimo, si segnala la sentenza n. 981 del 29 giugno 2021 sul ricorso proposto da AGCM contro il Comune di Manduria cui rimandano molti dei riferimenti in questo scritto (cfr. infra, nota, n 55). L’indirizzo di tale sezione pare ignorare i principi direttamente derivanti dai Trattati primi tra tutti il principio del primato, Per approfondimenti, G. Vitale, Considerazioni a margine della pronuncia del Tar Puglia sulla disapplicazione da parte dell’Amministrazione di una norma interna incompatibile con il diritto dell’Unione, in Il Diritto dell’Unione europea – Osservatorio europeo, 11 febbraio 2020, in cui si evidenzia la pericolosità di tale orientamento soprattutto per quanto riguarda il dialogo tra le Corti, rispetto ad un sistema consolidato di divisione dei ruoli e di rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento dell’Unione; B. Caravita, G. Carlomagno, La proroga “ex lege” delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma, cit., p. 10-12.
  23. Corte di giustizia, causa 103/88, F.lli Costanzo, ECLI:EU:C:1989:256, p.t1 31-33. Si ricorda anche come la pronuncia Corte di giustizia, 09 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF), C-198/01, ECLI:EU:C:2003:430, ricomprenda tra le amministrazioni anche le autorità indipendenti. Ne deriva che anche l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM), nei suoi provvedimenti con efficacia vincolante ha il compito di dare attuazione al diritto dell’Unione disapplicando la normativa interna con esso contrastante. Si rimanda sul punto, infra, nota 106.
  24. Nella pronuncia 981/2021 il Tar Lecce ha rigettato il ricorso dell’AGCM. L’Autorità aveva infatti contestato al Comune di Manduria il ricorso all’istituto della proroga. Il Tar, dal canto suo, nella sentenza di rigetto aveva evidenziato come il rimando alla L. 145/2018 avrebbe dovuto comportare la sollevazione da parte dell’Antitrust ricorrente della questione di costituzionalità della norma davanti alla Corte Costituzionale. Perciò, quest’ultima sentenza è degna di rilievo non solo per le ragioni esposte nel proseguo sul ruolo del giudice e la sua funzione nomofilattica, ma anche riguardo al rapporto tra le Corti.
  25. D. U. Galetta, Le fonti del diritto amministrativo europeo, in M.P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Giappichelli, Torino, 2019, p. 96.
  26. Senza pretesa di esaustività si rimanda a M. De Benedetto, F. Di Lascio, La regolazione del demanio marittimo in Italia e Spagna: problemi, riforme e prospettive, in Rivista giuridica dell’edilizia, n.1-2, 2014, p. 29-47; M. De Benedetto (a cura di), Spiagge in cerca di regole. Studio sulla regolazione delle concessioni balneari, Bologna, Il Mulino, 2011; G. Cerrina Ferroni, La gestione del demanio costiero. Un’analisi comparata in Europa, in Federalismi.it, n. 4, 2020, p. 21-44.
  27. Ad. Plen., p.to 19.
  28. Sul punto si è espressa in senso contrario la Corte Cost., 118/2018 dichiarando illegittimo l’art. 3, comma 3, l. r. Abruzzo 27 aprile 2017, n. 30, ove si demandava genericamente ai Comuni e alla «discrezionalità delle amministrazioni» la determinazione delle modalità concrete con cui tutelare il legittimo affidamento dei titolari di concessioni rilasciate anteriormente al 30 dicembre 2009 nell’ambito delle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni. Sul punto si tornerà nel §5.
  29. T.A.R. Lecce, 981/2021, cit.
  30. In realtà che G. Marchegiani aveva già sposato una simile interpretazione dell’art. 12 della Direttiva intesa ad imporre il diritto europeo alle concessioni prive di un interesse transfrontaliero certo, in Le concessioni di beni del demanio marittimo alla luce del diritto UE, in GiustAmm.it, n. 10, 2016, p. 1-15.
  31. Cfr. Corte di giustizia, X sez., 14 novembre 2013, C‑221/12 Belgacom, ECLI:EU:C:2013:736, «Per quanto riguarda l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, essa può risultare, segnatamente, dall’importanza economica della convenzione di cui è prevista la conclusione, dal luogo della sua esecuzione (…).», p.to. 28.
  32. Promoimpresa, p.to 67. Di tale avviso anche C. Benetazzo. Il regime giuridico delle concessioni demaniali marittime tra vincoli U.E. ed esigenze di tutela dell’affidamento, in Federalismi.it, n. 25, 2016, p. 24.

    Va poi segnalato come l’utilizzo in questo passaggio da parte dei giudici del riferimento al “bene” abbia determinato numerosi fraintendimenti legati al fatto che la concessione in oggetto non sia di “servizi” già per gli stessi giudici europei. A parere di chi scrive tale interpretazione non può essere condivisa, proprio a partire da una lettura non solo formale, ma anche sostanziale dei principi dei Trattati e della Direttiva volti a valorizzare la “logica di risultato” della concessione. Sul punto, A. Giannelli, Concessioni di beni e concorrenza, cit., p. 18-22. Cfr. supra nota 2.

  33. Consiglio di Stato, V sez., sentenza 28 febbraio 2018, n. 1219.
  34. T.A.R. Lombardia, Brescia, II sez., sentenza 27 aprile 2017, n. 959.
  35. In fondo, ove c’è scarsità, il diritto traduce in norme il pensiero economico; in tali contesti ogni agente persegue la massimizzazione del proprio benessere. Per garantire il funzionamento delle società, soprattutto dove le risorse sono limitate, è necessario avere delle regole. Sul punto, L. Giua, Testare gli effetti delle norme giuridiche: il contributo dell’analisi economica, in M. Zanichelli (a cura di), Il diritto visto da fuori, cit., p 40.
  36. La ricorrente gestiva il compendio di Villa Olmo sulla base di una concessione demaniale rilasciata nel 1981 e più volte prorogata in virtù della normativa vigente fino all’ultima scadenza il 31 dicembre 2011. Ella aveva perciò chiesto al Comune di non procedere alla pubblicazione del bando per l’assegnazione in concessione delle aree demaniali da essa occupate, rivendicando il diritto ad una proroga tacita fino al 2020, in conformità all’articolo 1, comma 18 d. l. 194/2009.
  37. S. Bastianon, La tutela del legittimo affidamento nel diritto dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 2012. L’autore richiamando la pronuncia Duff C-63/93 (15 febbraio 1996, ECLI:EU:C:1996:51) e, in particolare il p.to 20, ricorda come il legittimo affidamento sia un corollario de la «certezza del diritto». La certezza del diritto avrebbe un carattere statico, mentre il legittimo affidamento avrebbe un carattere dinamico imponendo agli organi che danno attuazione al diritto europeo di tutelare situazioni giuridiche anche consolidate. Ivi, p. 83.
  38. Ad. Plen., p.to 16.
  39. Art. 12, c.3 Direttiva 2006/123/CE.
  40. A. Monica, Il destinatario e le concessioni demaniali marittime nel mutato contesto del mercato europeo dei servizi, in AA. VV., Coste e diritti. Alla ricerca di soluzioni per le concessioni balneari, EUM, Macerata, in corso di pubblicazione.
  41. Ad. Plen., p.to 42.
  42. Ad. Plen., p.to 44.
  43. Il Consiglio di Stato non solo dichiara l’efficacia di tutte le proroghe ma ravvisa la mancanza di interesse ad intervenire in giudizio alle parti intervenute ad adiuvandum del ricorrente. Si tratta sia privati concessionari di stabilimenti balneari, associazioni di categoria, finanche la Regione Abruzzo, nonché l’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto. L’Ad. Plen. dichiara inammissibili tutti gli interventi. Per quanto concerne l’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, questa è parte di un ricorso davanti al CGAS per cui non è sufficiente che essa sia già parte di un (altro) giudizio, in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio in questione; né tantomeno si desume abbia alcun interesse specifico rilevante nel caso di specie. Per quanto riguarda la Regione Abruzzo e i vari concessionari demaniali, l’Ad. Plen. ravvisa che il loro intervento sia motivato da una chiara e astratta finalità di giustizia: la decisione dispiegherà i suoi effetti sulla successiva azione amministrativa orientando l’attività dei funzionari. Chiaramente, anche per quanto concerne le associazioni di categoria, esse non riescono a dimostrare un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso, ma si constata semplicemente l’interesse al corretto esercizio della funzione amministrativa, nonché mere finalità di giustizia. (Su tale aspetto cfr. Ad. Plen., sentenza 02 novembre 2015, n. 9).
  44. In questi termini cfr. Cons. Stato, VI sez., 6 giugno 2018 n. 3412. Secondo il Collegio «in un ordinamento ispirato al principio di legalità, non può essere qualificato come provvedimento, ancorché tacito, un mero contegno di fatto non riconoscibile come espressione del potere amministrativo». Stando, infatti, all’art. 2 della l. n. 241/90 l’amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Ecco che i provvedimenti taciti e i «silenzi significativi» sono configurabili solo nei casi espressamente previsti dalla legge (con impossibilità di applicazione analogica delle relative disposizioni). Nello specifico, le disposizioni legislative con le quali si prevede un rinnovo automatico delle concessioni balneari, o una proroga ex lege delle stesse, non possono essere considerate come fonti legali di un ipotizzato provvedimento amministrativo tacito in quanto esse si sono limitate ad incidere, ex lege, sugli effetti giuridici di provvedimenti amministrativi già emanati. In pratica, non vi è stata la necessità che l’amministrazione esercitasse alcun potere e, quindi, non vi è la possibilità di configurare la sussistenza di un provvedimento tacito di rinnovo o di proroga che, se emesso, ha natura meramente ricognitiva delle conseguenze previste dalla legge.
  45. In primis ciò avviene per effetto del dispositivo della sentenza Promoimpresa C-458/14. Si rammenta infatti come le sentenze pregiudiziali della Corte UE abbiano la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate; lo stesso rinvio è volto ad orientare il giudice a quo chiamato a decidere nel merito della questione sollevata. Sul punto, J. Ziller, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 621.
  46. Cfr. M. Trimarchi, Stabilità del provvedimento e certezze dei mercati, in Diritto amministrativo, n.3, 2016, p. 321.
  47. Cfr. A. Giannelli, p. 160. L’autrice evidenzia come la Corte di giustizia nel caso italiano Promoimpresa C-458/14, utilizzi una nozione «atecnica» di scarsità, laddove «perde ogni pregnanza semantica e, quindi, ogni potenziale connotativo rispetto alla totalità dei beni presenti in natura» in Concessioni di beni e concorrenza, cit., p. 160. In sintesi, nel volume viene proposta una distinzione tra «concessione funzionale» e «concessione reddituale» assumendo come elemento dirimente il tipo di interesse pubblico sotteso alla singola concessione. In altre parole, la «concessione funzionale» è quella cui si riferirebbe l’art. 12 della Direttiva: il regime concessorio è volto a perseguire l’interesse pubblico della migliore regolazione del bene. Nel caso di una «concessione reddituale», invece, non vi sono necessità di restringere l’accesso al bene, se non risulta scarso in senso assoluto, anzi viene liberalizzata pienamente l’attività economica che ne consente lo sfruttamento. Sulla scorta di tale ragionamento, le «concessioni balneari» sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’art. 12 della Direttiva in quanto non risulta rintracciabile il presupposto della scarsità quanto, piuttosto, esse sono rilasciate allo scopo di consentire delle entrate reddituali all’ente concedente. Ivi, p. 159-164.
  48. Come già detto, A. Giannelli vede la questione dal punto di vista diametralmente opposto. Le concessioni balneari sarebbero reddituali, dunque, il diritto nazionale deve poter evitare distorsioni del mercato, ivi, p. 164.
  49. Cfr. Cons. Stato, VI sez., sentenza 1 febbraio 2013, n. 626, da cui discende il principio applicativo dell’articolo 49 del codice della navigazione: per tutte le concessioni in atto, rilasciate agli stabilimenti balneari la facoltà, da parte delle amministrazioni concedenti dello Stato, di incamerare le opere “non amovibili” o di “difficile sgombero o rimozione” (pertinenza dello Stato), potrà essere esercitata «soltanto dopo la effettiva cessazione del rapporto». Cfr., E. Sartor, L’acquisizione di opere inamovibili da parte della pubblica amministrazione ex art. 49 c. nav.: un’inversione di rotta del Consiglio di Stato, in Diritto dei trasporti, n. 2, 2014, p. 570-575.
  50. F. Gaffuri, in La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo, cit., p. 48.
  51. Si richiama a tal proposito il principio dell’equilibrio economico-finanziario della concessione, come previsto anche dall’ art. 165 del d. lgs 50/2016 che lo inquadra quale «presupposto per la corretta allocazione dei rischi». Per approfondimenti, M. Calcagnile, Durata delle concessioni di servizi pubblici e regime della gestione, cit., p. 596.
  52. A tal proposito si ricorda come “Il rispetto dei principi generali del diritto si impone ad ogni autorità nazionale che debba applicare il diritto comunitario” (causa 230/78 Eridania). Anzi, tali principi reggono tutta l’attività amministrativa. cfr. D. U. Galetta, Le fonti del diritto amministrativo europeo, cit., p. 109-110.
  53. Considerando 1, Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE.
  54. F. Gaffuri, in La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo, cit. p. 53.
  55. Sul punto, T.A.R. Lecce 981/2021, par. XI, lett. c) in cui si ricorda come «l’indennizzo risponde a esigenze di equità, atteso che il concessionario in essere con la sua opera e con i propri investimenti, nonché attraverso la realizzazione delle opere legittimamente autorizzate, ha determinato un incremento di valore del bene demaniale (…)».
  56. Ad. Plen., p.to 49.
  57. G. Carullo, A. Monica, Le concessioni demaniali marittime nel mercato europeo dei servizi: la rilevanza del contesto locale e le procedure di aggiudicazione, cit., p. 34.
  58. A. Monica, Stessa spiaggia stesso mare, in questa Rivista, n. 2, 2020, p. 61-74.
  59. Già nella pronuncia n. 981/2021 il Presidente del Tar Lecce, il giudice Antonio Pasca, non si era sottratto al compito di indicare in maniere puntale e precisa alcuni criteri volti a definire come le gare “dovrebbero” essere. Per la precisione aveva elencato come “necessario” definire nella legge: 1) la durata delle concessioni; 1) la composizione delle commissioni di gara; 3) i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione; 4) le forme di pubblicità (anche a tutela degli interessi transfrontalieri); 5) i criteri di selezione; 6) la modifica delle norme del Codice delle Navigazione in tema di indennizzo; 7) la previsione di un procedimento amministrativo che consenta di indentificare, in contraddittorio e secondo regole certe, l’importo per ciascuna concessione; 8) la previsione di norme a tutela del legittimo affidamento di rapporti concessori in vigore già da prima dell’adozione della Direttiva servizi.
  60. M. Conticelli, rileva come anche dopo l’abrogazione del diritto di insistenza la disciplina abbia comunque lasciato ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni sia per la scelta del concessionario, sia per le procedure di selezione: cfr., Il regime del demanio marittimo in concessione per finalità turistico-ricreative, cit., p. 1076. Per un’analisi giurisprudenziale riguardo al potere di scelta del concessionario da parte delle amministrazioni si rimanda a B. Tonoletti, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 362-366.
  61. Come di recente ribadito dal T.A.R. Lazio, II sez., sentenza 01 aprile 2021, n.3935, le Stazioni appaltanti (nella cui nozione rientrano anche gli enti aggiudicatori), hanno il potere di fissare nella lex specialis parametri di capacità tecnica dei partecipanti e requisiti soggettivi specifici di partecipazione attraverso l’esercizio di un’ampia discrezionalità, fatti salvi i limiti imposti dai principi di ragionevolezza e proporzionalità. Sul punto si sottolinea essere alquanto rilevante quanto affermato di recente dal T.A.R. Bologna (II sez., sentenza 16 novembre 2021 n. 93): la definizione dei parametri valutativi e dei metodi di attribuzione dei punteggi volti a premiare la professionalità e la capacità organizzativa e progettuale dei concorrenti, dunque legati al “merito tecnico”, è sindacabile in sede di legittimità allorché «sia manifestamente irragionevole, illogica o abnorme».
  62. Intervento di G. Corso, in Colloqui di diritto amministrativoAmministrazione creatrice ed esecutrice del diritto, 18 novembre 2021, radioradicale.it
  63. Sul punto, cfr. G. Carullo, A. Monica, Le concessioni demaniali marittime nel mercato europeo dei servizi: la rilevanza del contesto locale e le procedure di aggiudicazione, cit., p. 46.
  64. F. Gaffuri in riferimento alla determinazione dei canoni richiama il «principio di corrispettività», in La disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime alla luce del diritto europeo, cit., p. 57.
  65. Ci si riferisce al criterio indicato dal T.A.R. Lecce, 981/2021, che invita a prevedere norme a tutela del legittimo affidamento di rapporti concessori in vigore già da prima dell’adozione della Direttiva servizi.
  66. A. Giannelli, Concessioni di beni e concorrenza, cit., p. 45-46.
  67. M. R. Ferrarese, Nomofilachia ed evoluzione giuridica. Corti supreme, legalità e riassestamenti post-globalizzazione, in Questione giustizia, n. 1, 2021, p. 115 in cui si evidenzia come l’incremento delle competenze e dei poteri del giudice amministrativo sia dovuto anche all’effetto dell’art. 99 c.p.a e non solo all’estensione delle materie riconducibili alla sua esclusiva giurisdizione.
  68. A. Travi, Il giudice amministrativo come risorsa?, in Questione giustizia, n. 1, 2021, p. 23.
  69. Cfr., C. Franchini, G. Della Cananea, G. Lo Presti, B. G. Mattarella, Giustizia amministrativa e sviluppo del paese, in AA.VV., Il Consiglio di Stato nella Storia d’Italia, Utet, Torino, 2011.
  70. Le pubbliche amministrazioni sono, dunque, chiamate a curare l’interesse pubblico potendo «incidere sulle collettività e sulle categorie (potestà)» cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza n. 6, 20 febbraio 2020. La sentenza è richiamata in G. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2021, ove l’autore sottolinea come la funzione di nomofiliachia esercitata dall’Ad. Plen. possa consentire di garantire forme “ulteriori” di tutela a varie situazioni giuridiche consolidate o emergenti, quali frutto della complessità crescenti dei rapporti sociali (ivi, p. 137), e difenderle da «iniziative regressive» (ivi, p. 155). La strada per limitare gli eccessi di un potere di merito eccessivamente discrezionale è rappresentata, secondo l’Autore, dai «valori» guidati dal catalogo costituzionale e dalla rule of law. In altre parole, «ogni operazione interpretativa, persino distante non solo dal core della certezza semantica, ma addirittura dalla penombra del dubbio (lo dico in termini hartiani), dismette il suo potenziale di offensività nei confronti dei diritti sostanziali: l’avventura ermeneutica, pur con tutte le riserve che ritengo debbano accompagnarla (e sorvegliarla), può tradursi in senso ampliativo degli spazi di accesso al giudice.», ivi, p. 116.
  71. Sul punto, cfr., M. A. Sandulli, Per la Corte costituzionale non c’è incertezza sui termini per ricorrere nel rito appalti: la sentenza n. 204 del 2021 e il creazionismo normativo dell’Adunanza plenaria, in Federalismi.it, n. 26, 2021, p. 186.
  72. Cfr., T.A.R. Lecce, 73/2021, «Appare inoltre necessario che una normativa nazionale stabilisca regole specifiche ed uniformi, anche al fine di evitare disparità di trattamento, relativamente all’espletamento delle gare ad evidenza pubblica».
  73. Scrive il Presidente del Tar Lecce, A. Pasca, nella sentenza 981/2021 «In sede di normativa di riordino del settore, sarebbe peraltro auspicabile prevedere il necessario ed inscindibile collegamento tra concessione e titolo edilizio, abbandonando – anche sul piano delle competenze – il doppio e parallelo procedimento e prevedendo una autorizzazione integrata demaniale con valenza edilizia e paesaggistica».
  74. A. Monica, Il destinatario e le concessioni demaniali marittime nel mutato contesto del mercato europeo dei servizi, cit.
  75. Cfr., Cons. Stato, V sez., n. 837del 2009 in cui si afferma come sia legittimo prevedere nel bando di gara eventuali elementi di valutazione della offerta tecnica di tipo soggettivo, concernenti cioè la specifica attitudine del concorrente, desunta da analoghe esperienze pregresse, a realizzare lo specifico progetto oggetto di gara. Sul punto, infra, nota n. 92.
  76. I problemi sulla sindacabilità da parte del giudice sono oggetto di intenso dibattito tra i giuristi e, nell’economicità della trattazione, in questa sede sono solo portati all’attenzione da un punto di vista epistemico e non critico. Cfr. G. Greco, M. Cafagno, D.U. Galetta, M. Ramajoli, M. Sica, Argomenti di diritto amministrativo, cit., p. 199.
  77. AGCM, S4143 – Segnalazione contenente le proprie proposte ai fini del disegno di legge per la concorrenza, 23 marzo 2021.
  78. Il canone demaniale è una sorta di corrispettivo dovuto a seguito del particolare uso del bene collettivo. Cfr. G. Pallotta, Imposta regionale sulle concessioni demaniali marittime, in Il Diritto Amministrativo – Rivista giuridica, 17 dicembre, 2018.
  79. Si segnala all’uopo che il T.A.R. Toscana (II sez., sentenza 8 marzo 2021, n. 363) ha annullato la Determina Dirigenziale n. 408 del 21 maggio 2020 del Comune di Piombino, oggetto di parere motivato dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il mercato ai sensi dell’articolo 21-bis della legge n. 287/90 (cfr. AS1701 – Comune di Piombino (LI) con la quale l’ente locale in questione aveva avviato la procedura per la proroga della validità temporale delle concessioni demaniali marittime insistenti sul territorio comunale senza dar corso alla procedura comparativa prevista dall’articolo 12 delle Direttiva 2006/123/CE.
  80. M. Ceruti, La procedura negoziata competitiva nel campo dei beni demaniali e pubblici, problemi di definizione, disciplina e prassi nell’ordinamento giuridico nazionale, cit., p.60
  81. L’abolizione delle restrizioni, dal punto di vista del diritto europeo, è da valutare in chiave transfrontaliera come ricorda la Corte di giustizia in molte sue pronunce (cfr., Corte di giustizia, I sez., sentenza 26 gennaio 2003, Commissione c. Spagna, C- 514/03, ECLI:EU:C:2006:63, p.to 24) ma è chiaro che anche la semplice esclusione (di fatto) di operatori potenziali nazionali crei una distorsione del mercato.
  82. Si prenda come esempio il (non più recente) caso Englaro in cui bene si riverbera il problema dei “limiti” della c.d. «funzione creatrice» dell’attività giurisdizionale. In assenza di una specifica normativa sul c.d. «fine vita» la Corte di cassazione con la sentenza n. 21748 del 2007 e la Corte di appello di Milano con il decreto 25 giugno 2008 hanno, di fatto, colmato il vuoto normativo nell’ordinamento interno. Cfr. S. Spinelli, Re giudice o re legislatore? Sul conflitto di attribuzione tra potere legislativo e giurisdizionale, in Il Diritto di famiglia e delle persone, n. 3, 2009, p. 1488-1519.
  83. Sul punto, G. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, cit. L’Autore, pur ponendo il problema soprattutto del punto di vista processuale e dell’interesse sostanziale che consente l’accesso al giudice, laddove l’azione pubblica è suscettibile di ledere una pluralità di interessi che meriterebbero tutela, constata come da «l’irripetibilità della vicenda singola, la quale reclama un respondere che non può più fondare sul diritto positivo» derivi la ricerca di una regola decisoria “altra” da quella posta dalla legge. Ivi, p. 64.
  84. Nel contesto specifico, poi, non bisogna trascurare l’importanza data dall’apporto dell’analisi economica per valutare gli effetti di future disposizioni normative che riguardino il mercato dei servizi. La norma, in questo caso, va intesa nella prospettiva positivista di Hart, vale a dire quale giustificazione dell’azione e di definizione di ciò che il diritto è. Cfr. B. H. Bix, Teoria del diritto, idee e contesti, Giappichelli, Torino, 2015, p. 53-64.
  85. L’idea centrale della norma interna è di «una regola priva di efficacia normativa nell’ambito dell’ordinamento generale stutale» ma posta dagli atti normativi di qualsiasi ordinamento a rilevanza pubblicistica che deriva, in ogni caso, dall’ordinamento statuale. Per approfondimenti, F. Bassi, La norma interna, Giuffrè, Milano, 1963, p. 7; p. 13.
  86. Cfr. A. Pajno, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 2, 2015, p. 357.
  87. Sul punto si rimanda al concetto di «forza di legge», vale a dire la capacità dell’atto normativo di innovare rispetto all’ordinamento di appartenenza che, a sua volta, ne determina la tipicità. Cfr., F. Bassi, La norma interna, cit., p. 491-492.
  88. Cfr. anche, F. Liguori, La funzione nomofilattica nell’età dell’incertezza, in Diritto e processo amministrativo, 2017, n. 2, p. 587-600. L’autore riflette sull’esercizio nomofilattico da parte della giurisprudenza amministrativa e sul principio di certezza del diritto, messo in discussione da molte decisioni giurisprudenziali.

    In questo scritto non si è volutamente trattato il rapporto tra giurisdizioni. In proposito, la pronuncia dell’Adunanza Plenaria pone diversi interrogativi anche in merito ai limiti esterni della giurisdizione. Inoltre, nel dibattito futuro, non sarà sicuramente trascurato il problema della frammentazione della funzione nomofilattica tra Corti nazionali e Corte di giustizia, nonché di una sua diversa organizzazione. Cfr., A. Pajno, Nomofilachia e giustizia amministrativa, cit., p. 361-362.

  89. P. Grossi parla di ceto giudiziario che dà vita al «diritto vivente che si affianca ad uno sclerotico diritto ufficiale», in Prima lezione di diritto, Laterza, Bari, 2012, p. 111. Sulla percezione delle giuridicità e la contaminazione del diritto per opera delle numerose sollecitazioni esercitate da parte di altri ambiti e materie si rimanda a M. Zanichelli, Introduzione. Per un diritto in ascolto, cit. (cfr., supra, nota n. 9).

Alessia Monica

Researcher type A in Administrative Law at the University of Milan.